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Censure per artisti, ma non per tutti, ovvero: il genocidio non conta
Abbiamo tutti assistito increduli all’annullamento dell’esibizione presso la Reggia di Caserta di uno dei più grandi direttori d’orchestra viventi, Valerij Gergiev. Motivazione? E’ russo, e non ha preso le distanze dal governo del suo paese. Che sta facendo la Russia?  Sta conducendo una guerra di risposta al mancato rispetto dell’Ucraina […] L'articolo Censure per artisti, ma non per tutti, ovvero: il genocidio non conta su Contropiano.
Lavrov torna ad attaccare l’Italia per la censura contro gli artisti russi
Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov è tornato a condannare l’annullamento del concerto in Italia del direttore d’orchestra russo Valerij Gergiev, definendolo una decisione ‘scandalosa’. Gergiev, come noto, avrebbe dovuto esibirsi a Caserta il 27 luglio con l’Orchestra Filarmonica Verdi di Salerno e i solisti del Teatro Mariinskij, ma […] L'articolo Lavrov torna ad attaccare l’Italia per la censura contro gli artisti russi su Contropiano.
Per Il Mulino sono ‘danni collaterali’: ecco i numeri di quel che accade a Gaza
In questi giorni non è passato inosservato, a numerosi accademici e colleghi, l’articolo di Sergio Della Pergola “Dominio e Legittimità, Medioriente e Occidente” del 17 luglio 2025 pubblicato sulla rivista “Il Mulino”. Nell’articolo, oltre a molteplici argomentazioni storiche e politiche del tutto fuorvianti, poiché totalmente incapaci di riconoscere minimamente un […] L'articolo Per Il Mulino sono ‘danni collaterali’: ecco i numeri di quel che accade a Gaza su Contropiano.
Cancellato Gergiev: quando l’arte si arrende al conformismo
Alla fine, il concerto del maestro russo Valery Gergiev, previsto per il 27 luglio alla Regia di Caserta nell’ambito della rassegna “Un’Estate da Re”, è stato annullato. Non per motivi artistici. Non per mancanze organizzative. Ma per un linciaggio politico-mediatico orchestrato dall’europarlameentare del Pd e vicepresidente del Parlamento europeo, Pina […] L'articolo Cancellato Gergiev: quando l’arte si arrende al conformismo su Contropiano.
Solidarietà al Dottor Eugenio Serravalle: per salvare la libertà di cura, di espressione e di divulgazione scientifica
“Mala tempora currunt”, ovvero “corrono tempi cattivi”. Ma i latini a loro volta aggiungevano: “sed peiora parantur” che significa “ma se ne preparano di peggiori”. E’ proprio quello che è successo recentemente, il 29 giugno, quando il sindaco di Rosignano Marittimo, Claudio Marabotti (eletto lo scorso anno in quota 5 Stelle), ha minacciato di revocare il patrocinio comunale all’Eco Festival della Val di Cecina se fosse salito sul palco dei relatori il dottor Eugenio Serravalle, grande pediatra, medico omeopata e divulgatore scientifico arcinoto a livello nazionale per le sue battaglie per la sana alimentazione, l’agroecologia, la difesa del latte materno, la salutogenesi, la prevenzione primaria, la salute pubblica, la libertà di cura, la libertà di scelta vaccinale, l’ecologia e l’ambiente, contro lo strapotere delle case farmaceutiche e i processi di medicalizzazione della società, oltre ad essere fondatore di AsSIS (Associazione di Studi e Informazione sulla Salute). Laureato in Medicina e Chirurgia a Pisa – Specializzato in Pediatria Preventiva e Puericultura e Patologia Neonatale a Pavia, Serravalle è diplomato in Omeopatia Classica presso la Scuola Omeopatica di Livorno Opera ed esercita come libero professionista presso lo studio privato a Pisa. Consulente e responsabile di progetti di educazione alimentare (Comune di Pisa, Asili nido e scuole materne di Uliveto Terme, Nodica, Calci, Il girotondo e Il Nido d’ape di Pisa), è docente presso l’Accademia di Omeopatia Classica Hahnemaniana di Firenze, relatore in numerose convegni e conferenze sul tema della salute in età pediatrica, oltre ad essere stato collaboratore del magistrato Ferdinando Imposimato sui temi della medicalizzazione della società e dell’ingerenza delle case farmaceutiche nelle politiche sanitarie italiane ai tempi dell’approvazione della Legge Lorenzin (119/2017). Ha collaborato con il Coordinamento del Movimento Italiano per la Libertà di Vaccinazione (Comilva) ed è membro della Commissione Medico-Scientifica Indipendente (CMSi) che si sta occupando di indagare la Covid-19 con un approccio sindemico, rigettando quello riduzionista proposto dalla