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“Europa” fuori dalle competizioni
Una diagnosi della situazione geopolitica europea… Non dal punto di vista di classe o comunista o “alternativo”, ma con una forte attenzione ai dati reali. Quindi utile… ***** L’Europa non ha paura di non riuscire a recuperare, ha paura che la maschera sia caduta. Il mondo può finalmente vedere cosa […] L'articolo “Europa” fuori dalle competizioni su Contropiano.
L’eterno ritorno di Chat Control
Immagine in evidenza da stopchatcontrol.fr Si torna a parlare di lotta agli abusi sui minori, privacy e crittografia end-to-end, dopo che, il 26 novembre, il Consiglio UE ha votato a favore dell’approvazione del nuovo testo del Child Sexual Abuse Regulation (CSAR), più comunemente conosciuto come Chat Control. La proposta di legge, di cui si discute ormai da più di tre anni, è volta a limitare la diffusione di materiale pedopornografico online attraverso nuove disposizioni per le piattaforme e i fornitori di servizi digitali, inclusa la possibilità di effettuare una scansione preventiva e costante dei contenuti che gli utenti si scambiano, per esempio, su WhatsApp, Telegram o Gmail, al fine di rilevare attività di adescamento di minori o movimento di materiale pedopornografico. La proposta, che da tempo cerca un equilibrio tra la necessità di proteggere i minori da abusi sessuali e quella di tutelare i diritti fondamentali dei cittadini europei (a partire dalla privacy), ha sollevato non poche critiche da parte dei funzionari di governo, degli esperti di sicurezza, delle società di servizi coinvolte e, non da ultimi, degli utenti stessi. E ora, dopo il voto favorevole ottenuto dopo numerosi rinvii, il senso di preoccupazione sta rapidamente crescendo. Proprio per questo, è importante fare chiarezza sul cosiddetto Chat Control: cos’è, quali regolamentazioni prevede, quali sono i reali rischi per la privacy, e come potrebbe cambiare la nostra vita. CHAT CONTROL: COS’È E COSA PREVEDE Era l’11 maggio 2022 quando, per la prima volta, la Commissione Europea presentava una nuova proposta legislativa “per prevenire e combattere gli abusi sessuali sui minori in rete”. Una manovra presentata come necessaria a causa della crescente diffusione di materiale pedopornografico in rete rilevata a partire dal 2021 – anno in cui, stando ai dati riportati dalla Commissione, sono stati segnalati “85 milioni di immagini e video che ritraggono abusi sessuali su minori” – e l’incapacità del sistema attualmente in vigore – il cosiddetto Chat Control 1.0, che prevede la segnalazione di abusi tramite monitoraggio volontario dei fornitori di servizi digitali – di proteggere adeguatamente i minori. Per contenere quanto più possibile la situazione, in quell’occasione la Commissione ha proposto “una legislazione per affrontare efficacemente l’abuso sessuale su minori online, anche richiedendo ai prestatori di rilevare materiale pedopornografico noto e […] la creazione di un Centro dell’UE di prevenzione e lotta contro l’abuso sessuale su minori”. Una serie di norme, in sostanza, che consentirebbero a un’ampia gamma di fornitori di servizi Internet, compresi i servizi di hosting e di messaggistica, di accedere e scansionare le conversazioni private degli utenti al fine di “individuare, segnalare e rimuovere il materiale pedopornografico dai loro servizi”, o rilevare episodi di “adescamento di minori” (grooming). Un’operazione che le compagnie dovrebbero attuare attraverso “tecnologie che siano il meno invasive possibile per la privacy, in linea con lo stato dell’arte del settore, e che limitino il più possibile il tasso di errore dei falsi positivi”. Allo stato attuale, il cosiddetto Chat Control richiede ai “prestatori di servizi di hosting e prestatori di servizi di comunicazione interpersonale” di individuare, esaminare e valutare “per ciascun servizio che offrono, il rischio di un suo uso a fini di abuso sessuale su minori online”. E poi di prendere “misure di attenuazione ragionevoli e adeguate al rischio individuato […] per ridurlo al minimo”. Tra queste misure, come anticipato, rientra anche la scansione delle