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Il diaconato femminile fa paura alla Chiesa
E ancora una volta arriva una sferzata alle donne nella Chiesa Cattolica: no al diaconato femminile. A novembre 2023 intervistai la teologa Selene Zorzi dopo il no categorico della Chiesa al sacerdozio femminile, che già inaugurava un no ferreo al possibile diaconato delle donne. Affermava Zorzi: “I sinodi prospettano idealmente dialogo, ma di fatto sono tristi consessi dalla maggioranza di uomini maschi, di una certa età, abituati a stare al mondo da privilegiati. Alle poche donne che ci sono, trattate in modo paternalistico, sembra venir concessa libertà di parola, ma in un contesto di minoranza ove ogni parola divergente viene guardata con la tenerezza di ciò che alla fine non potrà mai andare a sconvolgere troppo le linee di fondo di un sistema statico, lento e lutulento. In generale la Chiesa cattolica ha tempi tutti suoi, lunghi, non certo quelli della vita delle persone di questo mondo in rapidacion, e quindi non ci si può aspettare da essa risposte in tempo per le questioni delle nostre vite singole e brevi. Ci arriverà, ma con i suoi tempi. Ma per fortuna la chiesa istituzionale non coincide con la chiesa escatologica.” A quanto pare la Chiesa ha davvero tempi suoi e sempre troppo lunghi. Papa Francesco ha eliminato d’amblais l’impedimentum sexus che grava per diritto canonico sull’esclusione delle donne dall’ordine, solo che l’ha eliminato solo per i ministeri. Ciò però dimostra che non ci vorrebbe poi tanto, solo un po’ di buona volontà. come disse la Zorzi: “L’errore è guardare alla tradizione pensando si tratti di qualcosa di monolitico, presente fin dall’inizio in modo unitario e immodificabile. Invece studiando anche solo un po’ la storia della teologia ci si rende conto che la tradizione è andata avanti proprio perché si è sempre modificata riuscendo ogni volta a superare nuove sfide e così a rinnovarsi.” Don Fabio Corazzina La sintesi della Commissione di Studio sul Diaconato Femminile, composta ovviamente da soli uomini, ha sentenziato pochi giorni fa che il diaconato femminile non sa da fare. Senza pretese teologiche ma con un briciolo di esperienza umana, cristiana e pastorale, Don Fabio Corazzina – ex-coordinatore nazionale di Pax Christi, grande sacerdote impegnato nelle marginalità e sui temi dell’ambiente, dell’accoglienza, della pace, della nonviolenza e del disarmo e grande assertore del protagonismo delle donne nella Chiesa – ha condiviso alcune considerazioni sui suoi social in commento alla decisione della Commissione: 1. le motivazioni storiche, bibliche, patristiche dottrinali, tradizionali citate mi sembrano sussurrate ex post, quasi a giustificare a tutti i costi una posizione già decisa. 2. sostenere nella tesi 3 che: “si può ragionevolmente affermare che il diaconato femminile non è stato inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile e non sembra avere rivestito un carattere sacramentale” lo definirei stucchevolmente irragionevole. 3. ma, questa stucchevole irragionevolezza giustifica la tesi 5 che “esclude la possibilità di procedere nella direzione dell’ammissione delle donne al diaconato inteso come grado del sacramento dell’Ordine.” 4. il top è la tesi della terza sessione, stupendamente incomprensibile perchè parla di mascolinità sacramentale: «La mascolinità di Cristo, e quindi la mascolinità di coloro che ricevono l’Ordine, non è accidentale, ma è parte integrante dell’identità sacramentale, preservando l’ordine divino della salvezza in Cristo. Alterare questa realtà non sarebbe un semplice aggiustamento del ministero ma una rottura del significato nuziale della salvezza». E io credevo che sia l’uomo che la donna fossero sacramentalmente immagine di Dio, soprattutto se si amano! 5. dolcetto finale, di speciale interesse, nell’ultima sessione: “è oggi opportuno ampliare l’accesso delle donne ai ministeri istituiti per il servizio della comunità”. Le donne esulteranno e organizzeranno una festina lady-ministeriale. 