Salviamo la Conscience ed il popolo di GazaL’attacco alla nave umanitaria Conscience, che doveva portare aiuti alla
popolazione civile di Gaza, è cominciato prima delle esplosioni che ne hanno
squarciato la prua, e prosegue ancora con il rifiuto delle autorità maltesi di
concedere un porto sicuro alla nave, e con la complicità, silente o ipocrita,
degli Stati che stanno permettendo ad Israele lo sterminio per fame dei Gazawi,
dopo il blocco degli aiuti seguito alla fine della fragile tregua di questo
inverno. Se non è ancora chiara la dinamica dell’attacco sono evidenti le
responsabilità dei governi che lo hanno facilitato, creando le condizioni per
una sostanziale impunità, e che adesso ne stanno aggravando le conseguenze.
La nave, della Freedom Flotilla Coalition (FFC), era partita dal porto di
Biserta, sulla costa settentrionale della Tunisia, alle 20:30 di martedì 29
aprile, diretta come tappa intermedia a Malta, dove avrebbe dovuto imbarcare
alcuni attivisti internazionali. Poche ore prima dell’attacco, avvenuto nella
tarda serata di giovedì 1 maggio, il governo di Palau ritirava la bandiera della
nave, mentre questa era ancora in navigazione, lasciandola esposta ad ogni
possibile tipo di sequestro, rendendo meno sanzionabile anche un attacco armato,
come i fatti successivi hanno confermato. Senza il governo dello Stato di
bandiera che presenti una denuncia agli organi della giustizia marittima
internazionale ed alle Nazioni Unite diventa ancora più arduo, infatti,
accertare le responsabilità. Sono gli Stati, e non i privati, che possono agire
davanti al Tribunale internazionale di diritto del mare.
Non è difficile risalire a chi avrà esercitato pressioni su quel governo per
impedire che la nave potesse proseguire la navigazione con la sua bandiera. Nel
suo rapporto del 2025, “Lo stato dei diritti umani nel mondo”, Amnesty
International ha descritto il 2024 come l’anno in cui il mondo è diventato
spettatore passivo di un “genocidio trasmesso in diretta streaming” a Gaza.
Adesso dopo l’elezione di Trump e gli accordi con il premier israeliano questo
stato di illegalità internazionale si estende a tutto il Mediterraneo ed oltre,
perché evidentemente si riesce ad influire anche su Stati molto lontani, quando
si devono perpetrare altre violazioni del diritto internazionale.
Nel tardo pomeriggio di giovedì 1 maggio un C-130 dell’aeronautica
israeliana, dotato di speciali sensori di avvistamento e tracciamento, è
decollato da una base aerea a sud di Tel Aviv, per raggiungerei a bassa quota la
costa orientale di Malta, sorvolando più volte per circa un’ora il banco di
ancoraggio in acque internazionali, nella competenza della ZEE (zona di
esclusivo interesse economico) riconosciuta alle autorità maltesi. E’ anche
un’area nota per attività di contrabbando di petrolio che si svolgono sotto gli
occhi delle autorità de La Valletta, come alcune inchieste condotte in Italia
hanno dimostrato. Dopo l’attacco subito dalla Conscience, mentre era in
avvicinamento all’area di ormeggio in acque internazionali, già teatro di varie
attività illegali, l’UK Defence Journal chiedeva: “Abbiamo appena assistito
all’uso di droni vaganti dispiegati da un aereo militare con equipaggio?”.
Le prime indagini condotte dagli esperti sulle foto dell’area di coperta
colpita e dei tracciati di volo, tendono a ritenere compatibili le evidenze
delle esplosioni a bordo della nave con il rilascio in quota di droni vaganti
con cariche esplosive, direttamente dal portellone dell’aereo in volo. Inutile a
questo punto che le autorità maltesi neghino che l’aereo israeliano sia entrato
nelle acque territoriali, perchè la Coscience, quando è stata attaccata, si
dirigeva alla zona di ormeggio in acque internazionali, ad est di Malta, ma in
zona FIR e SAR maltese, 14 miglia al largo della costa de la Valletta.
Esattamente la stessa zona battuta poche ore prima dal C 130 dell’aeronautica
israeliana.
