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La diplomazia del Vaticano a stelle e strisce: Leone XIV raccoglie l’eredità cinese di Papa Francesco
La nomina del vescovo Lin Yuntuan a vescovo ausiliare di Fuzhou da parte del Vaticano segna una svolta nelle relazioni sino-vaticane. Sotto la guida di Papa Leone XIV, il primo pontefice americano, la Santa Sede ha pienamente attuato il controverso accordo provvisorio del 2018 con Pechino – un delicato equilibrio diplomatico che preserva l’ultimo canale funzionale dell’Europa verso la Cina, pur mantenendo i legami formali con Taiwan. La cerimonia di insediamento dell’11 giugno ha coronato un processo meticolosamente orchestrato che ha coinvolto le approvazioni del comitato cattolico del Fujian, riconosciuto dallo Stato, della Conferenza episcopale cinese e del Vaticano. Questo meccanismo di approvazione trilaterale, istituito in base al rinnovo dell’accordo del 2022, rappresenta un raro consenso operativo tra Roma e Pechino. Questo gesto avviene nel cuore di una contraddizione geopolitica. La Santa Sede è l’unico Stato europeo a mantenere relazioni diplomatiche formali con Taiwan, ma al tempo stesso è l’unico attore che riesce a dialogare concretamente con la Cina sulla base di meccanismi concordati. Mentre altri soggetti occidentali, come gli Stati Uniti – che hanno riconosciuto formalmente la Repubblica Popolare Cinese come unico governo legittimo della Cina fin dal 1979, in adesione alla politica della “One China” sancita dalla Risoluzione 2758 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1971 – alimentano le tensioni nello Stretto di Taiwan con forniture militari, esercitazioni navali e una retorica conflittuale, il Vaticano si muove nella direzione opposta. In assenza di formali relazioni diplomatiche con Pechino, la Santa Sede ha costruito una via propria: silenziosa, paziente, diplomatica. È questo l’autentico volto della diplomazia di pace. Ad oggi, sono soltanto tredici gli Stati che mantengono relazioni diplomatiche ufficiali con Taiwan, tra cui piccoli Paesi insulari come Palau, Tuvalu e Nauru, e alcune nazioni dell’America Latina e dell’Africa. La Santa Sede è l’unico soggetto sovrano europeo a farlo. Ciò rende la sua capacità di dialogo con Pechino ancora più singolare: un attore diplomatico che, senza rinunciare a relazioni con Taipei, riesce a costruire un’intesa funzionale con il governo cinese su una materia delicatissima come la nomina dei vescovi. La figura di Lin Yuntuan, 73 anni, già amministratore apostolico della diocesi di Fuzhou e protagonista della vita ecclesiale locale fin dagli anni ’80, diventa così la prima espressione visibile dell’accordo Vaticano-Cina nel contesto del nuovo pontificato. Nato a Fuqing, nel Fujian, Lin è stato ordinato sacerdote nel 1984 ed è stato consacrato vescovo nel 2017. La sua lunga esperienza amministrativa e pastorale nella regione lo ha reso figura di fiducia sia per Roma che per Pechino. La scelta della diocesi di Fuzhou ha anche un valore simbolico. Il Fujian è la regione cinese più vicina a Taiwan ed è da secoli crocevia della diaspora cinese sull’isola. Oltre la metà della popolazione taiwanese ha origini nel Fujian, e numerose famiglie conservano ancora oggi legami familiari e culturali con la Cina continentale. La diocesi di Fuzhou include anche territori (come le isole Matsu) che, pur sotto l’amministrazione de facto di Taipei, appartengono alla giurisdizione religiosa cinese. In questo senso, la nomina di Lin assume un ulteriore valore: quello di unire simbolicamente due rive dello stesso mondo sinico-cattolico, in una fase storica segnata dalla divisione. La diplomazia della Santa Sede, anche con un papa di passaporto statunitense, non si piega alle logiche dei blocchi. L’Accordo del 2018 non è stato annullato, ma rilanciato: in un’epoca in cui le grandi potenze alzano la voce e accumulano armamenti, il Vaticano scommette ancora su un modello di pazienza diplomatica. Il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, ha parlato esplicitamente di un “ulteriore frutto del dialogo tra la Santa Sede e le autorità cinesi”. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha dichiarato il 12 giugno che “la Cina è disposta a collaborare con il Vaticano per promuovere il continuo miglioramento delle relazioni Cina-Vaticano attraverso il dialogo costruttivo e la fiducia reciproca”. Il contrasto con la diplomazia statunitense è netto. Washington sostiene apertamente l’armamento di Taipei e ne fa una pedina nel confronto strategico con la Cina. Eppure, è proprio grazie a questo approccio che, almeno in ambito ecclesiale, si è evitata una frattura insanabile. L’alternativa era proseguire con nomine unilaterali, scismi de facto e comunità cattoliche divise tra clandestinità e patriottismo. La Santa Sede ha scelto un’altra via: imperfetta, ma praticabile. Va riconosciuto che il processo resta fragile. La nomina unilaterale del vescovo di Shanghai nel 2021 ha dimostrato i rischi concreti di un accordo ancora soggetto a interpretazioni divergenti. E il carattere “provvisorio” dell’intesa, rinnovata a scadenza quadriennale, rende il cammino costantemente esposto a scossoni. Ma proprio per questo, ogni passo compiuto ha un valore doppio: non solo come atto ecclesiale, ma come segnale politico. In un mondo che sembra bruciare sotto il peso dei conflitti, dal genocidio in corso a Gaza agli attacchi contro l’Iran, la Santa Sede versa sapienti e pazienti gocce d’acqua sul fuoco, alimentando riconoscimento multipolare e flebili ma forti speranze di pace. L’accordo con la Cina si distingue da altri modelli (come quello informale col Vietnam o la semplice tolleranza di Cuba) per la sua forma strutturata e vincolante. A differenza di contesti dove la diplomazia è improvvisata, il caso cinese è codificato, scritto, sottoscritto. Ed è in questo spazio scritto che si muove il Papa, con pazienza e determinazione. L’attitudine multilaterale e multipolare del Vaticano non si limita alla Cina. La Santa Sede mantiene un impegno costante nella costruzione di relazioni pacifiche anche in America Latina e Africa, dove il ruolo di mediazione e dialogo interreligioso è spesso l’unica alternativa credibile alle derive securitarie o alle interferenze esterne. La diplomazia vaticana opera con la stessa logica paziente e discreta: riconoscere le complessità locali, ascoltare i bisogni delle comunità, costruire ponti dove altri alzano muri. La nomina di Lin Yuntuan non è solo la cronaca di un’ordinazione episcopale: è la conferma che la Santa Sede continua a esercitare una funzione unica sulla scena internazionale. E lo fa oggi, con un pontefice statunitense che non tradisce, ma rilancia, la via del dialogo. Forse è proprio da qui, e non dai vertici militari o dai forum geopolitici, che può partire una nuova idea di convivenza pacifica. La speranza, per ora, ha un nome e una diocesi: Lin Yuntuan, Fuzhou.     Redazione Italia