conversazioni private degli utenti: uno strumento che le piattaforme e i fornitori di servizi possono utilizzare ai fini della valutazione del rischio e della sua attenuazione. Tuttavia, la proposta prevede che, se dopo la valutazione e le misure adottate dal fornitore sussiste ancora un rischio significativo che il servizio possa essere utilizzato per abusi sui minori, le autorità nazionali designate possano avvalersi di questo strumento per indagare sulla diffusione di materiale pedopornografico. In questo caso, possono chiedere all’autorità giudiziaria o amministrativa di “emettere un ordine di rilevazione che impone a un prestatore di servizi di hosting o a un prestatore di servizi di comunicazione interpersonale rientrante nella giurisdizione dello Stato membro in questione di prendere le misure […] per rilevare casi di abuso sessuale su minori online in un servizio specifico”. Anche in questo caso, però, la proposta della Commissione Europea specifica che le autorità devono avvalersi di tecnologie che non siano invasive nei confronti degli utenti coinvolti, ma che siano anzi “efficaci nel rilevare la diffusione di materiale pedopornografico noto o nuovo o l’adescamento di minori, a seconda dei casi” e “non in grado di estrarre dalle comunicazioni in questione informazioni diverse da quelle strettamente necessarie per rilevare […] pattern rivelatori di diffusione di materiale pedopornografico noto o nuovo o di adescamento di minori”. Data la delicatezza della scansione, soprattutto nelle comunicazioni private e crittografate, il regolamento prevede una serie di garanzie, quali la limitazione della durata degli ordini, il controllo umano delle tecnologie di rilevamento, la riduzione al minimo dei dati trattati e l’accesso a meccanismi di ricorso per gli utenti e i fornitori. Pertanto, per garantire che il regolamento venga rispettato, la proposta introduce anche il Centro dell’UE per la prevenzione e la lotta contro gli abusi sessuali sui minori, che svolgerà un ruolo di supporto alle autorità e alle piattaforme fornendo banche dati di indicatori affidabili e tecnologie di rilevamento adeguate, contribuendo a ridurre i falsi positivi e gli impatti invasivi. LE ORIGINI E LE EVOLUZIONI DELLA PROPOSTA DI LEGGE La proposta avanzata dalla Commissione Europea nel 2022 non dichiarava apertamente che i telefoni dei cittadini europei sarebbero stati scansionati alla ricerca di materiale pedopornografico, ma introduceva il concetto di “obblighi di rilevamento” che i fornitori di servizi dovevano rispettare, anche nel caso in cui questi proteggessero la privacy degli utenti con la crittografia end-to-end. Questo significava, quindi, che le autorità coinvolte nella rilevazione potessero ricorrere alla scansione lato client, ossia all’analisi di contenuti digitali presenti sui dispositivi degli utenti prima ancora che venissero crittografati e inviati o ricevuti. Com’è noto, la proposta ha sin da subito scatenato le critiche di governi ed esperti di sicurezza e privacy, tanto che nel 2023 il Parlamento Europeo ha escluso sia la crittografia end-to-end sia i messaggi di testo dall’ambito di applicazione degli obblighi, limitando questi ultimi ai casi di ragionevole sospetto e impedendo di fatto la scansione indiscriminata. Pertanto, solo se i fornitori non rispettano le norme per la sicurezza dei minori, le autorità competenti possono emettere un ordine di scansione e rilevamento di materiale pedopornografico dai dispositivi degli utenti. Nel corso degli anni, però, la proposta ha subìto decine di modifiche e aggiornamenti. L’1 luglio 2025, il Consiglio dell’Unione Europea ha presentato una proposta in cui si afferma chiaramente che, per i servizi dotati di crittografia end-to-end (che impedisce a chiunque di leggere i messaggi, esclusi soltanto mittente e destinatario) come WhatsApp, Signal e Telegram, il rilevamento avviene “prima della trasmissione dei contenuti” – ossia prima che questi vengano crittografati – installando un software preposto alla scansione, ma con una clausola di “consenso dell’utente”. Allo stato attuale, Chat Control rimane soltanto una proposta. Per