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La causa contro Trump per il supporto alla “bomba” Mozambique LNG. Il ruolo dell’Italia.
Articolo pubblicato su Altreconomia, 22 luglio 2025 Diverse organizzazioni internazionali hanno promosso un ricorso negli Usa contro l’amministrazione statunitense per aver concesso garanzie da 4,7 miliardi di dollari al contestato progetto fossile della multinazionale TotalEnergies, coinvolta nella vicenda del “massacro dei container”. Anche l’Italia ha un ruolo chiave nel supporto pubblico del sito estrattivo di gas con SACE e Cassa depositi e prestiti. Le organizzazioni Friends of the Earth Stati Uniti e Justiça Ambiental/Friends of the Earth Mozambico, rappresentate da EarthRights International, il 15 luglio scorso hanno intentato dinanzi al tribunale federale per il Distretto di Columbia, Washington D.C., una causa per contestare l’illegittima approvazione da parte dell’agenzia di credito all’esportazione statunitense Export-Import Bank (Exim) di un finanziamento di 4,7 miliardi di dollari per il progetto Mozambique LNG, in capo alla multinazionale francese TotalEnergies. Il progetto ha causato lo sfollamento di migliaia di persone dalla penisola di Afungi, a Cabo Delgado, nel Nord del Paese africano, ed è stato teatro di presunte violazioni dei diritti umani, consumatesi in un contesto segnato da un ormai annoso conflitto che causato più di 4mila vittime, e avrà gravi ripercussioni sull’ambiente e il clima. Eppure, come si legge nel ricorso, Exim ha confermato in fretta e furia lo stanziamento della somma senza condurre le necessarie analisi socio-ambientali né la valutazione economica, così come non c’è stato nessun controllo da parte del Congresso degli Stati Uniti. L’agenzia di credito Usa non ha poi rispettato la sua stessa carta fondante e le leggi federali, creando così un pericoloso precedente per le decisioni future. Nel febbraio 2025 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha nominato il consiglio di amministrazione di Exim senza il consenso del Senato. Solo poche settimane dopo, a marzo, il Cda “ad interim” dell’agenzia, costituito in modo improprio, ha annunciato l’approvazione finale dell’ingente prestito, in fase di stand-by dal 2021. Lo ha fatto nonostante il conflitto armato in corso e la connessa crisi umanitaria, e a dispetto del fatto che TotalEnergies avesse invocato la forza maggiore più di quattro anni fa, interrompendo le operazioni di costruzione del mega-progetto. L’impianto per l’estrazione e la liquefazione di gas della multinazionale francese è stato oggetto di un’inchiesta giornalistica pubblicata a settembre del 2024 da Politico, in cui è emerso che tra giugno e luglio del 2021 un gruppo di militari dell’esercito mozambicano -all’epoca supportato finanziariamente e materialmente da TotalEnergies- avrebbe commesso violenze configurabili come crimini di guerra proprio mentre difendeva il sito di Mozambique LNG: è il cossiddetto “massacro dei container”. Nell’indagine giornalistica si evidenziava come TotalEnergies potesse essere a conoscenza di questi possibili crimini di guerra e, secondo un’inchiesta pubblicata successivamente da Le Monde e Source Material, fosse anche a conoscenza della condotta violenta dell’esercito mozambicano nei confronti della popolazione civile ben prima dei fatti di giugno e luglio 2021, grazie ad alcuni documenti ottenuti da ReCommon tramite una richiesta di accesso agli atti rivolta a Cassa depositi e prestiti. I lavori per la costruzione del progetto sono stati interrotti per causa di forza maggiore ad aprile 2021 e sono tuttora inattivi. Proprio per fare luce sulle violazioni dei diritti umani configurabili come potenziali crimini di guerra, il 17 luglio 2025 i capi locali -leader tradizionali- di Palma, Cabo Delgado e di 15 villaggi circostanti, con il supporto di 66 organizzazioni internazionali tra cui ReCommon, hanno formalmente richiesto all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) di avviare un’indagine indipendente su quanto accaduto tra giugno e luglio del 2021 in prossimità del sito di Mozambique LNG. In merito all’accennato coinvolgimento italiano, vale la pena ricordare che lo scorso gennaio, in risposta all’interpellanza urgente sulla questione presentata dal deputato Angelo Bonelli e firmata da altri nove deputate e deputati di Alleanza verdi e sinistra, il Governo Meloni aveva confermato che l’agenzia di credito all’esportazione italiana SACE e Cassa depositi e prestiti (Cdp), due istituzioni finanziarie dello Stato, sosterranno finanziariamente Mozambique LNG. Una decisione presa nel silenzio più totale già a gennaio del 2024, senza aver svolto ulteriori valutazioni di natura ambientale e, soprattutto, sociale, dopo quelle del giugno 2017. I punti in comune con il caso di Exim sono tanti ma in questo caso è stata l’Italia a fare da apripista, gettando le basi per un soccorso “da destra” a TotalEnergies. Ecco dunque i frutti della “relazione privilegiata” tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e Donald Trump: finanziamenti a bombe sociali e climatiche, maggiore import di gas liquefatto in sprezzo alla povertà economica ed energetica di milioni di cittadini italiani, aumento della spesa a favore degli armamenti e tagli al welfare. Luca Manes, ReCommon
SACE “Vogliamo lavorare in pace!”