Il silenzio che confonde
Dove c’è amore, non può esserci esclusione. Un appello alla Chiesa perché ritrovi il coraggio di riconoscere ciò che esiste già: l’amore vissuto, anche fuori dai canoni. “Anche noi siamo una famiglia?” È la domanda che Luca Trapanese, credente, padre, compagno, cittadino, ha rivolto a Papa Leone XIV attraverso una lettera aperta condivisa in un videomessaggio sulla sua pagina Facebook ufficiale. Un messaggio semplice, diretto, nato non dalla polemica ma dalla vita: una vita spesa nella cura, nella responsabilità, nell’amore. Luca non chiede approvazione né concessioni. Chiede semplicemente che la Chiesa guardi la sua realtà, come quella di tante altre, e riconosca ciò che essa incarna ogni giorno: l’amore. Nel recente discorso al Corpo Diplomatico, Papa Leone XIV ha riaffermato l’importanza della famiglia “fondata sull’unione stabile tra uomo e donna”. È una frase storicamente presente nel linguaggio della dottrina cattolica. Non nuova, non provocatoria. Eppure oggi, in un tempo in cui i legami d’amore si manifestano in molte forme, quella frase ci lascia un senso di disorientamento. Siamo confusi, ma non vogliamo travisare. Siamo inquieti, ma non vogliamo strumentalizzare. Siamo spaventati, perché sappiamo cosa significa quando l’amore non viene riconosciuto. Negare l’amore, in qualsiasi sua forma autentica, rispettosa e responsabile, equivale a negare la vita stessa. E la Chiesa, nei suoi fondamenti più profondi, non può che essere dalla parte della vita e dell’amore. Sempre. Papa Francesco ci aveva insegnato che “la realtà è più importante dell’idea”, e nel suo pontificato, pur senza modificare i capisaldi dottrinali, aveva aperto cammini di ascolto e accompagnamento. In Fiducia supplicans si è detto che anche le coppie in situazioni “irregolari” possono ricevere una benedizione, non un sacramento, purché non si generi confusione con il matrimonio. Una breccia fragile ma significativa, verso un’umanità imperfetta ma reale. “Chi si mette umilmente davanti a Dio per chiedere il suo aiuto” afferma il documento, “non dovrebbe dover passare attraverso un giudizio morale completo come se fosse un requisito per ricevere la benedizione.” È un invito a riconoscere che non è la perfezione, ma la fiducia, il primo passo verso l’amore e verso Dio. Oggi, con Papa Leone XIV, questa traiettoria sembra sospesa. Le sue parole non hanno chiuso alcuna porta, ma nemmeno ne hanno aperta una nuova. E questo silenzio, in un tempo così pieno di domande, può sembrare una risposta mancata. Anche all’interno della nostra stessa testata, ci si è interrogati su questo nodo profondo. In un articolo lucido e coraggioso, Lorenzo Poli si chiedeva se la Chiesa non stia esercitando una forma di ipocrisia, benedicendo cose e situazioni discutibili, ma negando una preghiera a chi vive nell’amore e nella cura reciproca. Scriveva: “È possibile benedire missili, cannoni e crociate, ma non due persone che si amano?”. Una domanda che si affianca a quella di Luca Trapanese e che amplifica la richiesta che oggi sale da tante coscienze. Non per sradicare la dottrina, ma per radicarla nuovamente nella realtà. Santità, cosa dobbiamo dire ai nostri figli quando ci chiedono: “Anche noi siamo una famiglia?” Come possiamo spiegare loro che la Chiesa, la casa dell’amore, non ha ancora trovato parole per benedirli? La risposta non può più essere rimandata. Perché dove c’è amore, lì c’è già la benedizione.   Riferimenti – Videomessaggio di Luca Trapanese sulla sua pagina ufficiale: facebook.com/Luca-Trapanese – Lorenzo Poli, “Coppie gay, la Congregazione per la Dottrina della Fede sancisce l’ipocrisia?”, Pressenza, 22 marzo 2021 https://www.pressenza.com/it/2021/03/coppie-gay-la-congregazione-per-la-dottrina-della-fede-sancisce-lipocrisia/   Lucia Montanaro
Papa Francesco, Papa Leone XIV, la Chiesa cattolica e noi
Occuparsi di cosa accade nella Chiesa cattolica come istituzione, come potere, gerarchia e struttura millenarie non è perdere tempo. Interessa noi, di sinistra sociale e politica alternativa. Perché da come si muove questa entità dipendono molti destini, molta politica, molto assetto geopolitico e anche molta cultura. In un mondo per più versi abbondantemente secolarizzato, soprattutto in Occidente, Usa ed Europa, il bisogno religioso sopravvive. Nella secolarizzazione imperfetta qui si esprime con altri mezzi, in forme anche non-religiose. In gioco è la sempre umana ricerca di identità e di appartenenza, anche in forme alienate. E questo avviene in sette esoteriche, nei consumi, nel tifo sportivo, nella cosiddetta New Age, in maghi e maghe, cartomanti, santoni, nella cultura del corpo, nella cultura del narcisismo ecc.  Soprattutto in ciò che rimane del mondo rurale del Nord Globale, nelle forme tradizionali, la Chiesa cattolica come seguito di fedeli, resiste, ma molto resiste nelle periferie del mondo. La Chiesa è un’organizzazione piramidale nata come religione di Stato nel 380 d. C. con Teodosio e dal disfacimento dell’Impero Romano, ereditandone pertanto struttura e monarchia assoluta, anche nel solo titolo del capo come Pontefice Massimo. Struttura complessa e molto articolata non solo in cardinali, vescovi, presbiteri, preti, diaconi ecc, bensì soprattutto in ordini religiosi, congregazioni, uffici, settori ecc., a loro volta con le proprie gerarchie e articolazioni. La Chiesa comprende tutto. Dall’Inquisizione, dalle torture e dai roghi per eretici e per le cosiddette streghe, ai vescovi feudatari, ai papi capi di eserciti combattenti, ai feroci colonizzatori e oppressori nei vari continenti, alle gerarchie ecclesiastiche benedicenti i fascisti italiani, i franchisti in Spagna, le bandiere naziste in Germania, a Marcinkus e allo Ior, alla finanza cattolica, a Calvi ecc. Ma comprende anche preti e gerarchie  coinvolte nelle eresie, nel francescanesimo, nel solidarismo cattolico, nei movimenti di liberazione, fino alla Teologia della Liberazione.  