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L’economia di guerra del governo Meloni colpisce ancora: nuova base militare del GIS e Tuscania a Pisa
Nel Documento Programmatico Pluriennale del Ministero della Difesa scritto nero su bianco con riguardo alle infrastrutture militari si legge: “Le attività di maggiore rilievo riguarderanno la progettazione della nuova sede del Gruppo Intervento Speciale (GIS) e del 1° Reggimento Paracadutisti … Leggi tutto L'articolo L’economia di guerra del governo Meloni colpisce ancora: nuova base militare del GIS e Tuscania a Pisa sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
Il Museo sorvegliato speciale: il dissenso dal palazzo al posto di lavoro
Cosa succede se il dissenso viene represso non solo tramite parole ed eventi di chi detiene il potere ma anche tramite misure sul posto di lavoro? Succede quello che sta avvenendo in queste ore ai dipendenti e alle dipendenti della Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea (GNAMC). I e le dipendenti sono stati allontanati dal posto di lavoro per via del Forum Incontri sul Processo di Aqaba, iniziato ieri, si tiene da lunedì 13 ottobre 2025 a mercoledì 15, giorno in cui è prevista la presenza della presidente del consiglio Giorgia Meloni, oltre a tante altre importanti eminenze del settore militare e politico, come il Re di Giordania Abd Allāh II, ideatore del Forum. Il personale in questione – “assentato” dal posto di lavoro – vive così una vicenda analoga e conseguente a quella avvenuta nell’ottobre dello scorso anno, quando alla GNAMC è avvenuta la presentazione del libro “Perché l’Italia è di destra – Contro le bugie della sinistra” – edito da Solferino – dell’ex deputato Italo Bocchino, attuale direttore del giornale “Il Secolo d’Italia”, edito dalla fondazione di Alleanza Nazionale, insieme al presidente del Senato Ignazio La Russa. Quell’ottobre, prima dell’evento, alcune e alcuni dipendenti del museo scrissero una lettera indirizzata alla direttrice, Renata Cristina Mazzantini, chiedendo che l’evento venisse annullato, in quanto “inopportuno” per via della sua natura propagandistica e per l’uso politico degli spazi della Galleria. > La lettera, sottoscritta da 40 dipendenti dell’istituzione museale, volle > chiedere chiaramente di annullare la presentazione. Nella lettera veniva sostenuto infatti che: “Il personale della Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea esprime il proprio fermo dissenso per l’utilizzo degli spazi del Museo a finalità di propaganda, e chiede pertanto di cancellare l’inopportuna presentazione nel rispetto della nostra istituzione culturale, della sua storia e della sua reputazione. Confidando in un suo sollecito riscontro, siamo disponibili a eventuali confronti e chiarimenti. In caso contrario potremmo ricorrere a forme di protesta atte a contestare l’utilizzo di un luogo pubblico a fini di parte e a difendere il ruolo democratico che un museo dello Stato non dovrebbe ipotecare per nessun motivo”. In risposta, la direttrice segnalò al Ministero della Cultura (e ad altre autorità competenti) i nomi dei lavoratori che avevano firmato la lettera di dissenso. L’evento si svolse nonostante tutto. Bocchino replicò: “scatta il razzismo ideologico e politico per cui io sarei un cittadino di serie B, un figlio di un dio minore”. Ma insieme scattò subito la solidarietà e il sostegno ai e alle dipendenti coinvolti, soprattutto da parte dei sindacati vicini al museo e delle principali forze politiche di opposizione, come PD, M5S e realtà sociali e associative. In seguito alla vicenda, tre membri su quattro del comitato scientifico si licenziarono: Augusto Roca, Stefania Zuliani e Federica Muzzarelli. L’Unione Sindacale di Base – USB – riportò in una nota la preoccupazione riguardo l’accaduto esprimendo il proprio sostegno ai lavoratori e alle lavoratrici che si ritrovarono a far parte di una situazione anomala e propagandistica. > Ora, a distanza di un anno, i lavoratori e le lavoratrici della GNAMC, in > vista del Forum militare che vedrà la presenza di alti funzionari dello Stato > e delle istituzioni, sono stati allontanati dal luogo di lavoro per svolgere > un corso di