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Lettera per salvaguardare la Sanità Territoriale
Quotidianamente si apprendono dai giornali, dai social, dagli stessi operatori, dai pazienti, informazioni riguardanti il nostro servizio sanitario a livello regionale e locale, motivo per cui un gruppo di cittadini: Sindaci, ex Sindaci, Amministratori di Enti pubblici e privati, ha ritenuto di evidenziare una serie di criticità che interessano (affliggono) il nostro territorio biellese, tramite una nota recapitata al Presidente della Provincia, Emanuele Ramella Pralungo, il giorno 3 del mese di luglio, proponendo di convocare al più presto un’assemblea dei sindaci. La richiesta è motivata proprio per il ruolo e i compiti che la legge affida ai Sindaci come rappresentanti sanitari, ovvero tutori della salute dei loro cittadini e che dovrebbe essere garantita da un rapporto stretto e sinergico con le istituzioni regionali e le ASL. Tra le problematiche rilevate: la carenza di Medici di medicina generale, la necessità di spostarsi verso grandi città per ricevere cure specifiche, con tempi di attesa più lunghi e difficoltà logistiche, specialmente per le persone anziane o con problemi di mobilità. I fondi PNRR (Missione 6) notoriamente sono destinati a sostenere l’assistenza territoriale, nonché la parte di digitalizzazione, pertanto la finalità è quella di potenziare il sistema sanitario locale e non riconvertire strutture già esistenti. Peraltro questi servizi sanitari, teoricamente più vicini ai cittadini (Case e Ospedali di Comunità) richiederanno ulteriori risorse umane di cui l’azienda sanitaria locale è carente. Il sistema sanitario nazionale sta attraversando una fase di cambiamento ed è quanto mai opportuno richiamare la massima attenzione di tutte le componenti politiche e istituzionali del territorio biellese, nella speranza che ci sia una coralità di voci verso Torino, a oggi sorda alle esigenze della Provincia di Biella. La mancanza cronica dei medici di medicina generale e nei reparti, le lista d’attesa, l’accesso difficoltoso se non impossibile per accedere alle prestazioni dipendono dalla nostra ASL. La salute è questione nazionale, regionale, ma che riguarda i cittadini delle nostre comunità, ecco perché si insiste nel sottolineare che è il Sindaco in primis ad avere una responsabilità in ambito sanitario. In questa lettera figurano tra i firmatari Sindaci con i propri consiglieri, Consiglieri senza il proprio sindaco, ex amministratori comunali, ex dirigenti che hanno prestato la propria attività presso la ASL di Biella e altri in altre aziende. Al Presidente Ramella rivolgiamo la richiesta di condividere e di sollevare la questione sanitaria biellese con tutti i Comuni della Provincia, allo scopo di mettere in luce le argomentazioni che abbiamo tentato qui di sintetizzare, avviando un confronto serrato tra istituzioni e cittadini, per pervenire a formulare un quadro di richieste precise alla Regione Piemonte. Al Presidente della Provincia di Biella Dott. Ramella Pralungo Emanuele   OGGETTO: Richiesta convoca Assemblea dei Sindaci dei comuni Biellesi – Problematiche Sanitarie Locali   In tema sanitario emergono criticità che destano preoccupazione nell’ambito del nostro territorio, in particolare nelle zone più periferiche, le problematiche più rilevanti risultano: * mancanza dei “Medici di famiglia” che ormai perdura da anni che ad oggi non ha trovato soluzioni strutturali: * tempi di attesa lunghi per le prestazioni sanitarie peggiorate nel periodo di covid, mai sanate e degenerate nel corso degli ultimi anni; * restrizione delle risorse nazionali e regionali e le relative conseguenze sull’erogazione dei servizi nel rispetto dei LEA; * carenza di personale medico, infermieristico e tecnico; * mancata realizzazione di Ospedali e case di comunità finanziati dal PNRR – Missione 6; * mancata pianificazione delle attività sanitarie in coordinamento con le risorse degli enti del terzo settore con la giusta e dovuta considerazione delle persone fragili. In considerazione del fatto che il Sindaco è la massima autorità sanitaria locale: art. 217 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265, così come richiamato dall’art. 13 della legge 833 del 1978 e il 4° comma dell’art. 50 del D.lgs 267 del 2000. La gestione della salute con il D. Lgs 502 del 1992 è stata affidata ai Direttori Generali delle Aziende Sanitaria Locali, tuttavia il Sindaco è il responsabile della condizione di salute della popolazione del suo territorio. Il consiglio comunale condivide questa responsabilità. Dovere del Sindaco è quello di svolgere il ruolo di garante dei cittadini nei confronti dell’azienda sanitaria sollecitando, ove necessario, il rispetto dei diritti alla salute della comunità. E’ importante ricordare che la L. R.18/1994 affida ai Sindaci e alla Conferenza locale sociale e sanitaria funzioni di indirizzo, controllo e valutazione. Le funzioni che la legge affida alla Conferenza locale sociale e sanitaria sono le seguenti: a) definizione, nell’ambito della programmazione regionale, delle linee di indirizzo per l’impostazione programmatica delle attività dell’azienda unità sanitaria locale; b) esame del bilancio pluriennale di previsione e del bilancio di esercizio dell’azienda unità sanitaria locale e trasmissione alla Giunta regionale delle relative osservazioni; c) verifica dell’andamento generale dell’attività dell’Azienda unità sanitaria locale. Le ASL, ricordiamo, sono responsabili dei bisogni dei cittadini, il loro compito è provvedere a soddisfare tali bisogni, erogando i LEA, con i fondi assegnati alle Regioni. Il Managment aziendale deve perseguire costantemente l’ECONOMICITA’, ovvero il bilanciamento tra risorse e finalità, cercando di mantenere l’efficienza e l’efficacia, mantenendo l’equilibrio economico e finanziario, incrementando il patrimonio tangibile e intangibile (capitale umano, competenze specializzate e di alta professionalità) così come deve conseguire la capacità di RISPONDERE adeguatamente ai BISOGNI DI SALUTE dei cittadini. Le Regioni sappiamo possono legiferare in materia nel rispetto dei principi generali posti dalla legislazione statale nonché dei livelli essenziali. Prestazioni e servizi inclusi nei LEA rappresentano il livello essenziale garantito a tutti i cittadini che le Regioni debbono assicurare, ciò non toglie che, utilizzando risorse proprie, le Regioni possano garantire servizi e prestazioni ulteriori rispetto a quelli previsti nei LEA. Occorre comprendere dinnanzi alla riduzione nazionale cos’ha previsto la Regione Piemonte e le ricadute locali. Fatte le dovute premesse e considerazioni, al fine di poter rassicurare la popolazione fornendo le giuste informazioni in merito alle. problematiche richiamate sopra chiediamo con urgenza di condividere le stesse all’Assemblea dei Sindaci. Utile allo scopo della comprensione per un eventuale approfondimento di quanto riportato nel documento il Piano di attività dell’ASL competente locale. Riepilogo firmatari Redazione Piemonte Orientale
