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Venerdì 5 Dicembre – Speed Test + Bajak / Benefit Desert2Desert
SERATA BENEFIT DESERT2DESERT UNA CAROVANA IN SOSTEGNO DEL POPOLO SAHARAWI ore 20 cena benefit dalle 22 live: SPEED TEST (Take death / Napalm that – Roma) BAJAK (Trance noise & crudité – Firenze) Bajak è un progetto di Simone Vassallo / Lampreda (batteria, percussioni, cassa armonica fai-da-te) e Nanang / Pala Wuni (cordofoni fai-da-te, flauto, cassa armonica, steel drum, vox). Il cuore di questo lavoro collaborativo nasce dalla sperimentazione su uno strumento autocostruito. Bajak significa pirati e aratro. Bajak passa dalla cerimonia trance degli outsider indonesiani alla scena noise rock. È lofi, economico, crudo, selvaggio ma allo stesso tempo introspettivo. https://bajak1.bandcamp.com +ameno dj-set ——————— D2D (DESERT2DESERT) è un ponte tra il nostro “deserto” occidentale, fatto di cemento e consumismo, e il deserto di sabbia e resistenza del popolo Saharawi. Un incontro tra mondi che si riconoscono nella stessa idea di libertà e solidarietà. A febbraio 2026 una piccola carovana partirà da Firenze per raggiungere i campi profughi Saharawi di Tindouf, nel sud-ovest dell’Algeria. Con una jeep e un camper carichi di materiali e strumenti — ma soprattutto di storie, energie e desiderio di scambio — attraverseremo il Mediterraneo e il Sahara per incontrare chi da cinquant’anni vive e resiste all’interno di una delle ultime colonie del mondo. Non si tratta di un viaggio “umanitario” né di assistenza, ma di solidarietà attiva e orizzontale. La consegna di una jeep e del materiale raccolto diventa un pretesto per stabilire relazioni dirette, costruire spazi di confronto e immaginare percorsi comuni tra realtà diverse ma connesse dalla stessa tensione verso l’autodeterminazione e la giustizia. Durante le settimane nei campi, in coincidenza con il cinquantesimo anniversario della nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica (27 febbraio 1976), ci dedicheremo a momenti di incontro, scambio e ascolto reciproco. Organizzeremo laboratori artistici per bambin3, allenamenti di boxe, attività artigianali e sessioni di informatica condivisa. Racconteremo e documenteremo ciò che vivremo — attraverso fotografie, registrazioni e scritture — per riportare in Italia voci e immagini che spesso vengono soffocate dal silenzio mediatico. Il viaggio nasce dall’intreccio di reti già attive, come Città Visibili e la Rete Saharawi Italia, ma vuole anche aprire un nuovo spazio di relazione autonoma, diretta, internazionalista. Non per “aiutare”, ma per incontrarsi, riconoscersi e costruire un linguaggio comune tra esperienze di resistenza. L’obiettivo è che D2D non resti un episodio isolato, ma diventi il primo passo di uno scambio continuativo, fatto di ritorni, racconti e collaborazioni future. Per sostenere le spese del viaggio — traghetti, visti, carburante, assicurazioni, vitto e alloggio — è attiva una campagna di crowdfunding e una serie di iniziative benefit in diversi spazi sociali. Tutti i fondi raccolti serviranno a coprire i costi vivi della spedizione e a garantire che questa esperienza resti indipendente, condivisa e collettiva. D2D vuole essere un esperienza di attraversamento e di alleanza, un incontro politico e umano che parte con una jeep, ma arriva — speriamo — molto più lontano: verso una solidarietà che non si esaurisce nel gesto, ma si costruisce nel tempo, nel racconto e nella relazione.