formazione – non lavorativamente fondamentale – per ben tre > giorni, presso la sede del Ministero della Cultura del Collegio Romano, > proprio quanto il tempo di durata del grande evento. Sono inoltre stati avvisati solo tre giorni fa, proprio a ridosso dell’evento che sta militarizzando in questi giorni l’intera zona della Galleria, anche se il contenuto dettagliato del Forum resta un segreto. Infatti chi lavora in Galleria fino all’ultimo momento non ha avuto informazioni su quali fossero i dettagli dell’evento per cui c’è stato il bisogno di allontanare i dipendenti. Sappiamo che saranno probabilmente presenti capi di Stato e che il dibattito riguarderà l’area militare, il terrorismo e le limitazioni della pirateria in Africa Occidentale. Insomma, un congresso sull’antiterrorismo in pieno centro a Roma. Non tutti i e le dipendenti del Museo sono stati allontanati per seguire un corso di formazione: alcuni sì e altri no. Anche questo non è mai accaduto. Tra coloro i quali sono stati allontanati, ci sono gli stessi che lo scorso anno sono stati coinvolti dalla vicenda Bocchino, quando vennero segnalati al MIC dalla direttrice del Museo, circa il 60% dei dipendenti. Una situazione complicata, ora, per molti di loro, in quanto tanti lavoratori e lavoratrici del Museo sono turnisti, con tanti doppi turni e riposi programmati, che ora, per via dell’accaduto, dovranno essere rimodulati nella totalità. Inoltre, la dislocazione in questi tre giorni dal museo per i precettati appare come obbligatoria: chi ha chiesto di poter lavorare nella propria sede, presso lo GNAMC, ha avuto esito pienamente negativo, con la conseguenza di dover passare tre giorni con la negata possibilità di lavorare, venendo di fatto esclusi per un motivo difficile da considerare valido. Quello che emerge è un clima a tratti intimidatorio, indifferente alle richieste di confronto sindacale e democratico, che trascende la missione istituzionale dell’ente. Nonostante questo, la Galleria sembra smentire quanto accaduto. > Il cardine del problema va ben oltre la vicenda e riguarda l’uso degli spazi. > Se si entra sul sito di biglietteria online Ticket One, i biglietti al Museo > non sono disponibili. Il Forum ospite in queste ore della GNAMC ha generato la chiusura di un sito della cultura per ben tre giorni: un caso con pochi precedenti, soprattutto dopo il Decreto Franceschini, o cosiddetto Decreto Colosseo (chiamato così per via di alcune chiusure di luoghi iconici, come il Colosseo, relativamente ad assemblee sindacali, suscitando critiche per il disservizio verso il pubblico e i turisti). Il Decreto infatti – voluto dall’ex Ministro della Cultura Dario Franceschini – introdusse nel 2015, tra le altre cose, l’essenzialità dei beni museali per tutela ma anche per fruizione. Così, i luoghi della cultura (siano essi statali, comunali, pubblici o privati) divennero beni pubblici essenziali, con conseguenze sulle prestazioni dei lavoratori e delle lavoratrici del settore, diventati a loro volta essenziali. Infatti, dopo il decreto, la chiusura, si configura un vero e proprio disservizio verso il cittadino, l’utente o il turista. Il servizio essenziale alla fruizione dei luoghi di cultura ha così quasi superato anche il diritto allo sciopero, nonostante le limitazioni di alcuni casi. Ma non nel caso – come dimostrano oggi i fatti – del Forum militare! Insomma, i dipendenti in caso di sciopero – che siano, come accaduto, anche solo due ore di assemblea al Colosseo – possono essere precettati a lavoro, ma in caso di congressi con la presenza della Presidente del Consiglio, al contrario, vengono allontanati. > La Galleria Nazionale di Roma viene spesso affittata per eventi privati, ma > solo e necessariamente quando non è aperta al pubblico: non è mai successo che > chiudesse per vari giorni nella sua fruizione con, inoltre, una percentuale di > dipendenti trasferiti obbligatoriamente in altra sede. Il Museo ha sempre garantito le aperture, anche in condizioni difficili, e ad oggi invece non si possono neanche fare i biglietti. Il potere negoziale è stato così ipotecato. Mentre arrivano i primi venti di solidarietà e note sottoscritte anche dai sindacati vicini