far sì che diventi una legge a tutti gli effetti è necessario l’avvio di triloghi – “un negoziato interistituzionale informale che riunisce rappresentanti del Parlamento europeo, del Consiglio dell’Unione europea e della Commissione europea” – che mettano d’accordo le parti. Se la linea attuale del Consiglio dovesse essere approvata, questo comporterebbe l’installazione di un software che controlli i contenuti prima della crittografia per i servizi end-to-end; al contrario, se prevalesse la linea del Parlamento, non verrebbe effettuata alcuna scansione preventiva dei contenuti. Proprio per questo, lo scorso 14 ottobre era stato fissato come data per il voto del Consiglio UE sul Child Sexual Abuse Regulation (Csar): un giorno in cui i ministri dei diversi paesi membri avrebbero espresso il proprio parere sulla proposta. A una settimana dalla data, dopo aver subito forti pressioni da parte dell’opinione pubblica, la Germania si era dichiarata contraria al disegno di legge, costringendo l’intero Consiglio a rimandare il voto finale sull’approvazione. “Il monitoraggio ingiustificato delle chat deve essere un tabù in uno Stato di diritto. La comunicazione privata non deve mai essere soggetta a sospetti generalizzati. Né lo Stato deve obbligare a scansionare in massa i messaggi alla ricerca di contenuti sospetti prima di inviarli. La Germania non accetterà tali proposte a livello UE (…). Nemmeno i crimini peggiori giustificano la rinuncia ai diritti civili fondamentali”, ha dichiarato Stefanie Hubig, ministra federale della Giustizia e della Tutela dei consumatori, commentando la scelta della Germania, che ha stravolto l’agenda legislativa della Commissione Europea. LA SVOLTA DANESE Dopo tante controversie, lo scorso novembre la presidenza danese del Consiglio dell’Unione europea ha introdotto un’importante revisione alla proposta del Child Sexual Abuse Regulation (CSAR), in cui le “disposizioni relative agli obblighi di rilevamento (articoli da 7 a 11) sarebbero eliminate dal testo”. In questo modo, il regolamento mantiene il monitoraggio delle chat private degli utenti, senza renderlo obbligatorio, ma trasformandolo in uno strumento che le aziende tecnologiche possono utilizzare a propria discrezione. Anche se, come si legge nella proposta della presidenza danese, “i fornitori di servizi ad alto rischio, in cooperazione con il Centro dell’UE, potrebbero comunque essere tenuti ad adottare misure per sfruttare le tecnologie adeguate per mitigare il rischio di abusi sessuali sui minori individuati sui loro servizi”. La modifica della Danimarca ha segnato un momento importante nell’evoluzione di Chat Control, che lo scorso 26 novembre ha ottenuto l’approvazione dei rappresentanti dei 27 paesi membri dell’Unione Europea, dando così inizio all’ultima fase che precede l’approvazione del regolamento: la discussione tra Parlamento Europeo, Consiglio dell’Unione Europea e Commissione Europea. “Ogni anno vengono condivisi milioni di file che ritraggono visivamente abusi sessuali su minori. Dietro ogni singolo video e immagine c’è un minore che ha subito gli abusi più orribili e tremendi. Ciò è del tutto inaccettabile”, ha commentato Peter Hummelgaard, ministro danese della Giustizia, dopo la votazione svoltasi a Bruxelles. “Sono pertanto lieto che gli Stati membri abbiano finalmente concordato una via da seguire che prevede una serie di obblighi per i prestatori di servizi di comunicazione al fine di combattere la diffusione di materiale di abuso sessuale su minori”.  