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[Le Dita nella Presa] Sorveglianze e sfruttamenti globalizzati (1/4: Puntata completa)
In una puntata tormentata dai problemi tecnici, rivanghiamo tutti i grandi classici delle dita nella presa: le statistiche fatte male - oggi su energia e rinnovabili - la sorveglianza di stato e i nuovi modelli di business: che siano in stile cinese, sud-est asiatico o... svizzero! Specchio specchio delle mie brame, chi è il più rinnovabile del reame? Sarà la Svezia? Il Portogallo? L'india? Dipende da come lo guardi! La Cina passa dall'avere un sistema di sorveglianza molto evoluto ad esportarlo, raccontiamo il caso del Pakistan. Notiziole varie: truffe online, stretta sulla privacy in svizzera, evoluzioni del sistema tecnologico russo.
[2025-09-17] Tech Work Coalition - Log Out @ Roma @ Villetta Social Lab
TECH WORK COALITION - LOG OUT @ ROMA Villetta Social Lab - Via degli Armatori, 3 (mercoledì, 17 settembre 18:30) Mercoledì 17 settembre torniamo con il Logout di TWC Roma, il ritrovo per tech workers che vogliono incontrarsi dopo lavoro: un'occasione per socializzare, conoscersi, parlare del nostro lavoro e come organizzarci nei prossimi mesi!
[Le Dita nella Presa] Antitrust e privacy: i tribunali se ne lavano le mani
Una settimana di sentenze per il mondo della silicon valley, tanto in Europa quanto negli Usa. Nonostante Google prenda una multa da quasi 3 miliardi di dollari per abuso di posizione dominante, non si può lamentare: il "rischio" antitrust è scongiurato, e l'Unione Europea si mostra più tenera del solito. Infatti nonostante negli Usa Google sia riconosciuto come monopolista nel settore delle ricerche sul Web, il giudice ha valutato di dare dei rimedi estremamente blandi, molto lontani da quelli paventati. Ricordiamo che si era parlato addirittura di obbligare Google a vendere Chrome. Anche nell'Ue i giudici sono clementi. Il caso Latombe, che poteva diventare una sorta di Schrems III, non c'è stato: la corte ha dichiarato che il Data Protection Framework è valido, e che quindi la cessione di dati di cittadini Ue ad aziende Usa è legale. È un grosso passo indietro nel braccio di ferro interno all'unione europea tra organismi che spingevano per questa soluzione (la Commissione) e altri che andavano in senso opposto (la Corte di Giustizia). Difficile pensare che i recenti accordi sui dazi non c'entrino nulla.
Perché Pechino mostra le sue armi
In tanti parlano della Cina da molto lontano. Noi preferiamo ascoltare chi ci vive e lavora, che sicuramente ha il polso della situazione e non risponde alle esigenze del «datore di lavoro» (una qualsiasi testata occidentale). Magari si possono avere presupposti diversi, visioni non collimanti, ma almeno si possono avere […] L'articolo Perché Pechino mostra le sue armi su Contropiano.
L’allucinazione disumanizzante del tecnofeticismo
Certamente ci sono state invenzioni che hanno avuto un impatto radicale sulla modifica del paesaggio sociale. Creazioni umane che, ispirate da un persistente proposito di miglioramento, hanno realizzato progressi scientifici o tecnologici emancipatori. La ruota, la carta, la stampa, l’elettricità, i vaccini, la radio, la pillola anticoncezionale, l’aereo, la macchina a vapore e la penicillina, per citarne solo alcune, hanno indubbiamente contribuito ad ampliare le possibilità delle persone. Forse anche Internet, al di là della sua origine e del suo scopo iniziale legato a obiettivi militari, può essere classificato in questa categoria. Tutto sommato, nessuna di queste prodigiose scoperte può essere attribuita a un singolo individuo. Nonostante quanto sottolineato da una certa ingenua storiografia, attribuire queste invenzioni a un solo individuo è ignorare l’ambiente sociale in cui sono state prodotte e l’enorme accumulo di tentativi e contributi collettivi che le hanno precedute. Allo stesso modo, affermare che queste innovazioni hanno il potere di trasformare le cose da sole significa attribuire loro qualità magiche che oscurano altri fattori nell’ordine politico e spirituale, nel campo delle idee, dell’organizzazione economica, della demografia o dello sviluppo umano in generale. Fattori che agiscono in struttura con la scienza e la tecnologia e che sono fondamentali per realizzare le trasformazioni sociali. Attribuire un’eccessiva virtù a questa o quella tecnologia significa porre sugli oggetti un influsso simile a quello che gli stregoni dell’antichità attribuivano a certi amuleti, conferendo loro proprietà trasmutative di vario genere. E forse fu proprio la forte fede