Non è del resto difficile ipotizzare che uno Stato che già nel 2010 aveva
colpito un’altra nave umanitaria che stava portando aiuti a Gaza, la Mavi
Marmara, affondandola e uccidendo dieci attivisti, lo stesso Stato che oggi
colpisce impunemente ambulanze, operatori sanitari e giornalisti, oltre a
proseguire nel silenzio della comunità internazionale la quotidiana strage della
popolazione civile nella Striscia di Gaza, abbia fatto ricorso ad un ulteriore
attacco ad una nave umanitaria in acque internazionali, che comunque risuona
come un avvertimento di morte per chiunque voglia portare aiuti al popolo
palestinese sotto assedio. Perché a questo punto sono ancora possibili altri
attacchi verso chiunque cerchi di avvicinarsi alle coste di Gaza per rifornire
la popolazione stremata dai bombardamenti e dal blocco degli aiuti umanitari.
Dopo l’impunità garantita agli aggressori della Mavi Marmara, anche per il ruolo
debolissimo giocato dalla Corte Penale internazionale, quanto avvenuto al largo
di Malta trova ancora una volta le sue cause profonde nella tolleranza verso le
violazioni del diritto internazionale commesse da Israele ai danni del popolo
palestinese. Vedremo se oggi la Corte Penale internazionale, sottoposta ad un
attacco senza precedenti, riuscirà ad indagare anche in questa direzione.
Oltre ai responsabili diretti, ce ne sono molti altri indiretti, come la stessa
stampa israeliana ha svelato. Secondo il Times of Israel, le autorità di Malta,
Grecia e Turchia hanno avvertito che avrebbero sequestrato la nave se fosse
arrivata in porto. Le autorità de La Valletta, dopo avere prestato i primi
soccorsi per spegnere l’incendio a bordo della nave, hanno negato l’ingresso in
porto per effettuare riparazioni, anche se la nave si trova nella zona SAR
(ricerca e salvataggio) maltese, ed hanno pure bloccato due piccole imbarcazioni
che con alcuni attivisti internazionali cercavano di raggiungere la Coscience.
Il governo maltese impedisce l’ingresso in porto dell’imbarcazione perché non
batte bandiera né è assicurata, anche se il diritto di passaggio degli aiuti
umanitari è garantito dalle Convenzioni di Ginevra. Di fatto con il suo
silenzio, non offre alcuna alternativa al sequestro, se la nave entrerà comunque
nelle acque territoriali maltesi, se non all’affondamento, con la perdita del
prezioso carico di aiuti che la nave trasportava per sopperire al blocco imposto
ad una popolazione ormai ridotta alla fame. La Turchia ha definito
l’attacco “inaccettabile”, ma ha negato l’autorizzazione a fare partire la nave
umanitaria dai suoi porti. Evidentemente il governo turco condivide la decisione
maltese di fare sbarcare l’equipaggio senza consentire l’ingresso in porto per
la riparazione della nave. Che tanti vorrebbero vedere affondare.
In un post su X, il Commissario europeo per l’equità intergenerazionale, la
gioventù, la cultura e lo sport, Glenn Micallef, ha condannato l’attacco
definendolo “una palese violazione del diritto internazionale, in netto
contrasto con i nostri valori europei e contrario ai principi fondamentali
dell’umanità”, aggiungendo che “Gli aiuti umanitari sono vitali per la
sopravvivenza della popolazione di Gaza, soprattutto per i bambini. Da due mesi,
i bambini della Striscia di Gaza sono privati di beni, servizi e cure
essenziali. Ogni attacco a un trasporto di aiuti, sia via terra che via mare, è
un attacco ai bambini”. Ma non basta un singolo post, occorre chiedere una
condanna formale dell’attacco alla Commissione europea. Deve essere avviata al
più presto una indagine indipendente, affidata dall’Unione europea, dal momento
che Malta è Stato membro, ad esperti internazionali.
Mentre in Italia domina un silenzio che diventa complicità in crimini contro
l’umanità, nelle prime ore di sabato 3 maggio, la Relatrice Speciale delle
Nazioni Unite per i Territori Palestinesi Occupati, Francesca Albanese, ha
lanciato l’allarme sulla sorte della nave colpita, che si trovava ancora in alto
mare: “La Conscience (nave della flottiglia) si trova attualmente al largo di
Malta e deve raggiungere un porto sicuro per riprendersi dall’attacco. Un’altra
notte in mare aperto potrebbe renderla vulnerabile a un altro attacco.”