Allo stato attuale, secondo quanto approvato dai paesi membri dell’UE, “i fornitori di servizi online saranno tenuti a valutare il rischio che le loro piattaforme possano essere utilizzate impropriamente per diffondere materiale di abuso sessuale su minori o per adescare minori. Sulla base di tale valutazione, dovranno attuare misure di attenuazione per contrastare tale rischio. Tali misure potrebbero includere la messa a disposizione di strumenti che consentano agli utenti di segnalare casi di abuso sessuale su minori online, di controllare quali contenuti che li riguardano sono condivisi con altri e di predisporre impostazioni predefinite a tutela della vita privata dei minori”. L’interesse del Consiglio è quello di arrivare ai triloghi il prima possibile, considerando che ad aprile 2026 scadrà la legislazione temporanea che consente alle app di eseguire la scansione alla ricerca di materiale pedopornografico. “Il Consiglio ha finalmente adottato la sua posizione sul regolamento CSA”, ha commentato in un post pubblicato su X il deputato spagnolo Javier Zarzalejos, leader delle negoziazioni in Parlamento. “Abbiamo bisogno di un quadro legislativo obbligatorio e a lungo termine con solide garanzie. Il tempo sta per scadere e ogni minuto che perdiamo senza una legislazione efficace significa più bambini danneggiati”. La nuova proposta non sembra però incontrare né il sostegno delle forze dell’ordine, preoccupate che i contenuti illegali rimarranno nascosti nelle applicazioni con crittografia end-to-end, né gli attivisti a difesa della privacy, preoccupati che il rilevamento – seppur volontario – possa trasformarsi in uno strumento di sorveglianza di massa. I RISCHI DI CHAT CONTROL E qui arriviamo a un altro dei punti deboli della proposta della Commissione ampiamente criticato dagli attivisti, l’alto tasso di falsi positivi. I sistemi di scansione automatica, infatti, spesso segnalano come illegali contenuti che non lo sono affatto, come le foto di bambini sulla spiaggia scattate durante le vacanze familiari. Secondo la polizia federale della Svizzera, per esempio, l’80% di tutte le segnalazioni elaborate da programmi informatici si rivelano infondate. E stando ai dati raccolti in Irlanda, invece, solo il 20% delle segnalazioni ricevute dal National Center for Missing and Exploited Children (NCMEC) nel 2020 sono state confermate come effettivo “materiale pedopornografico”. Il rischio, quindi, è che i cittadini vengano coinvolti in indagini sull’abuso di minori senza aver mai commesso alcun reato e, per di più, vedendo compromessa la propria privacy. E non è tutto. Molti critici, infatti, temono anche il cosiddetto “function creep”: una volta che esisterà un sistema per la scansione di tutti i messaggi degli utenti, i futuri governi potrebbero essere tentati di estenderne l’applicazione ad altri settori, come il terrorismo o, nel peggiore dei casi, censurando il dissenso politico. “Una volta che viene implementato una tecnologia di questo genere, significa che avremo un sistema che controlla tutte le nostre comunicazioni e decide se sono legali o no”, ha commentato Udbhav Tiwari, VP strategy and global affairs di Signal, nel corso del webinar Stop Chat Control tenutosi lo scorso 30 settembre. “Il suo funzionamento dipende esclusivamente da come e con quali dati viene addestrato”. Un’opinione condivisa dai governi di Repubblica Ceca, Paesi Bassi e Olanda, che hanno espresso un voto contrario lo scorso 26 novembre. E così pure – o quasi – dall’Italia, che ha deciso di astenersi dalla votazione, sottolineando la preoccupazione che una forma di sorveglianza delle comunicazioni potrebbe ledere i diritti costituzionali della persona. “I titoli dei giornali sono fuorvianti: Chat Control non è morto, è solo stato privatizzato”, ha commentato Patrick Breyer, ex eurodeputato oggi alla guida del movimento Fight Chat Control. “Quello che il Consiglio ha approvato oggi è un cavallo di Troia. Consolidando la scansione di massa ‘volontaria’, stanno legittimando la sorveglianza di massa senza mandato e soggetta a errori di milioni di europei da parte delle aziende statunitensi”. Il termine “volontario” per definire il rilevamento proposto dalla presidenza danese, secondo Breyer, sarebbe ingannevole: “Il testo mira a rendere permanente la normativa temporanea ‘Chat Control 1.0’”, che consente a fornitori come Meta o Google di scansionare le chat private degli utenti, indiscriminatamente e senza un mandato del tribunale. Nulla di troppo diverso, quindi, rispetto alla proposta originaria. Chat Control, secondo gli attivisti, è e continua a essere uno strumento pericoloso per la sicurezza e la privacy dei cittadini. L'articolo L’eterno ritorno di Chat Control proviene da Guerre di Rete.