narrazione ufficiale. Saggista e divulgatore scientifico sui temi della salute e delle vaccinazioni pediatriche, ha scritto numerosissimi saggi come: Bambini Supervaccinati (Edizioni Il leone verde); Tutto quello che occorre sapere prima di vaccinare proprio figlio (Edizioni SI); Vaccinare contro il tetano?; Vaccinare contro il papillomavirus? – (Edizioni Salus Infirmorum); Vaccinazioni: alla Ricerca del Rischio Minore; Coronavirus – COVID-19 —No! Non è andato tutto bene (Editore: Il Leone Verde). Quando un sindaco – rappresentante ufficiale dei principi e dei valori della nostra Carta Costituzionale su cui ha prestato giuramento – utilizza il proprio potere per censurare il diritto di parola di un medico perché non ne condivide il pensiero critico, è sintomo di una sempre più crescente deriva antidemocratica. Chi conosce il dottor Serravalle sa bene che la sua prima passione è la difesa della “verità”, un paladino della difesa del diritto alla salute contro chi la vorrebbe ridurre a mera merce di scambio in nome di profitto, mercato, marketing e business. Basta scorrere i titoli degli articoli inseriti su AsSIS per rendersi conto del suo rigore scientifico che smaschera i conflitti di interesse che si nascondono dietro alcuni vaccini, soprattutto quelli riservati all’età pediatrica. Come ha scritto Serravalle: “Avrei dovuto partecipare al Val di Cecina Eco Festival di Rosignano M.mo, per condividere riflessioni su salute e prevenzione nei bambini – temi che da anni tratto con rigore scientifico e spirito divulgativo. L’incontro è stato annullato a seguito della minaccia del Sindaco di Rosignano di revocare il patrocinio comunale all’evento, qualora io vi avessi preso parte. Così è stato riferito dagli organizzatori. Se questo è davvero accaduto, siamo di fronte a un grave atto di censura, proveniente proprio da quell’Istituzione pubblica che per sua natura e funzione dovrebbe essere garante della libertà, del confronto e dei valori costituzionali. Una forma di censura tanto più preoccupante quanto più sottile: non serve vietare esplicitamente la parola quando si può agire per vie indirette, minacciando, condizionando, scoraggiando. (…) Quando un potere politico decide chi può o non può parlare in uno spazio pubblico sulla base delle sue idee – e non dei suoi atti o della veridicità di ciò che afferma – non è più un garante della democrazia, ma un suo ostacolo. Colpisce, e addolora, che questo bavaglio arrivi da forze politiche che si dichiarano progressiste. Quelle che a parole si ispirano ai valori della partecipazione, della tolleranza, dell’inclusione, dell’onestà intellettuale. Eppure oggi sembrano dire: “Progressisti sì, ma non con chi dissente”. La libertà di parola è universale o non è. Come ammoniva Pier Paolo Pasolini: “La verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni.” E se la verità è fatta di molte voci, allora il silenzio imposto a una di esse non è protezione del bene comune, ma paura della complessità. Ricordava Norberto Bobbio che “Una democrazia senza opposizione è una contraddizione in termini.” Ed è proprio nel riconoscere la legittimità del dissenso che si misura la tenuta di una società civile e democratica. È essenziale vigilare. Non solo per difendere la mia libertà di parola, ma per la libertà di tutti: di chi la pensa come me e di chi non la pensa affatto così. Perché la libertà di espressione non è un favore da concedere, ma un diritto da rispettare. E solo attraverso un dialogo aperto, rispettoso e plurale possiamo costruire una società più giusta, più consapevole e più forte.” Ancora più grave è il fatto che la censura provenga da un sindaco proveniente dal MoVimento 5 Stelle, movimento politico nato nel 2009 ispirandosi agli ideali della decrescita, dell’ambientalismo, dell’anti-corruzione e in critica a tutti quei processi di ingerenza delle multinazionali sul “governo della vita” (per citare il giurista Stefano Rodotà) delle persone e che ne minano l’indipendenza e l’autonomia nell’agire e nello scegliere in libertà soprattutto sui temi della salute, della cura, della libertà di scelta vaccinale e dell’alimentazione. La gravità della decisione del sindaco di Rosignano di censurare un medico della statura del dottor Serravalle, noto in tutta Italia per la sua preparazione e per il suo rigore, sia dal punto di vista scientifico che umano, avrebbe trovato in Beppe Grillo, fondatore del movimento 5 Stelle, un supporter di