Il litio, il potere e la dignità> La battaglia finale è già iniziata
IL NUOVO PETROLIO BIANCO
Non c’è risorsa più contesa oggi del litio. Non perché sia magico, ma perché è
necessario. Senza litio non ci sono auto elettriche, non si producono batterie,
non c’è transizione energetica, non ci sarà futuro tecnologico. Dietro il
discorso sulla sostenibilità e il cambiamento verde c’è qualcos’altro: una corsa
disperata al controllo del nuovo petrolio bianco, una febbre globale in cui
tutti lo vogliono, ma pochi lo possiedono. E la cosa più brutale è che chi lo
possiede, spesso non lo controlla.
SETTE PAESI DETENGONO L’85% DEL PIANETA
Sette paesi concentrano l’85% delle riserve mondiali di litio: Bolivia,
Argentina, Cile, Australia, Cina, Canada, Africa meridionale (Zimbabwe, RDC,
Namibia) e Messico. Ma i paradossi sono feroci. Il Cile lo possiede ma lo ha
ceduto a privati. L’Argentina lo possiede ma lo frammenta tra le province. La
Bolivia lo custodisce ma lo sottoutilizza. L’Africa ne soffre. L’Australia lo
esporta grezzo. Il Canada investe nel suo sfruttamento ma non lo trasforma. Il
Messico lo ha nazionalizzato e non ha la tecnologia. E la Cina, che ha poco
litio in casa, controlla il mercato mondiale. Il paradosso non è geologico, è
politico.
CILE, IL LITIO SPERPERATO
In Cile, con quasi l’11% delle riserve globali, le società private SQM e
Albemarle hanno esportato nel 2023 litio per più di 8,6 miliardi di dollari. Ma
lo Stato ha ricevuto poco più di 2,7 miliardi di dollari. La maggior parte del
business rimane in mani private. Non esiste un impianto nazionale di batterie,
non esiste un’industria propria, non esiste un vero e proprio piano statale. Le
saline del deserto di Atacama sono l’epicentro del modello estrattivista con
l’etichetta della modernità. Il litio cileno continua ad essere sperperato come
il salnitro e il rame e saccheggiato com’è sempre avvenuto nella storia.
ARGENTINA, PROVINCE RICCHE, PAESINI ARIDI
L’Argentina è il paese con il maggior numero di nuovi progetti approvati.
Detiene il 21% delle riserve globali e, a differenza del Cile, le province
controllano la risorsa. Ma tale controllo è stato ceduto tramite concessioni a
società straniere come Livent, Ganfeng o Allkem. Nel 2023 il Paese ha esportato
circa 700 milioni di dollari, una cifra marginale rispetto al suo potenziale. Le
comunità locali reclamano acqua, informazioni e consultazioni preventive. Il
litio viene portato via, ma lo sviluppo non arriva.
BOLIVIA, SOVRANITÀ IN COSTRUZIONE
Con il 21% delle riserve globali, la Bolivia è il gigante dormiente del litio.
La sua scommessa su un’azienda statale è stata coraggiosa ma lenta. Oggi cerca
alleanze con Russia, Cina e Germania per industrializzare la sua ricchezza. Nel
2023 ha firmato accordi per oltre 1 miliardo di dollari per installare impianti
pilota di batterie e idrossido. Ma non esporta ancora in grandi volumi. Ha il
litio ma non la tecnologia. Ha la sovranità ma le manca il tempo. Sarà troppo
tardi quando si sveglierà?
AUSTRALIA, UN SUPERMERCATO SENZA INDUSTRIA
Con il 13% delle riserve globali, l’Australia è il più grande produttore
mondiale, esportando oltre 330.000 tonnellate di LCE (carbonato di litio
equivalente) all’anno e generando un fatturato di 18,6 miliardi di dollari. Ma
quasi tutto questo litio viene esportato senza essere lavorato. Oltre l’80% va
in Cina. I giacimenti di Greenbushes, Mount Marion, Wodgina e Mount Holland sono
di importanza mondiale. Ma il Paese non possiede un’industria di batterie, non
dispone di un’azienda nazionale del litio e non ha una politica sovrana. È un
supermercato minerario mascherato da potenza tecnologica.
LA CINA NON LO POSSIEDE MA LO CONTROLLA
La Cina possiede solo il 7% delle riserve globali, ma questo è poco importante.
Ha investito in oltre 50 progetti legati al litio in tutto il mondo. Controlla
parte della SQM in Cile, domina i giacimenti in Argentina e Africa e possiede
aziende in Australia. Oltre il 70% del litio mondiale passa attraverso impianti
cinesi prima di essere trasformato in batterie. E oltre l’80% delle batterie per
auto elettriche viene prodotto in Cina. Il Paese non ha bisogno di possedere il
litio, ma punta a controllarne la lavorazione. E lo ha già fatto.
AFRICA, IL SACCHEGGIO PIÙ RAPIDO DELLA STORIA
L’Africa possiede il 12% delle riserve globali di litio. Zimbabwe, Repubblica
Democratica del Congo e Namibia concentrano i giacimenti più importanti. Aziende
cinesi e fondi canadesi gestiscono già miniere come Arcadia, Bikita o Manono. Ma
i benefici non arrivano. Le comunità vivono senza acqua potabile, né scuole, né
strade. I contratti non sono pubblici e le miniere funzionano come enclavi
coloniali. La storia del coltan, dell’oro e dei diamanti si ripete, solo che ora
si chiama litio. E viene esportato più velocemente che mai.