in tali incantesimi, la carica energetica di fede che vi riponevano, mossi dalla necessità e giustificata dall’autorità che i rispettivi taumaturghi possedevano, a raggiungere efficacemente il loro scopo. Qualcosa di simile sta accadendo oggi con le tecnologie digitali, a cui viene attribuita, in modo quasi mistico, la prodigiosa capacità di risolvere l’accumulo di problemi sociali e la conseguente crisi multidimensionale di oggi. Una moderna forma di feticismo, il cui fascino permea le classi dirigenti odierne, ma che trova anche un ampio sostegno tra la popolazione. Non a caso la parola feticcio, dalla sua origine portoghese e dal suo passaggio attraverso il francese, significa incantesimo o sortilegio. IL TECNOFETICISMO CORPORATIVO La tecnologia, sorella minore della scienza, non è sempre stata un veicolo dell’evoluzione umana. Basti pensare all’interesse dei governanti nel corso della storia nel raggiungere la supremazia tecnologica per dominare gli altri. Lo sviluppo della metallurgia nell’antica Mesopotamia permise agli imperi successivi di equipaggiare meglio i propri armamenti. Altrettanto importanti furono l’esperienza e l’abilità nella costruzione navale, fondamentali per la successiva espansione coloniale. Fino ad arrivare alle macchine di distruzione di massa che hanno stroncato milioni di vite, portando all’orrore delle armi nucleari. L’automazione digitale, oggi comandata dagli alti vertici corporativi, segue una sola morale: quella del profitto a qualsiasi prezzo. Pertanto, lungi dal servire esclusivamente il benessere pubblico, si concentra su servizi e applicazioni che privilegiano l’estrazione e la mercificazione dei dati, la sorveglianza, la manipolazione, la disinformazione, lo sfruttamento e, come non poteva essere altrimenti, lo sviluppo di macchine per uccidere. Tuttavia, la propaganda corporativa – potenziata a sua volta da questa stessa tecnologia – si introduce nella nostra sfera più intima attraverso dispositivi individuali sofisticati, tentando di convincerci che costituisce una panacea totale per superare ogni problema e conflitto sociale. Come un mantra di tipo religioso, “l’innovazione tecnologica” compare in ogni discorso come unica risposta per alleviare la crisi generalizzata del sistema. Così, per esempio, il degrado ambientale e climatico verrebbe presumibilmente risolto con la vendita di raffinati sistemi a minor consumo energetico, invece di pensare a ripartire equamente il consumo irrazionale delle regioni ricche del pianeta, per soddisfare i bisogni delle popolazioni impoverite. Allo stesso modo, si apprezza la capacità linguistico-concettuale nelle interazioni di alcune applicazioni della cosiddetta “intelligenza artificiale”, mentre la disintelligenza e la scarsa volontà politica delle élite impediscono di eseguire programmi di eliminazione della fame e della miseria. L’assistenza sanitaria alla portata di tutti è in declino o inesistente in molti luoghi, mentre in altri la sofisticazione tecnologica nel settore sanitario ha raggiunto livelli sorprendenti. L’istruzione, che dovrebbe essere ripensata come metodologia per l’elevazione umana, rischia sempre più di essere confinata nelle prigioni del pensiero dei programmi di apprendimento aziendali. Diverse forme di violenza continuano a estendere i loro tentacoli, indipendentemente dall’annuncio di un grandioso “metaverso”, una sorta di paradiso digitale dove tutto è possibile. E naturalmente, chattare con bot gentili dai nomi umani non allevierà minimamente l’intensa sensazione di solitudine che sempre più persone stanno provando, data la crescente evaporazione dei legami sociali. Nel frattempo, queste stesse tecnologie favoriscono la precarizzazione lavorativa, la monopolizzazione delle comunicazioni, la mega-speculazione finanziaria, l’espansione dei grandi patrimoni immobiliari, lo sfruttamento eccessivo delle risorse, il perdurare della supremazia culturale e la diffusione della criminalità tramite il web. È chiaro che la retorica delle Big Tech, che promuove la propria gamma di prodotti come l’unica possibilità di futuro, non fa altro che facilitare l’espansione dei loro affari e approfondire la dipendenza dalle loro tecnologie, in un circolo vizioso che rappresenta una nuova era neocoloniale. Può l’Umanità affidare il proprio destino alle intenzioni dei dirigenti, degli azionisti e degli sviluppatori di queste aziende, imbevuti della stessa ideologia tecnofeticista e interessati principalmente al loro benessere individuale? Certamente no. IL TECNOFETICISMO PROGRESSISTA Per non “rimanere indietro”, e