primissimo piano. “Ma anche questo – come ha scritto la giornalista Patrizia Bardelli – è il segno dei tempi ed anche i 5 Stelle hanno perso evidentemente quella verve e quella indipendenza di pensiero critico che ha fatto del loro fondatore un caso nazionale”. Come ha dichiarato il dottor Serravalle a ToscanaToday: “La libertà di parola non serve per ascoltare chi ci rassicura, ma chi ci sfida. Non si difende quando ci è comoda: si difende quando mette in discussione le nostre certezze. Chi amministra la cosa pubblica dovrebbe onorare la Costituzione, non piegarla al proprio tornaconto o alle convenienze ideologiche. Un patrocinio negato perché qualcuno dissente è un atto di debolezza, non di autorevolezza. Io continuerò a parlare. In piazza, nei libri, nei teatri. Non per polemica, ma perché educare al pensiero critico è un atto d’amore verso la democrazia. E ricordiamolo tutti: Il silenzio degli altri non è libertà, è complicità”. Pubblichiamo la Lettera aperta del dottor Eugenio Serravalle al Sindaco di Rosignano: Egregio Signor Sindaco, ho appreso con dispiacere che la mia partecipazione all’Eco Festival di Val di Cecina è stata annullata, a seguito della Sua decisione – esplicita o implicita – di revocare il patrocinio del Comune in caso di mia presenza. Una scelta che, pur legittima sotto il profilo amministrativo, merita una riflessione pubblica più ampia, alla luce del ruolo istituzionale che Lei ricopre e dei valori che una democrazia matura è chiamata a difendere. L’articolo 21 della nostra Costituzione afferma che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.” È una dichiarazione potente, netta, nata dalle macerie del fascismo proprio per garantire che nessuna autorità, neppure la più benintenzionata, possa impedire l’espressione libera del pensiero, anche – e soprattutto – quando quel pensiero è scomodo, minoritario o controcorrente. Negare o condizionare la partecipazione a un evento culturale in base alle opinioni personali di un relatore – per quanto distanti possano essere dalle sue – non è solo una scelta discutibile: è un segnale preoccupante. Significa subordinare il dibattito alla convenienza politica, trasformando il patrocinio pubblico in uno strumento di censura indiretta. In nome di cosa? Del decoro? Della reputazione dell’ente? O, più banalmente, del timore del dissenso? Vorrei ricordare – a Lei e a chi ha deciso con Lei – che la libertà di parola non si difende quando è comoda: si difende proprio quando ci mette alla prova. Scriveva Evelyn Beatrice Hall, riassumendo il pensiero di Voltaire: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo.” Questa è la postura etica che ogni rappresentante delle istituzioni dovrebbe assumere di fronte alle opinioni altrui: non condivisione, ma rispetto; non approvazione, ma garanzia di agibilità. La mia attività, da anni, si basa sullo studio, sull’analisi dei dati scientifici, sull’invito al pensiero critico e sulla promozione della salute attraverso stili di vita consapevoli. Ho certamente espresso visioni non allineate a quelle dominanti, talvolta provocatorie, sempre argomentate e fondate su fonti scientifiche. Questo, in una società viva, dovrebbe essere accolto come una risorsa, non come una minaccia. In un festival che porta nel nome il valore dell’“eco” – ovvero dell’ambiente, della pluralità, del ritorno delle voci – non dovrebbe mai mancare lo spazio per il confronto aperto. Che messaggio riceveranno oggi i giovani, i cittadini, gli educatori, di fronte a questa censura mascherata da patrocinio? Che il dissenso va zittito? Che il pensiero critico deve restare fuori dalle piazze? Che è meglio tacere per non perdere appoggi? Eppure, proprio oggi, in un mondo sempre più conformista e polarizzato, abbiamo bisogno di tornare a educare al dubbio, al confronto, alla responsabilità del pensiero. Non esiste democrazia senza libertà di parola. Non esiste comunità sana senza la possibilità di ascoltare voci diverse. Signor Sindaco, questa lettera non è un atto di polemica, ma un appello: difendere la libertà di espressione non è un favore che si concede, è un dovere che si onora. Non per me, ma per la dignità della nostra Costituzione e per il futuro del pensiero libero nel nostro Paese. Cordialmente, Eugenio Serravalle Medico, pediatra e cittadino Lorenzo Poli
Non uccidere la speranza. Una voce libera dall’Iran. Prima parte
