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AL VIA LA CONFERENZA SULLA RICOSTRUZIONE DELL’UCRAINA (A GUERRA IN CORSO). A ROMA I RAPPRESENTANTI DI 100 STATI E 2MILA AZIENDE PRIVATE
Mentre le città ucraine continuano a essere bombardate da missili e droni (anche stanotte, con un bilancio di 2 morti e oltre 13 feriti), a Roma inizia oggi la Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina. Un evento voluto in particolare dal governo Meloni, dalla presidente della Commissione Ue von der Leyen e dal cancelliere tedesco Merz, con l’obiettivo di favorire le speculazioni del capitale transnazionale sulla guerra. Al tavolo dei negoziati siedono rappresentanti di 100 Stati e 2.000 aziende private, tutte pronte a lucrare sulla pelle di chi sta vivendo sotto le bombe. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, il commento dell’economista Emiliano Brancaccio, docente di Economia politica all’Università Federico II di Napoli. Ascolta o scarica. Nel frattempo, a margine del summit, il presidente ucraino Zelensky ha incontrato ieri il presidente della Repubblica italiana Mattarella e il capo del Vaticano, il cardinale Prevost, che ha ribadito la disponibilità ad ospitare i futuri negoziati tra Kiev e Mosca, anche se al momento non è chiaro quando e dove si svolgeranno. Il vertice, inoltre, sarà l’occasione per un nuovo incontro tra i cosiddetti “paesi volenterosi”, quelli che spingono per un approccio più aggressivo nei confronti della Russia. Per la prima volta, gli Stati Uniti sono rappresentati tramite l’inviato speciale Kellogg.
A VENEZIA ARRIVANO MELONI E PIANTEDOSI, LA RETE NO DL SICUREZZA DARÀ LORO IL “BENVENUTO” IN CITTÀ
Nel quadro del festival delle Regioni e delle Province autonome in corso a Venezia, arriveranno domani in laguna la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Per l’occasione il nodo veneziano della rete “A Pieno Regime No DL Sicurezza” ha lanciato una mobilitazione pubblica, “Meloni e Piantedosi: Welcome to Venice”. L’iniziativa si inserisce in un più ampio ciclo di proteste nazionali contro il Decreto Sicurezza, la cui approvazione finale è attesa in Parlamento nei prossimi giorni. La rete promotrice denuncia l’impianto autoritario e repressivo del provvedimento e contesta la legittimità della presenza a Venezia dei due esponenti del governo, accusati di rappresentare una politica fondata su controllo sociale, negazione dei diritti e militarizzazione dei territori. L’appuntamento per la contestazione veneziana è fissato per martedì 20 maggio, alle 10:30 in Campo Sant’Angelo, come tappa di avvicinamento alle giornate di mobilitazione nazionale del 26 e 31 maggio a Roma. Ai nostri microfoni Federica del Laboratorio occupato Morion, ci racconta i temi della mobilitazione, che vuole portare “le voci del territorio veneziano” all’interno del quale, come in tutto il resto del paese, il DL sicurezza “avrà delle conseguenze fortissime”. Venezia infatti “è una città in cui le battaglie per l’ambiente hanno fatto si che non ci fossero più le grandi navi in Laguna, una città in cui il tema della casa si fa sempre più forte e le occupazioni sono ormai l’unico modo per le persone per poter continuare a vivere qui”. A proposito della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome in corso nel capoluogo Veneto, Federica ha sottolineato come lo stesso governo che elogia “il Made in Italy, i territori, la sostenibilità, dall’altro lato sta tagliando sul welfare, sui fondi alle regioni, alle provincie, ai servizi, alle scuole, i finanziamenti per la salvaguardia dei territori dal cambiamento climatico, quando invece preferisce spostare tantissimi soldi sul riarmo e per la guerra”. L’intervista con Federica, del Laboratorio occupato Morion. Ascolta o scarica
Negri oltre Negri. Lavoro, soggettività e critica del capitale