Dichiarazione del Vertice dei Popoli alla COP30
Noi, il Vertice dei Popoli, riuniti a Belém do Pará, nell’Amazzonia brasiliana, dal 12 al 16 novembre 2025, dichiariamo ai popoli del mondo ciò che abbiamo accumulato in lotte, dibattiti, studi, scambi di esperienze, attività culturali e testimonianze, durante diversi mesi di preparazione e in questi giorni qui riuniti. Il nostro processo ha riunito più di 70.000 persone che compongono movimenti locali, nazionali e internazionali di popoli indigeni e tradizionali, contadini, popoli indigeni, quilombolas, pescatori, estrattivisti (popoli tradizionali che vivono dell’estrazione sostenibile delle risorse forestali), raccoglitori di molluschi, lavoratori urbani, sindacalisti, senzatetto, spaccatori di noci di babassu, popoli terreiro, donne, comunità LGBTQIAPN+, giovani, afro-discendenti, anziani e popoli della foresta, della campagna, delle periferie, dei mari, dei fiumi, dei laghi e delle mangrovie. Ci siamo assunti il compito di costruire un mondo giusto e democratico, con una buona qualità di vita per tutti. Siamo unità nella diversità. L’avanzata dell’estrema destra, del fascismo e delle guerre in tutto il mondo aggrava la crisi climatica e lo sfruttamento della natura e dei popoli. I Paesi del Nord del mondo, le multinazionali e le classi dominanti sono i principali responsabili di queste crisi. Salutiamo la resistenza e siamo solidali con tutti i popoli che sono crudelmente attaccati e minacciati dalle forze dell’impero statunitense, da Israele e dai loro alleati in Europa. Da oltre 80 anni, il popolo palestinese è vittima del genocidio perpetrato dallo Stato sionista di Israele, che ha bombardato la Striscia di Gaza, sfollato con la forza milioni di persone e ucciso decine di migliaia di innocenti, per lo più bambini, donne e anziani. Rifiutiamo totalmente il genocidio perpetrato contro la Palestina. Offriamo il nostro sostegno e la nostra solidarietà al popolo che resiste coraggiosamente e al movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS). Allo stesso tempo, nel Mar dei Caraibi, gli Stati Uniti stanno intensificando la loro presenza imperiale. Lo stanno facendo espandendo operazioni congiunte, accordi e basi militari, in collusione con l’estrema destra, con il pretesto di combattere il traffico di droga e il terrorismo, come nel caso dell’operazione “Southern Spear” recentemente annunciata. L’imperialismo continua a minacciare la sovranità dei popoli, criminalizzando i movimenti sociali e legittimando interventi che storicamente hanno servito interessi privati nella regione. Siamo solidali con la resistenza dei popoli sotto attacco imperialista o finalizzato all’accaparramento delle risorse in Venezuela, Cuba, Haiti, Ecuador, Panama, El Salvador, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico, Nigeria, Sudan e con i progetti popolari di emancipazione dei popoli del Sahel, del Nepal e di tutto il mondo. Non c’è vita senza natura. Non c’è vita senza etica e senza lavoro di cura. Ecco perché il femminismo è centrale nel nostro progetto politico. Mettiamo al centro il lavoro di riproduzione della vita, che è ciò che ci differenzia radicalmente da coloro che vogliono preservare la logica e le dinamiche di un sistema economico che privilegia il profitto e l’accumulo privato di ricchezza. La nostra visione del mondo è guidata dall’internazionalismo popolare, con scambi di conoscenze e saggezza che creano legami di solidarietà, lotta e cooperazione tra i nostri popoli. Le vere soluzioni sono rafforzate da questo scambio di esperienze, sviluppato nei nostri territori e da molte mani. Ci impegniamo a stimolare, convocare e rafforzare queste costruzioni. Pertanto, accogliamo con favore l’annuncio della costruzione del Movimento Internazionale delle Persone Colpite dalle Dighe, dai Crimini Socio-Ambientali e dalla Crisi Climatica. Abbiamo iniziato il nostro Vertice dei Popoli navigando sui fiumi dell’Amazzonia, che con le loro acque nutrono l’intero corpo. Come il sangue, sostengono la vita e alimentano un mare di incontri e speranze. Riconosciamo anche la presenza di esseri incantati e altri esseri fondamentali nella visione del mondo dei popoli indigeni e tradizionali, la cui forza spirituale guida i percorsi, protegge i territori e ispira le lotte per la vita, la memoria e un mondo di buon vivere. Dopo più di due anni di costruzione collettiva e di svolgimento del Vertice dei Popoli, affermiamo: 1. Il modo di produzione capitalistico è la causa principale della crescente crisi climatica. I principali problemi ambientali del nostro tempo sono una conseguenza dei rapporti di produzione, circolazione e smaltimento delle merci, sotto la logica e il dominio del capitale finanziario e delle grandi corporazioni capitalistiche. 2. Le comunità periferiche sono le più colpite dagli eventi meteorologici estremi e dal razzismo ambientale. Da un lato, devono affrontare la mancanza di infrastrutture e di politiche di adattamento. Dall’altro, devono affrontare la mancanza di giustizia e di risarcimenti, soprattutto per le donne, i giovani, le persone indigenti e le persone di colore. 3. Le multinazionali, in collusione con i governi del Nord del mondo, sono al centro del potere nel sistema capitalista, razzista e patriarcale, essendo gli attori che più causano e traggono vantaggio dalle molteplici crisi che affrontiamo. Le industrie minerarie, energetiche, degli armamenti, dell’agroalimentare e delle grandi tecnologie sono le principali responsabili della catastrofe climatica che stiamo vivendo. 