Per un’istituzione che non era mai stata “colpita” da scioperi nella sua storia, doverne registrare ben due nello spazio di poco più di un mese è quanto meno significativo. È successo alla SACE, l’assicuratore di Stato controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). Venerdì 27 giugno, più di 30 lavoratrici e lavoratori di SACE in sciopero si sono dati appuntamento in via XX Settembre, sede del MEF, per un presidio rumoroso e colorato, a fare da contraltare al contenuto grave delle denunce rivolte al top management di quella che, in questo momento, è l’agenzia pubblica più importante in Italia. Denunce riportate negli stessi cartelli branditi verso il cielo della canicola romana: “SACE, vogliamo lavorare in pace”; “Rispetto degli accordi, basta violazioni”; “SACE: più trasparenza, meno propaganda”. ReCommon era presente per esprimere solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori, perché la connessione tra il nostro lavoro e le motivazioni che gli hanno spinti a scioperare è più forte di quanto si possa immaginare. Manifestanti di fronte al MEF – 27 giugno 2025 L’operatività di SACE è portata avanti per lo più attraverso le “classiche” garanzie sui prestiti e, più recente, con il programma Push Strategy, che permette a SACE di garantire finanziamenti a controparti estere che si impegnano ad aumentare gli acquisti di beni e servizi dall’Italia. Tuttavia al momento non si riscontra alcun ritorno certo per l’economia italiana, anzi. Già un mese fa il quotidiano La Verità lasciava intendere che alcune operazioni fossero già andate in default. Come riportato da Domani e Il Manifesto in occasione dello sciopero del 22 maggio scorso, la Push Strategy è allo stesso tempo punta dell’iceberg ed elemento tangibile delle gravi vicende che stanno accadendo dentro SACE. Poco più di un mese fa, infatti, Fisac CGIL e First CISL hanno indetto il primo sciopero di sempre per le e i dipendenti dell’assicuratore pubblico. Alla base c’è anche quello che i sindacati chiamano “problema della autonomia delle funzioni di controllo interno”, nonché di un’approssimazione degli stessi controlli interni che viene presentata come semplificazione: con lavoratori e lavoratrici costantemente sotto pressione, senza un organigramma chiaro o che accorpa ai vertici funzioni cardine, la due diligence sulle operazioni viene meno. Un problema, quest’ultimo, che ReCommon denuncia da anni. Nel 2023 era pronta un’operazione di Push Strategy in favore di Petroperù, società petrolifera peruviana costantemente sull’orlo del default, poi ritrattata solo grazie alla pressione esercitata da varie organizzazioni della società civile italiana e internazionale, nonché dalle comunità impattate dall’operato di Petroperù. Un esemplificativo di una vigilanza economica, sociale e ambientale scarsa. Tra le operazioni garantite da SACE – in questo caso non afferente al programma Push Strategy – dove rileva una scarsa due diligence, c’è il progetto di estrazione e liquefazione di gas Mozambique LNG di TotalEnergies in Mozambico, su cui aleggia la pesante ombra di crimini di guerra, trovandosi per di più in una zona di conflitto armato attivo. Si è venuto a sapere di recente che SACE ha confermato la sua partecipazione finanziaria al progetto nel più totale silenzio già a gennaio del 2024, e senza aver condotto ulteriori valutazioni rispetto a quelle del 2017. Inoltre, secondo un’inchiesta condotta da Le Monde e SourceMaterial, molte istituzioni finanziarie – tra cui SACE – erano a conoscenza della condotta violenta dell’esercito mozambicano ben prima dei fatti ascrivibili come potenziali crimini di guerra. Per tutti questi casi, non stiamo parlando quindi solo di rischi ambientali e sociali, ma anche di credito. SACE espone quindi le casse pubbliche italiane al rischio di sborsare centinaia di milioni di euro in un periodo storico dove le crisi economiche si susseguono, e questi soldi potrebbero essere impiegati per attività a favore della collettività, e non per quelle a favore degli interessi delle multinazionali, che si traducono in profitti miliardari. Un vero e proprio gioco d’azzardo con soldi pubblici, motivo per cui è quanto mai necessario che le forze politiche presenti in Parlamento puntino i riflettori su SACE e istituiscano una Commissione parlamentare di vigilanza sull’agenzia, nonché chiedano l’implementazione di una consultazione pubblica per arrivare a una seria politica sul clima e l’ambiente, e per aumentare gli standard di trasparenza dell’ente.
