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Protestare non è educato
In questi giorni oggetto di discussione sui giornali e nella piazza social è la protesta dello studente e della studentessa, che si sono rifiutati di sostenere la prova orale all’esame di maturità. Credo che quello che l’azione dei due e le varie reazioni, arrivate come sempre dalle parti più disparate […] L'articolo Protestare non è educato su Contropiano.
Considerazioni inattuali sul referendum
Il referendum precedente si è tenuto nel giugno 2022. Si trattava di 5 quesiti, presentati dalla Lega e dai Radicali, sul tema della giustizia. In particolare si trattava di: abolizione della legge Severino sull’incandidabilità dei condannati, limitazione delle misure cautelari, separazione delle funzioni dei magistrati, valutazione dell’operato dei magistrati, riforma del Consiglio Superiore della Magistratura. In quella occasione votò soltanto il 20,4% degli aventi diritto. Tra i votanti prevalsero i sì, appena sopra il 50% per i primi due quesiti e oltre il 70% sulle altre tre proposte di abrogazione. Nel referendum del giugno 2025 i votanti sono stati il 30,6%, con un’inversione di tendenza e un aumento di partecipazione del 50% rispetto al referendum di tre anni prima. Quindi la partecipazione al referendum del 2025 dovrebbe essere considerata da tutti un fatto positivo, seppure ancora insufficiente. In particolare, colpisce la contraddizione di chi oggi sostiene che i quesiti del 2025 non interessavano agli elettori e contemporaneamente sta proponendo la riforma della giustizia, che nel 2022 aveva interessato un numero nettamente inferiore di elettori. Tra il 1974 (divorzio) e il 1995 (privatizzazione RAI) si sono tenuti nove referendum abrogativi. Soltanto nel caso del 1990 (caccia) non si è raggiunto il quorum del 50% dei votanti rispetto agli aventi diritto. Dal 1997 ad oggi si sono svolti dieci referendum abrogativi e soltanto nel 2011 (acqua pubblica e produzione energia nucleare) si è superato il quorum. L’affluenza alle urne referendarie è diminuita di pari passo con quella registrata nelle elezioni politiche. Infatti fino a metà anni ‘90 si è registrata una forte partecipazione elettorale (circa 90% alle politiche, 80% alle amministrative, 70% alle europee), con un calo progressivo negli ultimi 30 anni. Nel 2022 alle politiche ha votato il 64% degli aventi diritto, nel 2023 alle regionali della Lombardia soltanto il 42% ha espresso un voto, alle elezioni europee del 2024 l’affluenza è stata del 48%. Di fronte a questi dati il 30,6% di partecipazione nel referendum 2025 potrebbe essere riconsiderato. Ad esempio, se il quorum venisse riformulato in modo relativo anziché assoluto, cioè utilizzando come riferimento non più gli elettori aventi diritto, ma il 50% dei votanti alle ultime elezioni, la prospettiva sarebbe assai diversa. I partiti dovrebbero smetterla di promuovere o di appropriarsi dei referendum. In Assemblea Costituente Costantino Mortati spiegò che “il referendum si basa sul presupposto che il sentimento popolare possa divergere da quello del Parlamento”. I partiti che non fanno parte della maggioranza di governo, non riuscendo a far approvare alcune proposte, ricorrono talvolta al referendum, cercando di ottenere per via referendaria ciò che non sono riusciti a raggiungere per via parlamentare. La Costituzione prevede di norma che siano 500 mila elettori o cinque consigli regionali a proporre i quesiti referendari (art. 75). È una facoltà dei cittadini o degli enti locali. Non delle forze parlamentari. Di solito durante le campagne referendarie siamo sommersi dalle indicazioni dei partiti, mentre sarebbe più utile ascoltare le formazioni sociali, in particolare quelle coinvolte direttamente dal quesito referendario. Pensando al referendum del 2022 non aveva senso che i promotori fossero la Lega e i Radicali. Come si può ritenere inopportuno che il referendum sulla tempistica per chiedere la cittadinanza italiana sia stato promosso dal partito + Europa. Nella campagna referendaria del 2025 