4. Ci opponiamo a qualsiasi falsa soluzione alla crisi climatica, anche nel campo della finanza climatica, che perpetui pratiche dannose, crei rischi imprevedibili e distolga l’attenzione da soluzioni trasformative basate sulla giustizia climatica e sulla giustizia dei popoli in tutti i biomi e gli ecosistemi. Avvertiamo che il Tropical Forest Forever Facility, essendo un programma finanziarizzato, non è una risposta adeguata. Tutti i progetti finanziari devono essere soggetti a criteri di trasparenza, accesso democratico, partecipazione e beneficio reale per le popolazioni colpite. 5. Il fallimento dell’attuale modello di multilateralismo è evidente. I crimini ambientali e gli eventi meteorologici estremi che causano morte e distruzione stanno diventando sempre più comuni. Ciò dimostra il fallimento di innumerevoli conferenze e incontri globali che promettevano di risolvere questi problemi, ma non hanno mai affrontato le loro cause strutturali. 6. La transizione energetica viene attuata secondo la logica capitalista. Nonostante l’espansione delle fonti rinnovabili, non si è registrata alcuna riduzione delle emissioni di gas serra. L’espansione delle fonti di produzione energetica è diventata anche un nuovo spazio per l’accumulo di capitale. 7. Infine, affermiamo che la privatizzazione, la mercificazione e la finanziarizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici sono direttamente contrarie agli interessi della popolazione. In questo contesto, le leggi, le istituzioni statali e la stragrande maggioranza dei governi sono stati conquistati, plasmati e subordinati alla ricerca del massimo profitto da parte del capitale finanziario e delle multinazionali. Sono necessarie politiche pubbliche per promuovere la ripresa degli Stati e contrastare la privatizzazione. Di fronte a queste sfide, proponiamo: 1. Contrastare le false soluzioni di mercato. L’aria, le foreste, l’acqua, la terra, i minerali e le fonti energetiche non possono rimanere proprietà privata o essere appropriate, perché sono beni comuni del popolo. 2. Chiediamo la partecipazione e la leadership dei popoli nella costruzione di soluzioni climatiche, riconoscendo il sapere ancestrale. La multidiversità delle culture e delle visioni del mondo porta con sé una saggezza e un sapere ancestrali che gli Stati devono riconoscere come riferimenti per le soluzioni alle molteplici crisi che affliggono l’umanità e Madre Natura. 3. Chiediamo la demarcazione e la protezione delle terre e dei territori dei popoli indigeni e delle altre popolazioni e comunità locali, poiché sono loro a garantire la sopravvivenza della foresta. Chiediamo ai governi di attuare la deforestazione zero, porre fine agli incendi criminali e adottare politiche statali per il ripristino ecologico e il recupero delle aree degradate e colpite dalla crisi climatica. 4. Chiediamo l’attuazione di una riforma agraria popolare e la promozione dell’agroecologia per garantire la sovranità alimentare e combattere la concentrazione della terra. I popoli producono cibo sano per nutrire la popolazione, al fine di eliminare la fame nel mondo, sulla base della cooperazione e dell’accesso a tecniche e tecnologie sotto il controllo popolare. Questo è un esempio di soluzione reale per affrontare la crisi climatica. Non c’è giustizia climatica senza la restituzione della terra ai popoli. 5. Chiediamo la lotta contro il razzismo ambientale e la costruzione di città e periferie vivibili attraverso l’attuazione di politiche e soluzioni ambientali. L’edilizia abitativa, i servizi igienico-sanitari, l’accesso e l’uso dell’acqua, il trattamento dei rifiuti solidi, il rimboschimento e l’accesso alla terra e ai programmi di regolarizzazione fondiaria devono tenere conto dell’integrazione con la natura. Vogliamo investimenti in politiche di trasporto pubblico e collettivo di qualità con tariffe zero. Queste sono alternative reali per affrontare la crisi climatica nei territori periferici di tutto il mondo, che devono essere attuate con finanziamenti adeguati per l’adattamento al clima. 6. Sosteniamo la consultazione diretta, la partecipazione e la gestione popolare delle politiche climatiche nelle città per contrastare le società immobiliari che hanno promosso la mercificazione della vita urbana. La città della transizione climatica ed energetica dovrebbe essere una città senza segregazione, che abbraccia la diversità. Infine, il finanziamento per il clima dovrebbe essere subordinato a protocolli che mirano alla permanenza abitativa e, in ultima analisi, a un equo risarcimento per le persone e le comunità con terra e alloggi garantiti, sia nelle campagne che nelle città. 7. Chiediamo la fine delle guerre e la smilitarizzazione. Che tutte le risorse finanziarie destinate alle guerre e all’industria bellica siano reindirizzate alla trasformazione di questo mondo. Che le spese militari siano destinate alla riparazione e al recupero delle regioni colpite da disastri climatici. Che siano prese tutte le misure necessarie per prevenire e fare pressione su Israele, ritenendolo responsabile del genocidio commesso contro il popolo palestinese. 8. Chiediamo un risarcimento equo e completo per le perdite e i danni inflitti ai popoli da progetti di investimento distruttivi, dighe, attività minerarie, estrazione di combustibili fossili e disastri climatici. Chiediamo inoltre che i colpevoli di crimini economici e socio-ambientali che colpiscono milioni di comunità e famiglie in tutto il mondo siano processati e puniti. 