Il greenwashing di Intesa Sanpaolo

ReCommon - Tuesday, June 10, 2025

Nel 2024, la Great Green Investment Investigation, inchiesta giornalistica guidata dalle piattaforme olandesi Follow the Money e Investico, ha preso in esame 1.277 fondi di investimento che utilizzavano la sigla “ESG” nel proprio nome e li ha confrontati con i database sull’industria fossile messi a disposizione dalla ong tedesca Urgewald. Oltre il 40% di questi fondi “sostenibili” erano in realtà investiti in compagnie di combustibili fossili.

Un dato che denuncia, in termini concreti, il problema del greenwashing nel settore finanziario, evidenziando come una quota rilevante di fondi “ESG” possa includere attività contraddittorie rispetto agli obiettivi dichiarati.

Avendo notato il problema significativo del greenwashing nei fondi finanziari sotto la sua supervisione, l’ESMA (European Securities and Markets Authority) ha introdotto nel maggio 2024 delle nuove linee guida volte a combattere pratiche ingannevoli di finta sostenibilità, garantire maggiore trasparenza e responsabilità nelle valutazioni ambientali, uniformare e rafforzare l’integrazione dei criteri ESG nei processi di investimento e reporting all’interno del mercato finanziario europeo.

Nello specifico, tra i diversi criteri di esclusione presenti nella nuova normativa ESMA, i fondi di investimento allocati nel mercato europeo e che presentano nel proprio nome termini relativi ad “ambiente”, “impatto”, “sostenibilità” devono escludere quelle corporation che derivano una parte significativa dei ricavi da:

  • Estrazione di carbone fossile e lignite
  • Estrazione, raffinazione o distribuzione di petrolio e gas
  • Produzione di energia elettrica con un’intensità di emissioni di gas serra superiore a 100g CO₂e/kWh

Un impatto diretto? Nel mercato europeo, industrie del comparto fossile come Eni e Snam non dovrebbero più rientrare in fondi di investimento che utilizzano termini legati a ESG. Questo è quello che ha portato Eurizon, asset manager della prima banca italiana Intesa Sanpaolo, a dover togliere il riferimento ESG da alcuni dei propri fondi tra cui il fondo “Eurizon Bond Corporate Smart ESG”, di circa 246 milioni di euro, che è diventato “Eurizon Bond Corporate EUR LTE”. Una scelta di comodo: togliere il riferimento all’ESG invece di fare pulizia e disinvestire finalmente dalle compagnie di combustibili fossili presenti nel fondo tra cui Eni, Snam, Exxon, Shell, TotalEnergies. Fino a pochi giorni fa, un fondo di investimento pieno delle major del settore oil&gas veniva venduto come “sostenibile”.

Nonostante le nuove linee guida dell’ESMA rappresentino un importante passo avanti per sopperire alla discrepanza sostanziale tra le dichiarazioni di sostenibilità e le reali esposizioni agli asset considerati non sostenibili, i criteri dell’autorità europea non escludono esplicitamente quelle compagnie che stanno espandendo il proprio business nel settore del carbone, petrolio e gas e che quindi non sono allineate con gli obiettivi degli Accordi di Parigi. È necessario quindi un urgente intervento regolatorio più ambizioso ed incisivo per porre fine all’abuso del termine ESG che maschera un greenwashing sistemico.

Nel frattempo, il 20 Maggio, Snam ha emesso un nuovo Sustainability-Linked Bond di due miliardi di dollari, destinato principalmente al mercato statunitense. Si tratta del più grande Sustainability-Linked bond in dollari mai emesso da una corporation europea e segna il debutto di Snam sul mercato USA. È il segnale di una fuga dai vincoli UE? Una strategia per mantenere accesso a funding “green” in mercati meno normati?