6. questa sintesi mi mostra una chiesa intimorita dalle donne, dal femminile, per il solo fatto che esiste, e dalla imperdonabile e insopportabile pretesa di partecipare ai ministeri ordinati. Don Corazzina ha aggiunto: “Non è la chiesa che amo e che vivo”. Come dagli torno. Una Chiesa retrograda che è ancora ferma alla gerarchia dei sessi nella struttura di potere della Chiesa. Una Chiesa che considera ancora degno di nota il “duplice principio petrino-mariano”, un concetto antiquato coniato dal teologo Balthasar per definire i ruoli ecclesiali delle donne e degli uomini all’interno della Chiesa. Come ha ben dimostrato la grande teologa Marinella Perroni, ci sono diversi livelli di problematicità di questo topos teologico che inventa e distingue un principio petrino da uno mariano: * il primo problema è che Balthasar conia il concetto con la finalità di integrare il primato di Roma in tutta la Chiesa; * il secondo problema è che questo dualismo si basa su una forma di universalizzazione per la quale tutti i singoli devono identificarsi in quanto maschi con Pietro e in quanto femmine con Maria; * il terzo problema deriva dal fatto che questo dualismo oppositivo si costruisce attorno ad una ideologia dei generi che si alimenta di stereotipi patriarcali facendoli diventare archetipi del maschile e femminile. All’archetipo del femminile vengono applicate caratteristiche quali l’amore, il nascondimento, il focolare, l’accoglienza, lo spirituale; mentre al maschile si applicano caratteristiche di autorità, potere, ministerialità e agire pubblico. Fare di Pietro e Maria dei simboli in base altresì al loro sesso, è una operazione problematica. I due sono concepiti in senso gerarchico e dicotomico e tale narrazione è tesa a mantenere i privilegi maschili perché le forme di esaltazione del femminile (“mistica della femminilità”)servono ad escludere il riconoscimento dell’una autorità pubblica delle donne. Ciò che risulta interessante e problematico allo stesso tempo è che mentre la sessualizzazione femminile, riguardando la chiesa tutta (“la Chiesa è donna!!” – viene ripetuto), può essere applicata sia a uomini che a donne, quella maschile –non si capisce bene perché – riguarda solo gli uomini maschi. Nella Chiesa si reprime sistematicamente il ruolo delle donne e quando lo si vuole esaltare lo si sublima: nulla di più discriminante. Pur nella sua illuminazione su moltissimi temi, Papa Francesco affermava che una donna non può accedere al sacerdozio “perché non le spetta il principio petrino, bensì quello mariano, che è più importante (…) Il fatto dunque che la donna non acceda alla vita ministeriale non è una privazione, perché il suo posto è molto più importante”. Parole che racchiudono clericalismo, patriarcato, potere, ma soprattutto la trappola della sublimazione: le donne – secondo questa logica – non potrebbero accedere ai posti di potere perchè il loro ruolo “è più importante”. Ciò ricorda un po’ il “genio femminile”[1] di cui parlava Papa Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem. Ma nulla è più fallace di questa narrazione. Oggi la Chiesa di Leone XIV non sembra dare segnali di evoluzione in tal senso. La verità è che la Chiesa, nel 2025 – mentre una miriade di altre Chiese cristiane ospitano il sacerdozio e il diaconato femminile – ha paura solo di concedere un grammo di potere o di protagonismo alle donne. Fin quando non si farà questo passo, la Chiesa deciderà di escludere più della metà dei sui fedeli da forme di protagonismo e decisione.   [1]Benedetta Selene Zorzi, Al di là del “genio femminile”. Donne e genere nella storia della teologia cristiana, Carocci Editore, marzo 2014 Ulteriori informazioni: https://www.queriniana.it/blog/ritorno-del-principio-mariano-petrino–291 https://www.alzogliocchiversoilcielo.com/2022/12/marinella-perroni-il-duplice-principio.html https://www.cittadellaeditrice.com/munera/von-balthasar-e-la-gerarchia-dei-sessi/ https://www.cittadellaeditrice.com/munera/sulla-formula-principio-marianoprincipio-petrino-m-perroni/ Lorenzo Poli
Donne d’Eritrea al centro del cambiamento