“Ti hanno insegnato a non splendere. E tu splendi, invece” direbbe Pier Paolo Pasolini. Le donne in Iran hanno abbattuto il muro della paura e del silenzio, provocando un cambiamento irreversibile. Lo slogan “Donna, vita, libertà” risuona nei cuori di tutte le persone che vogliono rivendicare  la propria dignità contro un regime teocratico oscurantista e autoritario, responsabile di una grave repressione, come ci racconta una voce libera dall’Iran. Per ragioni di sicurezza non pubblichiamo il suo nome. È notizia del 5 maggio 2025 che è stata ritirata una proposta di legge contro la violenza alle donne iraniane. Il Parlamento ne stava stravolgendo il contenuto, per cui i promotori hanno preferito ritirarla. La realtà purtroppo supera ogni immaginazione, La feroce repressione contro le donne e le ragazze che violano l’obbligo del velo è arrivata a un livello tale da provocare un grande movimento di protesta. Il 5 febbraio 2025, il presidente iraniano Pezeshkian ha dichiarato: «Non posso far rispettare la legge perché crea problemi alla popolazione e io non mi metterò contro il popolo».  Sembrava una svolta storica, invece la situazione attuale è ben diversa, come ci racconta una voce libera dall’Iran. Non si può neanche immaginare quanto sia bello e meraviglioso poter parlare con tutto il cuore dei terribili problemi che ho affrontato nel corso degli anni come donna in Iran. Voglio parlare della censura e della mancanza di libertà e di uguali diritti civili per le donne iraniane negli ultimi 46 anni e di come il governo della Repubblica Islamica abbia prodotto danni psicologici alle donne iraniane a causa di questa brutale repressione. Eppure le donne costituiscono il 50% della società iraniana, e nonostante tutte le difficoltà, la maggior parte è istruita e lavora in aziende importanti: molte sono manager, investitori e  anche leader nella regione che confina con i Paesi asiatici, sono capaci in tutte le professioni e cercano sempre di non restare indietro rispetto alla comunità maschile. Purtroppo le leggi della Repubblica Islamica vogliono punire e disciplinare le donne; naturalmente non colpiscono solo loro, ma danneggiano anche gli uomini liberi. Quali problemi hai affrontato in Iran? In Iran, come donna, sono costretta a rendermi più piccola, più incolore, più silenziosa, affinché il mio lavoro ottenga l’approvazione o venga semplicemente preso in considerazione. In una società in cui il patriarcato scorre nelle vene molte volte, ancor prima che il mio lavoro fosse giudicato, venivo giudicata io stessa, in quanto donna: era appropriato che parlassi così? Era giusto pensare in questo modo? E soprattutto, il mio essere donna veniva preso sul serio o venivo vista solo come un “ornamento”? I miei problemi principali sono stati questi: * Dovevo lottare mille volte di più per essere presa sul serio. * Dovevo stare attenta a non essere “troppo audace”, per non essere accusata di “scostumatezza”. * Dovevo superare migliaia di linee rosse. * Dovevo sopportare che in molti casi, solo per il fatto di essere donna, i percorsi si facessero più difficili, più lunghi e a volte del tutto chiusi. Eppure, ciò che ha tenuto in vita me e tante altre, è stato l’amore per il lavoro che faccio: una forza misteriosa che non ci consente di spegnerci, anche quando tutto intorno a noi era pieno di muri. La mia voce libera supera le linee rosse che loro hanno tracciato. Mi espongo al rischio di perdere molte cose: * La libertà individuale * La possibilità di lavorare * La sicurezza finanziaria o professionale * E a volte persino la sicurezza fisica o psicologica Infatti l’Iran considera l’esistenza di persone “libere”, “indipendenti” e “creative” una minaccia al  potere. Tollerano solo ciò che serve la loro ideologia e una donna libera per loro è pericolosa. Eppure, nonostante tutti questi pericoli, il mio esistere e il mio resistere sono un atto di ribellione. L’umanità, la libertà e la bellezza non possono essere soffocate, nemmeno nei luoghi più oscuri. Inoltre l’uso di tecnologie, come il riconoscimento facciale, i droni e le applicazioni per smartphone, serve a reprimere le donne, ed è il simbolo della fusione tra una dittatura tradizionale e strumenti moderni; il regime iraniano vuole utilizzare la tecnologia per portare il controllo sociale a un livello senza precedenti. Ci sono alcuni punti fondamentali in questo processo: * Grave violazione dei diritti umani: identificare e punire le persone per scelte personali (come il modo di vestirsi) è contrario ai