Comprende Opus Dei, Legionari di Cristo, Comunione e Liberazione, Cammino neocatecumenale, ma anche Focolarini, Comunità di Sant’Egidio ecc. Naturalmente, è banale dirlo, un conto è il gaudente abusatore Alessandro VI (papa Borgia), il gaudente Marcinkus, l’anticomunista fanatico Wojtyla e un conto sono Francesco, Thomas Müntzer, don Milani, dom Franzoni, Gustavo Gutierrez, Leonardo Boff e via elencando. Jorge Mario Bergoglio Lo spettacolo di ipocrisia dispiegato dai potenti, dai governanti, dai media in occasione della morte e delle esequie di Papa Francesco rimane come marchio indelebile a futura memoria. La vicenda di Jorge Bergoglio è esemplare. Viene dal potente processo inaugurato dal Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII e proseguito da Paolo VI con la pietra miliare dell’enciclica Populorum Progressio nel senso della necessaria e purificatrice “decolonizzazione” e della liberazione dei popoli oppressi. Viene dopo il reazionario Wojtyla e dopo il curiale e conservatore Ratzinger. Viene dalle periferie del mondo. Ancor prima di essere il massimo esponente di un’istituzione così compromessa qual è stata ed è la Chiesa cattolica, Bergoglio-Francesco è stato ed è un essere umano. Un essere umano è la sua storia. Quello che riceve dal suo contesto, dai suoi familiari, dalla sua comunità, dal contesto sociale in cui si viene a trovare, dalle sue esperienze, dallo spirito del suo tempo. La Teologia della Liberazione ha sempre sostenuto che il prete, oltre a evangelizzare, oltre a dare testimonianza del sovversivo messaggio evangelico, è evangelizzato a sua volta. I poveri, gli oppressi, gli ultimi lo convertono, lo evangelizzano. Se si attarda a vivere nei privilegi, invece di servire, invece di essere al servizio, viene servito e cooptato dalle infinite sfumature del Potere. Jorge Bergoglio nasce nel contesto argentino, in un ambiente sociale al confine tra élite dominante e classi sociali dominate. Discende da immigrati italiani, conosce la condizione del migrante, diviene gesuita. È gesuita. Poi le periferie, le favelas di Buenos Aires, i diseredati di quel mondo così abbandonato lo costringono a fare la scelta definitiva. Al momento giusto, quando viene scelto come Papa, diviene Francesco. Essere gesuita nella seconda metà del Novecento significa ricevere la lezione di padre Pedro Arrupe e poi in seguito del cardinale Carlo Maria Martini, he ha costituito la figura esemplare del “teologo” e del “pastore”, uniti e non disgiunti, capace di scardinare molti blocchi della Chiesa. La vicinanza ai lavoratori e alle lavoratrici, alle donne (il primo della gerarchia che ha parlato di sacerdozio delle donne…), il suo appello alla “collegialità” (oggi si dice “sinodalità”) per farla finita una buona volta con la monarchia assoluta, retaggio dell’Impero. Essere uomo. Bergoglio vuole essere Francesco come simbolo della semplicità, dell’umiltà e della povertà e ciò aggiunge molto al suo essere gesuita. La scelta radicale per la pace, contro la guerra e contro i fabbricanti di armi, per i migranti, per gli omosessuali, per i carcerati, per il dialogo interreligioso, per la giustizia sociale e per la giustizia ambientale, per le periferie del mondo ecc. gli hanno procurato tanto consenso, tanta simpatia, da credenti e da non credenti, da uomini e da donne di buona volontà. La profetica enciclica “Laudato si’” del 2015 rimane come documento fondativo di una radicale visione e pratica del mondo, quasi da “altermondialista”. Contro la logica del capitalismo e del neoliberismo, contro l’imperialismo, per la giustizia sociale e per la giustizia ecologico-climatica, per la fratellanza universale, tra esseri umani e tra esseri umani e la natura. Un documento “divisivo” accolto con entusiasmo da sinistra, da chi lotta per la giustizia sociale, per la protezione del bene comune, dagli ambientalisti, da chi lotta contro il cambiamento climatico. Il clerico-fascismo, i reazionari, le gerarchie irriformabili, in primo luogo della Curia romana, invece, si sono dati da fare per non far circolare tra i fedeli e far discutere nelle parrocchie l’enciclica. Francesco è stato “divisivo”. Parola e contenuto così avversate dagli ipocriti del politically correct, dai contemporanei scribi e farisei. Egli ha separato. Inevitabilmente. Tutti i residui, oltremodo attivi entro il cattolicesimo, del clerico-fascismo, tutti i benpensanti liberali lo hanno avversato. I guerrafondai lo hanno deriso, lo hanno anche odiato. Tanti cardinali e tanti vescovi statunitensi, ambienti della curia romana, il Potere per eccellenza, sionisti e massacratori israeliani, con la solita accusa di antisemitismo, atlantisti che non gli perdonano le sue parole, soprattutto all’inizio della guerra, la sua equidistanza nella stessa guerra in Ucraina. La Nato che abbaia alle porte della Russia… Ha reso omaggio nel 2017 a don Lorenzo Milani in occasione dei 50 anni dalla sua morte e da Lettera a una professoressa, salendo a Barbiana e, solitario, pregando sulla sua tomba. Certo, anche i profeti hanno i loro limiti di tempo e di spazio. Chiedere a Bergoglio di respingere tutte le sirene dei “falsi difensori della vita”, di pronunciarsi su aborto, su eutanasia e su fine vita, sul sacerdozio delle donne, sulle finanze, palesi e occulte, del Vaticano, sui dossier di Emanuela Orlandi, l’andare fino in fondo sugli abusi sessuali di esponenti della Chiesa ecc. è chiedere un po’ troppo. L’inerzia storica della Chiesa-istituzione è un blocco, un macigno troppo grande. I tempi della Chiesa-istituzione non sono tempi umani. Bergoglio, rivoluzionario quanto basta. Bergoglio-Francesco ha scardinato molto. Troppo, dicono i liberali benpensanti alla Paolo Mieli, alla Massimo Franco del Corsera. Con la ridicola svalorizzazione di Bergoglio quale “pastore” con poca cultura, non “teologo” alla Ratzinger. Francesco al contrario è stato “pastore” e colto, fine teologo della Chiesa nel mondo, nel secolo, nel cammino di Liberazione. Robert Francis Prevost Di contro ai fiumi di parole, a tutte le analisi dispiegate attorno alla figura di Robert Francis Prevost, oggi Papa Leone XIV, un poco di sobrietà. Occorre sempre capire quali trattative e quali scambi sono intercorsi prima nelle Congregazioni e poi dentro il Conclave, ma non lo sapremo mai. Alla fine, con sorpresa, viene eletto questo cardinale. Il primo statunitense (basta, una buona volta, con “americano”…), ma anche il primo peruviano come seconda nazionalità. La doppia natura di Leone XIV. Sembra che sia stato designato dallo stesso Francesco, anch’egli con l’esperienza delle favelas e dei diseredati nel suo essere missionario in Perù. Agostiniano, e quindi molto vicino alla semplicità e alla povertà dei francescani. Ma secondo taluni, liberali benpensanti, il partito dell’ordine, Prevost è incaricato di riportare tutto alla Chiesa-istituzione, con tutti i suoi riti, tutti i suoi simboli, dopo l’“avventura” di Francesco. Di aprirsi al mondo e ai suoi problemi (extra muros), certo, ma con un’attenzione particolare alla vita interna della Chiesa (intra muros). Teologia e non pastoralità. Ha parlato da subito di pace, di sinodalità, di continuità rispetto a Francesco, ma lo attendiamo alla prova dei fatti. Pace e guerra, Palestina, le sfide geopolitiche, la povertà della Chiesa, l’ascolto del popolo dei fedeli, il dialogo interreligioso, il dialogo col mondo, con i tanti non-credenti, ma alla ricerca di spiritualità, di giustizia in un mondo senza cuore e senz’anima, pericolosamente alla deriva. Il Vangelo del Gesù storico, delle strade e dei villaggi della Galilea povera, di un povero tra i poveri e gli emarginati contro il Tempio dei Sadducei e degli scribi e farisei. La teologia come atto secondo rispetto a un pastore militante “che ha lo stesso odore del suo gregge” (come diceva Francesco). Il potente messaggio del Vangelo reso vivo e operante nel mondo contemporaneo. Giorgio Riolo