9. Il lavoro di riproduzione della vita deve essere reso visibile, valorizzato, compreso per quello che è – lavoro – e condiviso dalla società nel suo insieme e dallo Stato. Questo lavoro è essenziale per la continuità della vita umana e non umana sul pianeta. Garantisce inoltre l’autonomia delle donne, che non possono essere ritenute individualmente responsabili della cura, ma il cui contributo deve essere preso in considerazione: il nostro lavoro sostiene l’economia. Vogliamo un mondo con giustizia femminista, autonomia e partecipazione delle donne. 10. Chiediamo una transizione giusta, sovrana e popolare che garantisca i diritti di tutti i lavoratori, nonché il diritto a condizioni di lavoro dignitose, alla libertà di associazione, alla contrattazione collettiva e alla protezione sociale. Consideriamo l’energia un bene comune e sosteniamo il superamento della povertà e della dipendenza energetica. Né il modello energetico né la transizione stessa possono violare la sovranità di alcun Paese al mondo. 11. Chiediamo la fine dello sfruttamento dei combustibili fossili e invitiamo i governi a sviluppare meccanismi che garantiscano la non proliferazione dei combustibili fossili, puntando a una transizione energetica giusta, popolare e inclusiva con sovranità, protezione e riparazione dei territori, in particolare in Amazzonia e in altre regioni sensibili che sono essenziali per la vita sul pianeta. 12. Lottiamo per il finanziamento pubblico e la tassazione delle società e degli individui più ricchi. I costi del degrado ambientale e delle perdite imposte alle popolazioni devono essere pagati dai settori che traggono i maggiori benefici da questo modello. Ciò include i fondi finanziari, le banche e le società che operano nei settori dell’agroalimentare, dell’energia idroelettrica, dell’acquacoltura e della pesca industriale, dell’energia e dell’estrazione mineraria. Questi attori devono anche sostenere gli investimenti necessari per una transizione giusta incentrata sui bisogni delle persone. 13. Chiediamo che i finanziamenti internazionali per il clima non passino attraverso istituzioni che aggravano le disuguaglianze tra Nord e Sud, come il FMI e la Banca mondiale. Devono essere strutturati in modo equo, trasparente e democratico. Non sono i popoli e i Paesi del Sud del mondo che devono continuare a pagare i debiti alle potenze dominanti. Sono questi Paesi e le loro società che devono iniziare a ripagare il debito socio-ambientale accumulato attraverso secoli di pratiche imperialiste, colonialiste e razziste, attraverso l’appropriazione dei beni comuni e attraverso la violenza imposta a milioni di persone che sono state uccise e ridotte in schiavitù. 14. Denunciamo la continua criminalizzazione dei movimenti, la persecuzione, l’uccisione e la scomparsa dei nostri leader che lottano in difesa dei loro territori, così come dei prigionieri politici e dei prigionieri palestinesi che lottano per la liberazione nazionale. Chiediamo l’estensione della protezione dei difensori dei diritti umani e socio-ambientali nell’agenda climatica globale, nel quadro dell’Accordo di Escazú e di altre normative regionali. Quando un difensore protegge il territorio e la natura, protegge non solo un individuo, ma un intero popolo, a beneficio dell’intera comunità globale. 15. Chiediamo il rafforzamento degli strumenti internazionali che difendono i diritti dei popoli, i loro diritti consuetudinari e l’integrità degli ecosistemi. Abbiamo bisogno di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante sui diritti umani e le società transnazionali, che si basi sulla realtà concreta delle lotte delle comunità colpite da violazioni, che rivendichi i diritti dei popoli e le regole per le società. Affermiamo inoltre che la Dichiarazione sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle zone rurali (UNDROP) dovrebbe essere uno dei pilastri della governance climatica. La piena attuazione dei diritti dei contadini riporta le persone nei loro territori, contribuendo direttamente alla loro sicurezza alimentare, alla cura del suolo e al raffreddamento del pianeta. Infine, crediamo che sia giunto il momento di unire le nostre forze e affrontare il nostro nemico comune. Se l’organizzazione è forte, la lotta è forte. Per questo motivo, il nostro principale compito politico è quello di organizzare i popoli di tutti i Paesi e di tutti i continenti. Radichiamo il nostro internazionalismo in ogni territorio e rendiamo ogni territorio una trincea nella lotta internazionale. È tempo di andare avanti in modo più organizzato, indipendente e unificato, per aumentare la nostra consapevolezza, la nostra forza e la nostra combattività. Questo è il modo per resistere e vincere. “Popoli del mondo: unitevi”   Redazione Italia
La “Marcia per la pace” a Parigi apre nuovi scenari
La Marcia per la pace a Parigi di questo martedì 11 novembre è stato un appuntamento inedito rispetto agli ultimi tre anni di mobilitazioni per la Palestina e contro la guerra. Una piattaforma politicamente netta – che condanna la NATO, il riarmo europeo, l’invio di armi in Ucraina e il […] L'articolo La “Marcia per la pace” a Parigi apre nuovi scenari su Contropiano.
14 novembre, Brasile: un'altra Amazzonia e un altro Mondo sono già in marcia.