UCRAINA: “SEGUIRE IL DENARO, LA VERA POSTA IN GIOCO”. IL COMMENTO DI EMILIANO BRANCACCIO
La Russia apre a negoziati di pace con l’Ucraina. Secondo Mosca “è in corso un processo serio per trovare una soluzione negoziata al conflitto e molti cercheranno di farlo fallire”. Lo ha detto il portavoce del Cremlino Peskov commentando le trattative in corso a partire dal piano presentato la scorsa settimana dall’amministrazione Usa e modificato dagli emissari di Washington insieme al governo ucraino e a rappresentanti dell’Ue. Il presidente ucraino Zelesnky, però, non si fida e – dopo una telefonata con la presidente della Commissione Ue von der Leyen – chiede agli alleati del Vecchio continente di continuare a esercitare pressione sulla Russia. “Nessun territorio occupato sarà mai riconosciuto come russo”, afferma il Parlamento europeo nella relazione sul piano Usa approvata la mattina di giovedì 27 novembre 2025 a Strasburgo. La relazione riconosce gli sforzi negoziali degli Usa, ma critica “l’ambivalenza di Washington”, ritenuta “dannosa ai fini di una pace duratura”. Negli Stati Uniti d’America intanto è bufera sull’inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff: sono trapelate le parole che avrebbe pronunciato durante una telefonata con il mediatore russo Ushakov. Nel dialogo Witkoff suggerisce ai russi il modo in cui Putin avrebbe dovuto presentare a Trump la proposta di pace. Per Mosca si tratta di una “fuga di notizie per far saltare l’accordo”. “Dietro i massacri di questo tempo c’è il denaro, c’è il capitale”, commenta su Radio Onda d’Urto l’economista Emilano Brancaccio, autore di un commento su Il Manifesto di sabato 22 novembre 2025 dal titolo Seguire il denaro: la vera posta in gioco. “Lo sviluppo delle guerre di questo tempo ci fa capire che sono guerre definibili capitaliste, se non si parte da qui non si può capire nulla del sangue che viene sparso in questo tempo”, aggiunge Brancaccio. L’intervista di Radio Onda d’Urto all’economista Emiliano Brancaccio, docente di Politica economica all’Università del Sannio. Ascolta o scarica.  
Kiev si arrende alla trattativa, la UE ancora no
La notizia-bomba è che la junta ucraina ha accettato il “piano Trump” per contrattare la pace con la Russia. C’è solo un piccolo problema: nessuno – tranne ovviamente i protagonisti diretti – sa cosa c’è scritto. L’unico dettaglio certo riguarda il numero di punti da cui sarebbe composto: 19 invece […] L'articolo Kiev si arrende alla trattativa, la UE ancora no su Contropiano.
L’Ucraina ha fatto la guerra all'”Europa”
La distruzione del North Stream, il più grave attentato a una infrastruttura civile europea dalla Seconda guerra mondiale a oggi, non è stato solo un attacco agli interessi economici dei cittadini europei (che si ritrovano un costo della vita drammaticamente più alto, con milioni di persone ormai incapaci di sostenere […] L'articolo L’Ucraina ha fatto la guerra all'”Europa” su Contropiano.
Enshittification: il progressivo degrado delle piattaforme digitali
Immagine in evidenza: rielaborazione della copertina di Enshittification di Cory Doctorow Da alcuni anni conosciamo il cosiddetto “capitalismo della sorveglianza”: un modello economico basato sull’estrazione, controllo e vendita dei dati personali raccolti sulle piattaforme tecnologiche. Lo ha teorizzato Shoshana Zuboff nel 2019 in un libro necessario per comprendere come Meta, Amazon, Google, Apple e gli altri colossi tech abbiano costruito un potere senza precedenti, capace di influenzare non solo il mercato e i comportamenti degli utenti, ma anche, tramite il lobbying, le azioni dei decisori pubblici di tutto il mondo. L’idea che queste grandi piattaforme abbiano sviluppato una sorta di potere sulle persone tramite la sorveglianza commerciale, com’è stata teorizzata da Zuboff, è però un mito che è il momento di sfatare. Così almeno la pensa Cory Doctorow, giornalista e scrittore canadese che negli ultimi anni ha pubblicato due libri particolarmente illuminanti sul tema.  