Il greenwashing di Intesa Sanpaolo
Nel 2024, la Great Green Investment Investigation, inchiesta giornalistica guidata dalle piattaforme olandesi Follow the Money e Investico, ha preso in esame 1.277 fondi di investimento che utilizzavano la sigla “ESG” nel proprio nome e li ha confrontati con i database sull’industria fossile messi a disposizione dalla ong tedesca Urgewald. Oltre il 40% di questi fondi “sostenibili” erano in realtà investiti in compagnie di combustibili fossili. Un dato che denuncia, in termini concreti, il problema del greenwashing nel settore finanziario, evidenziando come una quota rilevante di fondi “ESG” possa includere attività contraddittorie rispetto agli obiettivi dichiarati. Avendo notato il problema significativo del greenwashing nei fondi finanziari sotto la sua supervisione, l’ESMA (European Securities and Markets Authority) ha introdotto nel maggio 2024 delle nuove linee guida volte a combattere pratiche ingannevoli di finta sostenibilità, garantire maggiore trasparenza e responsabilità nelle valutazioni ambientali, uniformare e rafforzare l’integrazione dei criteri ESG nei processi di investimento e reporting all’interno del mercato finanziario europeo. Nello specifico, tra i diversi criteri di esclusione presenti nella nuova normativa ESMA, i fondi di investimento allocati nel mercato europeo e che presentano nel proprio nome termini relativi ad “ambiente”, “impatto”, “sostenibilità” devono escludere quelle corporation che derivano una parte significativa dei ricavi da: * Estrazione di carbone fossile e lignite * Estrazione, raffinazione o distribuzione di petrolio e gas * Produzione di energia elettrica con un’intensità di emissioni di gas serra superiore a 100g CO₂e/kWh Un impatto diretto? Nel mercato europeo, industrie del comparto fossile come Eni e Snam non dovrebbero più rientrare in fondi di investimento che utilizzano termini legati a ESG. Questo è quello che ha portato Eurizon, asset manager della prima banca italiana Intesa Sanpaolo, a dover togliere il riferimento ESG da alcuni dei propri fondi tra cui il fondo “Eurizon Bond Corporate Smart ESG”, di circa 246 milioni di euro, che è diventato “Eurizon Bond Corporate EUR LTE”. Una scelta di comodo: togliere il riferimento all’ESG invece di fare pulizia e disinvestire finalmente dalle compagnie di combustibili fossili presenti nel fondo tra cui Eni, Snam, Exxon, Shell, TotalEnergies. Fino a pochi giorni fa, un fondo di investimento pieno delle major del settore oil&gas veniva venduto come “sostenibile”. Nonostante le nuove linee guida dell’ESMA rappresentino un importante passo avanti per sopperire alla discrepanza sostanziale tra le dichiarazioni di sostenibilità e le reali esposizioni agli asset considerati non sostenibili, i criteri dell’autorità europea non escludono esplicitamente quelle compagnie che stanno espandendo il proprio business nel settore del carbone, petrolio e gas e che quindi non sono allineate con gli obiettivi degli Accordi di Parigi. È necessario quindi un urgente intervento regolatorio più ambizioso ed incisivo per porre fine all’abuso del termine ESG che maschera un greenwashing sistemico. Nel frattempo, il 20 Maggio, Snam ha emesso un nuovo Sustainability-Linked Bond di due miliardi di dollari, destinato principalmente al mercato statunitense. Si tratta del più grande Sustainability-Linked bond in dollari mai emesso da una corporation europea e segna il debutto di Snam sul mercato USA. È il segnale di una fuga dai vincoli UE? Una strategia per mantenere accesso a funding “green” in mercati meno normati? 