Siamo a Belém, in Brasile, dove in questi giorni si tiene la COP30 e, parallelamente, la Cúpula dos Povos, lo spazio autonomo in cui movimenti sociali, comunità indigene, popolazioni tradizionali e periferie si incontrano per discutere soluzioni reali e difendere i propri diritti di fronte alla crisi climatica e sociale.  Questa mattina, 14 novembre, il popolo Munduruku del Movimento Ipereg Ayu ha bloccato l’ingresso della Blue Zone della COP30 chiedendo un incontro urgente con il presidente Lula. Hanno denunciato, tra le altre cose, che tre grandi fiumi — Madeira, Tocantins e Tapajós — sono stati inclusi nel Programma Nazionale di Privatizzazione, aprendo la strada allo sfruttamento privato tramite concessioni e aste. “Il nostro fiume non è un’autostrada per la soia. La nostra foresta non è in vendita”, hanno dichiarato. Le loro richieste sono precise: revoca del decreto 12.600/2025 (privatizzazione fiumi), cancellazione della ferrovia Ferrogrão, stop ai progetti imposti senza consultazione previa, demarcazione immediata dei territori e fine dei crediti di carbonio e dei progetti REDD+ calati dall’alto. Dopo un'ora di picchetto esterno il presidente della COP30, André Corrêa do Lago, è uscito a parlare con loro, lasciandoli poi entrare. Ci sembra evidente che mentre dentro si negozia seduti a tavolini che ignorano la realtà dei territori, i popoli hanno iniziato a muoversi, in difesa della vita e dei territori con azioni dirette e coraggiose. Un’altra Amazzonia e un altro mondo non solo sono possibili: sono già in marcia. Domani si terrà la Marcia Globale per il Clima. Da Belém a Roma tracciamo un filo unico per restare uniti, per globalizzare la lotta e la speranza, per riprenderci i nostri territori. Chiudiamo con la forza e la potenza delle parole di Lourdes Huanca, presidente di FEMUCARINA (Federacion Nacional de Mujeres Campesinas, Artesanas, Indigenas Nativas, Salariadas de Perù) e leader contadina indigena del Perù. Lourdes Huanca enuncia l’ipocrisia dei discorsi globali sul cambiamento climatico. Sottolinea che ai popoli indigeni viene chiesto di “adattarsi” ai danni provocati da altri, mentre loro custodiscono la Terra da generazioni grazie ai propri saperi ancestrali, come l’uso di fertilizzanti organici e pratiche agricole sostenibili. Critica le negoziazioni climatiche come la COP 30, che considera piene di parole e prive di soluzioni reali, e chiede che i governi riconoscano che i popoli indigeni non sono una minaccia ma parte essenziale della soluzione per il futuro del pianeta. Racconta anche la repressione politica che colpisce chi difende la Pachamama e le culture indigene, evidenziando la crisi in Perù e la mancanza di dialogo con le istituzioni. Rivendica l’intelligenza, la resistenza e la saggezza delle donne indigene, spesso considerate “ignoranti” solo perché molte non sono andate a scuola. Dice che la loro università è la vita, e che le loro lotte per difendere il territorio equivalgono a una laurea o un dottorato. Contesta l’idea che siano “poverine”: sono rese povere da decisioni ingiuste prese da degli ingrati, ma sono ricchissime di conoscenza e cultura.  
Primo giorno della Vertice dei Popoli e Occupazione dell'area blu da parte dei movimenti indigeni e sociali
Da Belém, sulle acque della Baía do Guajará, prende il via la Cúpula dos Povos, il controvertice internazionale dei movimenti popolari, contadini, indigeni e ambientalisti che si oppongono alla COP30 ufficiale. Oltre 200 imbarcazioni e 5.000 persone provenienti da 62 paesi hanno inaugurato l’evento con una flottiglia simbolica, portando un messaggio chiaro: la risposta alla crisi climatica non viene dai palazzi del potere, ma dai popoli dell’acqua, delle foreste e delle periferie. Mentre i leader mondiali si incontrano con le multinazionali del clima e dell’agrobusiness, fuori, la resistenza si organizza: il MST ha occupato l’AgriZone di Embrapa — sponsorizzata da Nestlé e Bayer — e le proteste si moltiplicano contro il progetto Ferrogrão e la trivellazione alla foce del Rio delle Amazzoni. Sabato 15 novembre è prevista la Marcia Unificata, grande manifestazione di convergenza dei movimenti. Un’altra Amazzonia, un altro mondo sono già in marcia. Nel podcast trovate anche l'intervista a un militante dell'organizzazione giovanile Juntos che ieri sera, insieme al movimento indigeno del basso Tapajós, ha occupato la zona blu della Cop30. Racconta la visione del movimento “Juntos”: la critica a una COP30 dominata da grandi imprese responsabili di gravi crimini ambientali; la solidarietà con le comunità indigene che subiscono violazioni dei propri territori; e la necessità di unire le lotte locali a quelle globali, dalla difesa dell’Amazzonia alla solidarietà con il popolo palestinese. Per lui, l’Amazzonia non è solo un tema ambientale, ma un campo di battaglia politico e sociale, dove si scontrano modelli di sviluppo, logiche coloniali e il diritto dei popoli a decidere del proprio futuro.