forse con le migliori intenzioni, molti governi, dirigenti e raggruppamenti popolari, cadono anch’essi nella trappola tecnodipendente. Pensano in una logica di progresso unica, lineare e irreversibile, che li condanna a soccombere a false elargizioni (servizi e applicazioni di base senza costo) e a seguire i sentieri che tracciano le grandi corporazioni di affari, senza accorgersi che ciò conduce a nuove trappole di dipendenza ancora maggiore. Costretti a fornire risposte a breve termine, i governanti cercano di reagire in questo modo all’assalto del grande capitale, il cui ariete di demolizione è ora la “convergenza” di tecnologie come le reti neurali, l’informatica quantistica, la robotica e la digitalizzazione del mondo fisico. Da un lato, i leader politici devono presentarsi come “modernizzatori” o rischiano di non soddisfare le aspettative dell’opinione pubblica nella successiva tornata elettorale. Allo stesso tempo, però, questi attori rimangono intrappolati nella logica dell’industrialismo del secolo scorso, solo che con strumenti più leggeri, ma altrettanto potenti. Anche alcuni ambienti intellettuali adottano gli stessi elementi e, in alcuni casi, giungono all’estremo disumanizzante di appianare le divergenze o di trarre conclusioni basate su applicazioni progettate da organizzazioni in contrasto con la loro posizione politica. Dov’è il pensiero critico, il dibattito e la riflessione? Dov’è la capacità umana di lasciarsi ispirare e di contribuire con nuovi criteri e proposte? Gli sceicchi che dominano i circuiti binari che decidono cosa sarà o non sarà mostrato sui cosiddetti “social network” si mostreranno favorevoli, rapiti da un sentimento di compassione e lucidità, allo slancio rivoluzionario dei movimenti sociali? I loro algoritmi spingeranno con forza i contenuti che mirano a un reale cambiamento, o lasceranno che si infiltrino, insieme a una valanga di propaganda commerciale e materiale riempitivo, i deboli motivi che li fanno apparire democratici e pluralisti? Quel che è certo è che questi interrogativi devono essere presi con la massima serietà da coloro che desiderano un mondo completamente diverso. LA TECNOFOBIA I “luddisti” furono un movimento di protesta nell’Inghilterra degli inizi del XIX secolo che usò, tra altre tattiche, la distruzione di macchinari per opporsi all’installazione di telai e macchine per filare industriali che minacciavano di sostituire gli artigiani con lavoratori meno qualificati e che ricevevano salari più bassi. Questo movimento attivista prese il nome dal operaio Ned Ludd, personaggio reale o immaginario, che avrebbe incendiato o distrutto varie macchine tessili in risposta alle repressioni che il proletariato stava subendo. Questo precedente storico viene spesso utilizzato oggi per equiparare un atteggiamento critico e consapevole nei confronti di certi rischi posti da cambiamenti tecnologici intensi e rapidi a una morbosa resistenza al cambiamento o direttamente ad atteggiamenti tecnofobici. Ciò scoraggia qualsiasi prospettiva equilibrata, libera da fondamentalismi a favore o contro determinate metodologie tecnologiche. Naturalmente, questa analisi non può prescindere dall’effetto di estraneità prodotto oggi dalla modifica accelerata di strumenti e metodi, in contrasto con usi e costumi che sopravvivono solo nella memoria delle generazioni precedenti. Il sospetto di una certa nostalgia e di una certa opposizione ai tempi nuovi è senza dubbio una nube che va dissipata con spirito autocritico. Ma ciò non contraddice minimamente la necessità di osservare con lente di ingrandimento le intenzioni – soprattutto quelle di carattere mercantile o di controllo – e l’architettura progettuale logica che stanno alla base degli sviluppi tecnologici presentati quotidianamente dalle corporazioni monopolistiche. Né è trascurabile osservare le implicazioni della concentrazione del potere economico e politico, una concentrazione che invariabilmente mina l’esercizio universale e l’espansione dei diritti umani. Il progresso sarà di tutti e per tutti, o non accadrà affatto. TECNOFETICISMO ALTERNATIVO Parallelamente all’aumento della digitalizzazione in vari campi, a partire dagli anni ’80 è emerso un movimento che non solo ha criticato l’orientamento capitalistico e puramente utilitaristico dei principali servizi e applicazioni digitali, ma ha anche sviluppato alternative efficaci per il loro utilizzo. Si sono così progressivamente moltiplicate le “tecnologie libere”, i cui principi fondamentali sono la libertà di utilizzare, studiare, distribuire e migliorare