Militante, intellettuale e interprete innovativo di Marx e del marxismo, Antonio Negri è stato una delle figure più influenti, ma controverse, del pensiero critico contemporaneo. La sua traiettoria ricca e transdisciplinare testimonia la straordinaria vitalità di una riflessione teorica e politica che, da oltre sessant’anni, è mossa da un unico obiettivo: “la ricostruzione di una forza di classe che, quanto prima, rivoluzioni questo folle mondo di sfruttamento e ingiustizia in cui viviamo”. Dalle inchieste operaie condotte negli anni Sessanta all’interno delle riviste operaiste Quaderni Rossi e Classe Operaia alla quadrilogia inaugurata da Impero (2000), passando per i lavori dedicati al formalismo giuridico, a Hegel, Keynes, Cartesio, Lenin, Marx, Spinoza e Foucault, fino ai più recenti sviluppi della sua teoria del “potere costituente” e del “comune”, Negri non ha mai separato l’esigenza di un’analisi materialista della congiuntura storica dalla passione rivoluzionaria. L’eredità teorica e politica del suo lavoro è enorme, molto complessa e in continua evoluzione, proprio come la realtà dei rapporti di sfruttamento e di dominio che ha continuamente cercato di cogliere e sovvertire. Data la sua immensa produzione intellettuale e considerando che qualsiasi selezione di testi sarebbe stata necessariamente arbitraria e incompleta, non forniremo una bibliografia di riferimento per la convegno. Ci proponiamo invece di delineare i principali sviluppi della sua carriera, per facilitare l’individuazione dei temi di discussione. Se ci limitiamo alle dimensioni della sua ricerca appena menzionate – ovvero l’analisi del capitalismo, le trasformazioni del lavoro e delle soggettività politiche – queste ci portano dall’epoca del regime fordista-keynesiano di accumulazione del capitale e della sua crisi alle cosiddette mutazioni “post-fordiste” legate al neoliberismo, all’ascesa del capitalismo cognitivo e al processo di globalizzazione del capitale. 1. La centralità dell’operaio di massa e lo sviluppo del primo operaismo La prima fase corrisponde alla formazione dell’Operaismo italiano, una delle correnti neomarxiste più innovative della seconda metà del XX secolo, con Negri, Raniero Panzieri, Mario Tronti e Romano Alquati tra i suoi principali fondatori. Questo primo Operaismo si struttura come una teoria della lotta di classe articolata su una serie di principi metodologici che, nella prospettiva di Negri, mantengono sempre una persistente validità, portandolo a opporsi con forza all’idea di una rottura tra il primo Operaismo e il cosiddetto “Post-Operaismo” che si sarebbe sviluppato a partire dagli anni Ottanta-Novanta. Quattro proposizioni riassumono il nucleo teorico, o l’invariante strutturale, dell’Operaismo di Negri: Una visione della dinamica del capitalismo che sottolinea la precedenza logica e storica dell’antagonismo del lavoro vivo rispetto alle trasformazioni del capitale. L’adozione di un approccio che adotta deliberatamente il punto di vista del lavoro, facendo del metodo della co-ricerca (cioè dell’indagine condotta con i lavoratori) lo strumento privilegiato per produrre conoscenza critica e organizzare la classe operaia. L’introduzione della nozione di “composizione di classe”, più precisamente di composizione tecnica e politica di classe, che, secondo Negri, costituisce “l’unica base materiale a partire dalla quale si può parlare di soggetto”. Una concezione del lavoro vivo come non-capitale, che Negri sviluppa in una teoria della potenziale “autonomia” del proletariato. Secondo questo approccio, mentre il capitale non può valorizzarsi senza lo sfruttamento del lavoro, il “lavoro vivo”, al contrario, potrebbe organizzare la produzione e la società al di fuori del capitale come relazione sociale. Nel corso degli anni Sessanta e della prima metà degli anni Settanta, questo approccio è stato applicato alla figura del lavoro chiamata dagli operaisti “operaio massa”, e combinato con la rilettura del Libro I de Il Capitale di Marx, e in particolare del capitolo su “Macchinismo e grande industria”, per definire