Ultimo giorno dell'Incontro Internazionale delle Comunità Danneggiate dalle Dighe, dalla Crisi Climatica e dai Sistemi Energetici
Oggi, 11 novembre 2025, dopo cinque giorni di un Incontro Internazionalista che ha riunito delegati da 45 paesi e da tutti e cinque i continenti, è nato il Movimento delle Comunità Colpite dalle Dighe, dalla Crisi Climatica e dai Sistemi Energetici. Durante l’assemblea conclusiva, sono stati condivisi i punti centrali della congiuntura internazionale e intercontinentale, frutto del confronto tra i partecipanti. In sintesi, il documento evidenzia che il mondo vive una crisi profonda del sistema capitalista, che si manifesta sul piano economico, politico, sociale, culturale e ambientale. In questo contesto, cresce la disputa per l’egemonia mondiale tra il blocco imperialista del G7, guidato dagli Stati Uniti, e il blocco emergente dei BRICS, guidato dalla Cina. Le grandi corporazioni e le élite economiche, per mantenere il proprio potere, sostengono l’ascesa di forze di estrema destra con tratti autoritari e fascisti, che attaccano i diritti sociali e criminalizzano i movimenti popolari. Il testo sottolinea inoltre che il modo di produzione capitalista è la causa principale della crisi climatica, responsabile della distruzione ambientale, della privatizzazione dei beni comuni e dell’aumento degli eventi estremi. Le cosiddette “soluzioni verdi” promosse da imprese e governi — come la transizione energetica del capitale, i mercati del carbonio o la compensazione della biodiversità — sono considerate false soluzioni, che servono solo a perpetuare il sistema economico dominante. La conseguenza è l’aumento costante di territori e comunità colpite da dighe, disastri ambientali e violazioni dei diritti umani, soprattutto in Asia, Africa e America Latina. Tuttavia, proprio queste comunità sono oggi protagoniste della resistenza e indicano vie concrete per la trasformazione. Il documento si conclude con un appello all’unità internazionale dei popoli colpiti, invitando a costruire una rete globale di organizzazione, formazione e lotta per difendere i territori, i diritti e Madre Terra, superando capitalismo, imperialismo, fascismo, maschilismo e razzismo. Danneggiate e danneggiati di tutto il mondo: unitevi! Oggi ascolteremo anche alcuni estratti dalla mistica conclusiva, una mamma NoPFAS che ci farà un resoconto della giornata condividendo anche le sue impressioni personali, e infine la voce di Monica Dioro, attivista Chamorro proveniente dalle Isole Marianne, in Micronesia. Madre, educatrice e difensora dei diritti del suo popolo e della Terra, Monica racconta la lotta delle comunità insulari contro la militarizzazione, l’inquinamento e la crisi climatica, portando al tempo stesso un messaggio di resilienza, pace e amore per Madre Terra. Domani inizerà la Cupula dos Povos (Vertice dei Popoli) e saremo anche lì insieme agli altri movimenti sociali da tutto il mondo. Di seguito il programma: https://cupuladospovoscop30.org/programacao/  
III e IV giorno dell'Incontro Internazionale delle Comunità Danneggiate dalle Dighe, dalla Crisi Climatica e dai Sistemi Energetici
Sotto il sole amazzonico, un gruppo composto da militanti di 45 paesi ha intrapreso questa domenica (9/11) una traversata simbolica attraverso le acque della Baía do Guajará, a Belém (PA). L’escursione, che ha riunito rappresentanti di diversi movimenti sociali, faceva parte del III giorno del IV Incontro Internazionale delle Persone Colpite da Dighe e dalla Crisi Climatica. L'evento sta riunendo 350 persone provenienti da tutti i continenti per discutere di sovranità energetica, giustizia climatica e costruire soluzioni collettive. L’obiettivo dell’esperienza amazzonica era offrire ai partecipanti un contatto diretto con il territorio e con la cultura del paese ospitante, affinché potessero percepire e comprendere l’Amazzonia non solo come paesaggio, ma come territorio politico e di resistenza. Per questo motivo, l’immersione è stata concepita come uno spazio di apprendimento e scambio, con la città come sfondo. Nella prima parte della giornata, i partecipanti hanno compiuto una passeggiata nel centro storico di Belém, guidata dal professore e storico Michel Pinho, ricercatore della storia sociale della città. L’escursione ha avuto la forma di una lezione pubblica, con riflessioni sul ruolo delle popolazioni nere, indigene e fluviali nella formazione del Pará e sulle lotte di resistenza che hanno segnato la regione, come la Cabanagem, rivolta popolare avvenuta tra il 1835 e il 1840 contro lo sfruttamento e l’autoritarismo delle élite coloniali. “La proposta è guardare Belém da altre prospettive. La città non è solo ciò che appare nelle narrazioni ufficiali, ma il risultato di molti conflitti e resistenze. Questa storia deve essere raccontata da chi l’ha costruita”, ha affermato Pinho. Durante il percorso, l’educatore ha presentato anche l’architettura e i monumenti della città come elementi di una storia politica, oltre a espressioni idiomatiche locali che traducono lo stile di vita del popolo del Pará. “Immagino la città come se fosse un’aula. Così, invece di una lavagna, abbiamo un edificio; invece di una proiezione, abbiamo una strada; invece di una narrazione, abbiamo le persone. Fare questo significa rivendicare un diritto: il diritto alla città”, ha spiegato. Durante il