Militarizzazione della scuola: l’influenza dell’Aerospazio e del “dual use” sulla formazione
Alcune settimane fa su un quotidiano locale di Biella (che si stava preparando al raduno nazionale degli Alpini) compariva la seguente notizia su una iniziativa riguardante l’Aerospazio (clicca qui). Leggendo questo breve articolo, abbiamo iniziato a ragionare su come, parallelamente alla denuncia della presenza diretta in classe di personale in divisa di Forze Armate e Forze dell’Ordine, sia sempre più urgente illuminare anche un aspetto forse meno eclatante, e perciò più insidioso, della militarizzazione della scuola, costituito da attività che si possono leggere attraverso la lente di ingrandimento del cosiddetto “dual use“. Questa espressione indica tutti quei beni e quelle tecnologie che, sebbene progettati per finalità principalmente civili, possono avere un utilizzo nell’ambito dell’industria bellica (si vedano a proposito gli studi di Futura D’Aprile e di Michele Lancione). Il settore dell’Aerospazio è sicuramente uno degli ambiti in cui questa ambiguità appare più presente ed è proprio su questo aspetto che ci vogliamo soffermare analizzando il resoconto della visita di una classe della scuola primaria “De Amicis” di Biella presso l’ITS Academy Aerospazio/Meccatronica della Regione Piemonte. L’incontro è stato patrocinato dalla Vicepresidente nonché Assessora all’Istruzione della Regione Piemonte, dott.ssa Elena Chiorino, la cui presenza istituzionale sembrerebbe corroborare il valore formativo di questa attività. Innanzitutto, giova ricordare che il sistema degli ITS rappresenta da alcuni anni una costante e crescente presenza nell’offerta di orientamento in uscita delle scuole secondarie superiori, ma non è assolutamente chiara la finalità didattica di un incontro proposto a bambini e bambine della scuola primaria. Gli scolari e le scolare hanno avuto modo di visitare la sede dell’ITS e di prendere parte a laboratori nel corso dei quali hanno realizzato e lanciato dei “water rockets” e poi sperimentato l’utilizzo di visori per la Realtà Virtuale. Un osservatore legittimamente potrebbe trovare questo tipo di attività divertente e curioso, ma dal nostro punto di vista le criticità sono numerose. In primis, occorre sottolineare come gli ITS siano inseriti in una filiera produttiva che come si è detto chiarendo il concetto di “dual use”, non sempre produce in maniera diretta per l’industria bellica, ma spesso e volentieri è coinvolta nella produzione di componentistica fondamentale per la messa a punto di armamenti, soprattutto laddove è implicata una produzione ad alto contenuto tecnologico, essenziale nella conduzione dei conflitti contemporanei. D’altra parte gli ITS sono legati a doppio filo con imprese come Leonardo SpA: a titolo meramente esemplificativo, nel bando di selezione per il nuovo corso per Tecnici specializzati in Progettazione, Collaudo e Integrazione di Sistemi Radar leggiamo che «il corso si rivolge alle ragazze e ai ragazzi che hanno conseguito un diploma di maturità e che desiderano avviare una carriera professionale in un settore tecnologico in forte crescita e strategico per le esigenze dei moderni sistemi di Difesa e Sicurezza» (clicca qui). Per fugare eventuali dubbi residui sulla commistione tra l’ambito dell’istruzione e quello dell’ industria bellica è sufficiente sottolineare che all’incontro con i bambini e le bambine della “De Amicis” di Biella ha preso parte Vittorio Ancona di Thales Alenia Space, che insieme ad Anthea Comellini ha «condiviso con gli studenti i percorsi che li hanno condotti a lavorare nel mondo dell’aerospazio, trasmettendo passione, determinazione e visione». Vittorio Ancona è Head Engineer di Thales Alenia Space, che è una joint venture tra Thales (67%) e Leonardo (33%). Tra le molteplici attività di Thales Alenia Space troviamo «la fornitura di sistemi di difesa (…) nonché soluzioni di osservazione legate alla sorveglianza» (settore del quale con un Decreto Sicurezza come quello appena approvato è facilmente intuibile l’importanza). Il profilo però probabilmente più seducente per i bambini e le bambine coinvolte/i nella visita è quello di Anthea Comellini, che è stata ingegnera presso la stessa Thales e oggi, come astronauta dell’ ESA, è pronta a concorrere in celebrità con AstroSamantha Cristoforetti. Se vogliamo pensare a quale possa essere il livello di fascinazione prodotto sui bambini da personaggi come una Comellini o una Cristoforetti, basti pensare che alcuni anni fa fu prodotta anche una “Barbie Cristoforetti” (clicca qui). Sicuramente lo spazio e la sua esplorazione sono temi tradizionalmente accattivanti per i bambini e per le bambine: come non vedere un attento esempio di “gender washing” nel successo delle astronaute in questione? Qui non si tratta però di un romanzo di Jules Verne e il romanticismo di certa vulgata contemporanea sui viaggi stellari altro non è se non accorta propaganda costruita a tavolino da un settore industriale rispetto alla cui presunta “innocenza” e neutralità è più che legittimo sollevare dubbi. Non si creda che questa improvvisa passione per le stelle sia una casualità: pochi giorni dopo comparivano per le strade di Torino i cartelloni pubblicitari che annunciavano il prossimo grande evento che si tiene in città in questi giorni: lo Space Festival 2025 (si veda il programma alla pagina www.spacefestival.it). Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Piemonte
Palestina: un solo stato senza apartheid?