alle e ai dipendenti del Museo, come CGIL, USB e UIL, ci si chiede fino a dove si può spingere il clima di legittimità alla chiara deriva autoritaria del Governo. Il Governo e le istituzioni hanno chiesto di usare lo spazio della Galleria Nazionale D’Arte Moderna e Contemporanea, ma questo spazio – come le istituzioni stesse hanno sostenuto negli anni – non è uno spazio come gli altri, bensì un bene pubblico. Allora, quando il pubblico ha il diritto inderogabile di accedere ai beni pubblici? Quale è il limite delle eccezioni? I musei sono o non sono servizi essenziali per la fruizione? Alcune di queste riflessioni vanno chiaramente ben oltre il Museo. Un fatto grave, se confermato nella sua totalità. Presto dovranno arrivare le risposte a queste domande, in un modo o nell’altro, se si vorrà sventare un clima di tensione ulteriore nell’industria culturale. L’arbitrarietà dei diritti e delle regole al tempo del Governo Meloni è in piena fase di attrito sociale. La copertina è di Helix 84 (Wikimedia) SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. 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Rigassificatore di Piombino. Giani, Meloni, c’è posta per voi
A luglio 2026 scadrà l’autorizzazione rilasciata dal presidente regionale e commissario per il rigassificatore Eugenio Giani a Snam per rigassificare nel porto di Piombino con una nave lunga oltre 300 metri. Il Tar Lazio, respingendo il ricorso del Comune di … Leggi tutto L'articolo Rigassificatore di Piombino. Giani, Meloni, c’è posta per voi sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
C’è un’idea di città dietro lo sgombero del Leoncavallo – di Paolo Punx
È quella stessa idea che chiama rigenerazione urbana la desertificazione, delle relazioni, delle vite, delle esistenze, da sacrificare e piegare ai supremi interessi  degli affaristi, dei palazzinari, delle arrampicate verticali, del tripudio degli Arbinb!   Gongolano Meloni, Piantedosi, Salvini, Taiani e tutto il carrozzone nazionalgovernativo che in un gioco di simboli un po' desueto [...]
La “gaffe” di Giorgia Meloni al vertice USA-Ucraina-Europa
«Non voglio mai parlare con la mia stampa», ipse dixit Giorgia Meloni il 19 agosto scorso alla Casa Bianca pochi istanti prima che cominciasse l’incontro ai vertici in cui i leader americano, ucraino ed europei hanno confrontato le rispettive opinioni sulle possibilità di concordare con la Russia la fine della guerra combattuta in Ucraina da 4 anni. Le telecamere che riprendevano la riunione erano già accese poco prima che cominciasse il dibattito e mentre i partecipanti chiacchieravano tra loro informalmente, così è stato documentato anche che il presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana ha commentato così un’osservazione del Capo di Stato finlandese. Dal 2017 al 2024 vicepresidente della BCE / Banca Europea degli Investimenti, dal 2014 leader del Partito di Coalizione Nazionale (uno schieramento liberal-conservatore) e dal 2024 presidente della Repubblica finlandese, Alexander Stubb si era rivolto a Trump – certo informalmente, comunque consapevole della rilevanza della propria osservazione – esprimendo il proprio stupore per la sua scelta di svolgere i colloqui alla presenza della stampa. Seduta accanto a Trump, Giorgia Meloni è intervenuta precedendo la risposta del presidente degli USA e, palesemente, cercando di attirare l’attenzione degli altri leader che, intanto, parlavano tra loro a bassa voce. Accompagnando le proprie parole pronunciate ad alta voce con una risata fragorosa, ha detto: “Ma a lui [Trump] piace. Gli piace sempre. Io invece non voglio mai parlare con la mia stampa”. Ovviamente questa ‘battuta’ non è passata inosservata all’attenzione dei reporter presenti in sala… e ha subito fatto il proverbiale giro del mondo. “Il Primo Ministro italiano è di nuovo sotto i riflettori”, sottolinea THE ECONOMIC TIMES nella didascalia al filmato pubblicato su YouTube con il titolo “Non voglio mai parlare con la stampa italiana”: il fuori-onda di Giorgia Meloni con Trump diventa virale.  