Nei mercati di Asmara e nei villaggi rurali, le donne eritree reggono l’economia familiare tra agricoltura, artigianato e cura domestica. Un progetto di cooperazione internazionale offre formazione e strumenti per trasformare resilienza in autonomia, aprendo nuove opportunità di lavoro dignitoso, inclusione sociale ed empowerment femminile. In Eritrea il lavoro delle donne è molto più di una necessità economica: è un atto quotidiano di resilienza, di costruzione del futuro e di partecipazione silenziosa allo sviluppo del Paese. Nei mercati di Asmara, nei villaggi rurali del Gash Barka e nelle regioni montuose del nord, le donne sono protagoniste della sopravvivenza delle famiglie, combinando la cura dei figli e della casa, con il lavoro nei campi, le attività artigianali di piccolo commercio e l’allevamento di animali. Le testimonianze raccolte restituiscono un quadro complesso: da un lato la fierezza di contribuire al benessere della comunità, dall’altro la consapevolezza delle difficoltà legate alla mancanza di strumenti, di formazione e di accesso a opportunità lavorative, dignitose e stabili. La trasmissione di competenze e l’accesso a percorsi di formazione professionale diventano quindi leve fondamentali per garantire sicurezza alimentare e nuove prospettive occupazionali. Allo stesso tempo, la formazione diventa anche uno strumento di empowerment che rafforza la consapevolezza dei propri diritti e che favorisce una partecipazione più attiva e inclusiva ai processi di cambiamento. Questo concetto diventa ancora più fondamentale per le donne, maggiormente escluse dalle opportunità educative e formative e quindi dal mondo del lavoro, in particolare per coloro che fanno parte del 75% della popolazione del Paese che vive in zone rurali, lontane dalla capitale Asmara. È in questo contesto che si inserisce il progetto di cooperazione internazionale “Miglioramento della sicurezza alimentare e dell’accesso al mercato del lavoro in Eritrea”, promosso da Nexus Emilia Romagna ETS con l’obiettivo di migliorare le condizioni di inclusione socio-economica delle fasce di popolazione più vulnerabili. Attraverso interventi di formazione tecnico-professionale e dotazione di materiali, il progetto intende migliorare la sicurezza alimentare, la consapevolezza e la possibilità di lavoro dignitoso per le persone più vulnerabili e residenti nelle aree rurali del Paese, con un’attenzione particolare a donne, giovani e persone con disabilità. l progetto pone grande enfasi sulla parità di genere e sull’inclusione sociale. La maggioranza dei beneficiari dei corsi di formazione professionale sono donne, in particolare provenienti da piccoli villaggi rurali. Donne con voglia di apprendere e avere alternative per il futuro che non siano solo la cura dei figli e della casa: un desiderio di empowerment economico che va oltre al desiderio di inclusione sociale. Le attività formative pratiche e teoriche sono state pensate per creare prospettive professionali concrete per chi in genere è escluso da tali opportunità. I moduli proposti garantiscono loro l’acquisizione delle competenze necessarie per l’accesso al mondo del lavoro e per raggiungere un’autonomia economica. Una beneficiaria del progetto ha raccontato quanto sia difficile conciliare vita lavorativa e familiare in un contesto che richiede forza, sacrificio e una costante capacità di adattamento. Grazie al corso di formazione in cucina ha trovato lavoro in una mensa dotata di asilo, che le permette di lavorare e contemporaneamente accudire il figlio. Altre beneficiarie, impegnate in attività agricole informali, hanno sottolineato come spesso il loro contributo non venga riconosciuto come “lavoro vero e proprio”, pur rappresentando una parte essenziale del reddito familiare. Una giovane donna, che ha partecipato al corso di formazione in agricoltura, ha trasformato il suo campo in una fonte affidabile di cibo per la sua famiglia e riesce a vendere l’eccedenza al mercato locale; ha raccontato che questo nuovo lavoro le ha permesso non