i quadri analitici e i presupposti organizzativi e strategici della lotta di classe nel capitalismo industriale. A partire dai primi anni Settanta, le prospettive aperte dal femminismo marxista italiano, e in particolare dalle pensatrici militanti che collaborarono con la cattedra di Negri all’Università di Padova (come Mariarosa Dalla Costa, Leopoldina Fortunati e Alisa Del Re), giocarono a loro volta un ruolo fondamentale nella rilettura di Marx e nella comprensione delle trasformazioni del lavoro. In questo contesto, uno dei contributi di Negri, nella sua duplice veste di ricercatore accademico e militante rivoluzionario, è stato quello di evidenziare lo spostamento della “composizione di classe” dalla fabbrica alla metropoli. In questo periodo ha anche sviluppato una teoria del contropotere e del doppio potere, proponendo un rinnovamento originale della teoria di Lenin, nonché della teoria marxista del diritto costituzionale e dello Stato. Il lavoro teorico e l’organizzazione politica condotta da Negri e dai gruppi ispirati all’operaismo hanno indubbiamente alimentato l’intensità del conflitto sociale in Italia in quel periodo, quando le lotte portarono alla crisi del “compromesso fordista”. 2. La sconfitta dell’“operaio massa”, l’esperienza della repressione e dell’esilio: Verso l’elaborazione di un nuovo operaismo La prima fase dell’opera di Negri si conclude verso la fine degli anni Settanta ed è seguita dall’esperienza del carcere e dell’esilio in Francia. In quel momento, Negri diagnostica lucidamente l’esaurimento del ciclo di lotte dell’“operaio massa” – dovuto ai processi di robotizzazione e di esternalizzazione della produzione – che metteva irreversibilmente in discussione la centralità della fabbrica fordista. Allo stesso tempo, individua in modo perspicace come lo sviluppo della “fabbrica diffusa”, della terziarizzazione e del precariato vadano di pari passo con una crescente “intellettualizzazione” e “femminilizzazione” dei processi lavorativi. Secondo Negri, queste trasformazioni portano all’emergere di nuove soggettività politiche, che hanno trovato la loro prima e potente espressione nel movimento del ’77 in Italia – un laboratorio di idee e di lotte che è ancora considerato un importante riferimento per pensare il rinnovamento del pensiero e della prassi rivoluzionaria nella seconda metà del XX secolo. In questo contesto, Negri inizia l’analisi del passaggio dalla “composizione di classe” dell’“operaio massa” a quella dell’“operaio sociale”. Negri non ha mai abbandonato questa categoria, ma ha cercato di arricchirla progressivamente con nuove determinazioni, come il lavoro “immateriale”, “cognitivo”, “biopolitico”. Inoltre, da questa analisi della “composizione di classe postmoderna” Negri ha sviluppato il concetto di “moltitudine”, che rappresenta un tentativo di cogliere la soggettività politica della lotta di classe nel capitalismo globalizzato contemporaneo. In questo sforzo teorico, hanno giocato un ruolo essenziale la co-direzione della rivista Futur Antérieur con Jean-Marie Vincent, durante il suo esilio in Francia, e l’intenso dialogo con altre figure intellettuali di spicco dell’epoca, come Étienne Balibar, Giovanni Arrighi, Immanuel Wallerstein, Denis Berger, Félix Guattari, Gilles Deleuze, André Gorz e altri. In questa seconda fase del suo lavoro di ricerca, Negri è gradualmente portato ad avviare un profondo rinnovamento del primo Operaismo, secondo una logica che si sviluppa attorno a cinque assi principali: Il primo si basa sull’inchiesta operaia condotta nell’area metropolitana di Parigi. Analizzando i suoi bacini di “lavoro immateriale”, Negri e i suoi collaboratori si concentrano sulla nuova “composizione” del lavoro al centro dei processi economici che inizialmente hanno chiamato “post-fordismo” e successivamente definito “capitalismo cognitivo”. In questo quadro, l’accento è posto sulla potenziale autonomia e capacità di auto-organizzazione