In Italia, dove un anno fa sulle prime pagine dei quotidiani faceva scalpore l’inchiesta di FANPAGE nei circoli di Gioventù Nazionale che mostrava attitudini e opinioni di alcuni esponenti del suo partito, questa affermazione pronunciata dalla premier al vertice internazionale alla Casa Bianca e anche il suo suggerimento al ‘padrone di casa’ di non concedere ai reporter l’opportunità di fare domande – “Penso sia meglio di no, siamo troppi e andremmo troppo per le lunghe” / Ilario Lombardo, LA STAMPA – hanno scatenato molte polemiche. I leader dell’opposizione hanno reagito indignati: * “Il fastidio di Giorgia Meloni verso i giornalisti non è un dettaglio: rivela un’idea di democrazia debole, autoritaria, figlia di una cultura politica che conosciamo bene” – Sandro Ruotolo, responsabile Informazione del PD * “Giorgia Meloni si sottrae al ruolo che i giornalisti hanno in una democrazia: quello di fare domande e chiedere conto delle scelte del governo” – Angelo Bonelli, AVS * “La sua idea della democrazia? Tutti buoni e zitti, mentre lei riverisce il capo di turno per fare bella figura” – Nicola Fratoianni, SI * “Disprezzo per la stampa e la libertà di informazione: d’altronde abbiamo ben capito che Meloni vorrebbe giornalisti compiacenti e stampa adulante” – Riccardo Magi, segretario di +Europa * “Una premier che scappa dai giornalisti scappa anche dai cittadini” – Silvia Fregolent, IV * “Fastidio verso la dialettica, tipico dei leader non democratici e illiberali” – Barbara Floridia, M5S e presidente della Vigilanza Rai « Che la presidente del Consiglio non ami i giornalisti e le domande della stampa è cosa nota – ha dichiarato Alessandra Costante, segretaria generale della FNSI / Federazione Nazionale della Stampa Italiana – Negli anni ha sostituito le conferenze stampa (tranne quella di fine anno) con lunghi monologhi online, senza contraddittorio, senza domande. Propaganda, non informazione». « Meloni percepisce [i giornalisti] come un ostacolo alla propria leadership carismatica», ha annotato Paolo Gallo su IL FATTO QUOTIDIANO. Un collaboratore della Business School Bocconi e autore de La Bussola del Successo (Rizzoli, 2016), Paolo Gallo ha rilevato che la gaffe di Giorgia Meloni è sintomatica: « Sebbene pronunciata in un contesto informale, rivela molto più di quanto la premier avrebbe probabilmente voluto: non un semplice imbarazzo personale, ma il sintomo di un rapporto problematico con il controllo democratico, con il dissenso e con l’obbligo della rendicontazione pubblica. In questo contesto, ammettere l’imbarazzo davanti alla stampa non è una debolezza personale: è la conferma di una strategia politica che punta a depotenziare il giornalismo come cane da guardia del potere». Infatti, nella frase pronuciata da Giorgia Meloni rivolgendosi ai colleghi seduti al tavolo e, però, davanti ai reporter che assistevano all’incontro, spicca l’aggettivo “mia” con cui la premier italiana ha qualificato la stampa della nazione che lei governa e rappresenta. Ciò rileva considerando anche che, come riportato nelle sue biografie ufficiali e nel suo curriculum vitae depositato nell’archivio del DAIT / Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del Ministero dell’Interno, Giorgia Meloni è una giornalista professionista. Il 9 GENNAIO 2025 alla conferenza stampa organizzata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e dall’Associazione stampa parlamentare rivolgendosi a loro come propri colleghi Giorgia Meloni aveva rammentato ai giornalisti i valori e principi della deontologia professionale e, dopo aver fornito dettagliate spiegazioni sul proprio operato, ha chiesto loro di rispettare il suo lavoro. Invece, denigrando i colleghi e ostendando la propria sfiducia e diffidenza nei loro confronti, purtroppo, la presidente del Consiglio dei Ministri si è dimostrata indegna di governare e rappresentare la “Repubblica democratica, fondata sul lavoro” (Art. 1 / Costituzione). Maddalena Brunasti
Il ruggito del Leoncavallo – di Andrea Cegna
Milano avrà bisogno di un nuovo ruggito con una bella sgroppata ora. Il modello Milano ha portato allo sgombero del Leoncavallo, prima con il cambio del PGT che ha aperto le porte alla selvaggia trasformazione del quartiere Greco e poi con l'ignavia nel non aprire il bando per lo spazio di via San Dionigi [...]