solo di guadagnare un reddito che prima non aveva, ma anche di rivendicare diritti e riconoscimento sociale. Inoltre, la partecipazione al corso le ha permesso di conoscere altre donne, confrontarsi e scambiare idee. Queste testimonianze mettono in luce il cuore della questione: in Eritrea, come in molti altri Paesi del mondo, il lavoro femminile è imprescindibile, ma resta ancora fragile e necessita tutele. Il progetto si inserisce nel percorso intrapreso dall’Eritrea nel 1995 con la ratifica della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) che, pur complesso, sta aprendo nuovi spazi di partecipazione femminile. Uno degli attori principali di questo processo, e partner del progetto, è NCEW (National Confederation of Eritrean Workers), l’organizzazione sindacale nata ufficialmente nel 1994, ma con radici che affondano nella lunga storia del movimento operaio eritreo. La parità di genere è uno degli ambiti fondamentali del lavoro sindacale: NCEW promuove momenti di formazione, sensibilizzazione e iniziative volte a prevenire discriminazioni, molestie e violenze. Attraverso corsi, seminari e programmi di empowerment, l’organizzazione fornisce strumenti concreti alle lavoratrici per accedere a differenti opportunità professionali e, quindi, contribuire attivamente alla vita sociale ed economica del Paese. La parità di genere – insieme ad altri temi cruciali, quali lavoro dignitoso, salute e sicurezza sul lavoro – è stata inoltre al centro della campagna di advocacy, promossa nell’ambito del progetto e portata avanti da NCEW, che ha raggiunto un ampio pubblico attraverso incontri e iniziative comunitarie. Una tematica trasversale a tutto il progetto è la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutte le attività formative prevedono infatti un modulo di base sugli aspetti principali in materia, tra cui la prevenzione di rischi e infortuni. Il progetto prevede inoltre la realizzazione di un percorso formativo specifico su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. La formazione è organizzata da esperti dei sindacati italiani ed è rivolta a persone appartenenti a unità sindacali di base; è prevista anche la distribuzione di dispositivi di protezione individuale e di toolkit di diversa natura per poter replicare la formazione a cascata nei luoghi di lavoro. L’attenzione alle questioni di genere, alle disabilità e alla sicurezza nei luoghi di lavoro dimostra come l’iniziativa stia andando oltre l’obiettivo immediato della sicurezza alimentare, ponendo le basi per un cambiamento strutturale, in grado di incidere nel lungo periodo sulle dinamiche del mercato del lavoro in Eritrea. In un Paese complesso come l’Eritrea, dove la memoria della lotta per la libertà si intreccia con le sfide dello sviluppo contemporaneo, il lavoro femminile e giovanile diventa non solo un mezzo di sostentamento, ma anche uno strumento di emancipazione e coesione sociale. E proprio qui, nelle storie delle donne e nella capacità di valorizzarne il contributo, si intravede la speranza di un futuro più giusto, stabile e sostenibile. Medeber, Asmara, Eritrea Lavoro, diritti e inclusione Il progetto “Miglioramento della sicurezza alimentare e dell’accesso al mercato del lavoro in Eritrea” (AID 012848/01/0)intende promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso il miglioramento delle condizioni di lavoro e l’integrazione socio-economica di gruppi vulnerabili, con un’attenzione particolare a donne, giovani e persone con disabilità. Finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) – sede di Addis Abeba, è realizzato da Nexus Emilia Romagna ETS con Progetto Sud ETS e ISCOS e il partner locale NCEW, in collaborazione con CGIL, CISL e UIL. Nexus Emilia Romagna ETS Per sostenere Nexus Emilia Romagna ETS Codice Fiscale: 92036270376 Via Marconi 69, 40122 Bologna Tel.: 051 294775 Sito: www.nexusemiliaromagna.org Email: er.nexus@er.cgil.it Iban: IT85 O053 8702 Africa Rivista
CURAMI – PRIMA DI TUTTO LA SALUTE: “QUALI LE CONSEGUENZE SULLA SALUTE DELLA DONNA DELLA VIOLENZA DI GENERE?”