tour/lezione, ha anche utilizzato la musica per mostrare le affinità tra il Pará e l’Africa, con un carro sonoro e canzoni che esprimono la potenza culturale dello stato e le radici nere della nostra identità. Il gruppo ha concluso la passeggiata al Mercado Ver-o-Peso, considerato il più grande mercato all’aperto dell’America Latina, dove i visitatori hanno potuto conoscere la dinamica popolare che muove l’economia locale e osservare come la vita fluviale sostiene la cultura e l’alimentazione di Belém. In seguito: la traversata in battello nella Baía do Guajará, a Belém (PA). Le partecipanti provenienti da cinque continenti hanno navigato insieme in un atto di unione, solidarietà e connessione culturale. Davanti all’imbarcazione, un planisfero gonfiabile galleggiava sulle acque, simbolo della casa comune – la Terra – a ricordare che il pianeta in cui viviamo è uno solo per tutti. Oltre al paesaggio amazzonico di proporzioni imponenti, uno dei momenti più significativi dell’esperienza è stata l’esibizione musicale dal vivo di carimbó. Questo ritmo è una manifestazione culturale di origine indigena e africana, con una forte influenza caraibica, particolarmente visibile nei movimenti di gonne e fianchi. Nato nello stato del Pará, è riconosciuto come Patrimonio Culturale Immateriale del Brasile e rappresenta la fusione tra tradizioni indigene, africane e portoghesi: una celebrazione viva della diversità amazzonica. Il momento è stato segnato dalla mescolanza di lingue e storie, ma anche da un sentimento comune: quello di appartenere a una lotta globale contro l’ingiustizia climatica e il potere delle grandi corporazioni. Oggi - IV giorno dell'incontro - le delegate si sono suddivise in cinque gruppi di lavoro, ciascuno dedicato a un tema specifico: organizzazione, formazione, donne e giovani, comunicazione e forme di lotta. Le discussioni sono state intense e hanno permesso di condividere esperienze e strategie comuni tra le comunità colpite in diversi paesi.Domani, dopo la plenaria di restituzione dei gruppi, forniremo un resoconto più dettagliato delle discussioni e delle proposte emerse. In questa giornata è intervenuto anche Pedro Arrojo, storico attivista spagnolo per la difesa dell’acqua e, dal 2020 – ancora per un anno – Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, presente all’incontro per portare il suo contributo e la sua esperienza sulle lotte globali legate al diritto all’acqua. Trovate l'intervista all'interno del podcast.    
8 novembre, Brasile: Secondo giorno del IV Incontro Internazionale delle Comunità Danneggiate dalle Dighe, dalla Crisi Climatica e dai Sistemi Energetici
8 novembre  Belém, Brasile. Analisi continentale e voci dall’Africa segnano il secondo giorno Il secondo giorno del IV Incontro Internazionale delle Comunità Colpite da Dighe e Crisi Climatica, a Belém, in Brasile, è stato caratterizzato da dibattiti intensi e da un forte scambio di esperienze tra movimenti popolari di tutto il mondo. La mattina, la plenaria è stata dedicata alla congiuntura internazionale, con interventi che hanno messo a confronto letture diverse di un obiettivo comune: superare il sistema capitalista e autoritario che minaccia la sovranità e la democrazia dei popoli. Alla tavola sono intervenuti Jaron Browne, della Grassroots Global Justice Alliance (Stati Uniti), e i brasiliani Tatiane Paulino, militante del MAB, e Carlos Vainer, docente universitario. Nel pomeriggio, la discussione si è concentrata più nello specifico sulla situazione dei continenti,con la partecipazione di rappresentanti da Europa, Asia e Africa. La catalana Irene Pijuan, dell’Alleanza contro la Povertà Energetica, ha criticato il ruolo del continente nella cosiddetta transizione energetica giusta, denunciando la persistenza del neocolonialismo europeo sotto la bandiera della decarbonizzazione. Dall’Asia, il ricercatore indonesiano Hendro Sangkoyo ha messo in guardia contro le false soluzioni verdi e la crescente militarizzazione dell’estrattivismo nel continente, sottolineando la necessità di un’alleanza globale tra comunità resistenti. Ma sono state le voci dall’Africa a lasciare il segno più forte nella giornata. Geoffrey Kamese, dell’organizzazione Biovision (Uganda), ha denunciato l’“oblio sistematico del continente africano” nelle discussioni internazionali sulla crisi climatica. Ha ricordato che l’Africa, pur essendo la meno responsabile del riscaldamento globale, è quella che ne subisce gli effetti più gravi: perdite di raccolti, bestiame e vite umane a causa di siccità e inondazioni sempre più frequenti. Kamese ha anche denunciato gli impatti devastanti delle grandi dighe, spesso costruite in nome dello sviluppo energetico, ma che comportano sfollamenti di massa e distruzione ambientale. Un esempio emblematico arriva proprio dalla Repubblica Democratica del Congo, dove le dighe di Inga 1 e Inga 2, costruite rispettivamente nel 1972 e nel 1982 sul fiume Congo, hanno provocato gravi danni sociali e ambientali, lasciando senza terra e mezzi di sussistenza migliaia di famiglie. L’intervento di Kamese e le testimonianze delle delegate e dei delegati congolesi presenti all’incontro – protagonisti dell’intervista che chiude il nostro podcast – ricordano che la lotta per la giustizia climatica ed energetica è anche una lotta per la memoria e la dignità dei popoli colpiti.  