si è molto discusso se il voto referendario sia un dovere o se ci si possa legittimamente astenere in varie forme. La Costituzione afferma che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro (art. 1), cioè sul contributo attivo di ognuno: nel lavoro, nella scuola, nella famiglia, nelle formazioni sociali. In particolare “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4). Inoltre, “la Repubblica (…) richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2) e l’esercizio del voto (anche referendario) è “dovere civico” (art. 48). In questa prospettiva, quando si vota, non si dovrebbe scegliere sulla base del proprio interesse egoistico, ma secondo una logica di solidarietà, equità e giustizia.  Perché “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3). Perché “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi” (art. 54). È anche opportuno ricordare che l’Italia è una Repubblica a seguito di un referendum! In un Paese con un tasso di astensionismo crescente, le istituzioni dovrebbero impegnarsi per promuovere il voto. La volontà della maggioranza dovrebbe formarsi nel procedimento deliberativo e non al di fuori di esso. Il fatto che ci siano partiti e soprattutto cariche istituzionali che invitano a boicottare un referendum è un fatto grave. Bisognerebbe almeno distinguere tra la scelta soggettiva di non votare e quella di indurre all’astensione dal voto. L’incitamento a non far funzionare correttamente un istituto di democrazia diretta (qual è il referendum) non dovrebbe appartenere a chi ricopre un ruolo pubblico, a maggior ragione se questo ruolo è stato assunto attraverso un voto. L’art 54 della Costituzione stabilisce anche che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento”. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel messaggio per la ricorrenza del 2 giugno ha scritto: “Il compito di attuare in concreto gli ideali costituzionali, di renderli vivi nella società quale costante criterio ispiratore delle scelte, è una missione mai esaurita, affidata ogni giorno anzitutto alla premura di quanti, con dedizione e competenza, prestano la loro opera nelle istituzioni e nella società civile. La Costituzione affida, infatti, a ciascun cittadino la responsabilità di concorrere alla coesione sociale del Paese”. Pertanto, invitare alla non partecipazione, al non adempimento di un dovere civico inderogabile, è un atteggiamento censurabile, incivile e tendenzialmente contrario alla Costituzione, che si è giurato di osservare lealmente.         Rocco Artifoni
5 SÌ ai diritti per dire NO al governo più reazionario della storia della Repubblica Italiana
Domenica 8 e lunedì 9 giugno si voterà per i più scomodi referendum della storia della Repubblica e al tempo stesso per le votazioni più apertamente boicottate dal potere politico ed economico. Scriveva don Lorenzo Milani che le uniche “armi” efficaci in mano agli emarginati e agli sfruttati, le sole realmente utili a rendere reale il programma politico della Repubblica Italiana, enunciato dalla Costituzione, ma in tutto o in parte disatteso sono lo sciopero e il voto. Milioni di giovani precari o lavoratori in nero non possono in alcun modo scioperare e, in tempo di crisi, per molte famiglie proletarie che faticano ad arrivare a fine mese una giornata di sciopero, spesso ridotto a rituale stantio, simbolico, e autocelebrativo, è diventata un lusso che non si può più fare a cuor leggero. Spuntata l’arma dello sciopero generale, è stata la stessa CGIL a sfidare governo e Confindustria al voto, raccogliendo milioni di firme per quattro referendum tesi ad abrogare alcune leggi che hanno colpito pesantemente i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, smantellando diritti conquistati con anni e anni di lotte. A questi quattro quesiti si è aggiunto sorprendentemente il quesito numero 5 che in pochi giorni, grazie alla nuova piattaforma istituzionale che permette di sottoscrivere con firma certificata le proposte di referendum abrogativo e soprattutto grazie a un’incredibile mobilitazione dal