principi fondamentali delle libertà individuali sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. * Normalizzazione della repressione: quando i regimi usano la tecnologia per il controllo, questi metodi rischiano di sembrare gradualmente normali, rendendo più difficile la resistenza sociale. * Diffusione della paura e della sfiducia: le persone non si sentono più sicure nemmeno per strada, nemmeno accanto agli altri, perché chiunque — persino un’applicazione per smartphone — potrebbe denunciarle. * Segno della debolezza del regime: questo livello estremo di controllo dimostra quanto sia diminuita la legittimità popolare del governo; un potere sostenuto dal consenso non avrebbe bisogno di repressione e intimidazione. D’altra parte, l’ampia opposizione popolare è un segnale molto incoraggiante. Significa che la società iraniana è cambiata in modo rilevante; molte donne e uomini non sono più disposti a obbedire ciecamente, nemmeno sotto la minaccia di essere perseguitati. Questa repressione feroce potrebbe anche peggiorare nel breve termine, ma a lungo termine nessun potere può resistere alla volontà di chi desidera la libertà. Sono ottimista, perché la tecnologia informatica può essere uno strumento di oppressione, ma anche uno strumento di resistenza e consapevolezza. Il 5 febbraio 2025 il presidente iraniano Pezeshkian ha affermato che non vuole applicare una legge ancora più repressiva contro il popolo. Poi com’è andata? Ti sembra credibile un allentamento della persecuzione guidata dai cosiddetti guardiani della rivoluzione? La situazione sta migliorando, oppure è peggiorata? La situazione in Iran è ambigua e bifronte: da un lato, le repressioni vengono svolte in modo più nascosto e mirato, con arresti silenziosi, pressioni invisibili, utilizzo della tecnologia per il controllo senza scontri diretti. Dall’altro il regime iraniano è impegnato in negoziati delicati con gli Stati Uniti, e forse anche con altri Paesi occidentali, negoziati che sono più che mai legati al futuro interno ed esterno del Paese. Questa situazione ha alcune conseguenze importanti: * Fino alla fine dei negoziati, il governo cercherà di mantenere un’apparente calma, perché non vuole che la sua immagine violenta li comprometta. * Tuttavia la repressione è ancora presente, solo in modo più nascosto, così che la società si senta insicura, ma senza che emergano notizie rilevanti. * Il risultato dei negoziati può essere determinante: se si raggiunge un accordo che dà più potere al governo (ad esempio, la rimozione delle sanzioni senza cambiamenti significativi), in seguito potrebbe esserci una repressione più visibile. Se invece i negoziati falliscono, o se il governo si sente indebolito, le condizioni potrebbero peggiorare gravemente o, al contrario, potrebbero emergere opportunità per i movimenti popolari. Mi sembra di vivere in un periodo di calma prima della tempesta; una situazione ambigua, piena di pressioni interne ed esterne. (NdR:  in questa prima parte dell’intervista è stata utilizzata l’intelligenza artificiale per tradurre, ordinare e schematizzare i contenuti, che sono invece originali) Rayman
Basta censura sui referendum, questo è un attacco alla democrazia. Petizione alla Rai
Al Consiglio di Amministrazione RAI All’amministratore delegato RAI Alla Direzione delle emittenti RAI Alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Con questa petizione pubblica denunciamo un fatto gravissimo: nonostante le interlocuzioni istituzionali e le rassicurazioni ricevute, i referendum dell’8 e 9 giugno non hanno avuto, fino ad oggi, nemmeno un minuto di copertura nei palinsesti televisivi della RAI. Non un servizio, non un approfondimento, non un dibattito. Zero minuti. Zero informazione. Zero democrazia. Questo silenzio è intollerabile. Il referendum è un diritto costituzionale, sancito dall’art. 75, e rappresenta l’unico strumento di democrazia diretta previsto dalla nostra Costituzione. Garantire ai cittadini una corretta e completa informazione sui quesiti referendari è un dovere della televisione pubblica. È, prima ancora, una garanzia democratica. Oscurare deliberatamente il referendum significa negare ai cittadini la possibilità di scegliere consapevolmente. Significa calpestare il diritto all’informazione. Significa indebolire il patto democratico su cui si fonda la Repubblica. Chiediamo con forza che la RAI — servizio pubblico finanziato con risorse pubbliche — rispetti immediatamente i propri obblighi di informazione e assicuri un’adeguata copertura dei referendum dell’8 e 9 giugno, come previsto dalla legge e dallo spirito della nostra Costituzione. Non vi stiamo chiedendo un favore. Vi stiamo chiedendo di rispettare la legge. Ogni giorno in più di silenzio è un giorno in meno di democrazia. Basta censura. La Rai dia spazio ai referendum. Ora. Link per firmare la petizione   Redazione Italia