8 – 10 maggio 2025, XVIII Festival Tulipani di seta nera per superare la “cultura dello scarto”
Il Festival Internazionale del Film Corto “Tulipani di seta nera”, organizzato dall’Associazione L’Università Cerca Lavoro (UCL), è la rassegna di audiovisivi brevi che, attraverso le opere cinematografiche selezionate per il concorso, propone lavori d’autore di interesse sociale. L’edizione 2025, presentata alla stampa da Diego Righini, Presidente, e Paola Tassone, Direttrice artistica, rinnova la dedizione allo sviluppo della cultura umanitaria. Disuguaglianze e solitudine, salute mentale e disabilità, violenza sulle donne e migrazioni, malattia e guerra rappresentano una denuncia visiva di ciò che alcuni preferirebbero rimuovere, affinché si trasformi in presa di coscienza e cambiamento interiore ed esteriore. Quest’anno Tulipani di seta nera abbraccia in particolare l’eredità testamentaria di Papa Francesco. Monsignor Giovanni Fusco insieme alla conduttrice Lorena Bianchetti, intervenuti alla presentazione, hanno sviluppato senso e ricchezza dell’argomento. “Credo che uno dei passi più importanti che Papa Francesco ha chiesto di realizzare è il superamento della cultura dello scarto” ha detto in conferenza stampa Monsignor Giovanni Fusco, docente dell’Università Lumsa. “Papa Francesco ha valorizzato le periferie del mondo e le periferie antropologiche. Credo che anche il cinema possa essere un ulteriore veicolo di superamento della cultura dello scarto, partendo dal presupposto che le diversità non sono mai un impoverimento”. Lorena Bianchetti, ha aggiunto: “Papa Francesco ha chiesto la pace, ha chiesto di mettere fine alla guerra, ha parlato del mercato delle armi, usando l’espressione infantilismo bellico. Noi dobbiamo recuperare il silenzio che ci permette di ascoltare l’altro e di accogliere l’altro. Questo festival è un appuntamento significativo per accendere i riflettori su quella che da parte della società viene chiamata fragilità e che a mio avviso invece è autenticità”. Il Festival Tulipani di Seta Nera ha visto una grande partecipazione internazionale, con ben 500 opere iscritte nelle sue quattro sezioni: 300 cortometraggi, 70 documentari, 80 SocialClip e 50 digital series, provenienti da tutto il mondo, inclusi Cina, Russia, USA, Argentina, Iran e Israele. Tra le 97 opere selezionate per il Premio sorriso Rai Cinema Channel, visibili sulla piattaforma Rai Cinema Channel dal 1 aprile all’11 maggio, il vincitore sarà scelto basandosi sul numero di visualizzazioni. Le opere finaliste La sezione dei Cortometraggi vede come direttore artistico Paola Tassone e come presidente di giuria Giovanni Veronesi. I corti inviati sono stati 300 e tutti si sono distinti per la potenza dei messaggi universali e la grande sensibilità dei giovani registi. I corti finalisti sono: “Amina” di Serena Tondo; “Fiabexit” di Lorenzo Giovenga e Giuliano Giacomelli; “2020: Odissea nello spazio Covid” di Pierfrancesco Campanella; “Gli Elefanti” di Antonio Maria Castaldo; “La legge del mercato” di Alessandro Panza; “La vie en rouge” di Andrea Fornalè; “L’acquario” di Gianluca Zonta; “L’ultimo sogno” di Davide Maria Marucci; “Mercato libero” di Giuseppe Cacace; “Milo” di Daniele Fabietti; “Ronzio” di Niccolò Donatini; “Rosetta” di Vincenzo Palazzo; “Vivremo nelle pareti” di Rocco Anelli. Per quanto riguarda i Documentari il direttore artistico di sezione è Christian Carmosino Mereu, mentre il presidente di giuria è Mariangela Barbanente. I finalisti selezionati tra 70 documentari sono 7 (molti tra i quali opere prime): “Jawhara Insha’allah” di Arianna Proietti Mancini e Claudia Paola Sagona; “L’ultima veglia” di Nicolò Ribolla; “Persone” di Carlo A. Bachschmidt; “R_evolucion” di Jacopo Brucculeri e Gianluca Paolisso; “Sbam” di Diego Monfredini; “Se io non dimentico” di Vincenzo de Caro; “Tineret” di Nicolò Ballante. La sezione Social Clip è guidata da Claudio Guerrini, mentre la giuria è capitanata da Silvia Salemi. Le opere giunte a giudizio sono 80. Ecco i finalisti: “Blood Soaked Earth” di Marco Ferrara; “Come Paride” di Marina Fastoso; “I nostri fiori” di Virginia Imbimbo; “Il futuro è degli ingenui” di Luca Bizzi; “Jay” di Francesca Alotta e Andrea Dathe Martelli; “Le pasticche” di Riccardo Andreani; “Noche que se va” di Luca Maffoni; “Rosso” di Patrizia Di Martino; “Sono come te” di Beppe Stanco & Simone Forti;  “Vivi se ne va” di Viviana Iannizzi. Infine, la sezione Digital Serie che conta 50 candidati fa affidamento al direttore artistico Janet De Nardis e al presidente di giuria Vincent Riotta. I selezionati per la finale sono: “Dammi il la” di Daniele Chiariello, “Discreet” di Sophia Belahmer e Juliette Gosselin; “Memories of a forgotten child” di Lars Smekal; “Never too late” di Lorenzo Vignolo e Salvatore De Chirico; “Power up” di Rose of Dolls e Oliver Mend; “Prayer international series” di Young Man Kang; “The meteorites” di Nadia Louis-Desmarchais; “We are fearless” di Raffaele Iardino, Gianmaria Fiorillo, Raffaele Ciriello e Antonio Zannone. Tutte le proiezioni si terranno tra l’8 tra e il 10 maggio al The Space Cinema Moderno di Roma, Piazza della Repubblica 43-45   Bruna Alasia
Convegno su Sostenibilità & Benessere dedicato a Papa Francesco
Si terrà sabato 10 maggio, dalle 8.30 alle 13.30, a Gravina in Puglia (BA), presso la Fondazione Benedetto XIII, Km 2,SS96, il convegno su Sostenibilità & Benessere, dedicato a Papa Francesco.  https://www.facebook.com/Classactionedilizia Originariamente previsto per il 26 aprile e rinviato in ottemperanza al Decreto Legge 54/ 22 aprile 2025, emanato per le esequie del Pontefice, l’evento è promosso dall’Associazione CANDE, con il patrocino del Comune di Gravina in Puglia, Obiettivo Giovani Gravina APS e Moneta Positiva. E sarà proprio S.E Giuseppe Russo, Vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, a portare il messaggio della Chiesa, dopo l’apertura dei lavori a cura di Bartolomeo Murgese, consigliere Nazionale CANDE e presidente Obiettivo Giovani Gravina APS. “I principi su cui si basa il progetto che, come CANDE, Class Action Nazionale dell’Edilizia, abbiamo presentato alla Regione Puglia, per la legge sulla rigenerazione urbana, sono gli stessi che hanno ispirato l’azione e il messaggio fortissimo di questo grande Papa: nel convegno di sabato ne illustreremo alcuni aspetti e parleremo infatti di sostenibilità ambientale, di transizione energetica, di una concezione dell’edilizia e dell’abitare rispettosa dei diritti dei cittadini e in osservanza dei diritti dell’ambiente. Sono i valori su cui