Ieri in Consiglio Comunale a Biella è stata dibattuta una mozione in solidarietà con la Palestina presentata dalla coalizione progressista . E’ una mozione standard impostata sulla proposta di soluzione “due popoli due stati”. Alla lettura della mozione da parte di Greta Cogotti del PD è seguito un minuto di silenzio per le vittime del conflitto richiesto da Karim El Motarajji e rispettato da tutti i presenti in aula. Poi si sono susseguiti gli interventi, alcuni anche con proposte da approfondire; ci riferiamo in particolare all’intervento di Ivo Dato che, oltre ad aver citato Simone Weil, ha anche portato all’attenzione dei presenti altre possibilità di soluzioni oltre a quella “due popoli, due stati”. Posto che la decisione sulle soluzioni non sta a noi e che l’emergenza immediata è il cessate il fuoco e gli aiuti umanitari,  forse aprire a altre possibilità può aiutare ad uscire da questa situazione drammatica. Riportiamo l’opinione di Giuseppe Paschetto, coordinatore provinciale del M5S di Biella, nonché parte della Redazione Piemonte Orientale di Pressenza. Speriamo così di poter contribuire al dibattito per la pace in città e, magari, alla presentazione di una nuova mozione in Consiglio Comunale a Biella. Un solo Stato di diritto per tutti di Giuseppe Paschetto Nel dibattito in corso sul futuro della Palestina penso occorra mettere sul tavolo tutti gli scenari possibili. Cosa possiamo fare tutti insieme per far riconoscere i diritti dei palestinesi e di chiunque viva in quel territorio? Lo scenario considerato nello slogan “Due popoli, due Stati” è l’unica via o si può provare ad esplorare altri scenari? Quello che scrivo vuole essere un contributo al dibattito tenendo conto del fatto che nulla comunque può essere ottenuto senza difficoltà in quell’area geografica. Forse è venuto il tempo che Israele come nazione degli ebrei si estingua per fare nascere un nuovo Stato in cui tutti quelli che lo abitano abbiano diritto di cittadinanza. Al di là di ogni differenza religiosa e culturale. Una tesi caldeggiata anche da una intellettuale come Anna Foa in una recente intervista. Nulla può più essere come prima dopo l’orribile strage causata dal governo israeliano a Gaza. Ci sono momenti storici di svolta. Israele da Stato di ispirazione socialista degli esordi è diventato un Pese con nette connotazioni nazionaliste-religiose. Dopo la sconfitta sanguinosa nella seconda guerra mondiale dalle ceneri del Terzo Reich è nata una nuova Germania che è riuscita a riallacciare i rapporti con gli altri Paesi europei e a fare i conti con le vittime che aveva causato, con quegli ebrei sterminati a milioni. Dalla trasformazione di Israele potrebbe nascere una confederazione israelo-palestinese che nasca dalle macerie di Gaza, della Cisgiordania, dai lutti e dall’odio sedimentati negli ultimi 77 anni. La fine del ciclo di uno Stato degli Ebrei per diventare il Paese di tutti quelli che ci vivono, ebrei o arabi che siano. È difficile del resto pensare a uno Stato palestinese quando i suoi territori dovrebbero essere formati da una striscia di Gaza devastata e dalla Cisgiordania costellata di insediamenti di coloni. Se osserviamo la carta della Cisgiordania occupata illegalmente dagli israeliani la vediamo costellata di centinaia di colonie diffuse a macchia di leopardo per centinaia di migliaia di coloni ebrei. O se vogliamo pensare a un paragone più calzante pensiamo a quei cartelli stradali come se ne vedono a volte tutti bucherellati dai pallini di una sventagliata di fucile da caccia. Quelli sono gli insediamenti dei coloni. Già quindi la Cisgiordania dovrebbe vedere la convivenza di una consistente fetta di ebrei nel nuovo Stato Palestinese oppure si assisterebbe a una Nakba al contrario dopo quella palestinese del 1948. Quindi un intero territorio che possa essere popolato da ebrei, islamici, cristiani, israeliani, palestinesi, beduini, con una costituzione, e sappiamo che Israele non ha una vera costituzione, che riconosca parità di doveri e diritti. Si tratterebbe di un unico Paese, dal Golan al Mar Rosso, dal Mediterraneo al Mar Morto, che sia territorio comune. È una utopia? Può darsi. Ma cosa non è utopia in quel territorio devastato in cui invece le differenze religiose e culturali dovrebbero essere elementi di ricchezza? E del resto su piccola scala questa utopia si è realizzata già da 50 anni a Neve Shalom Wahat as Salam, il villaggio israeliano citato anche da Anna Foa nell’intervista citata, gemellato da oltre 30 anni con Cossato. Un’utopia da esportare su grande scala. I combattenti per la pace, israeliani e palestinesi, che hanno imparato quale sia la vera strada per la pace e il dialogo, sono un altro incoraggiante segno. Sono germogli da curare e fare crescere per non fare morire la speranza e credere che anche le utopie più ardite possano divenire realtà. Oggi la realtà che si contrappone alle utopie è fatta solo di morte e distruzione e odio che rischia di protrarsi per generazioni e che nessun confine o muro riuscirà a fermare. Occorre avere il coraggio di gettare lo sguardo oltre questa realtà fatta di macerie materiali e ideali. Questo passo forse sarebbe il vero riconoscimento dei diritti e della dignità del popolo palestinese da troppo tempo martoriato. Certamente il ruolo della comunità internazionale è fondamentale. E’ chiaro che la potenza economica e militare di uno Stato piccolo come la Lombardia e con lo stesso numero di abitanti non potrebbe esistere senza l’enorme appoggio della potente lobby sionista americana, il pluridecennale sostegno USA e il commercio con gli altri Stati occidentali. Quindi entra in gioco in qualsiasi scenario vogliamo considerare il ruolo della comunità internazionale. Qualche Stato, non l’Italia, ha già iniziato a far capire a Netanhiau che il limite è abbondantemente superato. Redazione Piemonte Orientale
Ma le bandiere dell’Adunata di Biella sono riciclabili?