Pagliarulo: “L’occupazione totale di Gaza è un progetto criminale”
Altro che salvare gli ostaggi! L’annuncio dell’occupazione totale di Gaza suona come la loro condanna a morte, ma è specialmente la conferma del progetto della Grande Israele, cioè dell’annessione della Striscia e, di fatto, dell’intera Cisgiordania. Il che vuol dire proseguire nell’eccidio dei palestinesi e cacciare i superstiti. Si tratta di un progetto criminale di dimensioni bibliche che completa il massacro in corso da tempo, nonostante le proteste di tanta parte dello stesso mondo ebraico. L’appoggio di Trump a tale progetto è una sentenza di condanna definitiva sul suo operato. L’inerzia e il silenzio dell’Occidente è il punto più basso di un abisso morale in cui da tempo sta scivolando. Mai come oggi occorre la cessazione di qualsiasi traffico d’armi e la sospensione immediata del trattato commerciale UE-Israele. È desolante il comportamento del governo italiano, che brilla per collusione. Giorgia Meloni dia una prova di dignità richiamando l’ambasciatore e, ove il progetto di Netanyahu venisse messo in pratica, mettendo in discussione le relazioni diplomatiche con Israele. Gianfranco Pagliarulo Presidente nazionale ANPI ANPI Nazionale
Il favoloso mondo di Giorgia – di Joseph Maitano
Nel corso del suo intervento al XX Congresso Confederale Cisl, Giorgia Meloni ha affermato che durante il suo governo sono stati creati una media giornaliera di 1000 posti di lavoro a tempo indeterminato. Un vero e proprio record che fa intravvedere un mondo favoloso. Tale affermazione merita qualche considerazione, perché nasconde una realtà purtroppo ben [...]
Para bellum atlantico: «Io la penso come i romani»
Meloni in Parlamento. La preparazione e l’allestimento della guerra, ora con armi sempre più costose e sofisticate, pare che non stia alla fine realizzando nessuna vera pace. «Io la penso come i romani: si vis pacem, para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra», così Giorgia Meloni in Parlamento in risposta a chi chiedeva chiarezza sulla disponibilità dell’Italia con basi e servitù militari verso le guerre dell’imperatore Trump. Prima di andare al Consiglio Europeo e al vertice atlantico dell’Aja che impone un devastante riarmo, il 5% per le spese della difesa UE che va correttamente intesa, dicono Rutte e Meloni all’unisono, come «colonna europea» della Nato. Siamo all’Unione Atlantica. Si è sfilata solo la Spagna, minacciata dal bullo americano. Ma, signora presidente del Consiglio, la sua citazione riguardava l’impero romano… Come è finito? Guerre di conquista, guerre civili e i barbari alla fine sono arrivati. Meno male che c’è stata la guerra sociale, la rivolta degli schiavi, che testimoniavano come la grandezza e la civiltà di Roma derivavano dalla violenza contro di loro necessaria a costruirle. E come è finito il più recente impero italiano-mussoliniano che aveva la forza militare come asse di riferimento per la sua credibilità, interna ed internazionale? La filologia in campo ricorda Vegezio, Cornelio Nepote, Cicerone all’origine del detto. C’è però da ricordare un’altra piccola citazione. Il grande storico Tacito raccontando la vita e le imprese del generale romano Agricola conquistatore delle Britannie, cita le parole di Calgaco, il capo sconfitto dei calédoni, sulla vera natura imperiale di Roma: «Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero», e soprattutto dichiara: «Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant », «Dove hanno fatto un deserto l’hanno chiamato pace». Questa è la pace delle armi “preparate”, allora come adesso. La cui incertezza sui risultati reali di pace raggiunti è sotto i nostri occhi, quella di una tregua di 12 ore voluta dall’Augusto Trump che è stato tirato per il bavero dal satrapo Netanyahu nell’attacco ai “persiani” e ora è preoccupato del disastro e soprattutto dei risultati concreti dell’attacco armato che ha ordinato e per ora zittisce – giustificando il bombardamento all’Iran “risolutivo” come per Hiroshima e Nagasaki – ogni critica, non proprio pacifista, che lo