Decreto sicurezza: “gravissimi profili di incostituzionalità”. L’appello promosso dai giuristi supera le 5.000 firmeIl Decreto Sicurezza “presenta una serie di gravissimi profili di
incostituzionalità“. In primo luogo, la decretazione d’urgenza, “senza che vi
fosse alcuna straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di
urgenza” costituisce una “violazione è del tutto ingiustificata e senza
precedenti” delle prerogative del Parlamento. Nel merito, poi, è un decreto che
punta a reprimere il dissenso e comprime alcuni diritti fondamentali, tassello
fondamentale in qualunque democrazia. Non usa mezzi termini l’appello pubblico
promosso da 237 i giuristi italiani, tra cui tre presidenti emeriti della Corte
Costituzionale. Le firme sono raccolte sul sito di Articolo21.
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo il testo dell’appello:
È compito dei giuspubblicisti nei periodi normali della vita del paese
interpretare ed insegnare la nostra Costituzione. È anche compito dei singoli
giuspubblicisti assumere delle posizioni individuali all’esterno
dell’Università.
Ci sono momenti però nei quali accadono forzature istituzionali di particolare
gravità, di fronte alle quali non è più possibile tacere ed è anzi doveroso
assumere insieme delle pubbliche posizioni.
È questo il caso che si è verificato nei giorni scorsi quando il disegno di
legge sulla sicurezza, che stava concludendo il suo iter dopo lunghi mesi di
acceso dibattito parlamentare dati i discutibilissimi contenuti, è stato
trasformato dal Governo in un ennesimo decreto-legge, senza che vi fosse alcuna
straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza, come la
Costituzione impone.
Tale decreto – ultimo anello di un’ormai lunga catena di attacchi volti a
comprimere i diritti e accentrare il potere – presenta una serie di gravissimi
profili di incostituzionalità, il primo dei quali consiste nel vero e proprio
vulnus causato alla funzione legislativa delle Camere. È accaduto spesso in
passato ed anche in tempi recenti che la dottrina si trovasse a denunciare l’uso
abnorme dello strumento della decretazione d’urgenza. Presidenza della
Repubblica, Corte costituzionale, Presidenti delle Camere hanno più volte preso
posizione in difesa del Parlamento e delle sue prerogative gravemente calpestate
nell’esercizio della potestà legislativa, rimanendo inascoltati.
In quest’occasione la violazione è del tutto ingiustificata e senza precedenti,
dato che l’iter legislativo, ai sensi dell’art. 72 della Costituzione era ormai
prossimo alla conclusione, quando è intervenuto il plateale colpo di mano con
cui il Governo si è appropriato del testo e di un compito, che, secondo l’art.
77 Costituzione può svolgere solo in casi straordinari di necessità e di
urgenza, al solo scopo, sembra, di umiliare il Parlamento e i cittadini da esso
rappresentati.
Quanto al merito, si tratta di un disegno estremamente pericoloso di repressione
di quelle forme di dissenso che è fondamentale riconoscere in una società
democratica. Ed è motivo di ulteriore preoccupazione il fatto che questo disegno
si realizzi attraverso un irragionevole aumento qualitativo e quantitativo delle
sanzioni penali che – in quanto tali – sconsiglierebbero il ricorso alla
decretazione d’urgenza, dal momento che il principio di colpevolezza richiede
che chi compie un atto debba poter sapere in anticipo se esso è punibile come
reato mentre, al contrario, l’immediata entrata in vigore di un decreto-legge ne
impedisce la preventiva conoscibilità.
Numerosi sono i principi costituzionali che appaiono compromessi. Solo a scopo
esemplificativo vogliamo ricordarne alcuni: il principio di uguaglianza non
consente in alcun modo di equiparare i centri di trattenimento per stranieri
extracomunitari al carcere o la resistenza passiva a condotte attive di rivolta;
in contrasto con l’art. 13 Cost. e la tutela della libertà personale è il c.d.
daspo urbano disposto dal questore che equipara condannati e denunciati; non
meno preoccupante è la previsione con cui si autorizza la polizia a portare
armi, anche diverse da quelle di ordinanza e fuori dal servizio.
Una serie di disposizioni del decreto-legge aggravano gli elementi di
repressione penale degli illeciti addebitati alla responsabilità di singoli o di
gruppi solo per il fatto che l’illecito avvenga “in occasione” di pubbliche
manifestazioni, disposizione che per la sua vaghezza contrasta con il principio
di tipicità delle condotte penalmente rilevanti, violando per giunta la
specifica protezione costituzionale accordata alla libertà di riunione in luogo
pubblico o aperto al pubblico (art. 17 Cost.) mentre altre disposizioni violano
palesemente il principio di determinatezza e di tassatività tutelato dall’art.
25 Cost.: si punisce con la reclusione chi occupa o detiene senza titolo “un
immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze”; si rischiano pene fino
a sette anni per l’occupazione di luoghi che presentano un’estensione del tutto
imprecisata e rimessa a valutazioni e preferenze del tutto soggettive
dell’interprete.
Torsione securitaria, ordine pubblico, limitazione del dissenso, accento posto
prevalentemente sull’autorità e sulla repressione piuttosto che sulla libertà e
sui diritti rappresentano le costanti di questi interventi
Insegniamo che la missione di chi governa dovrebbe essere quella di cercare un
equilibrio nel rapporto tra individuo e autorità. Invece, il filo che lega il
metodo e il merito di questo nuovo intervento normativo rende esplicito un
disegno complessivo, che tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e
antidemocratica, non episodica od occasionale ma mirante a farsi sistema, a
governare con la paura invece di governare la paura.
Confidiamo che tutti gli organi di garanzia costituzionale mantengano alta
l’attenzione e censurino questo allontanamento dallo spirito della nostra
Costituzione, che fonda la convivenza della comunità nazionale su democrazia,
pluralismo, diritti di libertà ed uguaglianza di fronte alla legge, affinché
nessuno debba temere lo Stato e tutti possano riconoscerne, con fiducia, il
ruolo di garante della legalità e dei diritti.