Biella, la piccola città del Piemonte che conta poco più di quaranta mila abitanti (40.000) e il Biellese, il territorio che circonda la città, che invece ne ha poco meno di centosettanta mila (170.000) ha retto i quattrocento mila (400.000) alpini che il 9/10/11 maggio si sono riversati nella città e in tutto il territorio circostante; per quanto, commercialmente, le ricadute si siano concentrate in poche vie del centro ristretto a poche vie. La cittadina laniera piemontese è stata infatti la sede dell’Adunata Nazionale degli Alpini. Questa la considerazione sulla logistica che ha funzionato. Tanto che, viene da chiedersi, perché poi normalmente il servizio treni, e anche quelo dei pullman ATAP, sia così scadente. Anche ieri la tratta ferroviaria Milano-Torino è stata un disservizio totale. Si trattava di potenziare gli interregionali per il Salone del libro di Torino. Ma no, non era proprio possibile dare un servizio decente e abbiamo viaggiato come sui carri bestiame. Si vede che la cultura, anche quando paga, non merita. Ripartiamo dalla foto. E’ stata scattata da Serena, mia moglie, a casa nostra e ritrae me con i nostri ospiti alpini. Quello alto, il Lippa, è un amico del mare. Ci siamo frequentati per molti anni ai lidi comacchiesi. Così gli abbiamo dato volentieri una mano, essendo alpino, per fare in modo che l’esperienza biellese dell’adunata, sua e dei suoi amici, fosse positiva. E così è stato. Tra le cose piacevoli annovero la serata insieme a Roppolo di chiacchiere di naja. Loro che raccontavano la naja vera, quella alpina e io il servizio civile. E vi assicuro che i racconti del mio anno da obiettore di coscienza al militare presso la comunità di diversamente abili del Don Gnocchi, non erano certo meno avventurosi dei loro. Anzi univano avventura e utilità sociale. Ma questa è un’altra storia. Quello che voglio dire è che non ho, come credete, un atteggiamento aprioristicamente contrario all’adunata. E’ un bene per il Biellese che abbia funzionato la macchina e che ci sia stato un ritorno – sul breve – dal punto di vista della socialità e dell’economia. E’ anche un bene che il Mucrone, il monte alle spalle di Biella, che sarebbe dovuto essere illuminato per tre notti di rosso, bianco e verde, invece lo è stato assai meno e anche solo parzialmente. Non è stato un ripensamento né degli organizzatori dell’Adunata, né dell’ente finanziatore, la Provincia di Biella. Ci hanno pensato le nuvole; segno che proprio l’uomo deve rendersi conto che dovrebbe limitare i suoi deliri prometeici. Devo, però, anche dire che avevamo ragione noi. “Noi chi?” Mi chiederebbe il mio censore. Ma noi che abbiamo organizzato il 5 maggio, pochi giorni prima dell’adunata, un incontro, tra l’altro molto partecipato, dal titolo “Addio alle armi” presso la sede del Centro Territoriale Volontariato di Biella. Ospiti non di richiamo ma di spessore, che è anche meglio: Giorgio Monestarolo, Marco Meotto, Simonetta Valenti e Daniele Gamba . Oggi mi è arrivato un link da infoaut che riporta in modo attento, preciso e completo gli interventi e il senso della nostra contrarietà al clima neo bellicista e patriottico di questa 96esima Adunata degli Alpini a Biella. A proposito mi è stato detto, da chi di adunate ne ha fatte assai, che non si erano mai viste così tante bandiere italiane come a Biella. Anzi no, come nel Biellese. Non mi soffermo quindi sui singoli casi che macchiano il risultato di questo evento Adunata, di cui sono piene le cronache dei giornali locali e nazionali e le pagine social. Queste anche pienissime di commenti fascistissimi. E sì, non si può che definire così chi fa dello squadrismo in salsa digitale, arrivando a far togliere i post critici o che semplicemente riportano verità scomode. Un po’ come facevano le squadracce fasciste nel 1920 e 21 quando bruciavano le Case del Popolo, picchiavano i socialisti e i comunisti con il manganello e somministravano anche l’olio di ricino. Sento già i”bei tempi quelli” che fioccano nei commenti social. Non è questo suprematismo delmastriano che toglierà Biella dai luoghi che non contano, come ha scritto Filippo Barbera su Il manifesto di venerdì scorso. Biella e il Biellese possono riappropriarsi di un ruolo di primo piano, invece, proprio proponendosi come esempio di conversione ecologica. Proprio parlando di sostenibilità mi viene da chiedere: ma la quantità abnorme di bandiere appese verrà tolta? E per caso il tessuto di cui sono fatte è riciclabile? Ettore Macchieraldo
Biella: meglio il botto?