i programmi informatici. Queste libertà favoriscono il decentramento del potere, la produzione di conoscenza collettiva, l’adattabilità e la facilità di distribuzione e, al di là dell’ambito strettamente tecnologico, incoraggiano la sana abitudine di condividere solidalmente con gli altri ciò che è utile a sé stessi. Per ogni uso comune, oggi esistono applicazioni, servizi e piattaforme gratuiti, sviluppati e supportati da individui, collettivi e persino Stati che hanno compreso l’importanza di liberarsi dal giogo del commercio aziendale, continuando a fornire soluzioni positive. Tuttavia, dobbiamo diffidare di un possibile “tecnofeticismo alternativo”, che potrebbe ridurre la ribellione contro il sistema capitalista a un semplice cambiamento nelle abitudini di consumo tecnologico. In termini analogici, sarebbe come “fare la rivoluzione smettendo di bere una certa bevanda cola”. L’individualismo che erode la convivenza umana non potrà essere superato dalla sostituzione di codici informatici, ma da atteggiamenti di solidarietà e azioni condivise che sfondano il muro dell’egoismo. La tecnologia è solo un fronte nella lotta per superare il sistema. Non bisogna trascurare che l’attuale predominio del business digitale tenderà a cambiare da un momento all’altro a causa dell’esaurimento della sua redditività rispetto ad altri modelli che i fondi di investimento che gestiscono il capitale considerano più redditizi. D’altro canto, è necessario evitare, come un malware dannoso, la tendenza a confinarsi nel comfort delle specializzazioni informatiche. Al contrario, è essenziale condividere l’impulso rivoluzionario con altre lotte sociali e politiche. In questo senso, il contributo delle conoscenze provenienti dal campo tecnologico è un contributo importante ai cambiamenti futuri. IL SIGNIFICATO DELLA TECNOLOGIA, O UNA TECNOLOGIA DOTATA DI SIGNIFICATO La tecnologia ha senso solo se contribuisce a superare il dolore e la sofferenza dell’umanità nel suo complesso. Tali progressi non possono essere limitati da clausole o da muri commerciali, né limitati a determinate regioni geografiche, perpetuando così le disuguaglianze. L’idea del “traboccamento” (spillover), secondo cui lo sviluppo scientifico e tecnico di alcuni luoghi si diffonde poi in altri, è semplicemente una formula di rinvio utilizzata dall’ideologia capitalista per giustificare le disuguaglianze. Umanizzare la tecnologia può sembrare ridondante per alcuni – poiché tutta la tecnologia è un prodotto umano – o una proposta contraddittoria per altri, se l’“umano” viene collocato in una sfera opposta o lontana dalla fredda meccanica. Tuttavia, questo è esattamente il parametro da seguire se vogliamo costruire un mondo sociale degno della dignità umana. Umanizzare la tecnologia significa soppesare i benefici che un sistema offre non solo in termini pratici o economici, ma anche a favore del benessere psicologico ed emotivo delle persone. Ampliare solidalmente la libertà umana in senso multidimensionale è l’etica che dovrebbe accompagnare ogni innovazione tecnologica, dato che è proprio il superamento delle difficoltà e degli impedimenti quello che sta nell’essenza del progresso della conoscenza. Infine, la comprensione dell’essere umano come un essere storico il cui modo di agire sociale non modifica solo il paesaggio circostante, ma anche la sua stessa condizione, la sua natura apparentemente immutabile, sarà ciò che guiderà i nostri passi coraggiosamente verso nuovi orizzonti. Questo nuovo paesaggio non sarà prodotto per il semplice espediente di cambiamenti tecnologici esterni, ma richiederà una trasformazione simultanea ed essenziale dentro di noi, verso nuovi valori, comportamenti relazionali e obiettivi di vita. L’umanizzazione della tecnologia, quindi, rimarrà un tratto distintivo della nobile missione di Umanizzare la Terra. -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dallo spagnolo di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid. Javier Tolcachier
[Le Dita nella Presa] I techbro mangiano insalate di matematica? (1/3: Puntata completa)
Dal Soylent alla trasfusione passando per le diete carnivore: i techbro sono ossessionati dal corpo. La mascolinità esibita unisce un presunto ritorno alle origini (cioè una riaffermazione del patriarcato) ad una ostentazione di controllo su un corpo che, forse per la prima volta, è il proprio corpo. Trigger Warning: disturbi alimentari. Proseguiamo con alcune notiziole: fallimenti della tecnica in UK, cause piccole ma significative perse da Meta, e gli immancabili aggiornamenti dagli Usa.