delle nuove figure lavorative, nonché sulla loro natura “biopolitica” e “riproduttiva”. Il secondo asse riguarda lo spostamento dell’asse di lettura dei testi di Marx. La posizione privilegiata occupata dal Capitale nel primo Operaismo viene sostituita dai cosiddetti Grundrisse, in particolare dal famoso “Frammento sulle macchine”, dove Marx sviluppa il concetto di “General Intellect” e l’ipotesi della “crisi della legge del valore”. A questo proposito, uno dei maggiori contributi di Negri rimane innegabilmente il libro Marx oltre Marx (1979). Il terzo asse riguarda l’integrazione della filosofia francese contemporanea nell’approccio dell’operaismo, in particolare le intuizioni di autori come Maurice Merleau-Ponty, Gilles Deleuze, Félix Guattari e Michel Foucault. Il dialogo con questi pensatori ha portato Negri a estendere il percorso aperto in Marx oltre Marx, sviluppando una concezione della storia, delle istituzioni e della soggettività che rompe con il paradigma dialettico hegeliano e con le visioni teleologiche dello sviluppo storico. Dalla lettura dell’opera di Foucault, Negri offre anche un’interpretazione originale della dimensione “biopolitica” insita nella resistenza del lavoro vivo alle tecnologie e ai dispositivi del “biopotere” capitalista. Il quarto asse riguarda il superamento di un approccio al rapporto capitale/lavoro che, nel primo Operaismo, si concentrava sul cosiddetto “centro” dell’economia globale. Nel libro Impero (2000), Hardt e Negri rinnovano l’operaismo attraverso un’analisi dei processi di globalizzazione capitalistica e dei nuovi orizzonti rivoluzionari che essi potrebbero aprire. Il concetto di “moltitudine” serve anche a comprendere meglio la proliferazione e la convergenza delle lotte all’interno dei movimenti di alter-globalizzazione in un orizzonte intersezionale che combina le dimensioni di classe, genere e razza su scala globale. Il quinto asse riguarda il tema del “Comune”, che Negri ha definito sia come espressione ontologica della cooperazione operaia, sia come la forma stessa attraverso cui una soggettività rivoluzionaria si organizza e crea alternative politiche. Questo asse di riflessione ha ispirato una serie di ricerche che hanno portato allo sviluppo della tesi del “Comune” come nuovo “modo di produzione”. Il convegno si propone di riunire studenti, ricercatori e attivisti, di diverse provenienze e generazioni, intorno ai vari temi sopra menzionati. L’obiettivo è proporre contributi che illuminino i concetti, le ipotesi e gli sviluppi del pensiero di Antonio Negri, evidenziandone la rilevanza e la capacità di anticipazione, ma anche le contraddizioni e i limiti che ha incontrato e/o le controversie che ha suscitato. Il programma del convegno, i partecipanti, i vari panel e gli orari della conferenza sono presentati qui sotto: Immagine di copertina tratta dalla locandina dell’evento SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Negri oltre Negri. Lavoro, soggettività e critica del capitale proviene da DINAMOpress.
IL PENSIERO POLITICO DI MAO ZEDONG: A URBINO UN CONVEGNO INTERNAZIONALE DISCUTE LA SUA EREDITÀ NEL XXI SECOLO
Il 14 e 15 maggio si tiene all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo un convegno intitolato “Il pensiero politico di Mao Zedong e la sua eredità nel XXI secolo”. L’iniziativa vede la partecipazione di studiose e studiosi da tutto il mondo e si propone di rispondere, in particolare, a due domande principali: cosa significa pensare e ripensare l’eredità di Mao, del suo pensiero e della sua prassi politica nel XXI secolo? E quale eredità si può tentare di riconoscere nel “ritorno” di Mao in Cina e nel mondo? Stefano Visentin, professore di Storia del pensiero politico all’Università di Urbino Carlo Bo e tra gli organizzatori del convegno, spiega ai nostri microfoni le ragioni e i contenuti dell’iniziativa. Ascolta o scarica. Il convegno potrà essere seguito online al link Zoom: https://uniurb-it.zoom.us/j/83690841283 