In “Come distruggere il capitalismo della sorveglianza”, uscito nel 2024 ed edito da Mimesis, Doctorow spiega come molti critici abbiano ceduto a quella che il professore del College of Liberal Arts and Human Science Lee Vinsel ha definito “criti-hype”: l’abitudine di criticare le affermazioni degli avversari senza prima verificarne la veridicità, contribuendo così involontariamente a confermare la loro stessa narrazione. In questo caso, in soldoni, il mito da contestare è proprio quello di poter “controllare” le persone per vendergli pubblicità.  “Penso che l’ipotesi del capitalismo della sorveglianza sia profondamente sbagliata, perché rigetta il fatto che le aziende ci controllino attraverso il monopolio, e non attraverso la mente”, spiega Doctorow a Guerre di Rete. Il giornalista fa l’esempio di uno dei più famosi CEO delle Big Tech, Mark Zuckerberg: “A maggio, Zuckerberg ha rivelato agli investitori che intende recuperare le decine di miliardi che sta spendendo nell’AI usandola per creare pubblicità in grado di aggirare le nostre capacità critiche, e quindi convincere chiunque ad acquistare qualsiasi cosa. Una sorta di controllo mentale basato sull’AI e affittato agli inserzionisti”.  Effettivamente, viste le perdite che caratterizzano il settore dell’intelligenza artificiale – e nel caso di Meta visto anche il fallimento di quel progetto chiamato metaverso, ormai così lontano da non essere più ricordato da nessuno – è notevole che Zuckerberg sia ancora in grado di ispirare fiducia negli investitori. E di vendergli l’idea di essere un mago che, con cappello in testa e bacchetta magica in mano, è in grado di ipnotizzarci tutti. “Né Rasputin [il mistico russo, cui erano attribuito poteri persuasivi, ndr] né il progetto MK-Ultra [un progetto della CIA per manipolare gli stati mentali negli interrogatori, ndr] hanno mai veramente perfezionato il potere mentale, erano dei bugiardi che mentivano a sé stessi o agli altri. O entrambe le cose”, dice Doctorow. “D’altronde, ogni venditore di tecnologia pubblicitaria che incontri un dirigente pubblicitario sfonda una porta aperta: gli inserzionisti vogliono disperatamente credere che tu possa controllare la mente delle persone”.  IL CARO VECCHIO MONOPOLIO Alla radice delle azioni predatorie delle grandi piattaforme, però, non ci sarebbe il controllo mentale, bensì le pratiche monopolistiche, combinate con la riduzione della qualità dei servizi per i miliardi di utenti che li usano. Quest’ultimo è il concetto di enshittification, coniato dallo stesso Doctorow e che dà il nome al suo saggio appena uscito negli Stati Uniti. Un processo che vede le piattaforme digitali, che inizialmente offrono un servizio di ottimo livello, peggiorare gradualmente per diventare, alla fine, una schifezza (la traduzione di shit è escremento, per usare un eufemismo). “All’inizio la piattaforma è vantaggiosa per i suoi utenti finali, ma allo stesso tempo trova il modo di vincolarli”, spiega il giornalista facendo l’esempio di Google, anche se il processo di cui parla si riferisce a quasi tutte le grandi piattaforme. Il motore di ricerca ha inizialmente ridotto al minimo la pubblicità e investito in ingegneria per offrire risultati di altissima qualità. Poi ha iniziato a “comprarsi la strada verso il predominio” –sostiene Doctorow – grazie ad accordi che hanno imposto la sua casella di ricerca in ogni servizio o prodotto possibile. “In questo modo, a prescindere dal browser, dal sistema operativo o dall’operatore telefonico utilizzato, le persone finivano per avere sempre Google come impostazione predefinita”. Una strategia con cui, secondo Doctorow, l’azienda di Mountain View ha acquisito qua e là società di grandi dimensioni per assicurarsi che nessuno avesse un motore di ricerca che non fosse il suo. Per Doctorow è la fase uno: offrire vantaggi agli utenti, ma legandoli in modo quasi invisibile al proprio ecosistema. Un’idea di quale sia il passaggio successivo l’abbiamo avuta assistendo proprio a ciò che è successo, non troppo tempo fa, al motore di ricerca stesso: “Le cose peggiorano perché la piattaforma comincia a sfruttare gli utenti finali per attrarre e arricchire i clienti aziendali, che per Google sono inserzionisti ed editori web. Una porzione sempre maggiore di una pagina dei risultati del motore di ricerca è dedicata agli annunci, contrassegnati con etichette sempre più sottili, piccole e grigie. Così Google utilizza i suo i dati di sorveglianza commerciale per indirizzare gli annunci”, spiega Doctorow.  