Sorveglianza in Iran: fuori e dentro la rete
Immagine in evidenza: proteste ad Ottawa da Wikimedia Iran: il 15 marzo, durante una cerimonia a cui ha partecipato il vicepresidente iraniano per la Scienza e la Tecnologia, Hossein Afshin, la Repubblica islamica ha presentato la sua prima piattaforma nazionale di intelligenza artificiale. Una piattaforma, la cui versione finale dovrebbe essere lanciata nel marzo 2026, basata su una tecnologia open source e su un’infrastruttura nazionale che ne garantisce l’operatività anche durante le interruzioni di internet. La piattaforma include funzionalità di base come la visione artificiale, l’elaborazione del linguaggio naturale e il riconoscimento vocale e facciale. Partner chiave della nuova piattaforma è l’Università Sharif, ente sanzionato dall’Unione Europea e da altri Paesi per il suo coinvolgimento in progetti militari e missilistici, e per intrattenere rapporti con il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), o pasdaran. Il lancio di questa piattaforma giunge esattamente il giorno dopo la pubblicazione del documento delle Nazioni Unite intitolato Report of the independent international fact-finding mission on the Islamic Republic of Iran, presentato al Consiglio dei diritti umani a Ginevra il 18 marzo scorso. Il rapporto, pubblicato dopo due anni di indagini indipendenti che hanno incluso interviste a circa 285 vittime e testimoni e l’analisi di oltre 38.000 prove, rivela come le autorità iraniane, dalla fine del 2022 a oggi, abbiano intensificato l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza, droni aerei, applicazioni informatiche e software di riconoscimento facciale per monitorare la condotta dei cittadini, in particolare delle donne e il loro uso dello hijab.  Una “condotta persecutoria verso le donne”, così viene definita nel testo, la cui fase cruciale è coincisa con l’approvazione del piano Noor, lanciato nell’aprile 2024 dal Comando di Polizia della Repubblica Islamica dell’Iran (FARAJA), teso a inasprire ulteriormente le pene per chi violava la legge sull’obbligo di indossare lo hijab. E proprio in questa occasione la Repubblica islamica ha fatto ricorso all’uso dell’applicazione mobile Nazer. NAZER, “L’HIJAB MONITOR” DELLA REPUBBLICA ISLAMICA Nazer è una parola persiana che significa “supervisore” o “sorvegliante”. L’applicazione, riferisce uno studio di Filter Watch (progetto del Gruppo Miaan, organizzazione che lavora per sostenere la libertà di internet e il libero flusso di informazioni in Iran e nel Medio Oriente), funziona esclusivamente sulla National Information Network (NIN), una intranet controllata dallo Stato modellata sul Great Firewall cinese e sul RuNet russo, che mira a isolare l’internet nazionale dalla rete globale. Nazer è accessibile sul sito web della polizia e sul canale Eitaa, un’app di messaggistica domestica. Prima di poter utilizzare Nazer, i potenziali utenti e il loro dispositivo devono essere approvati dalla polizia FARAJA. Lo scopo di questa app è quello di segnalare alla polizia le donne che all’interno delle auto non indossano lo hijab in modo appropriato. La trasgressione può essere comunicata inserendo nell’app la posizione del veicolo, la data, l’ora e il numero di targa, dopodiché partirà in tempo reale un messaggio di testo alla polizia, segnalando così il veicolo. “In Nazer non è presente una tecnologia di riconoscimento facciale, e l’app non è progettata per scattare foto di volti. È possibile però scattare foto delle targhe”, riporta lo studio di Filter Watch. A settembre 2024, riferisce un nuovo report di Filter Watch, Nazer è stata aggiornata per consentire il monitoraggio delle donne presenti in ambulanza, sui mezzi pubblici o sui taxi, suggerendo come per i funzionari governativi l’applicazione delle leggi sull’hijab siano una priorità rispetto a un’emergenza medica. L’app è inoltre dotata di nuove funzioni che in futuro potrebbero essere usate per segnalare altri tipi di violazioni, come persone che protestano, che consumano alcolici, che mangiano o bevono in pubblico durante il Ramadan, e comportamenti considerati contrari alla “moralità pubblica”. Una volta che l’auto viene segnalata, la polizia procede inviando un SMS di avvertimento al proprietario. Qualora la violazione venisse ripetuta una seconda volta, l’auto verrà sequestrata elettronicamente. Alla terza infrazione sarà sequestrata sul posto e successivamente, alla quarta infrazione, sequestrata nei parcheggi designati dalla polizia.  