basso, ha raggiunto e superato abbondantemente le cinquecentomila firme indispensabili per presentare i quesiti alla Cassazione, per i controlli formali, e quindi alla Corte Costituzionale. Questa deve pronunciarsi, a maggioranza e spesso in modo discutibile se non addirittura arbitrario, sulla loro costituzionalità, in base agli effetti che deriverebbero dall’eventuale l’abrogazione, in tutto o in parte, delle leggi contestate. Scrivo questo perché la decisione di non ammettere il quesito per l’abrogazione della legge sull’autonomia differenziata, ovvero la secessione dei ricchi, ha segnato pesantemente questa stagione referendaria. Difficilmente di fronte al referendum per abrogare la legge sulla cosiddetta autonomia differenziata la Lega avrebbe potuto evitare di raccogliere il guanto della sfida e decidere di astenersi; avrebbe anzi tentato di far vincere il NO, consentendo così il sicuro raggiungimento del quorum e quindi una vera sfida democratica sui contenuti. Esaminiamo dunque i singoli quesiti su cui dovremo esprimerci tra pochi giorni. Come ho scritto, la CGIL ne ha presentati quattro e tutti ovviamente sui diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Il primo ripristina il diritto di ogni lavoratore di aziende sopra i 15 dipendenti ad essere reintegrato al suo posto di lavoro se licenziato senza giusta causa o giustificato motivo. Ricordiamo che l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori venne abrogato dal Job Act durante il governo di Matteo Renzi. Ora abrogando la legge Renzi l’articolo 18 risorgerebbe come per miracolo. Il secondo referendum riguarda invece le piccole aziende, sotto i quindici dipendenti, dove i lavoratori licenziati senza giusta causa potranno avere un indennizzo deciso dal giudice e non imposto al ribasso da una legge che di nuovo accontenta i padroncini. Il terzo referendum regolarizza i cosiddetti contratti a termine, che potranno essere stipulati solo su reale necessità, e non in modo arbitrario, come forma di ricatto nei confronti dei giovani lavoratori e delle giovani lavoratrici precari. Oggi le aziende non hanno più bisogno di licenziarli, perché è dato loro il potere di non riassumerli alla scadenza del contratto escludendoli senza giustificato motivo dal rinnovo. Il quarto quesito riguarda la catena dei subappalti.  Il referendum stabilisce che la ditta che vince un appalto pubblico resti responsabile dei lavoratori delle ditte a cui subappalta i lavori. Chi conosce la materia sa bene che questo riporta diritti e legalità in questo delicatissimo settore, dove le morti sul lavoro si susseguono a un ritmo impressionante. Abbiamo infine il referendum che ripristina la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana dopo cinque anni di soggiorno stabile in Italia e non più dopo i 10 anni che la xenofobia della Lega ha voluto imporre. È evidente il significato politico di questi referendum di fronte ai quali il governo, le destre e Confindustria scappano, contando di farli fallire con un’incredibile politica di boicottaggio che mai si era vista nei confronti di una consultazione democratica. Sanno infatti che i NO convinti ai diritti sarebbero stati un’infima minoranza e si nascondono comodamente dietro la diffusa disaffezione al voto. Nelle attuali condizioni solo un miracolo, un imprevedibile scatto democratico, un passaparola dal basso potrebbe consentire ai referendum di superare il quorum del 50% più un voto. In ogni caso i milioni di SÌ che si pronunceranno domenica 8 e lunedì 9 giugno resteranno come un sonoro NO al governo e alle sue politiche reazionarie e antidemocratiche. Vogliono che non voti e tu vota.   Mauro Carlo Zanella
ELEZIONI COMUNALI, DOMENICA E LUNEDÌ, PER 117 COMUNI. TRA LE PRINCIPALI CITTÀ GENOVA, TARANTO E RAVENNA. I COMMENTI