Papa Francesco ha insistito fino agli ultimi istanti della sua vita, e che debbono rappresentare un insegnamento imprescindibile per l’umanità”, ha dichiarato Angela Lorusso, avvocata e coordinatrice regionale CANDE. “Dobbiamo mettere al centro della nostra azione lo stesso spirito di amore, tolleranza, condivisione che ci ha trasmesso Papa Francesco – ha sottolineato Bartolomeo Murgese – pensando soprattutto ai giovani e alla eredità che dobbiamo assicurare loro per un ambiente edilizio e urbano sano e vivibile. Dobbiamo fare nostre le parole del Papa perché i giovani esigono da noi un cambiamento: essi domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi! In Puglia è possibile aprire una pagina nuova nel costruire e nell’abitare ispirata a questi insegnamenti”. Ricordiamo che il convegno, di alto spessore tecnico e scientifico per l’intervento di esperti e studiosi di livello nazionale, darà inoltre diritto a crediti formativi professionali riconosciuti dal Collegio Provinciale Geometri e GGLL di Bari, dall’Ordine degli Ingegneri di Bari, dall’Ordine degli Avvocati di Bari e dall’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Bari. Fra i temi affrontati nelle diverse relazioni ci saranno in particolare le proposte per la sostenibilità ambientale relativamente alla #greeneconomy; relativamente al dissesto idrogeologico, di cui si parla poco; alle comunità energetiche e ai benefici sia in ambito privato che pubblico. Si parlerà del progetto Plant Bombing, ideato dall’Associazione Obiettivo Giovani – Gravina in Puglia e messo in opera dai bambini delle scuole dell’infanzia e secondaria. C’è attesa inoltre per la presentazione del progetto SIRE, una moneta innovativa e dei benefici per la Pubblica Amministrazione. Dopo l’apertura di Bartolomeo Murgese e il saluto di S.E. Giuseppe Russo, i lavori, moderati dalla giornalista Emanuela Emma Grassi, proseguiranno con gli interventi dei rappresentanti delle istituzioni e degli ordini professionali: Angelo Addante, Stefano Lacatena, Leonardo Vicino, Maria Cornacchia, Michele Picaro, Salvatore D’Aluiso, Mariantonietta Valente e Gianmauro Dell’Olio. A seguire sono previste le relazioni degli esperti: Luigi Martines, Angela Lorusso, Donatella Salamita, Filippo Zuccaro, Roberto Rizzo, Michele Fighera. Saluti finali e conclusioni di Roberto Cervellini, presidente nazionale CANDE. La partecipazione è aperta a tutti ed è possibile registrarsi gratuitamente al link: https://forms.office.com/e/Dt077jMM64?origin=lprLink Il Convegno sarà trasmesso in diretta su CANALE 7 (Canale 78 del DTT) e in diretta su www.canale7.tv Per info. Carmìna Conte, cell. 393 1377616, Ufficio Stampa CANDE   Redazione Italia
Papa Bergoglio, l’uomo del dialogo
Sono giorni che si parla e si scrive molto dopo la scomparsa di Jorge Mario Bergoglio. È stato definito il “Papa della Gente”, il “Papa della Speranza”, il “Papa della Pace”. Papa Francesco è stato l’uomo del dialogo, dell’ascolto degli ultimi, degli esseri umani che soffrono nella “società dello scarto”, che diventano loro stessi i dimenticati. In una sua intervista aveva sottolineato di quanto responsabilità ha chi è in ruoli di potere proprio nei confronti di chi non ha neanche da sfamarsi. Chi è stato Papa Bergoglio, quale sia la sua eredità il tempo ce lo dirà. Personalmente ho avuto due occasioni di poterlo vedere da vicino, di poter vivere una sua visita, un suo incontro. La prima volta fu nel marzo del 2017 quando venne in visita pastorale a Milano. Come prima tappa, volle essere presente alle Case Bianche, un quartiere popolare creato verso la fine degli anni settanta dopo la demolizione delle Case Minime (la Trecca) di via Zama. Con gli inquilini, ma soprattutto i bambini, abbiamo ideato un installazione intorno al caco di Nagasaki che cresce nel parco li vicino. Intorno all’Hibakujumoku sistemammo alcuni frutti e ortaggi seguendo i versi della Bibbia. Ricordo l’emozione e la grande speranza di chi viveva li. Erano anni che si aspettava il recupero delle case. Durante la visita, a un certo punto il Papa era scomparso, “Dónde está??” si chiedeva il personale della sicurezza…semplicemente si era assentato per andare un attimo in toilette. Questo ci ha ricordato che anche il Papa è un essere umano! La seconda occasione fu circa due anni e mezzo dopo, nel settembre 2019. Si avvicinava la partenza della seconda Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza. Da sempre Bergoglio è stato un punto di riferimento per il mondo della Pace. Ricordiamo la sua enciclica “Laudato Si” del giugno 2015, ma lo è diventato ancora di più quando, tra i primi Capi di Stato, ratificò il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari, approvato in sede ONU il 7 luglio 2017. Con lo Stato del Vaticano, come Marcia Mondiale, abbiamo cercato proprio partendo da quella visita alle Case Bianche di aprire ancora più concretamente un dialogo con la Segreteria di Stato. Un percorso molto discreto, fatto di visite al Palazzo Apostolico culminato proprio con l’incontro il 18 settembre 2019 in Piazza San Pietro. C’era Rafael de la Rubia, colui che ha creato e coordinato la Marcia Mondiale. Fu lui a stringere la mano al Papa e a raccontare la prima edizione, ciò che era stato vissuto dopo. Papa Francesco fu molto colpito dalle marce centro e sudamericane. E ancora la speranza di poter ripetere quel che era avvenuto durante i primi tre mesi di Marcia Mondiale (2009-2010). Alla conclusione della seconda Marcia Mondiale (8 marzo 2020) c’è stata la pandemia, poi la guerra in Ucraina-Russia, e ancora quella tra Palestinesi e Israeliani, Con la terza edizione (2/10/2024-5-1-2025) si era pensato a un nuovo incontro con il Papa nei primi mesi dopo la conclusione. Poi la vita ha preso il sopravvento. Ora, noi continuiamo il nostro dialogo con la Segreteria di Stato. Dal nostro confronto nasceranno altri momenti continuando il percorso iniziato con Jorge Mario Bergoglio, dove risuonerà sempre il suo “Nunca más” del 24/11/2019 a Hiroshima, “che mai più ci sia l’olocausto atomico”. Tiziana Volta Tiziana Volta
Julian Assange rende omaggio a Papa Francesco. “Era giusto essere qui oggi”