La trasmissione di sabato 29 novembre ospita la dottoressa Antonella Novaglio, Presidente dell’Ordine delle ostetriche di Brescia e la dottoressa Francesca Badiglioni, psicologa presso la Casa delle donne – Centro antiviolenza di Brescia.  Questa puntata è intitolata “25 novembre 2025 – Quali le conseguenze sulla salute della donna della violenza di genere?”. Conduce Donatella Albini.  “Curami. Prima di tutto la salute” è una trasmissione di Radio Onda d’Urto in onda il sabato mattina su Radio Onda d’Urto, dalle 12.00 alle 12.30, di Donatella Albini, medica del centro studi e informazione sulla medicina di genere, già delegata alla sanità del Comune di Brescia, e di Antonino Cimino, medico e referente di Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute – di Brescia. La trasmissione viene replicata il mercoledì alle ore 12.30. La puntata di sabato 29 novembre. Ascolta o scarica
Inaugurato il Centro Donna a Pianura. Ferrante: “Serve un cambio di mentalità per fermare la violenza”
Inaugurato questa mattina il Centro Donna di Pianura, un luogo dedicato all’ascolto, al sostegno e alla tutela delle donne. L’apertura del centro, finanziato dal Comune di Napoli e attivato in collaborazione con le cooperative sociali Xenia e Adesia, rappresenta un passo concreto nella lotta contro la violenza di genere e nella promozione delle pari opportunità. All’inaugurazione è intervenuta l’assessora alle Pari Opportunità Emanuela Ferrante, che ha preso parte anche a un incontro di sensibilizzazione e confronto per sostenere e promuovere la cultura del rispetto. Durante l’incontro sono intervenute Maria Carillo, presidente di Xenia, ed Elena Giorgia Carrucola, di Adesia, che hanno illustrato il ruolo delle realtà sociali nella costruzione di reti di supporto. La coordinatrice del Centro Donna, Luciana Sullo, ha presentato il progetto e le attività già avviate, mentre la psicologa Francesca Diffidenti ha condiviso riflessioni sulle esperienze raccolte nei gruppi di ascolto. Momento centrale è stata la proiezione del video con le testimonianze delle donne che hanno scelto di raccontare la loro storia, segno di coraggio e speranza. “È un luogo di incontro accogliente e aperto, a cui tutte le donne possono accedere per trascorrere momenti di serenità e di svago – ha sottolineato l’assessora alle Pari Opportunità Emanuela Ferrante – c’è la possibilità di fare sport, tenere colloqui con avvocati e psicologi, ma soprattutto le donne possono venire qui per dedicarsi del tempo, stare insieme e conoscersi. È molto importante per questa Amministrazione – ha concluso Ferrante – perché significa iniziare a cambiare cultura e mentalità e fare un piccolo passo verso quella rivoluzione culturale ancora necessaria per eliminare completamente il fenomeno della violenza sulle donne”. Redazione Napoli
Quel consenso dato per scontato
-------------------------------------------------------------------------------- Roma, 22 novembre 2025. Foto di Patrizia Piras -------------------------------------------------------------------------------- La proposta di modifica dell’articolo 609-bis del codice penale in materia di violenza sessuale e di libera manifestazione del consenso, come noto, è stata approvata alla Camera e ora bloccata in Senato dalla Lega. Pur tenendo conto delle difficoltà che avrà l’applicazione della legge nell’azione processuale il suo valore simbolico resta innegabile. Dire infatti che senza il consenso della donna si è difronte a uno stupro significa mettere in discussione un pregiudizio di fondo della misoginia che