Ottenere dati precisi sul numero delle auto confiscate non è semplice, a causa della pesante censura che vige nella Repubblica Islamica. Si parla comunque di migliaia di veicoli sequestrati in questi mesi. A riferirlo è un recentissimo articolo apparso su Etemad, giornale riformista. L’avvocato Mohsen Borhani, sentito da Etemad, ha denunciato come questi sequestri siano illegali. Borhani ha ribadito che non ci sono statistiche esatte sul numero di sanzioni effettuate, ma sulla base delle dichiarazioni di alcuni funzionari e delle indagini sul campo afferma che a migliaia di cittadini sia stata sequestrata l’auto.  LA VIDEOSORVEGLIANZA, UN’ARMA DI REPRESSIONE Oltre l’uso di applicazioni informatiche, la Repubblica islamica ha in questi ultimi mesi inasprito l’utilizzo dei sistemi di videosorveglianza. In ottobre, sulla scia dell’approvazione della Legge a sostegno della famiglia attraverso la promozione della cultura dell’hijab e della castità, legge pubblicata il 30 novembre ma poi sospesa, è stato lanciato un nuovo sistema di videosorveglianza chiamato Saptam. La funzione di Saptam è monitorare gli spazi pubblici, in particolare gli esercizi commerciali.  Questo sistema, creato in collaborazione con la polizia locale, collega le telecamere installate nei negozi ai server cloud gestiti dal sistema nazionale di telecomunicazioni, consentendo alla polizia locale di accedere ai filmati registrati. L’implementazione del sistema Saptam, riferisce Iran News Update, ha coinvolto inizialmente 39 aziende e circa 280 gruppi commerciali. Sebbene l’introduzione di questo nuovo sistema sia stata giustificata per contrastare reati, per esempio le rapine, molti temono che questa installazione venga utilizzata anche per reprimere il dissenso e monitorare l’abbigliamento delle donne.  Alireza, direttore di una piccola azienda, ha riferito a Iran International: “Non passerà molto tempo prima che installino tali sistemi di sicurezza, o meglio strumenti di controllo statale, in tutte le aziende per far rispettare l’uso dello hijab. Le mie dipendenti non sono tenute a indossare l’hijab nei nostri uffici, ma questo non sarà più possibile se consentiremo alla polizia di accedere alle nostre telecamere, perché potrebbero chiuderci”. Mentre Saeed Souzangar, attivista per i diritti digitali, in un post su X ha denunciato: “Il prossimo passo del regime sarà installare telecamere nelle nostre case. Le aziende devono resistere a questi piani abominevoli invece di arrendersi”.  La repressione attraverso apparati tecnologici non si è arrestata: tutt’altro. A dicembre, Nader Yar Ahmadi – consigliere del ministro dell’Interno e capo del Centro per gli Affari degli Stranieri e degli Immigrati del ministero dell’Interno – ha dichiarato a l’Irna, agenzia di stampa statale, che il ministero dell’Interno utilizzerà test biometrici per individuare i cittadini illegali. Questo metodo è stato adoperato dalle autorità iraniane soprattutto per contrastare l’immigrazione proveniente dall’Afghanistan. Quanto finora esposto conferma che nonostante il cambio di governo avvenuto a seguito della morte del presidente Raisi, il nuovo presidente, Masoud Pezeshkian, eletto a luglio, ha continuato ad attuare una pesante e sistematica repressione verso i cittadini e le cittadine, oltre che un vigilantismo informatico e tecnologico sponsorizzato dallo Stato. IL CONTROLLO NELLO SPAZIO DIGITALE E L’USO DELLE VPN La repressione perpetuata dalla Repubblica islamica non si limita agli spazi fisici, ma include anche un controllo sistematico dello spazio digitale. “Dopo aver imposto blocchi a internet durante le proteste e aver sviluppato la propria National Internet Network, lo Stato ha continuato a limitare l’uso di applicazioni mobili impegnandosi in una sorveglianza diffusa. Questi strumenti non sono stati utilizzati solo per restringere la libertà di opinione ed espressione, ma anche per monitorare e prendere di mira i cittadini, tra cui attivisti e giornalisti, oltre che per intimidire, soffocare il dissenso e mettere a tacere le opinioni critiche”, informa il report UN.  