IL CANADA, IL POTERE NELL’OMBRA
Il Canada non solo possiede litio, ma opera anche attraverso fondi
d’investimento. Aziende come Lithium Americas, Sigma Lithium o Neo Lithium
partecipano a operazioni chiave in Argentina, Stati Uniti, Africa e nello stesso
Canada. Il Paese possiede solo circa il 3% delle riserve globali, ma ne
controlla molto di più attraverso investimenti incrociati. Ha potere
finanziario, non tecnologico. E funge da perno tra Cina e Stati Uniti,
negoziando l’accesso alle materie prime ed esportando litio grezzo. Un attore
freddo, strategico, senza bandiera visibile ma con un forte potere finanziario.
MESSICO, LA NAZIONALIZZAZIONE CHE METTE A DISAGIO
Il Messico non ha riserve grandi, ma è determinato. Con quasi il 2% del litio
mondiale concentrato a Sonora, nel 2022 il Paese ha deciso di dichiarare il
litio risorsa strategica e di creare LitioMX, un’azienda statale con controllo
assoluto sulla sua esplorazione e sfruttamento. La misura non è piaciuta a
Washington né ai capitali privati, ma ha inviato un segnale chiaro: il litio non
sarà più un business privato, ma una politica di Stato.
Il giacimento di Sonora, inizialmente controllato inizialmente da Bacanora
Lithium (con sede in Canada) e dal suo partner cinese Ganfeng Lithium, è una
delle riserve più grandi di roccia dell’America Latina, con un potenziale di
oltre 8 milioni di tonnellate di LCE. Dopo la nazionalizzazione, i contratti
sono stati sottoposti a revisione, generando tensioni diplomatiche e pressioni
incrociate da parte degli investitori stranieri. Ma la decisione sovrana ha
cambiato le carte in tavola. Il Messico non produce ancora su larga scala, ma
sta gettando le basi per farlo senza cedere il controllo.
La nazionalizzazione del litio in Messico ha segnato una rottura con la logica
estrattivista dominante. Mentre paesi come il Cile delegano il controllo a
società private o negoziano accordi misti con attori controversi come SQM, il
Messico ha scelto la strada più difficile, affrontando le multinazionali,
assumendosi i costi iniziali e costruendo da zero un’azienda statale. LitioMX
non produce ancora, ma la sua sola esistenza rappresenta un modello alternativo
che mette a disagio le lobby minerarie.
In questo scenario, Canada e Cina giocano su due fronti. Mentre le loro aziende
fanno pressione per mantenere i contratti, i loro governi negoziano con cautela.
Il Messico, dal canto suo, resiste. Con errori, con ritardi, ma anche con
dignità. Perché c’è qualcosa che non si misura in tonnellate o in prezzi di
mercato, ed è il diritto di decidere sul sottosuolo. E quel diritto, anche se
non è quotato in borsa, vale più di tutto il litio del pianeta.
QUANTO LITIO RIMANE E PER QUANTO TEMPO?
Le riserve mondiali accertate bastano per altri 60 anni. Non è molto tempo.
L’Australia potrebbe esaurire le sue miniere in 30 anni, il Cile e l’Argentina
in 40, l’Africa in 15 se il ritmo rimane quello attuale. La Cina dovrà
continuare ad acquistare all’estero. La Bolivia ha litio per 70 anni, ma non ne
ha ancora sfruttato nemmeno l’1%. Il Canada sta ancora esplorando. Ma la verità
è che se il litio non viene nazionalizzato ora, quando ci proveranno, non ci
sarà più nulla da difendere.
LO SPECCHIO ROTTO DEL LITIO
La storia del litio è la storia del mondo. Chi lo possiede non lo domina. Chi lo
domina non lo possiede. Chi lo lavora non lo produce. E chi lo consuma guarda
dall’altra parte. Ci sono aziende che guadagnano miliardi e popolazioni che non
dispongono di acqua potabile. Ci sono governi che firmano contratti cedendo la
sovranità sulla risorsa per decenni. Ci sono belle parole sul futuro verde
mentre le saline si prosciugano. E tutto questo sta accadendo oggi, adesso. Non
è fantascienza.
UN MODELLO ESAURITO, UN’URGENZA REALE
Si può cambiare il modello? Sì. Quando? Adesso. Perché tra 5 anni sarà già
troppo tardi. La nazionalizzazione del litio non è un’utopia, è un’urgenza.
Creare aziende pubbliche, raffinare alla fonte, esigere il trasferimento
tecnologico, garantire valore aggiunto. Basta con le concessioni infinite, basta
con i contratti opachi, basta con le cessioni mascherate da investimenti. Il
litio non può continuare a essere il bottino delle stesse aziende, deve
diventare la base di un modello diverso.
IL LITIO APPARTIENE ALLE POPOLAZIONI CHE LO POSSIEDONO, NON A CHI LO DESIDERA
Questo non è un appello alla guerra, né all’isolamento. È un grido di difesa, di
dignità, di logica storica. Non si può permettere che una risorsa strategica,
pulita e fondamentale per il futuro dell’umanità rimanga nelle mani di cinque
multinazionali. Il litio non appartiene a Tesla, non appartiene a Tianqi, non
appartiene ai fondi d’investimento di Toronto. Il litio appartiene ai popoli che
lo hanno sotto i piedi e solo loro devono decidere cosa farne e come.
PERCHÉ IL LITIO NON È PIÙ UN MINERALE
Non c’è tempo per le mezze misure, o viene nazionalizzato o sperperato. O viene
difeso o viene svenduto. Questa è la battaglia del 21° secolo. E il litio è in
prima linea. Chi vuole capire il potere, guardi la mappa. Chi vuole cambiare la
storia, inizi da questa risorsa. Perché il litio non è più un minerale, è uno
specchio che riflette chi siamo… e quale futuro siamo disposti a costruire.
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Traduzione dallo spagnolo di Thomas Schmid, con l’ausilio di un traduttore
automatico.
Mauricio Herrera Kahn