Di seguito il testo di presentazione e il programma dettagliato della conferenza. Il 18 novembre 1986 (pressappoco 40 anni fa) si teneva a Urbino un convegno internazionale dal titolo “Mao Zedong. Dalla politica alla storia”, organizzato da Enrica Colletti Pischel, Emilia Giancotti e Aldo Natoli. Si trattava di un’iniziativa che intendeva, con le parole introduttive di Emilia Giancotti, “richiamare alla memoria, ridare vita a un elemento fortemente inattuale”; inattuale perché, sempre con le parole di Giancotti, “rispetto all’‘utopismo maoista’ e al cambiamento che potrebbe ad esso ispirarsi il fenomeno di rigetto è appariscente”. E, in conclusione di questa introduzione, Giancotti ricordava la presenza, nell’Istituto di Filosofia, di una frase di Mao che, scritta su una lavagna nel 1970, nel 1986 era ancora presente: “il popolo, e solo il popolo, è la forza motrice della storia mondiale”. Quell’inattualità, quel rigetto appariscente del pensiero di Mao sembra oggi essere, almeno in parte, superato. Di Mao si è ricominciato a parlare, già negli anni ‘90 con l’emergenza della cosiddetta Nuova sinistra cinese, e poi, in maniera più ampia e rivolta a un pubblico non specialista, con l’ascesa al potere di Xi Jinping, che è stato spesso paragonato a Mao dai mass media occidentali e non solo. Ma l’effige e gli slogan di Mao sono apparsi anche durante le proteste in Cina contro le politiche anti-covid, e nelle lotte operaie contro l’ipersfruttamento delle grandi fabbriche transnazionali. Al di fuori dalla Cina, anche se il pensiero maoista ha smesso da tempo di ispirare le lotte contro il colonialismo e il neocolonialismo. Nondimeno, permangono nel mondo dei focolai di resistenza alla governance neoliberale, soprattutto in India, che si rifanno alle parole d’ordine del grande timoniere. E’ a partire da questi riferimenti che nasce il convegno internazionale “Il pensiero politico di Mao Zedong e la sua eredità nel 21mo secolo (Mao Zedong’s political thought and his legacy in the 21st century)”, che vorrebbe riprendere il filo di quello del 1986, aggiornando l’analisi e però allo stesso tempo cercando di mantenere l’ispirazione originaria, ovvero quella di riflettere sulla “persistenza di un progetto, o speranza, di trasformazione”, che l’opera teorica e politica di Mao e del maoismo, aldilà dei fallimenti, delle contraddizioni, dei vicoli ciechi, ha sempre incarnato. Che cosa significa allora pensare o ripensare l’eredità di Mao, del suo pensiero e della sua prassi politica, all’altezza delle sfide poste da un 21mo secolo che sta mostrando la faccia più caotica, più bellicosa, in una parola più distruttiva del sistema capitalistico contemporaneo? Che eredità si può tentare di riconoscere nelle diversissime modalità con le quali si manifesta il “ritorno” (o se vogliamo: i “ritorni”) di Mao in Cina e fuori da essa? Se certamente ci sono indizi da scoprire, documenti da studiare, discorsi da leggere, ed eventi da comprendere, tuttavia l’eredità di Mao non può essere tutta lì, non è già “pronta” e disponibile a essere colta integralmente da questi indizi, documenti, discorsi, eventi: è necessario che alla fondamentale ricerca storiografica, sociologica, filosofico-politica si aggiunga un tentativo comune di cogliere gli aspetti non immediatamente visibili, le aperture a dei futuri possibili, o perlomeno gli strumenti per rinnovare e approfondire la critica di un presente che ci propone il ritorno della guerra, del razzismo, dei fascismi. Se questo convegno riuscisse anche in piccola misura a cogliere, nell’analisi approfondita e attenta del presente, delle tracce “di speranza, o di trasformazione” del futuro, sarebbe davvero un grande risultato. Il convegno prevede la presenza di studiosi e attivisti internazionali (Anthony Saich, Michael Schoenhals, Ranabir Samaddar, Rebecca Karl, Pun Ngai e Qian Zhong Kai) e di studiosi italiani, e si terrà a Urbino il 14 e il 15 maggio.    