Biella, la piccola città del Piemonte che conta poco più di quaranta mila abitanti (40.000) e il Biellese, il territorio che circonda la città, che invece ne ha poco meno di centosettanta mila (170.000) è il luogo dove si sta svolgendo l’Adunata Nazionale degli Alpini. Oggi sono attese 100.000 persone per la sfilata finale. E ieri la città laniera, come capita spesso negli ultimi anni di baciamano e di spari allee feste di capodanno, è finita sulle cronache nazionali per una notizia che non le fa onore. Ma ci sono anche buone notizie dal territorio dove abito, meno eclatanti e più costruttive. Sarebbe troppo facile dire “l’avevamo detto” dopo il fatto di Via Gramsci a Biella. Mi riferisco allo sparuto gruppo – con e senza cappello da alpino- che, guidato dalla musica proveniente dalla cassa di un locale della città, ha intonare “Faccetta nera”. Proprio la canzone simbolo del colonialismo, italiano e fascista, macchiatosi di crimini gravissimi e indelebili. Eppure voglio stupirvi e proporvi un’altra notizia. Partiamo ancora da una foto, scattata dal mio amico Pietro. Ritrae, l’altra mia amica, Tiziana e me sotto degli strani cartelli che indicano destinazioni lontane e vicine: Santa Maria di Leuca 1.740 km, Canterbury 1.195 km, Rho 91 km, Oropa 52 km. Solo alcune delle indicazioni che elfo Ugo ha voluto apporre su quel tratto della Via Francigena e del Cammino di Oropa che passano nel comune di Roppolo, proprio là dove si sono insediati gli elfi, ospiti del bosco di Marcello, un altro mio amico o che si occupa dell’infopoint per i pellegrini nel confinante paese di Cavaglià. I cartelli, mi ha detto Marcello,  li hanno messi proprio gli elfi stessi per aiutare a orientarsi e a misurare le forze nel cammino. La foto è stata scattata lo scorso 18 aprile. Eravamo in attesa della troupe di Rai News 24 che stava facendo riprese nel Biellese. Ieri, su quel canale televisivo – ed è questa la notizia – è andato in onda un servizio sul Cammino di Oropa, realizzato da Alfredo Di Giovampaolo per la trasmissione Cammina Italia. E’ un breve racconto di quanto il Cammino di Oropa stia generando una lenta trasformazione nei paesi attraversati dal suo percorso. Le cifre dei pellegrini provenienti da fuori territorio si attestano a circa 6.000 all’anno. Una minuzia rispetto ai 100.000 attesi oggi per la sfilata degli alpini. Non voglio paragonare cavoli e fichi ma, mi chiedo, è meglio un cambiamento lento che genera microeconomia o il botto che porta tante persone in poco tempo e nello spazio limitato del centro della piccola Biella? Venerdì ho fatto un giro per la città invasa dagli alpini. Ero contento della vivacità e della vita che vi ho trovato. Un po’ meno del merchandising e della concentrazione di queste persone in poche vie del centro. Oggi sfileranno gli alpini, verranno le autorità, avremo il nostro momento di gloria. Speriamo che alcuni ritornino a visitarci con più lentezza nei prossimi mesi e che questo interesse porti anche, alcuni di questi, a pensare di venire qui a vivere. Perché il problema del Biellese rimane l’abbandono e la fuga dei giovani ed è a quello che dobbiamo essere in grado di rispondere noi adulti. Ettore Macchieraldo
M come Matteotti o M come Mussolini?
La maggioranza di centro-destra del Comune di Biella ha respinto nella seduta del 29 aprile 2025 la mozione per revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini e conferirla a Giacomo Matteotti e all’antifascista vittima del regime Iside Viana. I motivi addotti dai gruppi di maggioranza (FdI, Forza Italia, Lista civica Gentile), tutti come vedremo inconsistenti, sono stati di tre ordini. Motivazione giuridico-regolamentare: non ha senso e addirittura non è possibile togliere la cittadinanza onoraria a una persona defunta (Mussolini), né concederla (Matteotti). Nessuna norma di legge prevede l’istituto della cittadinanza onoraria, quindi né la concessione, né la revoca. Ma quasi tutti i Comuni prevedono e disciplinano la concessione di tali onorificenze nello statuto o in apposito regolamento o comunque la concedono con deliberazione del consiglio comunale anche in assenza di una esplicita normativa regolamentare. E’ evidente che chi è cittadino a tutti gli effetti e gode dei diritti di cittadinanza tra cui il voto perde automaticamente i requisiti di cittadinanza quando muore. Ma la cittadinanza onoraria è appunto un titolo puramente onorifico e non si può affermare che cessi di valere con la morte della persona. Ad esempio nel centenario della commemorazione della traslazione del Milite Ignoto il 4 novembre 1921 nel Sacello dell’Altare della Patria a Roma, sono stati 3.200 i Comuni che hanno concesso la cittadinanza onoraria al Milite Ignoto. In assenza di norme legislative i Comuni hanno ampia discrezionalità, a volte regolamentata e altre no. Tanto che sono molti i Comuni che hanno revocato la cittadinanza onoraria a Mussolini senza che fosse loro posto alcun rilievo dal punto di vista legislativo visto che una legislazione in materia non esiste. A meno che il regolamento comunale non preveda esplicitamente l’impossibilità della revoca qualora l’insignito non sia più in vita, e non è il caso di Biella, oppure non ci sono ostacoli giuridici alla revoca della cittadinanza onoraria conferita a Mussolini. Sulla revoca di onorificenze a cittadini defunti ci viene in aiuto proprio un parlamentare di FdI anche se si tratta di onorificenze dello Stato in questo caso e quindi regolamentate dalla legge 178/1951. Il titolo di Cavaliere di Gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, decorato di Gran Cordone, al “maresciallo Tito” fu conferito il 2 ottobre 1969 dal Presidente della Repubblica Saragat. Una associazione ritenendo Tito responsabile delle foibe aveva chiesto la revoca. Revoca non concessa da Napolitano perché Tito era morto. Proprio per superare tale pregiudiziale divieto alcuni parlamentari (primo firmatario on. Rizzetto del partito FdI), ritenendo comunque indegno