7 novembre, Brasile: Primo giorno del IV Incontro Internazionale delle Comunità Danneggiate dalla Crisi Climatica, dalle Dighe e dai Sistemi Energetici
Movimenti provenienti da 62 paesi (di cui 45 con delegatx in presenza) si preparano al IV Incontro Internazionale delle Persone Colpite dalle Dighe, dalla Crisi Climatica e dai Sistemi Energetici Dominanti. L’evento, che è iniziato ieri, 7 novembre, a Belém Brasile, ha mobilitato persone provenienti da tutto il mondo che si preparano a condividere le loro esperienze, rafforzare le loro reti di resistenza e discutere alternative all'estrattivismo e alla crisi climatica. Organizzato dal Movimento dos Atingidos por Barragens (MAB) - Movimento delle persone danneggiate dalle dighe - questo incontro sta riunendo più di 350 delegati provenienti da tutti i continenti con l'obiettivo di scambiare esperienze, rafforzare le reti internazionali di resistenza e discutere le alternative energetiche popolari di fronte alla crisi climatica globale. È la seconda volta che questo incontro si tiene in Brasile. Nel 1997, l'evento aveva riunito persone a Curitiba, nello Stato del Paraná. Nel 2003 si era tenuto in Thailandia e nel 2010 in Messico. Oggi, nel 2025, il Paese ospita la quarta edizione dell'evento che sta diventando sempre più ampio, amplificando la lotta delle popolazioni danneggiate e consolidando programmi comuni per la difesa della vita, dei territori e della sovranità energetica.  Lo slogan che guida l’evento, ripetuto fin dalla mattina d’apertura, sintetizza lo spirito del movimento: Internazionalizzare la lotta è internazionalizzare la speranza. Di seguito trovate gli interventi e le impressioni della delegazione italiana, composta da realtà come la Campagna per il Clima Fuori dal Fossile, Mamme No Pfas, il Foro Italiano dei Movimenti per l’Acqua e il Centro Sociale La Strada. La radio continuerà a seguire da vicino questi incontri, con aggiornamenti e approfondimenti durante tutta la durata dell’evento e, successivamente, nel corso della Cúpula dos Povos (Vertice dei Popoli) che si terrà fuori la COP30. Movimenti provenienti da 62 paesi (di cui 45 con delegatə presenti) stanno partecipando al IV Incontro Internazionale delle Persone Colpite dalle Dighe, dalla Crisi Climatica e dai Sistemi Energetici Dominanti. L’evento, iniziato ieri, 7 novembre, a Belém, in Brasile, sta mobilitando persone provenienti da tutto il mondo che stanno condividendo le proprie esperienze, rafforzando le reti di resistenza e discutendo alternative all’estrattivismo e alla crisi climatica. Organizzato dal Movimento dos Atingidos por Barragens (MAB) – Movimento delle persone danneggiate dalle dighe – questo incontro riunisce oltre 350 delegati provenienti da tutti i continenti, con l’obiettivo di scambiare esperienze, consolidare le reti internazionali di resistenza e discutere le alternative energetiche popolari di fronte alla crisi climatica globale. È la seconda volta che questo incontro si tiene in Brasile. Nel 1997 l’evento aveva riunito persone a Curitiba, nello Stato del Paraná; nel 2003 si era svolto in Thailandia e nel 2010 in Messico. Oggi, nel 2025, il Paese ospita la quarta edizione di un evento sempre più partecipato, che amplifica la lotta delle popolazioni colpite e consolida programmi comuni per la difesa della vita, dei territori e della sovranità energetica. Lo slogan che guida l’incontro, ripetuto fin dalla mattina d’apertura, sintetizza lo spirito del movimento: “Internazionalizzare la lotta è internazionalizzare la speranza.” Di seguito trovate gli interventi e le impressioni della delegazione italiana, composta da realtà come la Campagna per il Clima Fuori dal Fossile, Mamme No Pfas, il Foro Italiano dei Movimenti per l’Acqua e il Centro Sociale La Strada. La radio continuerà a seguire da vicino questi incontri, con aggiornamenti e approfondimenti per tutta la durata dell’evento e, successivamente, durante la Cúpula dos Povos (Vertice dei Popoli), che si terrà parallelamente alla COP30.