La Conferenza per l’unità curda nella nuova Siria
A Qamishlo, nel cuore vivo del Rojava, là dove la guerra continua a incidere cicatrici profonde, il popolo curdo è tornato a tracciare la rotta del proprio futuro. Il 26 aprile 2025, donne e uomini provenienti dalle diverse anime della Siria del Nord-Est, dalla diaspora e dai territori martoriati del Medio Oriente, si sono ritrovati per dare forma a un passaggio che potrebbe segnare un nuovo inizio. La Conferenza per l’unità curda (The Rojava Kurdish Unity and Common Stance Conference) non è stata semplicemente un’assemblea politica, ma la manifestazione concreta di una volontà collettiva che non ha mai smesso di cercare spazi di espressione. Un tentativo consapevole e determinato di rispondere a una lunga stagione di disgregazione con una proposta di convergenza e di visione condivisa. L’incontro ha rappresentato anche uno dei primi e più significativi appuntamenti politici successivi al crollo del regime siriano avvenuto l’8 dicembre 2024: un evento spartiacque, che ha aperto scenari inediti ma anche nuove responsabilità per tutte le componenti sociali e politiche del paese. In un territorio devastato da decenni di repressione e sfollamenti forzati, hanno preso la parola movimenti sociali, attiviste e attivisti indipendenti, organizzazioni del movimento delle donne e formazioni politiche, uniti dalla consapevolezza che, in questo momento cruciale di transizione, il popolo curdo deve farsi trovare pronto, con una voce unitaria e una prospettiva politica autonoma. Un incontro, dunque, che affonda le sue radici nell’esperienza rivoluzionaria del Rojava e nel corpo vivo di una collettività che si fa voce, reclamando il diritto all’esistenza e alla partecipazione nella nuova geografia politica della Siria. I lavori sono stati inaugurati da un intervento del comandante generale delle Forze Democratiche Siriane, Mazloum Abdi, che ha richiamato l’attenzione sull’appello per la pace lanciato da Abdullah Öcalan il 27 febbraio scorso, definendolo un passaggio cruciale per rafforzare la coesione interna. Abdi ha ribadito l’impegno delle SDF a sostenere ogni iniziativa orientata alla costruzione di una piattaforma condivisa, ispirata ai principi di convivenza democratica, giustizia e autodeterminazione. In un contesto segnato da divisioni storiche e da persistenti incertezze, ha invitato le forze politiche e sociali curde a superare le logiche di frammentazione e a convergere verso una visione comune. In questo contesto, trovano spazio anche voci indipendenti, come quella di Bakthiar, medico originario di Kobane e presente alla conferenza. Lo abbiamo intervistato nei giorni successivi all’evento e ci ha descritto con chiarezza la necessità di un nuovo paradigma istituzionale, capace di rispecchiare la complessità sociale e culturale della Siria: «La decentralizzazione è la soluzione migliore per il futuro della Siria, considerando la sua struttura sociale, fatta di nazionalità, confessioni, religioni ed etnie. Tutti ne sono consapevoli, ma sembra che questo obiettivo richieda ancora del tempo per essere realizzato». Il crollo del regime baathista ha rappresentato una frattura irreversibile nella storia siriana, aprendo uno spazio politico che per decenni era stato soffocato dalla repressione delle differenze. In questo scenario, il popolo curdo ha colto la possibilità di affermare la propria soggettività storica, come anche di contribuire a un nuovo ordine democratico per il paese. La conferenza ha rilanciato con forza una visione della Siria fondata sul riconoscimento costituzionale della pluralità: un assetto in cui l’identità curda sia pienamente riconosciuta come elemento strutturale di una convivenza equa e duratura. Continua Bakthiar: «I Curdi hanno da sempre avuto una presenza in Siria, in particolare sul piano politico. Nel corso dell’ultimo secolo di vita politica siriana, più di un presidente è stato di origine curda. Solo durante l’epoca baathista tutte le componenti furono escluse dalla vita politica e in modo particolare i Curdi. Le sfide che il movimento curdo si trova ad affrontare non si limitano al contesto siriano, ma coinvolgono anche le potenze regionali, i Paesi confinanti, i loro interessi, la fobia per una presunta spartizione del territorio e le preoccupazioni legate alla sicurezza nazionale. I Curdi, come ogni altra forza attiva in Siria, non perdono di vista l’evoluzione del quadro politico. Esiste un ampio ventaglio di partiti e movimenti e il dissenso tra posizioni diverse è del tutto naturale. Tuttavia, alla luce degli eventi che hanno scosso la Siria e del crollo del regime, per il movimento curdo è emersa con chiarezza la necessità di modulare le proprie strategie e di riconoscere