Tito anche a memoria di tale onorificenza hanno presentato nel 2024 la proposta di legge n. 883 con la quale si vuole modificare l’art. 5 della legge 3 marzo 1951, n. 178 aggiungendo il seguente comma: «In ogni caso incorre nella perdita della onorificenza l’insignito, anche se defunto, qualora si sia macchiato di crimini crudeli e contro l’umanità. Motivazione legata al “cancel culture”: è evidente che non si tratta di togliere di mezzo stadio, stazione e tutti gli edifici che risalgono al ventennio. Così come è giusto che rimangano ad esempio anche le scritte murali del periodo fascista. Ma qui si tratta d’altro. La cittadinanza onoraria rimane in perpetuo e quella decisione del podestà la si può benissimo cancellare se si tiene conto del profilo criminale del cittadino onorario Mussolini. Possiamo anche ritenere che quando l’onorificenza è stata concessa il duce non si fosse ancora macchiato dell’imperdonabile crimine delle leggi razziste, dei lager in terra italiana, dell’entrata in guerra a fianco di Hitler. Ma ora che tutto ciò lo sappiamo e che tanti cittadini hanno pagato con la vita nei campi di combattimento e nei campi di concentramento quelle scelte sciagurate? Sarebbe poco onorevole mantenerlo per la città altro che rispetto per una decisione presa 100 anni fa! Motivazione “perché non l’hanno fatto loro?”: probabilmente i vari sindaci di centro sinistra succedutisi dal 1945 in poi non si sono accorti di questa cittadinanza onoraria sepolta da qualche parte altrimenti sarebbero intervenuti. E’ merito recente del Comitato “M come Matteotti” di Biella avere riportato alla luce questa vicenda e aver raccolto in poco tempo quasi 1.000 firme di cittadini favorevoli a togliere la cittadinanza onoraria al duce e darla a due sue vittime. Se il Comune avesse ritenuto giusta tale decisione avrebbe colto la palla al balzo attribuendosi caso mai il merito di essere intervenuti per primi per risolvere il problema. Se invece non la si ritiene una decisione giusta, come in effetti è stato, perché mai affermare addirittura che i precedenti amministratori di centro sinistra avevano un profilo intellettuale diverso? E allora l’unica motivazione che regge dovrebbe essere espressa con chiarezza: Mussolini ce lo teniamo perché ha fatto anche cose buone, per l’Italia e per Biella. Ed è evidente che il fascismo ha fatto anche cose utili ad esempio in campo sociale o dei lavori pubblici. A Biella lo stadio, la stazione e la Biella-Novara risalgono al ventennio. La domanda a questo punto è: sono emendabili le nefandezze del regime (soppressione della democrazia, violenze contro gli oppositori, leggi razziste, accordo con Hitler, tragedia della II guerra mondiale) sulla base delle cose buone fatte. A parere di chiunque sia antifascista la risposta è no. Ma capiamo che si possa anche vederla in modo diverso. Basta dirlo in modo trasparente.   Giuseppe Paschetto
Lettera aperta della cittadinanza contro il raduno nazionale degli alpini a Biella
PUBBLICHIAMO VOLENTIERI LA LETTERA APERTA GIUNTA ALLA NOSTRA MAIL OSSERVATORIONOMILI@GMAIL.COM CHE UN GRUPPO DI PERSONE, TRA CUI IL COLLETTIVO FEMMINISTA “LE PAROLE FUXIA”, HA SCRITTO IN OCCASIONE DEL RADUNO NAZIONALE DEGLI ALPINI A BIELLA QUESTO FINE SETTIMANA. L’OSSERVATORIO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLE SCUOLE E DELLE UNIVERSITÀ CONDIVIDE PIENAMENTE LA PREOCCUPAZIONE DEI GENITORI E INVITA AD USARE LE MOZIONI DEL VADEMECUM PER OPPORSI ALLA MILITARIZZAZIONE. Siamo genitori di persone che frequentano istituti medi, scuole primarie e scuole dell’infanzia nel territorio biellese. Abbiamo deciso di scrivere questa lettera aperta a seguito di ciò che sta capitando nelle scuole biellesi in vista dell’Adunata Nazionale degli Alpini che si svolgerà a Biella il 9-10-11 maggio. Tenuto conto che è diritto di ciascuno sentire o meno affinità con questa manifestazione, riteniamo che sia invece molto grave che la propaganda militarista e nazionalista sia entrata così facilmente nelle scuole. Alcuni Alpini hanno potuto parlare nelle aule, narrando in mondo soggettivo (e a volte antistorico) alcune vicende della storia del nostro Paese, proponendo canti bellici, illustrazioni di divise fatte colorare nelle scuole dell’infanzia, mitizzando gesta e azioni, contribuendo a rafforzare il clima sovranista e nazionalista che pare essere l’unico possibile nel nostro Paese. Tutto questo è stato fatto senza consultare i genitori, cosa che ci appare ancora più grave dato che per poter portare l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole (cosa che ci parrebbe tanto più utile e necessaria), è invece richiesto il consenso genitoriale. Questo sta accadendo negli stessi giorni in cui la Giunta comunale di Biella blocca la mozione per togliere la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini per darla invece a Giacomo Matteotti e Iside Viana; sono anche gli stessi giorni in cui sono appena stati celebrati il 25 aprile, Giorno della Liberazione e il Primo maggio, festa dei lavoratori: due festività che rischiano di passare in secondo piano, perché non vengono quasi studiate o approfondite, tanto che i ragazzi non sanno perché stanno a casa da scuola in quei giorni, ma sono ben consapevoli, ormai, del fatto che gli Alpini hanno fatto “tante cose buone”. Non ci piace questa deriva sovranista, non ci piace la militarizzazione di chi frequenta la scuola, non ci piace e non siamo d’accordo con questa narrazione distorta della Storia, tenuto anche conto del clima europeo in cui si parla di guerra, riarmo, kit di sopravvivenza, nemici alle porte. Desideriamo una scuola che parla e lavora per la Pace, che insegna il senso critico e la ricerca della verità, che ha come obiettivo la formazione di persone libere e pensanti, cittadine di un mondo multiculturale, globalizzato e diversificato. Una scuola che insegni la convivenza tra le differenze, una scuola non classista, non elitaria, non militarizzata.
Meno verde per tutti!