Il fondatore di WikiLeaks Julian Assange ha reso un sentito omaggio a Papa Francesco in occasione delle sue esequie, manifestando rispetto e gratitudine per il Pontefice che, nel corso degli anni, si è interessato alla sua vicenda. La sua presenza in Piazza San Pietro è stata una conferma emozionante e potente: Assange, finalmente libero, ha voluto essere presente in questo momento solenne. Dalla notizia della sua presenza all’apparizione dal Braccio di Carlo Magno (situato a sinistra della Basilica entrando da via della Conciliazione) dove seguivo le esequie, arrivare nella piazza è trascorso un solo attimo. Non si trattava di una ricerca della notizia sensazionalistica, ma di una constatazione della realtà: Julian Assange era davvero lì, riservato, rispettoso, delicato, timido, ma presente. Con i figli e sua moglie, senza cercare facile visibilità. È apparso all’improvviso con massima discrezione quasi per caso in uno dei punti stampa attorno alla Basilica di San Pietro, e il suo primo pensiero è stato quello di esprimere la sua riconoscenza: «Un grazie a Papa Francesco, era giusto essere qui oggi». Non va dimenticato che Bergoglio è stato uno dei leader mondiali che si è più impegnato nella sua causa. Nel 2023, il pontefice aveva ricevuto Stella Assange in Vaticano, dopo che gli aveva scritto mentre Julian era ancora in prigione, e gli aveva persino offerto asilo. Davanti a San Pietro Assange ha voluto ringraziare tutti coloro,  come la Rete #NoBavaglio, che non hanno mai smesso di sostenere la sua battaglia, insieme a giornalisti indipendenti, attivisti per i diritti, Amnesty e cittadini comuni, al fianco della Fnsi, dell’Ordine dei giornalisti, di Articolo 21 di Free Assange Italia, perché la libertà di informazione resta un pilastro fondamentale della democrazia. Assange, visibilmente consapevole dell’impegno di tanti, ha confermato: «Vi conosco, lo so». Parole che colpiscono, lasciano quasi storditi dalla felicità e dalla stanchezza di una lunga giornata. Nel salutare, ha voluto lanciare una promessa a tutti coloro che hanno lottato per la sua libertà: «Continueremo insieme a difendere la libertà di stampa, la libertà di tutti». Poi, una stretta di mano che vale quanto tutte le penne, le tastiere, le macchine fotografiche e le videocamere che non smettono di raccontare la verità e di dare voce agli ultimi, agli indifesi. L’incontro con Julian Assange è stato un momento carico di significato, seppure in un’occasione triste. La vita è imprevedibile, proprio come questa giornata in cui ci si è ritrovati a salutarlo da uomo libero, grazie anche all’impegno di Papa Francesco, il pontefice che i cardinali presero “quasi dalla fine del mondo”. Ci sarà tempo per parlare di tante altre cose, ma per oggi, basta sapere che Assange c’era. E che la battaglia per la libertà di stampa continua. L’incontro con Assange, seppur in un’occasione triste, ha assunto un valore profondo. La sua libertà è il frutto di anni di battaglie, un segnale per tutti coloro che continuano a difendere la libertà di espressione. E la sua promessa suggella un impegno destinato a proseguire.   Rete #NOBAVAGLIO
Grazie Bergoglio
-------------------------------------------------------------------------------- 2023: Bergoglio incontra Mediterranea Saving Humans. Foto di Mediterranea -------------------------------------------------------------------------------- Ci vorrà ancora molto tempo prima che la Chiesa – che ha assunto in sé il femminile come Madre Chiesa – abbandoni la visione tradizionale dei generi e la condanna della donna che interrompe volontariamente una gravidanza. Sulla figura della Madonna, la Chiesa cattolica ha costruito la sua comunità di “uomini celibi”. “I comportamenti delle donne e indirettamente degli uomini si dovevano misurare con un immaginario femminile cattolico – si legge nel libro di Luisa Accati, Il mostro e la bella (Raffaello Cortina Editore 1998) – dominante nel costume e nella cultura: il modello di Madre – Vergine, centrato sul ruolo materno nella sua accezione di protezione e cura dei figli”. Ma ci sono anche voluti secoli prima che comparisse un papa che ne avrebbe ricordato le origini evangeliche, impugnandole con tanta passione contro gli orrori con cui i grandi poteri oggi stanno portando morte e devastazione del mondo. Tra la valanga dei riconoscimenti e degli attestati di affetto che ha fatto seguito sui social alla notizia della sua morte, non sono mancati commenti, soprattutto da parte di alcune donne, femministe, che hanno voluto ricordare i suoi giudizi misogini contro l’aborto. Purtroppo, bisogna dire che le logiche di guerra si riproducono anche quando parliamo dell’individuo, contrapponendo in lui il buono e il cattivo e cancellando quella delle due parti che non ci corrisponde o non ci piace. Quando papa Bergoglio ha condannato come “assassinio” l’aborto, io, come del resto hanno fatto tante altre femministe, ho criticato molto duramente quello che poteva diventare un “incitamento all’odio”. Ma ho continuato a riconoscergli un impegno tenace e coraggioso sulle questioni sociali di primo piano nella deriva autoritaria e bellicista in cui sta precipitando il mondo. Era una lucidità e una determinazione che non avvertivo nella maggior parte di politici e intellettuali che si considerano di sinistra. Il valore di una persona va visto nel contesto in cui vive e si forma, nelle contraddizioni e ambiguità di ogni vita, nelle scelte che non ci piacciono, come nella possibilità che possano cambiare. Andare incontro a tutti, porsi al di fuori del cerimoniale e delle regole che è tenuto a rispettare una figura sacra come il rappresentante di Dio in terra, cercare il dialogo tra potenze che si combattono per il dominio del mondo, e dire nel medesimo tempo che “non è con le armi che si arriva alla pace”, è l’umanità di chi sa vedere contrasti e limiti dentro di sé, prima che negli altri. Sta in questo la meritata “popolarità” dalle radici cristiane del papa che, come il suo lontano omonimo, Francesco D’Assisi, ha rivoluzionato la Chiesa e stupito il mondo. “Obiettivo di Francesco – scrive Antonio Attisani nel suo libro La rivoluzione artistica di Francesco – non è mai quello di proporre un comportamento esemplare, bensì di fare comprendere qualcosa con una chiarezza inequivocabile. Lo scopo dell’azione e l’energia impiegata configurano un elementare ma potente rito di iniziazione, nel corso del quale la comprensione di un principio è appunto trasmessa fisicamente”. Non diverso è stata la parte che ha avuto il corpo di Bergoglio – la voce, i gesti, le espressioni del viso – nella spontaneità e nel calore verso chiunque lo incontrasse. Circondati da patriarchi, da maschilisti, da mariti che uccidono, da uno scatenamento di virilismo guerriero, come è possibile non essere in grado di riconoscere la speranza e la forza che ci ha dato quest’uomo sulla possibilità di dire no a tutti gli orrori da cui siamo circondati, e capire che non ha senso chiedergli qualcosa che è lontano dalla sua storia e purtroppo lo sarà ancora a lungo per tutte le religioni? Possiamo vedere il suo valore e insieme i suoi limiti? Mi rendo conto che con il populismo che avanza in vari Stati del mondo è sempre più difficile capire in che cosa sia diversa la “popolarità” che circonda una persona, il suo pensiero e il suo operato. Nell’ultimo caso si tratta di gratitudine e amore meritati e ricambiati, nell’altro dell’uso di bisogni, emozioni, sentimenti, speranze, spinte viscerali, al solo scopo di raccogliere consensi per finalità opposte. Nella giornata della sua morte, il dolore per la perdita di un papa che ha fatto della predicazione di Cristo la sua missione culturale, etica e politica, si è alternato con la gioia profonda di constatare quanto le sue parole, i suoi scritti, le sue molteplici apparizioni pubbliche da “uomo come tanti”, siano in questi giorni più vive e presenti che mai, esempio di lotta e resistenza non violenta che forse non dimenticheremo. A chi ha fatto notare che, nonostante la forte presenza di un papa combattivo per la giustizia, per le vittime della guerra, della povertà, dei regimi autocratici, dello sfruttamento capitalista, delle migrazioni, delle devastazioni climatiche, le conversioni alla religione non sono aumentate, forse non è inutile ricordare che la parola di Cristo non ha inteso costruire un regno ma una visione dell’umano incentrata sull’amore, la solidarietà, la compassione. Forse a volte basterebbe dire grazie. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato anche sul manifesto. Lea Melandri ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Grazie Bergoglio proviene da Comune-info.
Un nuovo inizio?
-------------------------------------------------------------------------------- Sono stati soprattutto migranti, persone comuni, senza dimora, a dare l’ultimo saluto a papa Francesco a Santa Maria Maggiore -------------------------------------------------------------------------------- Gli eventi di questi giorni, intorno alla morte e ai funerali di papa Francesco, ci spingono non solo al compianto, al ricordo, al dolore, ma anche al pensiero: che significa tutto questo? La parola più ricorrente nei giornali e nei media italiani è “ipocrisia”, che sarebbe stata quella di quanti, avendo contraddetto od osteggiato papa Francesco in vita, hanno fatto a gara per accreditarsi come consentanei a lui in morte. Data la frequenza con cui è stata usata questa parola, la sua ripetizione deve avere una sua verità. Intanto può significare l’omaggio che il vizio rende alla virtù. Ma già così sarebbe una cosa positiva, perché vuol dire attestare che la virtù è superiore al vizio, così come la realtà, diceva papa Francesco, è superiore all’idea. Ma forse c’è anche qualcosa di più. Ed è che il consenso che si è scatenato attorno a papa Francesco, come successe con papa Giovanni XXIII, non è finto, è reale. Ed è certamente vero che non tutto papa Francesco è piaciuto a tutti, ma ognuno, come si dice per dimostrarne l’ipocrisia, ne prende un pezzo: chi la pace, chi il no all’aborto, chi l’ortodossia, chi i migranti, chi la Madonna, chi Gaza, chi l’amore per “i fratelli ebrei”; solo Netanyahu non prende niente e ci ha tenuto a farlo sapere. Però, al di là dei singoli pezzi, di cui ha fatto un accurato inventario il cardinale Re nell’omelia per le sue esequie in piazza san Pietro, è la figura complessiva di papa Francesco che si è imposta ed è arrivata al cuore della gente; per dirlo in modo più specifico, a suscitare emozione e a scuotere le coscienze è stato il suo magistero globale, cioè quel tutto, quella costante che c’è in ogni singolo “pezzo”. Questo tutto, e non potrebbe non esserlo, è stato il farsi testimone di Dio e, più ancora l’annuncio del regno di Dio che viene, e ancora di più, il modo e i contenuti inediti di questo annuncio. E come mai questo annuncio nuovo suscita tanto consenso in un mondo secolarizzato, ateo, o ”post-teista”, come pure ci piace chiamarlo? Come mai ne sono stati altrettanto toccati i pacifisti, i democratici, le donne di Plaza de Mayo, e quelli e quelle che mandano le armi perché uccidano e siano uccisi? -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI CLAUDIA FANTI: > Il nuovo vocabolario post-teista -------------------------------------------------------------------------------- La domanda rimette in gioco la secolarizzazione, cioè quella che diciamo essere la modernità. È proprio vero, come dicono i sociologi, e come lamentano i custodi del tempio, che Dio è stato perduto, che la secolarizzazione ha vinto e che i fiumi di folla che accorrono agli eventi religiosi sono di non credenti, come li si chiama irrispettosamente in negativo, o di “atei devoti”, o di semplici turisti, e perciò “ipocriti”? E tuttavia, come si è visto ai funerali di papa Francesco, sono una marea. La Chiesa ha sempre pensato, e papa Francesco più di tutti, che il vero depositario della fede non è il clero, o il clero da solo, ossia il mondo del sacro, ma è il popolo, o meglio clero e popolo insieme, il “popolo di Dio”, che non è solo quello raccolto nella Chiesa cattolica, ma sono “Todos, Todos”, come diceva papa Francesco, anche in latino: “Fratres omnes”. Dunque, ciò vuol dire che il popolo di Dio, forse senza saperlo, non ha perduto Dio, comunque gli creda. E allora forse si deve una riparazione alla modernità, prenderla per quello che veramente dice di essere, non per quello che noi diciamo che sia: non è il “secolo” dove Dio non c’è, come di fatto la consideriamo, ma è il luogo e il tempo di una convenzione in base alla quale, come diceva la famosa formula di Grozio nel contesto di un discorso sul diritto di guerra e di pace, facciamo l’ipotesi “che Dio non ci sia e non si occupi dell’umanità”; ovvero, e questa è la laicità, prendiamo per buona l’ipotesi che i cieli siano chiusi, e dunque dobbiamo cavarcela da soli; ma lo stesso cristianissimo Grozio definiva questo postulato come una finzione, e anzi come una proposizione blasfema. Dunque era un espediente adottato come antidoto all’alienazione, come interdizione a un affidarsi al miracolo o alla magia, come impegno “a non disperdere i tesori nei cieli”; ma era un “come se” non ci fosse Dio non un “così è”. La modernità ha poi risolto questa ipotesi in ateismo, di principio o di fatto, la secolarizzazione è questo: noi facciamo nostra l’ipotesi che Dio non ci sia, e scartiamo l’ipotesi esclusa. Ma nella realtà più profonda, quello che accade anche in questi giorni ci dice che non è così, che nel sottotesto di questo senso comune in molti consideriamo che, anche in modo a noi ignoto, Egli ci sia, e che il suo regno possa arrivare davvero. Allora vale la seconda alternativa avanzata in un articolo molto bello scritto da un filosofo “non credente”, Sergio Labate, ”In morte di un papa venuto da lontano”: papa Francesco è stato l’ultimo argine «che frena l’inevitabile fine del mondo», oppure è stato il principio di un’altra storia? Ossia è stato piuttosto “il potere che spera, ancora e nonostante tutto”, che «l’umanità, anche nella secolarizzazione, può non sentirsi orfana, affidarsi alla fraternità, non cedere al cinismo e alla disperazione, trovare un modo per non farsi la guerra»? «Modernità e cristianesimo». Cioè, non una fine, ma un nuovo inizio? -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Un nuovo inizio? proviene da Comune-info.