Domenica e lunedì, 25 e 26 maggio, in 117 Comuni si vota per l’elezione di sindaco o sindaca e per il rinnovo dei consigli comunali. Tra le principali città al voto, ci sono Genova, Taranto e Ravenna. A Ravenna sono sette i candidati sindaci per succedere a Michele de Pascale, eletto alla presidenza della Regione Emila-Romagna: Alessandro Barattoni (Pd, Ama Ravenna, Movimento 5 Stelle, Progetto Ravenna, Partito Repubblicano Italiano e Alleanza Verdi e Sinistra); Miserocchi di Ravenna al Centro; Nicola Grandi (Fratelli d’Italia, Forza Italia, Viva Ravenna); Giovanni Morgese (Democrazia Cristiana); Marisa Iannucci (Ravenna in Comune, Rifondazione comunista, Potere al Popolo, Pci); Veronica Verlicchi (La Pigna); Alvaro Ancisi (Lega-Ancisi sindaco Lista Per Ravenna-Popolo della Famiglia e Ambiente e Animali). * Quali sono le questioni aperte a Ravenna in vista del voto, in un territorio conteso dal colosso energetico Eni e da Snam per l’estrazione delle risorse? Un commento, dal basso, dei comitati che animano la lotta contro il “Ravenna CCS” con Pippo Tadolini, del Coordinamento Ravennate Per Il Clima Fuori dal Fossile. Ascolta o scarica. Anche Taranto è atteso il voto per il rinnovo di sindaco e amministrazione. Qui la commissione Antimafia ha segnalato 5 candidati consiglieri “impresentabili” a vario titolo: chi è stato condannato per corruzione, chi è accusato di turbativa o traffico di influenze. A correre per la fascia tricolore sono Bitetti (Pd-Avs), mentre il M5S propone l’unica donna, Angolano. Andando a destra invece FdI-FI puntano sullo storico boss regionale di Confagricoltura, Lazzaro; sempre di area centrodestra (Udc e dintorni) è Tacente. Ci sono poi due outsider, il civico Di Bello e Mario Cito (sovranista di destra). * Taranto è al centro anche di una nuova ondata di crisi occupazionale e aziendale dell’ex Ilva. Il commento ai microfoni di Radio Onda d’Urto di Simona, del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti. Ascolta o scarica. E’ al voto, questa domenica e lunedì, anche Genova, dopo che a ottobre 2024 l’allora primo cittadino Marco Bucci è stato eletto presidente di Regione Liguria, a seguito del terremoto politico che ha portato l’ex presidente di Regione Toti agli arresti domiciliari. Sono sette i candidati in corsa, anche se risulta de facto una gara a due: per la coalizione di centrodestra c’è il vicesindaco facente funzioni Pietro Piciocchi, per quella di centrosinistra Silvia Salis, vice del presidente nazionale del Coni, con un campo “larghissimo” composto da Avs al Pd, dai M5s ai renziani e ad Azione. * Da Genova Domenico “Megu” Chionetti, del consiglio nazionale del Cnca. Ascolta o scarica.
Il Parlamento Europeo contro il blocco degli aiuti umanitari a Gaza
Con un’ampia maggioranza – dalla sinistra di The Left e Verdi al Ppe e ai Socialisti, fino a Renew Europe – il Parlamento Europeo ha preso posizione contro il blocco degli aiuti umanitari a Gaza imposto dal governo israeliano. Mancavano i voti delle destre, dai Conservatori, dei quali fa parte anche il partito della premier italiana, ai Patrioti, gruppo che accoglie anche i seguaci di Salvini, fino ai Sovranisti. Tutte le destre si dimostrano genocidarie, in sostegno al criminale Netanyahu, ricercato dalla CPI. “Noi, leader dei gruppi politici Ppe, S&D, Renew Europe, Verdi/Efa e The Left al Parlamento Europeo, esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per la minaccia di un’ulteriore escalation militare nella Striscia di Gaza e protestiamo contro tutte le violazioni del diritto internazionale in questo conflitto, comprese tutte le dichiarazioni che prevedono cambiamenti territoriali o demografici nella zona”, si legge in una nota congiunta, con chiaro riferimento a eventuali piani di occupazione o annessione che sono già stati esplicitati da diversi ministri israeliani. È soltanto un appello che ha lo scopo di stimolare un “intervento internazionale immediato ed efficace per alleviare l’intollerabile crisi umanitaria a Gaza” e un passetto in avanti rispetto al precedente silenzio. L’ex Rappresentate della politica estera europea, Borrell, ha dichiarato che “a Gaza assistiamo a un genocidio e pulizia etnica con il sostegno dei Paesi dell’Unione Europea. Metà delle bombe che vengono lanciate su Gaza da Israele sono fabbricate in Europa”.   ANBAMED