Biella, la piccola città del Piemonte che conta poco più di quaranta mila abitanti (40.000) e il Biellese, il territorio che circonda la città, che invece ne ha poco meno di centosettanta mila (170.000) è pronta per accogliere quattrocento mila (400.000) alpini che il 9/10/11 maggio si riverseranno nella città e in tutto il territorio circostante. La cittadina laniera piemontese è infatti la sede dell’Adunata Nazionale degli Alpini. Stavolta partiamo dalla foto. E’ del 2002 e mostra Gustavo Buratti, “Tavo Burat”, abbracciato a un ippocastano in Viale Matteotti a Biella. La pianta era appena stato salvata dal taglio grazie ai gruppi ambientalisti presenti allora in città con un presidio permanente e arrampicate sull’albero. A guidarli fu proprio il Tavo. Chi era costui? Gustavo Buratti Zanchi, nato nel 1932 a Stezzano in provincia di Bergamo, ci ha lasciati nel 2009 a Biella. E’ stato insegnante, politico, poeta, difensore delle lingue e delle minoranze etniche, religiose e culturali, nonché ambientalista. Una figura tuttora di riferimento per il Biellese, non a caso a lui è dedicato il sodalizio che ho l’onore di presiedere, il Circolo Tavo Burat federato a Pro Natura. Non l’ho conosciuto. Per capire chi era e cosa pensava sto leggendo i suoi scritti, che vanno dagli articoli di Biellese Proletario, ai testi sulle eresie medievali, alle poesie. Mi hanno anche raccontato del suo rapporto con Pier Paolo Pasolini. Li si può assimilare per le posizioni contrarie alla deriva della società dei consumi e anche per le capacità profetiche. Entrambi volevano fortemente preservare le culture pre industriali e contadine. Si può pensare che sia solo anti modernismo, ma non è così. Alla luce del disastro ecologico e dei cambiamenti climatici, non ancora così eclatanti negli anni in cui Pasolini denunciava “la scomparsa delle lucciole”, le invettive del poeta e regista risultano essere delle precise profezie. E così fu anche per le parole e gli scritti del Tavo sulla importanza dell’alterità della cultura alpina al fine di preservare gli equilibri ecologici. Sono aspetti di primaria importanza, se vogliamo lasciare delle risorse per le prossime generazioni. Anche il taglio di un albero di città risulta così un caso su cui prestare la massima attenzione. E il 3 aprile è stato abbattuto l’ippocastano che Gustavo Buratti abbracciò  nel 2002. In questo caso era anche un simbolo, ma il taglio di un albero è un fatto importante a prescindere. Meno simbolico, ma altrettanto importante, è stata la contemporanea eliminazione degli arbusti presenti nello spartitraffico del corridoio ovest della città. Proprio là dove sarà il centro dell’evento Adunata Alpini 2025, lì in via Lamarmora dove sfilerà la parata militare. Anche il taglio degli arbusti è un danno per la riduzione della biodiversità urbana, sono infatti una importantissima fonte di cibo e rifugio per numerose specie animali anche in ambito urbano. I cespugli proteggono anche dall’irraggiamento il suolo, riducendo le difficoltà per gli alberi in caso di siccità. Quello però che preoccupa di più è l’uso che è stato fatto degli escavatori per sradicarli. A parte le emissioni prodotte, che sarebbero tutte da calcolare, sono state certamente intaccate e danneggiate le radici degli alberi presenti nella stessa area tra i due sensi di marcia di Viale Lamarmora. Nel caso dell’ippocastano di Viale Matteotti ci sono elementi che potrebbero averne giustificato il taglio. Certo il Comune avrebbe potuto evitare il blitz, magari anche avvisare la cittadinanza e addirittura convocare le associazioni ambientaliste, ma sarebbe troppo chiederlo. Vigileremo però sulla ripiantumazione e sulla posa di un cippo che ne racconti la storia. Nel caso, invece, degli arbusti di via Lamarmora l’unico motivo per il taglio è la prossima Adunata degli Alpini. Ci saranno certamente ragioni legate alla visibilità e alla sicurezza, ma serpeggia il dubbio se saranno ripiantumati anche loro; anche perché organi di stampa locali riportano che, al posto degli arbusti, potrebbe rimanere permanentemente l’installazione luminosa con la bandiera italiana. Posso capire il patriottismo, almeno finché non sfocia nell’interventismo bellico, ma così si promuove lo spreco energetico invece del risparmio e della biodiversità urbana. Eppure basterebbe attenersi agli standard europei per la gestione del verde urbano. E se lasciassimo perdere il riarmo che ci chiede l’Europa -e soprattutto gli “alleati” USA- potremmo anche trovare  dei soldi per coprire le spese di ripristino. O arriveranno dagli Alpini? Ettore Macchieraldo
A Biella un giorno prima
Biella, così come Genova, altra città medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza, si è liberata un giorno prima del 25 aprile. Non ha dovuto attendere gli alleati. Già all’alba del 24 aprile i tedeschi lasciavano la città. Il CLN concordava con il maggiore Zanotti del battaglione “Pontida” la resa e l’abbandono di Biella da parte dei suoi 400 uomini. Attraverso la mediazione di don Antonio Ferraris, luminosa figura di prete antifascista, si otteneva anche la resa a Cossato del “Montebello”. Alle 18 i partigiani della II Brigata Garibaldi entravano in città e venivano sommersi di fiori dalla popolazione che applaudiva, urlava la propria gioia, esponeva i tricolori. Nel suo discorso del 24 aprile il sindaco di Biella, città medaglia d’oro per la Resistenza, ha espresso due auspici che potrebbero essere anche condivisibili, solo che mancano ad oggi le condizioni, a cominciare dal suo stesso intervento. Il primo auspicio formulato dal sindaco è di superare le divisioni guardando al futuro “uniti come Paese e come italiani”. Insomma un 25 aprile che non sia più divisivo ma trovi tutti concordi nel festeggiare la Liberazione. Questo è possibile solo a patto che si condanni da parte dell’estrema destra in modo fermo e chiaro il fascismo mettendone in luce non solo gli aspetti più eclatanti come le leggi razziste ma anche la profonda natura criminale manifestatasi soprattutto tra il 1943 e il 1945: l’eliminazione della democrazia, le torture e le uccisioni degli oppositori, la sciagurata entrata