abbiamo ereditato: quello che ha visto la donna come “la sessualità dell’uomo oggettivata”, “la sua colpa divenuta carne”. Solo rinunciando alle sue “intenzioni immorali verso di lui’, la donna può restituire l’uomo al suo “Io migliore”. Chi scrive questo è il giovane filosofo viennese Otto Weininger, morto suicida a ventitré anni, dopo aver pubblicato la sua tesi di laurea “Sesso e carattere” nel 1903. Ma attraverso di lui è tutta la cultura greco romana cristiana che parla, in quel fondamento sessista, razzista e classista, che ha visto la donna come la “maledizione” dell’uomo, la “tenebra materna” che lo vincola alle sue radici biologiche, pulsionali, al corpo e alle sue passioni più violente e degradanti. Pretendere che nella sessualità ci sia “il consenso libero e attuale” della donna vuol dire perciò intaccare alla radice l’idea che, detto volgarmente, nel caso di un’aggressione o di uno stupro, “è lei che se l’è cercata”, e che perciò “ha goduto”, lo ha desiderato. In altre parole: il consenso della donna donna è dato per scontato, perché la donna, nell’immaginario maschile trasmesso per generazioni dalla cultura dominante, è per sua “natura” essenzialmente “sessualità”. Il suo unico desiderio è il coito, essere posseduta. Della misoginia, tuttora presente nei rapporti personali, intimi, così come nelle istituzioni della vita pubblica, nelle leggi e nell’azione giudiziaria, gli esempi non mancano. Si può aggiungere che, in alcuni casi, come nel giovane filosofo viennese, gli uomini stessi ne sono vittime. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO: > Ogni chiave agitata tra le mani è una promessa -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Quel consenso dato per scontato proviene da Comune-info.
25 NOVEMBRE: UNA GIORNATA DI LOTTA PER I DIRITTI DI TUTTE NEL SOLCO DELLE SORELLE MIRABAL, “LAS MARIPOSAS” DELLA REPUBBLICA DOMINICANA
Oggi, martedì 25 novembre, è la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne”, sancita nel 1999 dall’Onu, riprendendo in realtà quanto già deciso e praticato fin dal 1981 in Colombia, SudAmerica, durante il primo incontro femminista latinoamericano e caraibico. Una scelta non rituale ma di lotta, quella assunta a Bogotà 44 anni fa, per ricordare quanto avvenuto il 25 novembre 1960, nella Repubblica Dominicana: 3 attiviste politiche, le sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa), militanti del Movimento 14 Giugno con il nome in codice Las Mariposas, furono rapite, torturate e trucidate per ordine del dittatore fascista, razzista e anticomunista, Trujillo. Una quarta sorella e compagna, Bélgica Adela Mirabal, riuscirà invece a vedere la fine della dittatura, avvenuta nel 1961 con l’omicidio di Trujillo, a seguito proprio della rabbia popolare suscitata dalla barbarie commessa contro Las Mariposas. Bélgica Adela Mirabal morirà, di cause naturali, nel 2014. Su Radio Onda d’Urto la storia e la lotta delle sorelle Mirabal in Repubblica Dominicana, all’interno della puntata odierna di Storia di Classe, in onda ogni giorno alle ore 7.15, 8.15 e 19.50. Ascolta o scarica
Le donne sulla linea del fronte, contro guerra, riarmo e genocidio in Palestina
Un incontro per discuterne sabato 6 dicembre alle ore 10.00 al Nuovo Cinema Aquila di Roma. Gli scioperi e le mobilitazioni degli ultimi mesi contro il genocidio in Palestina e contro la guerra ci hanno restituito un quadro dove il bianco e il nero hanno sostituito sempre più le scale […] L'articolo Le donne sulla linea del fronte, contro guerra, riarmo e genocidio in Palestina su Contropiano.
