Sul disastro a Roma EstVenerdì 4 luglio una perdita di gas da un autobotte che stava rifornendo in
distributore di GPL, a Casino 23, Roma Est.
Una serie di esplosioni minori ha richiamato squadre di pompieri, raggiunti poi
dalla esplosione più catastrofica che, in tutto simile ad una bomba, ha
provocato una cinquantina di feriti tra i soccorritori e due di questi sono
gravi.
Quello che segue è la riflessione del gruppo Ecomuseo Casilino
Riflessione a largo raggio.
‘Stamattina, alle 8, in via dei Gordiani, è successo ciò che da tempo era
scritto.
Non è fatalismo: è memoria, osservazione, esperienza.
Non riusciamo a limitarci a un semplice post di vicinanza verso chi sta
soffrendo. Lo siamo, vicini. Ma siamo anche profondamente arrabbiati. Perché
questa volta è stato troppo.
Solo un anno fa raccontavamo l’incendio al deposito giudiziario di via Artena;
poche settimane fa, l’ennesimo rogo al Pratone di Torre Spaccata e al Parco di
Centocelle.
A Roma Est, ogni mese ha il suo disastro, ogni anno la sua ferita. Un filo rosso
unisce luoghi diversi, segnati non dalla sfortuna, ma da una visione vecchia,
logora, della città, dello sviluppo e della gestione del territorio.
Zone ad alto rischio incastonate tra le case, a pochi passi da scuole e centri
ricreativi: un azzardo quotidiano sulla pelle delle persone, in palese
contraddizione con leggi e regolamenti comunali (basta leggere il piano
carburanti del Comune per scoprire che il benzinaio esploso stamattina,
semplicemente, non doveva essere lì).
Spazi verdi di grande valore abbandonati all’incuria, soffocati dall’incapacità
cronica di anteporre il bene comune agli interessi privati. Mai utilizzati
davvero come volano per la riqualificazione ambientale, né come strumenti per
mitigare i danni dell’impatto antropico.
Aree ex industriali, ex commerciali, ex qualsiasi cosa, senza uno straccio di
progetto di riconversione, lasciate lì, a perpetua memoria di quei modelli
fallimentari.
Un territorio, insomma, trattato come una zona di risulta. Una fastidiosa
incoerenza nell’immaginario in franchising di Roma.
E sia chiaro: non è un problema solo di oggi. È da almeno quarant’anni che va
avanti così.
E noi, puntuali come un orologio rotto, ogni anno siamo qui a ripetere le stesse
cose. Da quindici anni.
Nel frattempo, il Comprensorio Casilino resta senza uno straccio di
pianificazione, il Parco di Centocelle continua a bruciare come se fosse
previsto dal piano regolatore, e l’ennesimo ferravecchio protoindustriale va in
fumo, giusto per non farci mancare nulla.
Nel mentre, si inaugura l’ennesimo ipermercato o si lanciano “rivoluzionari”
progetti di studentati — ché oggi fa tanto innovazione.
Perché qui, a Roma Est, lo sviluppo locale è ancora guidato da strumenti di
cinquant’anni fa, superati almeno da trenta. E mentre organizzare un evento
culturale richiede una trafila da equilibristi tra regolamenti, permessi e
autorizzazioni, se invece si vuole costruire una palazzina davanti a un
acquedotto romano bastano una SCIA, due tecnici e un murales.
Lo diciamo da sempre: fare periferia è un atto politico.
È un disegno chiaro, deliberato. Generare disagio, alimentare incertezza,
depotenziare le risorse locali serve a mantenere quelle “zone grigie” che, un
domani — magari già domani, vista la recente discesa in campo dei fondi
immobiliari milanesi anche su Roma — diventeranno moneta urbanistica.
E mentre tutto questo accade, cala il silenzio. Anche da parte delle realtà
locali, sempre più spente, sempre più allineate. Qualche comunicato, e poco più.
E non bastano persone di cuore, oneste e anche di visione di cui
l’amministrazione è piena, perché la macchina è ormai ingrippata, succube di una
cultura politica del breve termine.
Siamo stanchi.
Stanchi di ripeterci, stanchi di fare la parte delle Cassandre.
Stanchi di essere sempre quelli “non allineati” — alla politica, ai movimenti,
ai comitati, alle “cose importanti”.
Sì, siamo diversi. Ed è per questo che oggi, mentre ringraziamo con sincerità
chi è impegnato ad aiutare chi è stato colpito, a cui rinnoviamo la nostra
vicinanza, invitiamo al silenzio. E alla riflessione.
Ma non possiamo tacere il fatto che, se l’esplosione fosse avvenuta due ore più
tardi, oggi forse conteremmo le vittime.
E non possiamo ignorare che le responsabilità sono chiare: storiche e attuali.
Non possiamo perché, come diceva Pasolini: noi sappiamo i nomi.
Redazione Roma