in guerra a fianco dei nazisti. Il fascismo è nato con il preciso intento di eliminare in modo violento gli avversari. Ha fatto bene l’oratrice dell’ANPI nazionale Michela Cella il 24 aprile e Biella a ricordare che Mussolini sosteneva che se c’è il consenso bene, altrimenti c’è la forza. Non c’è stato bisogno del resto di attendere la RSI per rendersi conto della natura violenta del regime. Già nel 1919 avevano dimostrato di che pasta erano fatti, mettendo a ferro e fuoco le sedi di sindacati, partiti e giornali di opposizione, ucciso e picchiato e torturato. E poi la soppressione della libertà e della democrazia. Non sarebbe stato superfluo il 24 aprile ricordare tutto ciò ed esprimersi in modo chiaro in proposito. Poi c’è quella fiamma presente nel simbolo di Fratelli d’Italia che potrebbe essere spenta è invece ancora lì, nel simbolo del partito, a ricordare la continuità con l’MSI, il partito con evidenti legami con l’esperienza fascista nato per volontà di personaggi che venivano diritti dal regime e che certo non lo avevano rinnegato. Giorgio Almirante segretario per decenni dell’MSI che come capogabinetto RSI aveva diramato la direttiva ai prefetti del 17 maggio 1944 “Alle ore 24 del 25 maggio scade il termine stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi agli sbandati ed appartenenti a bande. Tutti coloro che non si saranno presentato saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena.” Pino Romualdi, vicesegretario e poi presidente MSI, nel 1944 in risposta alla uccisione in battaglia di due squadristi aveva prelevato sette prigionieri politici facendoli fucilare in piazza in sua presenza. Scriveva il 6 giugno 1944 “Procedere subito alla incarcerazione di qualche migliaio di persone ed al loro invio in campo di concentramento. Formare anzi un vasto campo di concentramento nella nostra provincia o in qualche provincia viciniore. Sopprimere il massimo numero di persone sospette”. E poi Rodolfo Graziani, anch’egli per un periodo presidente MSI, massacratore di decine di migliaia di libici e etiopi nelle guerre coloniali da lui dirette con uso anche di armi chimiche. Junio Valerio Borghese, sepolto come papa Francesco a Santa Maria Maggiore, la guida della famigerata X Mas, presidente nel 1951 del MSI, partito da cui poi si stacca per avvicinarsi alle frange eversive extraparlamentari e tentare il golpe del dicembre 1970 insieme a pezzi di apparati statali e delle forze armate. Anche con la presa di distanza dalla stagione missina si farebbe un passo decisivo verso quanto auspicato dal sindaco per una destra capace di fare i conti con il passato e tener fede ai propri intenti. Il secondo auspicio espresso dal sindaco è relegare fascismo e antifascismo al contesto storico evitando di usare questi termini in modo improprio nella dialettica politica contemporanea. Anche in questo caso mancano i presupposti. Se il regime fascista, come afferma il sindaco, è finito con la morte di Mussolini così non è stato per i tanti fascisti che anche se compromessi con il regime sono stati prontamente amnistiati per i crimini commessi, reintegrati nel sistema giudiziario, nelle forze dell’ordine, nella politica, fin dall’immediato dopoguerra, usati in chiave anticomunista dai servizi USA e dai servizi segreti deviati del nostro Paese. Per non parlare di trame nere e stragi e tentativi golpisti che hanno caratterizzato decenni di storia italiana. Insomma, come ha affermato di recente il prof. Charlie Barnao alla manifestazione di Lace di Donato, il grosso problema del dopoguerra è stata la palingenesi del fascismo che ha reso tutto molto complicato. Il sindaco ha ricordato che “la guerra civile si protrasse ancora per mesi dopo la fine del conflitto”. In realtà possiamo parlare anche di un paio d’anni nel corso dei quali si consumarono vendette e rappresaglie a carico di fascisti o presunti tali. Una fase iniziata già con lo scempio dei corpi di Mussolini e dei suoi a piazzale Loreto. Ma quando scoppia una guerra civile il cui motore è alimentato dall’ odio e dal desiderio di vendetta tutto può succedere e nulla si può più controllare. E’ chiaro che naturalmente con la lucidità di analisi che consente il distacco temporale di 80 anni da allora non si può che esprimere orrore anche per questa fase della guerra civile. Si può concordare con il sindaco quando afferma che non ha senso appioppare l’epiteto di fascista a chiunque manifesti un indirizzo politico o sostenga un’idea conservatrice. In questo modo si rischia anche di abusare del termine, banalizzarlo e alla fine svuotarlo di significato. Se considerassimo ad esempio fascista la sbagliata politica ostile ai migranti dovremmo iscrivere a questa categoria anche l’ex ministro PD Minniti col suo memorandum Italia-Libia. Ma è un fatto che chiaro rigurgiti neofascisti oggi sono sotto agli occhi di tutti, fenomeni nostalgici, le violenza squadrista che in varie occasioni si è manifestata nella società, usando a volte come arena anche gli stadi, le selve di braccia tese nel saluto romano in situazione disparate, il fascino di miti e riti del fascismo che coinvolge giovani e giovanissimi, i tricolori ben in vista ai balconi di Biella con il simbolo della Repubblica di Salò, iniziative preoccupanti delle istituzioni come quella del Comune di Affile . In questo Comune vicino a Roma nel 2012 è stato realizzato, con soldi pubblici, addirittura un mausoleo dedicato a Graziani, “il più sanguinario assassino del colonialismo italiano” come lo definì Angelo Del Boca. Ma neppure questo è sufficiente per configurare il reato di apologia di fascismo. Evidenti sono le colpe e lacune della scuola, e un grosso peso lo riveste l’ignoranza della storia, ma è comunque un dato di fatto di cui tenere conto. E quindi se il fascismo, almeno come elemento culturale non pare accantonato, anche l’antifascismo è bene che non sia messo in soffitta o confinato in biblioteca. Come ha affermato Sergio Mattarella “E’ sempre tempo di resistenza, sempre attuali i suoi valori”. E speriamo il prossimo 25 aprile che il Presidente voglia celebrarlo magari proprio a Biella un giorno prima. Giuseppe Paschetto