Nel momento in cui anche i clienti aziendali rimangono intrappolati nella piattaforma, come prima lo erano stati gli utenti, la loro dipendenza da Google è talmente elevata che abbandonarla diventa un rischio esistenziale. “Si parla molto del potere monopolistico di Google, che deriva dalla sua posizione dominante come venditore. Penso però che sia più correttamente un monopsonio”. Monopoli e monopsoni “In senso stretto e tecnico, un monopolio è un mercato con un unico venditore e un monopsonio è un mercato con un unico acquirente”, spiega nel suo libro Doctorow. “Ma nel linguaggio colloquiale dell’economia e dell’antitrust, monopolista e monopsonista si riferiscono ad aziende con potere di mercato, principalmente il potere di fissare i prezzi. Formalmente, i monopolisti di oggi sono in realtà oligopolisti e i nostri monopsonisti sono oligopsonisti (cioè membri di un cartello che condividono il potere di mercato)”. E ancora scrive: “Le piattaforme aspirano sia al monopolio che al monopsonio. Dopo tutto, le piattaforme sono ”mercati bilaterali” che fungono da intermediari tra acquirenti e venditori. Inoltre, la teoria antitrust basata sul benessere dei consumatori è molto più tollerante nei confronti dei comportamenti monopsonistici, in cui i costi vengono ridotti sfruttando lavoratori e fornitori, rispetto ai comportamenti monopolistici, in cui i prezzi vengono aumentati. In linea di massima, quando le aziende utilizzano il loro potere di mercato per abbassare i prezzi, possono farlo senza temere ritorsioni normative. Pertanto, le piattaforme preferiscono spremere i propri clienti commerciali e aumentano i prezzi solo quando sono diventate davvero troppo grandi per essere perseguite”. Così facendo, l’evoluzione del motore di ricerca si è bloccata e il servizio ha poi iniziato a peggiorare, sostiene l’autore. “A un certo punto, nel 2019, più del 90% delle persone usava Google per cercare tutto. Nessun utente poteva più diventare un nuovo utente dell’azienda e quindi non avevano più un modo facile per crescere. Di conseguenza hanno ridotto la precisione delle risposte, costringendo gli utenti a cercare due o più volte prima di ottenerne una decente, raddoppiando il numero di query e di annunci”. A rendere nota questa decisione aziendale è stata, lo scorso anno, la pubblicazione di alcuni documenti interni durante un processo in cui Google era imputata. Sui banchi di un tribunale della Virginia una giudice ha stabilito che l’azienda creata da Larry Page e Sergey Brin ha abusato di alcune parti della sua tecnologia pubblicitaria per dominare il mercato degli annunci, una delle sue principali fonti di guadagno (nel 2024, più di 30 miliardi di dollari a livello mondiale). “E così arriviamo al Google incasinato di oggi, dove ogni query restituisce un cumulo di spazzatura di intelligenza artificiale, cinque risultati a pagamento taggati con la parola ‘ad’ (pubblicità) in un carattere minuscolo e grigio su sfondo bianco. Che a loro volta sono link di spam che rimandano ad altra spazzatura SEO”, aggiunge Doctorow facendo riferimento a quei contenuti creati a misura di motore di ricerca e privi in realtà di qualunque valore informativo. Eppure, nonostante tutte queste criticità, continuiamo a usare un motore di ricerca del genere perché siamo intrappolati nei suoi meccanismi. Il quadro non è dei migliori. “Una montagna di shit”, le cui radici  – afferma lo studioso – vanno cercate nella distruzione di quei meccanismi di disciplina che una volta esistevano nel capitalismo. Ma quali sarebbero questi lacci che tenevano a bada le grandi aziende? La concorrenza di mercato – ormai eliminata dalle politiche che negli ultimi 40 anni hanno favorito i monopoli; una regolamentazione efficace – mentre oggi ci ritroviamo con leggi e norme inadeguate o dannose, come ad esempio la restrizione dei meccanismi di interoperabilità indotta dall’introduzione di leggi sul copyright; e infine il potere dei lavoratori – anche questo in caduta libera a seguito dell’ondata di licenziamenti nel settore tecnologico. La “enshittification“, secondo Doctorow, è un destino che dovevamo veder arrivare, soprattutto perché giunge a valle di scelte politiche precise: “Non sono le scelte di consumo, ma quelle politiche a creare mostri