il valore dell’unità, tanto nella composizione interna quanto nell’elaborazione politica. Questa evoluzione è il risultato dell’impegno portato avanti dalle diverse componenti curde e dei loro sforzi per incidere in modo concreto sulla leadership attiva nel contesto siriano». Tra i contributi alla conferenza, sono emersi appelli convergenti sull’importanza dell’unità e del dialogo. Massoud Barzani, leader del Partito Democratico del Kurdistan in Iraq, ha ribadito il sostegno a soluzioni pacifiche e diplomatiche, esortando le forze curde a fare dell’unità un obiettivo politico concreto. Un messaggio è giunto anche dal Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), che ha indicato nell’unità nazionale lo strumento più efficace per contrastare pressioni esterne e divisioni interne, spesso sfruttate dalle potenze occupanti. A sua volta, il Partito dell’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) ha sottolineato il valore strategico della convergenza tra forze politiche curde, pur nella diversità delle posizioni, come base imprescindibile per costruire un percorso condiviso e credibile. Una prospettiva, questa, che trova riscontro anche nelle parole di Bakhtiar: «Gli sforzi di Masoud Barzani e il processo di pace in Turchia con Abdullah Öcalan hanno avuto un ruolo positivo nel successo di questo percorso. La presenza di delegazioni e messaggi da parte dei partiti curdi ne rappresenta, naturalmente, la prova più evidente». Riflettendo sugli esiti dell’incontro, Bakthiar ha sottolineato l’importanza del nuovo corso intrapreso: «Uno dei risultati più importanti della recente conferenza è stata la formazione di una delegazione curda congiunta, comprendente tutte le forze politiche e le personalità indipendenti, incaricata di negoziare con il governo centrale di Damasco. Si tratta di un’evoluzione estremamente significativa e positiva, destinata ad avere un impatto favorevole sul futuro della regione». A conclusione della conferenza, il documento finale approvato a Qamishlo traccia una proposta politica articolata, che combina rivendicazioni storiche con una visione inclusiva per il futuro della Siria e restituisce l’immagine nitida di un progetto politico fondato sul pluralismo e sull’esigenza di una profonda trasformazione sociale. La partecipazione ampia e visibile delle organizzazioni del movimento delle donne ha ribadito come la questione della parità di genere attraversi ogni livello del dibattito curdo, definendo una pratica politica in cui l’autodeterminazione si intreccia a una riformulazione radicale dei rapporti di potere. In Rojava, la liberazione delle donne non rappresenta un segmento separato, ma il centro propulsivo di un immaginario condiviso. Su questo sfondo si misurano oggi tensioni interne e minacce esterne. La frammentazione politica resta una vulnerabilità aperta, mentre all’esterno i segnali di ostilità si moltiplicano. La Turchia ha ribadito la propria decisa opposizione a qualsiasi forma di riconoscimento politico o istituzionale dell’identità curda nel contesto siriano. Coerente con questa linea, il leader del Partito del Movimento Nazionalista (MHP), Devlet Bahçeli, ha rivolto dure critiche alla conferenza di Qamishlo, accusandola di rappresentare una minaccia all’integrità territoriale della Siria. Nel frattempo il governo siriano difende strenuamente la propria architettura centralista. Non si è fatta attendere, infatti, la reazione di Damasco che, già il 27 aprile, ha accusato le SDF di aver violato l’accordo nazionale siglato il 10 marzo con la presidenza transitoria, riaccendendo le tensioni sul futuro assetto istituzionale del Paese. Nel mirino del governo, il sostegno riaffermato durante la conferenza a un modello di governance decentralizzato e pluralista promosso dall’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est, che la presidenza siriana ha definito una minaccia all’unità nazionale e un tentativo unilaterale di imporre nuovi equilibri nel Nord-Est del Paese. In questo equilibrio fragile, l’unità delle forze curde si configura come uno strumento essenziale per affermare legittimità politica, consolidare una rappresentanza autonoma e opporsi all’isolamento e alla cancellazione. La sfida, oggi, consiste nel rafforzare una voce politica autonoma, radicata nell’esperienza rivoluzionaria e capace di aprire orizzonti di democrazia condivisa e farsi spazio in un processo di transizione incerto, ma ancora aperto a scenari di trasformazione reale. Tutte le immagini presenti nell’articolo mostrano la Conferenza per l’unità curda del 26 aprile e sono state fornite da Rojava Information Center SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. 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