Le autorità iraniane hanno varato specifiche misure per impedire ai cittadini di comunicare liberamente e poter accedere a contenuti non sottoposti a censura. Nel febbraio 2024, il Consiglio supremo del cyberspazio ha per esempio vietato l’uso senza un permesso legale delle VPN (reti private virtuali). Una mossa che è servita al governo per aumentare la propria sorveglianza interna, consentendogli di raccogliere informazioni sugli utenti, nonché di tracciare le loro comunicazioni via internet e le loro attività online. Ciò è stato reso possibile anche perché, al posto delle VPN, gli utenti iraniani sono stati costretti, se volevano usufruire di piattaforme straniere, a usare proxy nazionali approvati dallo Stato, riferisce sempre il report. Per servizi essenziali, come quelli bancari, ai cittadini è stato imposto di adoperare solo app locali. Le VPN in Iran sono diventate necessarie per poter accedere ai social e a contenuti bloccati. Senza le VPN, i cittadini e le cittadine iraniane non avrebbero potuto divulgare le immagini delle proteste connesse al movimento rivoluzionario “Donna, Vita, Libertà”, denunciando così gli attacchi violenti della polizia e delle guardie rivoluzionarie contro i manifestanti, e nemmeno esprimere dissenso e coordinare le proteste. A voler aggirare il filtraggio attuato dal regime sono però anche i proprietari di piccole imprese, letteralmente paralizzate dalle riduzioni quotidiane della velocità di internet e dai contenuti bloccati.  Nonostante il 24 dicembre scorso il Consiglio Supremo del Cyberspazio abbia revocato le restrizioni per WhatsApp e Google Play, l’Iran è tra i paesi meno liberi al mondo per quanto riguarda i diritti digitali, e la rincorsa a sistemi alternativi lo conferma. Oltre alle VPN, in Iran un altro metodo per aggirare la censura è Starlink. STARLINK: UN ALTRO METODO PER AGGIRARE LA CENSURA Starlink, sviluppato da SpaceX e di proprietà del miliardario Elon Musk, è vietato in Iran. Da quando però, sul finire del 2022, gli Stati Uniti hanno revocato alcune restrizioni all’esportazione di servizi internet satellitari, Starlink è stato disponibile per migliaia di persone nella Repubblica islamica. Lunedì 6 gennaio 2025, riporta l’agenzia di stampa ILNA, Pouya Pirhoseinlou, capo del Comitato Internet dell’E-Commerce Association, ha dichiarato che in Iran sono oltre 30.000 gli utenti che utilizzano Starlink. Ciò significa che molto probabilmente si assisterà a un’ulteriore crescita dell’uso di questa tecnologia in futuro. L’accesso illimitato e ad alta velocità (qualità perlopiù assenti nell’internet nazionale iraniano) ha incrementato l’uso sottobanco di Starlink, scriveva Newsweek a gennaio. L’internet satellitare, non necessitando di server nazionali e di transitare per la rete iraniana, funziona in modo indipendente, consentendo agli utenti di accedere ai contenuti e ai siti web oscurati, impedendo inoltre alle autorità di tracciare gli utenti e di monitorare le loro azioni nel cyberspazio. Parlando dell’uso di Starlink in Iran non si può non menzionare l’ordine di acquisto da parte dell’Unità di Crisi italiana – struttura del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale – di 2 antenne e 10 abbonamenti da 50 giga di Starlink da destinare all’ambasciata italiana a Teheran. A comunicarlo è un’inchiesta dell’Espresso pubblicata il 14 Gennaio 2025. Nel documento, riportato nell’inchiesta, si legge che l’acquisto è avvenuto “al fine di assicurare la possibilità alla nostra ambasciata di mantenere attivi i collegamenti internet nel caso di interruzione delle comunicazioni terrestri” .  “La procedura prevede che le antenne vengano attivate solo per testarne il funzionamento e siano poi sospese con l’obiettivo di riattivarle solo ove si rendesse necessario”, ha riferito il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, rispondendo a un’interrogazione in Senato sul sistema satellitare Starlink. Nella medesima interrogazione del 13 marzo, Ciriani ha inoltre comunicato: “Sono state avviate alcune sperimentazioni con i sistemi satellitari Starlink presso le sedi diplomatiche in Burkina Faso, in Bangladesh, in Libano e in Iran, che dunque sono state dotate di antenne Starlink, anche se nessuna a oggi è attiva”. L'articolo Sorveglianza in Iran: fuori e dentro la rete proviene da Guerre di Rete.