come i CEO delle Big Tech, in grado di distruggere le nostre vite online perché portatori di pratiche commerciali predatorie, ingannevoli, sleali”. Non basta insomma odiare i giocatori e il gioco, bisogna anche ricordare che degli arbitri disonesti hanno truccato la partita, convincendo i governi di tutto il mondo ad abbracciare specifiche politiche. Quando si parla di tecnologia e delle sue implicazioni a breve, medio e lungo periodo è difficile abbracciare una visione possibilista e positiva. Un po’ come succede per le lotte per la giustizia sociale e per il clima: il muro che ci si ritrova davanti sembra invalicabile. Una grossa difficoltà che, secondo Doctorow, è data dalla presenza di monopoli e monopsoni.  Ma la reazione alle attuali crisi politiche globali mostra che un cambiamento è possibile. “Negli ultimi anni c’è stata un’azione di regolamentazione della tecnologia superiore a quella dei 40 anni precedenti”, spiega Doctorow. Non solo: la seconda elezione di Donald Trump si starebbe rivelando una benedizione sotto mentite spoglie, sia per il clima sia per il digitale. “Ha acceso un fuoco sotto i leader di altri Paesi ex alleati, stimolando grandi e ambiziosi programmi per sfuggire al monopolio statunitense. Pensiamo ai dazi sui pannelli solari cinesi imposti da Trump nella prima amministrazione, per esempio. Una misura che ha spinto i produttori di Pechino a inondare i paesi del Sud del mondo con i loro pannelli economici, a tal punto che intere regioni si sono convertite all’energia solare”, afferma Doctorow, che considera questa strada percorribile anche per ottenere una tecnologia più libera. PER NON VEDERE TUTTO NERO Sfuggire alle Big Tech americane non dovrebbe significare semplicemente  rifugiarsi in un servizio alternativo (mail, cloud, social media, ecc.), anche perché il processo non è così semplice. “Non si copia e incolla la vita delle persone: le email, i file, i documenti custoditi nei cloud di Microsoft, Apple o Google. Nessun ministero, azienda o individuo lo farà”. Motivo per cui, secondo Doctorow, Eurostack è una possibile alternativa, ma che ha ancora tanta strada da fare. Eurostack è un’iniziativa europea nata recentemente in risposta all’esigenza di costruire una sovranità digitale del Vecchio continente, indipendente dalle aziende tecnologiche straniere (specialmente USA). Coinvolge attivisti digitali, comunità open source, istituzioni europee e alcuni politici. “L’Ue potrebbe ordinare alle grandi aziende tech statunitensi di creare strumenti di esportazione, così che gli europei possano trasferire facilmente i propri dati in Eurostack, ma possiamo già immaginare come andrà a finire. Quando l’Ue ha approvato il Digital Markets Act, Apple ha minacciato di smettere di vendere iPhone in Europa, e ha presentato 18 ricorsi legali”, ricorda Doctorow.  Se la risposta di un’azienda statunitense all’introduzione di una direttiva europea è questa, la soluzione allora non può essere che radicale. “L’unica via possibile è abrogare l’articolo 6 della direttiva sul diritto d’autore: l’Ue dovrebbe rendere legale il reverse engineering di siti web e app statunitensi in modo che gli europei possano estrarre i propri dati e trasferirli in Eurostack. Un modello aperto, sovrano, rispettoso della privacy, dei diritti dei lavoratori e dei consumatori”. 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La fine di Israele? Chris Hedges intervista Ilan Pappè
 Nonostante il dominio militare di Israele sui suoi nemici regionali, l’entità sionista si trova davvero nel momento più vulnerabile della sua storia? E, cosa ancora più importante, può sostenere il progetto dello Stato ebraico? Lo storico israeliano Ilan Pappè sostiene che Israele stia implodendo. Egli definisce l’attuale governo di estrema […] L'articolo La fine di Israele? Chris Hedges intervista Ilan Pappè su Contropiano.
Il desiderio di movimento contro i Re e le loro Guerre
(articolo de Il Manifesto del 01 novembre 2025) In Italia, per la prima volta dopo anni, un movimento ampio e popolare ha scosso la politica e le istituzioni fino alle fondamenta, incrinando la rassegnazione. Con la Flotilla si è sentita Continua a leggere L'articolo Il desiderio di movimento contro i Re e le loro Guerre proviene da ATTAC Italia.