Belém, COP30 e Vertice dei Popoli: le donne in prima fila
Sono qui ormai da una decina di giorni trascorsi velocissimi, fitti di incontri, di emozioni, di scambi che continueranno a germinare per i giorni e (chissà anni) a venire: esperienza indimenticabile. Era il 7 novembre quando come delegata di un bel po’ di realtà italiane in movimento (Rete delle Mamme da Nord a Sud, Movimento Zero Pfas Italia, Movimento per il clima fuori dal fossile, Forum dell’acqua italiano) ho aperto il quarto incontro internazionale dei danneggiati dalle dighe e dalla crisi climatica qui a Belem, dove si sono uniti i popoli di tutto il mondo. Nei giorni successivi abbiamo continuato a lavorare divisi per gruppi tematici, noi ‘mamme’ nel Gruppo Salute e Infanzia. Solo due giorni dopo ecco cosa postavo sulla mia chat/contatti: 11 novembre 2025, Belém du Pará del Brasile: dichiariamo il quadro della costruzione di un movimento internazionale dei danneggiati dalle dighe e i cambiamenti climatici. Giornate importantissime, faticose e impegnative, piene di emozioni, tutte e tutti uniti per costruire un movimento internazionale dei popoli danneggiati. America, Africa, Europa, Asia, Oceania. Pace, fratellanza, amore, pazienza, perseveranza, diritti, democrazia, volontà, azione, speranza: queste le parole che oggi mi hanno dato tanta felicità. Acqua per la vita, non per la morte! Ai nostri figli lasceremo il nostro esempio, che toccherà poi a loro lasciare ai loro figli. L’indifferenza non è una cosa che le madri possano accettare. Ci unisce l’amore per la Vita!” E eccoci a ieri, 14 novembre. Mentre in tutte le città italiane si snodavano i cortei più o meno partecipati in difesa dell’ambiente, io ero alla Copola Dos Povos (Vertice dei Popoli) che si sta svolgendo qui a Belem in concomitanza della COP30. È un evento parallelo e indipendente che ha l’obbiettivo di dare voce alle comunità locali, ai popoli indigeni e ai popoli di tutto il mondo, ovunque accomunati dallo stesso assedio alla vita. Come italiani siamo stati invitati dal MAB, acronimo che sta per “Movimento dei colpiti dalle dighe e dai cambiamenti climatici”. L’obbiettivo e di consegnare ai governi un documento che porti le istanze delle popolazioni che sono maggiormente colpite da questo cosiddetto sviluppo, che in realtà è solo devastazione. In primis la questione dell’acqua, che viene mercificata con la costruzione di dighe e progetti ‘idrogeno-elettrici’, quando non viene proprio depredata, per essere destinata all’estrazione dei minerali. Privazione dell’acqua nel primo caso e restituzione di acqua inquinata da piombo e mercurio nel secondo. Sono sotto accusa anche le coltivazioni intensive che prosciugano i fiumi, l’uso dei pesticidi mediante aerei e droni, che compromettono la vita delle persone. E come sempre i bambini sono le prime vittime. Le multinazionali promettono lavoro e chissà quale “vita migliore”, mentre le popolazioni locali vengono sfrattate con la forza in zone dove l’acqua non esiste più. E non si sa neppure a quanto ammonti questo sfollamento a livello sia globale che  locale, perché spesso coloro che vengono colpiti non vengono censiti, e di conseguenza NON ESISTONO. Dare un volto, parlare con loro, fare amicizia e condividere è un esperienza che ti graffia dentro al cuore. A volte “vedere” non è sentire… Per la prima volta abbiamo parlato anche di Pfas, e soprattutto abbiamo avuto occasione di parlarne con alcuni giornalisti e ambientalisti indiani, per avvisarli della pericolosità degli impianti della Miteni che hanno chiuso (come è noto) in Italia, nel vicentino, ma sono già operativi in India, a poche decine di km da Mumbai, nello Stato del Maharashtra. E così dopo aver già avvelenato il sangue di tanti nostri figli, hanno già cominciato a colpire anche lì e a quanto pare l’opinione pubblica indiana è totalmente all’oscuro della pericolosità di questa situazione. Siamo davvero in tanti e tante. Tante madri, tante donne che in primis pagano le conseguenze maggiori di questo cambiamento climatico e dei danni causati dalla privazione dell’acqua o dalla contaminazione. Tante madri che in primis si sentono responsabili