[Le Dita nella Presa] Questa città è una camera a gas (1/4: Puntata completa)
I distributori di carburante sono pericolosi, da molti punti di vista, ma occhio a non cadere nelle semplificazioni: prendendo spunto dalle notizie di attualità, parliamo dei combustibili e della loro pericolosità. Ne approfittiamo per analizzare le spinte, non sempre prive di interessi, di chi vuole preferire una tecnologia ad un'altra. Continuiamo con alcuni aggiornamenti sul trasporto pubblico romano. Torniamo sul digitale con gli accordi tra unione europea ed Israele relativi al GDPR e la consueta carrellata di notiziole.
Palestina: il vero volto delle smart city. Tecnologie per le guerre ai popoli
Con un compagno dell'assemblea nogreenpass parliamo dell'iniziativa prevista per questo 6 luglio a Centocelle aperte (via delle resede 5). Iniziativa in sintonia con quelle che l’assemblea ha già svolto proprio sul tema. In questa occasione parteciperà anche la comunità palestinese dell’UDAP. Dopo la proiezione dei documentari doppiati sulle smart city palestinesi, gli interventi e il dibattito, ci saranno un aperitivo e una cena conviviali. Qui trovate il documento di analisi e presentazione più dettagliata dell'iniziativa e un trailer dei documentari: https://nogreenpassroma.noblogs.org/post/2025/06/28/6-luglio-2025-palestina-il-vero-volto-delle-smart-city   La Smart City e la Città dei 15 minuti sono due teorizzazioni che applicando sul territorio strumenti altamente tecnologici non solo ridefiniscono i modi e i tempi della nostra quotidianità, non solo controllano i nostri corpi e condizionano le nostre menti spingendoci a comportamenti stereotipati, controllabili secondo algoritmi precostituiti, ma attuano anche una selezione predittiva delle azioni, individuando e selezionando buoni e cattivi, pericolosi e innocui, disponibili e indisponibili. La Smart City è la perché, ci dicono, le più moderne tecnologie digitali e di telecomunicazione – compreso il 5G – vengono messe al servizio della città, dell’ambiente e dei suoi abitanti. Vorrebbero farci credere che questo costituisca un’innovazione, un bene per tutti. Si tratta di un nuovo paradigma per la realtà urbana che poggia su miriadi di sensori che raccolgono, 24 ore su 24, ingenti masse di dati, e su un elevatissimo livello di connettività. Così strade, incroci, palazzi, parcheggi e gran parte dell’arredo urbano “parlano” tra di loro, in tempo reale, grazie a quello che in gergo viene definito internet of things, l’internet delle cose, ovvero la connessione dinamica tra gli oggetti che utilizziamo quotidianamente. Intelligenza Artificiale, 5G, droni e altre innovazioni tecnologiche sperimentate reciprocamente sia in ambito militare che urbano trovano così la loro sintesi ideale.
[Le Dita nella Presa] Distorcere i bilanci è un videogioco da ragazzi (1/5: Puntata completa)
Uno sguardo al "report sostenibilità" di Google e alle sue molte bugie; il meglio di hackmeeting 2025; Zona Warpa 4-5 Luglio al CSOA Forte Prenestino; notiziole dal Medio Oriente. A Giugno è uscito, come ogni anno, il report sostenibilità di Google. A leggerlo, sembra che sia possibile fare il miracolo: continuare a consumare sempre più energia, eppure far diminuire l'impatto ambientale. Vediamo insieme alcuni dei trucchi utilizzati (da Google, ma non solo) per far quadrare i conti. L'Hackmeeting 2025 è stato un mese fa, vi raccontiamo alcuni dei contenuti che ci sono piaciuti... avremmo voluto farlo in modo più esteso, ma poi ci siamo resi conto che si stava facendo tardi e abbiamo tagliato, non ce ne voglia chi ha curato altri dei momenti interessanti! Al telefono con Kenobit parliamo di Zona Warpa - La festa del videogioco ribelle itinerante. Il mondo del videogioco è infatti troppo spesso depoliticizzato, e questo festival mira a fare da ponte tra chi gioca e chi fa videogiochi, in una cornice consapevole. Questo weekend è il turno del Forte Prenestino, qui potete vedere alcuni video di edizioni passate per farvi un'idea. Chiudiamo con delle notiziole dal Medio Oriente: * 2 giorni di blackout di internet in Iran, per "ragioni di sicurezza": di cosa si tratta? * NSO piange miseria