invita a finire il lavoro sporco. In buona sostanza contraddicendo il “si vis pacem para bellum”. Perché la preparazione e l’allestimento della guerra, ora con armi sempre più costose e sofisticate, pare che non stia alla fine realizzando nessuna vera pace, se non la situazione quo ante, se non quello che è sotto i nostri occhi: un clima di attesa armata in preparazione di un disastro peggiore, che a Gaza e in Cisgiordania è già apertamente criminale, per un Medio Oriente che appare proprio come un deserto che assomiglia sempre più al caos. Ma se «per la pace» è giusto prepararsi alla guerra, come dimenticare che la cosiddetta pace in Europa è stata garantita per decenni dalla deterrenza nucleare- che definivamo “del terrore” – ma che, anche se non ha fermato la corsa al riarmo nucleare oltre i Paesi potenti che la possedevano, almeno è stata acquisita con un Trattato di Non proliferazione che sembra avere però ora un destino incerto. Naturalmente le parole «se vuoi la pace, prepara la guerra», di Giorgia Meloni che vanta un gonfiato credito internazionale, suonano anche come collocazione internazionale dell’Italia e messaggio al mondo. Che se lo assume specularmente che succede? Non le viene il dubbio che il Cesare russo, Putin, il “nemico”, la pensi e faccia proprio come lei? E, in tal senso, ci si chiede: per quale motivo l’Iran, che finora si è battuto per il “solo” nucleare civile, non dovrebbe dotarsi di un’arma nucleare, visto che in Medio Oriente Israele è l’unico Paese ad averne di atomiche a centinaia, e senza mai essere sottoposto ad una verifica internazionale perché sono un “non detto”? Tanto più che avere la Bomba sarebbe per Teheran la garanzia di non essere attaccato e dunque, secondo la strategia meloniana, sarebbe «per la pace». Oppure il «Si vis pacem para bellum» appartiene solo all’Occidente, per scaricare minacce e guerre sanguinose oltre i suoi confini? La verità, che non viene più raccontata né preparata, è che l’unica vera garanzia di pace è solo il disarmo nucleare del Medio Oriente – e del mondo. A proposito dell’incertezza di morte che produce la guerra, ci piace ricordare l’ambigua risposta della Sibilla cumana: «Ibis, redibis, non morieris in bello», «Andrai, ritornerai e non morirai in guerra», data a un soldato che la consultava sull’esito della sua missione. Dov’è l’ambiguità? Basta spostare la seconda virgola per avere «Ibis, redibis non, morieris in bello», «Andrai, non ritornerai e morirai in guerra». Un’ultima citazione e un invito a Giorgia Meloni, nata come militante fascista nel bunker di Colle Oppio tra rovine romane con vista – distorta – su Colosseo e Fori: «I Meloni dei romani sono belli», «Va’…o Meloni, al suono di guerra del dio romano». Ripubblicazione autorizzata dall’autore. Link all’articolo originale: https://ilmanifesto.it/para-bellum-atlantico-io-la-penso-come-i-romani   Redazione Italia
No Dl Sicurezza: gli scatti dal corteo del 31 maggio a Roma
Un grande e partecipatissimo corteo ha attraversato Roma per dire “no” al Dl Sicurezza, appena approvato dalla Camera dei Deputati e passato ora al vaglio del Senato. Una composizione variegata di associazioni, sindacati, collettivi e singole persone hanno animato gli interventi che si sono susseguiti durante il percorso dai tre camion messi a disposizione dall’organizzazione. È stato più volte ribadita la pesante restrizione alle libertà che il decreto legge impone, in primis su soggettività più vulnerabili, come le persone detenute e migranti. Ora è necessario continuare ad animare la protesta e costruire rete, perché la dimensione reazionaria e autoritaria di questo governo richiede una capacità di mobilitazione permanente e intersezionale. di Renato Ferrantini di Renato Ferrantini di Renato Ferrantini di Renato Ferrantini di Renato Ferrantini di Renato Ferrantini di Renato Ferrantini di Renato Ferrantini di Renato Ferrantini Tutte le immagini sono di Renato Ferrantini SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo No Dl Sicurezza: gli scatti dal corteo del 31 maggio a Roma proviene da DINAMOpress.