Para bellum atlantico: «Io la penso come i romani»
Meloni in Parlamento. La preparazione e l’allestimento della guerra, ora con
armi sempre più costose e sofisticate, pare che non stia alla fine realizzando
nessuna vera pace.
«Io la penso come i romani: si vis pacem, para bellum, se vuoi la pace prepara
la guerra», così Giorgia Meloni in Parlamento in risposta a chi chiedeva
chiarezza sulla disponibilità dell’Italia con basi e servitù militari verso le
guerre dell’imperatore Trump.
Prima di andare al Consiglio Europeo e al vertice atlantico dell’Aja che impone
un devastante riarmo, il 5% per le spese della difesa UE che va correttamente
intesa, dicono Rutte e Meloni all’unisono, come «colonna europea» della Nato.
Siamo all’Unione Atlantica. Si è sfilata solo la Spagna, minacciata dal bullo
americano.
Ma, signora presidente del Consiglio, la sua citazione riguardava l’impero
romano… Come è finito? Guerre di conquista, guerre civili e i barbari alla fine
sono arrivati. Meno male che c’è stata la guerra sociale, la rivolta degli
schiavi, che testimoniavano come la grandezza e la civiltà di Roma derivavano
dalla violenza contro di loro necessaria a costruirle. E come è finito il più
recente impero italiano-mussoliniano che aveva la forza militare come asse di
riferimento per la sua credibilità, interna ed internazionale?
La filologia in campo ricorda Vegezio, Cornelio Nepote, Cicerone all’origine del
detto. C’è però da ricordare un’altra piccola citazione. Il grande storico
Tacito raccontando la vita e le imprese del generale romano Agricola
conquistatore delle Britannie, cita le parole di Calgaco, il capo sconfitto dei
calédoni, sulla vera natura imperiale di Roma: «Rubano, massacrano, rapinano e,
con falso nome, lo chiamano impero», e soprattutto dichiara: «Ubi solitudinem
faciunt, pacem appellant », «Dove hanno fatto un deserto l’hanno chiamato pace».
Questa è la pace delle armi “preparate”, allora come adesso.
La cui incertezza sui risultati reali di pace raggiunti è sotto i nostri occhi,
quella di una tregua di 12 ore voluta dall’Augusto Trump che è stato tirato per
il bavero dal satrapo Netanyahu nell’attacco ai “persiani” e ora è preoccupato
del disastro e soprattutto dei risultati concreti dell’attacco armato che ha
ordinato e per ora zittisce – giustificando il bombardamento all’Iran
“risolutivo” come per Hiroshima e Nagasaki – ogni critica, non proprio
pacifista, che lo invita a finire il lavoro sporco.
In buona sostanza contraddicendo il “si vis pacem para bellum”. Perché la
preparazione e l’allestimento della guerra, ora con armi sempre più costose e
sofisticate, pare che non stia alla fine realizzando nessuna vera pace, se non
la situazione quo ante, se non quello che è sotto i nostri occhi: un clima di
attesa armata in preparazione di un disastro peggiore, che a Gaza e in
Cisgiordania è già apertamente criminale, per un Medio Oriente che appare
proprio come un deserto che assomiglia sempre più al caos.
Ma se «per la pace» è giusto prepararsi alla guerra, come dimenticare che la
cosiddetta pace in Europa è stata garantita per decenni dalla deterrenza
nucleare- che definivamo “del terrore” – ma che, anche se non ha fermato la
corsa al riarmo nucleare oltre i Paesi potenti che la possedevano, almeno è
stata acquisita con un Trattato di Non proliferazione che sembra avere però ora
un destino incerto.
Naturalmente le parole «se vuoi la pace, prepara la guerra», di Giorgia Meloni
che vanta un gonfiato credito internazionale, suonano anche come collocazione
internazionale dell’Italia e messaggio al mondo. Che se lo assume specularmente
che succede?
Non le viene il dubbio che il Cesare russo, Putin, il “nemico”, la pensi e
faccia proprio come lei? E, in tal senso, ci si chiede: per quale motivo l’Iran,
che finora si è battuto per il “solo” nucleare civile, non dovrebbe dotarsi di
un’arma nucleare, visto che in Medio Oriente Israele è l’unico Paese ad averne
di atomiche a centinaia, e senza mai essere sottoposto ad una verifica
internazionale perché sono un “non detto”? Tanto più che avere la Bomba sarebbe
per Teheran la garanzia di non essere attaccato e dunque, secondo la strategia
meloniana, sarebbe «per la pace». Oppure il «Si vis pacem para bellum»
appartiene solo all’Occidente, per scaricare minacce e guerre sanguinose oltre i
suoi confini?
La verità, che non viene più raccontata né preparata, è che l’unica vera
garanzia di pace è solo il disarmo nucleare del Medio Oriente – e del mondo.
A proposito dell’incertezza di morte che produce la guerra, ci piace ricordare
l’ambigua risposta della Sibilla cumana: «Ibis, redibis, non morieris in bello»,
«Andrai, ritornerai e non morirai in guerra», data a un soldato che la
consultava sull’esito della sua missione. Dov’è l’ambiguità? Basta spostare la
seconda virgola per avere «Ibis, redibis non, morieris in bello», «Andrai, non
ritornerai e morirai in guerra». Un’ultima citazione e un invito a Giorgia
Meloni, nata come militante fascista nel bunker di Colle Oppio tra rovine romane
con vista – distorta – su Colosseo e Fori: «I Meloni dei romani sono belli»,
«Va’…o Meloni, al suono di guerra del dio romano».
Ripubblicazione autorizzata dall’autore.
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Redazione Italia