della crescita, della qualità della vita, del quotidiano dei propri figli. Avrei tanto da raccontare, ma non c’è tempo per scrivere, a malapena riesco ad annotare i nomi di chi incontro, con qualche appunto: Paula del Perù, Erica Mendez dal Mozambico, Damaris del Brasile, Giulieta della Repubblica Dominicana, Vilma del Guatemala … ciascuna di loro è un fiume di testimonianze di persone che lottano per la vita dei loro figli e del diritto all’acqua, mentre i governi sono consenzienti e fanno addirittura uccidere chi si oppone. Come sempre le donne sono in prima fila. Come sempre sono quelle che dimostrano più forza e coraggio nell’opposizione a questo capitalismo distruttivo e omicida. Prima o poi anche i responsabili di questo veleno moriranno, con o senza soldi, ma con la coscienza più nera del petrolio. Redazione Italia
DAI BOOMER ALLA GEN Z, I DATI CERTIFICANO CHE GLI UOMINI (E I GIOVANI) IN ITALIA GIUSTIFICANO LA VIOLENZA DI GENERE
Dati allarmanti sulla violenza di genere in Italia. La violenza economica è ritenuta accettabile da un 1 uomo su 3, ma lo è per quasi la metà dei maschi Millennial (cioè i nati tra il 1980 e il 1995) e per la successiva Gen Z (tra il 1996 e il 2012). La violenza fisica sulle donne è giustificabile per 2 maschi adulti su 10. Per 1 su 4 la violenza verbale e quella psicologica sono “colpa” delle donne. E ancora: la maggioranza (55%) dei Millennials ritiene legittimo il controllo sulla partner. Così la ricerca odierna di ActionAid su violenza di genere e giovani, che evidenzia poi come in casa il 74% delle donne si occupa ancora oggi da sola dei lavori domestici, contro il 40% degli uomini. Il 41% delle madri si occupa inoltre da sola dei figli, contro appena il 10% dei padri. Negli spazi pubblici il 52% delle donne ha provato paura (contro il 35% degli uomini), una quota che sale al 79% tra le più giovani. Il 38% delle persone ha avuto paura almeno una volta sui mezzi pubblici, ma tra le giovani donne della Gen Z il dato sale al 66%. E ancora: il 55% delle donne si è sentita svalutata nei contenuti culturali, il 70% tra le under 25. Anche online 4 donne su 10 (40%) dichiarano di aver avuto timore di reazioni sessiste ai propri contenuti online. L’intervista a Isabella Orfano, Women’s Rights Expert per ActionAid. Ascolta o scarica.
“ATTRAVERSARE LA NOTTE”: IL LIBRO CHE RACCONTA DELLE DONNE NELL’AFGHANISTAN DEI TALEBANI DI CRISTIANA CELLA
“Attraversare la notte: Racconti di donne dell’Afghanistan dei talebani” è un libro di Cristiana Cella, scrittrice e giornalista, pubblicato nel 2025 e edito da Altreconomia nella Collana Storie. All’interno del volume sono presenti anche le intense immagini scattate dalla fotografa Carla Dazzi. “Le donne afghane stanno attraversando una notte molto profonda” queste sono le parole dell’autrice che da anni fa parte del CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane), che dal 1999 ha contatti con con chi vive in Afghanistan. La speranza si mantiene grazie a queste associazioni che penetrano in territori irraggiungibili. La repressione nei confronti delle donne afghane è talmente pervasiva che “ti mangia da dentro”. Ogni comportamento può essere ed è punito. Si rischia il carcere se una donna parla a voce alta fuori da casa propria, se esce senza l’accompagnamento di un membro maschile della famiglia, se non è completamente coperta. Il tasso di suicidio tra le giovani è aumentato di tantissimo e il fatto più inquietante è che non si hanno più notizie dall’Afghanistan visto che le giornaliste sono state o arrestate o allontanate. Cristiana Cella apre delle finestre su Kabul, sul Nuristan, su un paesino tra le montagne. Nel volume ci sono 70 racconti ispirati dalle testimonianze raccolte dall’autrice in quattro anni, informazioni che servono a sostegno della resistenza delle donne afghane per rompere il silenzio colpevole. Secondo Cella l’Afghanistan è un popolo intero che è soggetto ai capricci dei talebani e le donne afghane non hanno alleati, sono sole. Sulla condizione delle donne sotto il repressivo regime dei talebani in Afghanistan abbiamo intervistato l’autrice del libro Cristiana Cella.  Ascolta o scarica