L’arcivescovo maltese Charles Scicluna ha denunciato l’attacco contro la Freedom
Flotilla definendolo un “grave atto di aggressione” esprimendo una seria
preoccupazione sia per il popolo maltese che per la comunità
internazionale. Domenica 4 maggio alcune associazioni maltesi hanno indetto per
le 17,30 a La Valletta una manifestazione di solidarietà. Ma occorrono atti
concreti di solidarietà da parte di autorità di governo che non si vogliano
rendere complici di questo attacco che si configura oggettivamente come un
crimine contro l’umanità. La Conscience deve fare immediatamente ingresso per
ragioni di “forza maggiore” nelle acque territoriali maltesi anche per prevenire
ulteriori attacchi. In caso contrario si dovrà chiedere la sospensione o la
revoca della zona SAR maltese e la competenza sui soccorsi dovrà essere
trasferita alle autorità italiane.
Al di là di qualunque ipotesi di blocco navale per ragioni difensive e di
sicurezza, nessuna norma di diritto internazionale autorizza attacchi a navi in
libera navigazione in acque internazionali, cariche di aiuti umanitari per la
popolazione civile, anche se queste sono state private di una bandiera dallo
Stato presso cui sono state iscritte. Sono tempi in cui le alleanze tra le
grandi potenze sono state strette all’insegna della negazione del diritto
internazionale, ma è ancora possibile, anzi doveroso, operare nel rispetto della
normativa convenzionale che garantisce la sicurezza della navigazione ed il
diritto di portare soccorsi, come stabilito dalle Convenzioni di Ginevra del
1949, base del diritto internazionale umanitario.
La Prima e la Seconda Convenzione impegnano gli Stati a proteggere i feriti, i
malati, i naufraghi indipendentemente dalla parte in cui combattono, e il
personale medico, le ambulanze e gli ospedali. La Terza Convenzione regola il
trattamento dei prigionieri di guerra. La Quarta Convenzione contiene norme a
protezione dei civili in tempo di guerra. Nel 1977 sono stati approvati due
Protocolli aggiuntivi, I e II che Israele non ha ratificato. Il Primo integra
la Quarta Convenzione con regole più precise sulla condotte belliche, quali
il divieto di attaccare persone e installazioni civili von la limitazione dei
mezzi e dei metodi autorizzati. Il Secondo sviluppa l’art. 3, comune alle
quattro Convenzioni, in merito alla protezione delle vittime dei conflitti
armati non internazionali e si applica a tutti i conflitti armati.
Ciascuna Parte contraente accorderà il libero passaggio per qualsiasi invio di
medicamenti e di materiale sanitario, come pure per gli oggetti necessari alle
funzioni religiose, destinati unicamente alla popolazione civile, anche se
nemica. Essa autorizzerà pure il passaggio di qualunque invio di viveri
indispensabili, di capi di vestiario e di ricostituenti riservati ai fanciulli
d’età inferiore ai quindici anni, alle donne incinte o alle puerpere(art. 23).
Gli invii di soccorso non esonereranno affatto la Potenza occupante dalle
responsabilità che le incombono in virtù degli articoli 55, 56 e 59. Essa non
potrà sottrarre in nessun modo gli invii di soccorso alla destinazione loro
assegnata, salvo in caso di urgente necessità, nell’interesse della popolazione
del territorio occupato (art. 60). Le violazioni a queste norme sono da
considerare come crimini di guerra.
Nel più breve tempo possibile uno Stato che non condivida le violazioni del
diritto internazionale commesse dal governo israeliano, magari uno degli Stati
che si sono dichiarati pronti a riconoscere lo Stato di Palestina, deve
concedere la sua bandiera alla Conscience bloccata nella zona di ormeggio in
acque internazionali al largo della costa di Malta. La restituzione della
bandiera alla Conscience rappresenta il primo passo per evitare ulteriori
attacchi e mantenere il progetto di portare aiuti alla popolazione
palestinese sotto assedio.
Fulvio Vassallo Paleologo