Assemblea degli azionisti 2025, Intesa Sanpaolo si conferma la prima banca fossile italiana
Roma, 29 aprile 2025 –Intesa Sanpaolo, la più importante banca italiana, continua ad aumentare i suoi finanziamenti e investimenti a favore di petrolio e gas. Nel giorno della sesta assemblea degli azionisti consecutiva a porte chiuse, l’istituto di credito torinese ha risposto alle domande scritte presentate da ReCommon di fatto ribadendo il suo forte e incessante impegno in favore del comparto fossile. Nel 2024, i finanziamenti a carbone, petrolio e gas da parte del Gruppo Intesa Sanpaolo sono aumentati del 18% e ammontano a 11 miliardi di dollari. Anche gli investimenti sono in crescita: a gennaio 2025 sono saliti del 16% rispetto al gennaio 2024, per un totale di 10 miliardi di dollari. ENI si conferma come la multinazionale più finanziata da Intesa Sanpaolo tra quelle con i maggiori piani di espansione nell’estrazione di energie fossili su scala globale. Anche SNAM, colosso europeo nel trasporto di gas, entra con forza negli interessi della prima banca italiana, con un innalzamento del 60% negli investimenti e quasi un raddoppio (96%) dei finanziamenti nel 2024 rispetto all’anno precedente. Di fatto Intesa Sanpaolo non ha risposto in maniera adeguata alle domande poste da ReCommon sui numerosi progetti fossili sostenuti, ribadendo che non intende apportare significativi aggiornamenti sulle sue policy relative al carbone e all’oil&gas, nonostante numerosi competitor europei si stiano muovendo con più coraggio nella direzione di ridurre il sostegno al comparto fossile: le francesi BNP Paribas e Crédit Agricole, per esempio, dall’anno scorso hanno smesso di comprare bond nel settore oil&gas, mentre l’olandese ING ha interrotto i finanziamenti alle compagnie con nuovi progetti di estrazione di petrolio e gas e dall’anno prossimo smetterà di finanziare nuovi progetti per terminal di esportazione del GNL. Tuttavia, le linee guida che si è data la banca torinese impedirebbero finanziamenti a progetti in Paesi dove sono in atto conflitti armati, come in Mozambico, dove Intesa Sanpaolo potrebbe entrare a sostegno dei nuovi impianti per l’estrazione del gas al largo della costa e su terra promossi da ENI che rispondono rispettivamente al nome di Coral North FNLG e Rovuma LNG. Anche su questo punto però non c’è chiarezza, mentre vale la pena rammentare che l’altro principale istituto di credito italiano, UniCredit, già dal 2023 aveva dichiarato che non finanzierà Rovuma LNG e lo scorso ottobre si è chiamato fuori anche da Coral North FNLG, progetto che attualmente è in attesa di chiudere l’accordo di investimento e su cui Intesa invece non si è mai espressa nonostante le sollecitazioni da parte di numerose organizzazioni della società civile internazionale.  I progetti per l’estrazione del gas nella provincia settentrionale del Mozambico di Cabo Delgado hanno contribuito a esacerbare una situazione già profondamente segnata dal conflitto in atto promosso da milizie islamiste, che finora ha provocato oltre 4mila vittime e circa un milione di sfollati. «Intesa Sanpaolo dovrebbe prendere posizione pubblicamente evitando di finanziare nuovi progetti di estrazione e liquefazione in Mozambico, considerata anche la profonda crisi che sta attraversando il Paese, e fare così un passo in controtendenza rispetto ai grandi investimenti nel settore del GNL degli ultimi anni e il forte sostegno a Eni che proprio in Mozambico è capofila dei progetti Coral North FLNG e Rovuma LNG» ha dichiarato Susanna De Guio di ReCommon.  «Ci sorprende inoltre che le assemblee degli azionisti della più importante banca italiana continuino a svolgersi a porte chiuse, azzerando la partecipazione democratica che noi di ReCommon abbiamo esercitato attraverso lo strumento dell’azionariato critico» ha dichiarato Daniela Finamore di ReCommon.