La rivoluzione di Francesco
Papa Francesco era “reazionario” (come scrive Cinzia Sciuto)? In diversi lo hanno sostenuto durante tutto il corso del suo pontificato, ma ora, proprio mentre nel rendergli omaggio esplode la mobilitazione di popolo e di leader, mondiali e no, questa accusa torna a farsi avanti con più insistenza. Le motivazioni sono sempre le stesse: non aver dato battaglia su questioni cosiddette “sensibili” (ma le altre non lo sono?) come aborto, fine vita, “gender”, omosessuali, divorziati, sacerdozio femminile. E poi, quella “frociaggine”, che Francesco però riferiva solo allo stile di vita ipocrita di molte gerarchie vaticane. Sono i temi dottrinali ricorrenti agitati dalla “destra” tradizionalista cattolica sui quali fin dall’inizio si erano concentrati i suoi avversari per metterlo in difficoltà. Su di essi le posizioni di Francesco non si sono discostate gran che da quelle dei suoi predecessori. Però Francesco non ha mai messo sotto accusa qualcuno (“chi sono io per giudicare?”), se non l’atroce volta in cui ha chiamato sicari i medici che praticano l’aborto. E i suoi atteggiamenti, soprattutto nei confronti di transgender e omosessuali, divorziati e professioniste del sesso, sono sempre stati di grande apertura, cosa che gli è stata sistematicamente rinfacciata dai suoi avversari. E’ difficile dire se l’attitudine tradizionalista di Francesco su quei temi sia riconducibile a convinzioni maturate fin dal suo accesso al sacerdozio, o a mera diplomazia (in fin dei conti era un papa, il “capo di Stato” al governo di un nido di vipere). Ma su quei temi Francesco ha cercato il più possibile di eludere un confronto frontale con i suoi avversari, relegando tutto ai sinodi, per concentrarsi su quelli evangelici, che gli stavano a cuore: la povertà, i migranti (prima e insopprimibile difesa della vita che c’è), i carcerati, lo scarto (umano e non), l’ingiustizia, la pace e le guerre (altro tema che riguarda soprattutto la vita di chi le subisce), l’Islam (la religione di “infedeli” e “terroristi”), la santità del creato e di tutte le vite, anche quelle non umane (temi, questi ultimi, eminentemente francescani). E’ questo l’universo di senso che ha spinto i suoi critici, ben più dei suoi avversari diretti, ad accusarlo di “populismo”: si tratta di temi che è facile menzionare nei discorsi, ma con cui è molto difficile confrontarsi nei fatti, se non con la testimonianza di uno stile di vita sobrio e con le tante missioni, nei più diversi ambiti, che hanno visto Francesco impegnato senza sosta. Ma poi, quale populismo? Sembra quasi – e infatti è proprio così – che per non essere populisti, di questi temi non ci si debba proprio occupare. I problemi veri sarebbero altri: l’economia, lo sviluppo, la produttività, la crescita, il benessere, la “sicurezza”, ecc. Naturalmente la guerra, soprattutto quella in Ucraina (su quella in Palestina e sulle tante altre nel mondo meglio soprassedere), ha visto i fautori dell’alternativa tra “vittoria” e “resa” inorridire di fronte all’invito pressante di farle innanzitutto cessare. In realtà Francesco non ha fatto che mettere in luce le conseguenze disastrose, sia per gli esseri umani che per il creato, delle politiche che si vantano di non essere populiste. La contrapposizione tra tematiche evangeliche e tematiche dottrinarie (molte delle quali ben poco interferiscono con lo scorrere dei giorni e della storia) ha finito per porre in ombra il contenuto teorico e pratico più innovativo, dirompente e rivoluzionario del pontificato di Francesco: l’aver spostato l’asse della visione del mondo dall’”uomo” (naturalmente maschio), cui la tradizione giudaico-cristiana assegna il dominio sulla Terra e sulle sue “risorse” (naturalmente economiche), al “creato”, evidenziando e santificando la continuità tra gli esseri umani e tutto il vivente, ivi compresa la Terra, il cui grido di dolore l’umanità non sa ascoltare; per questo non riesce ad ascoltare nemmeno il grido degli oppressi. Questo snodo fondamentale – non si può provare né praticare compassione, misericordia e vera solidarietà per chi tra noi è oppresso e sfruttato se non si coltivano queste stesse passioni anche nei confronti della Terra, del “creato” – sembra essere sfuggito a molti di coloro che hanno visto in Francesco “solo” il difensore degli ultimi, o l’autorità che ha ufficializzato e accolto tra i temi rilevanti, sia per la religione che per i non credenti, “anche” l’ecologia, intesa come difesa dell’ambiente e lotta contro la crisi climatica. Ma è sfuggito, quel nodo, soprattutto ai critici che gli rinfacciano mancanza di dottrina, pressapochismo, faciloneria, incapacità di confrontarsi con le LORO problematiche, quelle che li tengono occupati. Non si sono accorti che in realtà Francesco ha cercato – ma non si sa quale ne sarà il seguito – di introdurre non solo nella religione cattolica, ma anche e soprattutto nella cultura e nella sensibilità del nostro tempo, un approccio alla realtà fondato sull’ecologia integrale. Cioè un approccio che costringe a trattare i problemi dell’umanità – e soprattutto della parte più povera e diseredata di essa –  nell’indissolubile legame con le loro radici “terrestri”, con il rapporto che ciascuno di noi, e tutti insieme, intratteniamo con le basi materiali delle nostre esistenze, con il modo in cui ci relazioniamo con la vita che ci circonda. Quella da cui traiamo il nostro nutrimento, il nostro – relativo e molto differenziato – benessere, ma anche il senso della bellezza, componente ineludibile di un’esistenza sana  (santa?) e base di ogni relazione positiva con i nostri simili. Come San Francesco aveva intuito e predicato. Guido Viale