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E’ caccia ai criminali di guerra israeliani. Due fermati in Belgio
La polizia belga ha fermato e interrogato due soldati israeliani sospettati di aver commesso crimini di guerra a Gaza. L’operazione, secondo quanto riportano i media belgi, è scattata dopo una denuncia presentata dalla Hind Rajab Foundation e dal Global Legal Action Network (Glan). I due militari sono stati bloccati al […] L'articolo E’ caccia ai criminali di guerra israeliani. Due fermati in Belgio su Contropiano.
Due soldati israeliani arrestati in Belgio per crimini di guerra a Gaza
La polizia federale belga ha arrestato due soldati israeliani al festival Tomorrowland, in seguito a una denuncia della Fondazione Hind Rajab e del Global Legal Action Network. I due sono sospettati di aver commesso crimini di guerra nella Striscia di Gaza. La Fondazione è stata creata in memoria di Hind Rajab, una bambina di sei anni di Gaza. Intrappolata in auto con la famiglia, circondata dai carri armati israeliani, chiese aiuto per ore, ma venne uccisa dall’esercito israeliano insieme ai parenti e ai paramedici accorsi per soccorrerla. L’indagine è stata avviata grazie all’articolo 14/10 del codice di procedura penale belga, in vigore dall’aprile 2024, che consente ai tribunali del Paese di esercitare giurisdizione su crimini internazionali — come crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio — anche se commessi all’estero, in base alle Convenzioni di Ginevra e alla Convenzione ONU contro la tortura. È la prima volta che in Europa si procede con un arresto formale di soldati israeliani applicando il principio della giurisdizione universale. Le ONG coinvolte definiscono l’operazione una «svolta storica» verso l’accertamento delle responsabilità per le violazioni commesse a Gaza. Fonti https://chronocol.com/voxes/zjdjsl60eded4qgxyfny2jqe https://www.thenorthstar.com/p/breaking-2-genocidal-israeli-war Redazione Italia
Gran finale della «Trka do Brisela» nel cuore dell’Europa
Gli « héros et héroïnes à vélo » (eroi ed eroine in bicicletta), dopo aver compiuto l’impresa monumentale di attraversare l’Europa dal 3 al 15 aprile, da Novi Sad a Strasburgo, hanno continuato a portare con forza attraverso i propri corpi la causa degli studenti serbi che si stanno mobilitando ininterrottamente da oltre sei mesi, a casa e altrove. All’impresa della “Tura do Strazbura” ha fatto immediatamente seguito un secondo attraversamento del continente, questa volta a piedi, in direzione di Bruxelles. Questa mobilitazione si è trasformata in una vera e propria ultramaratona di 1.950 chilometri, percorsi in 18 giorni da un gruppo determinato di studenti e attivisti serbi, all’interno dell’incredibile percorso conosciuto come “Trka do Brisela” nell’ambito dell’azione “Trkači u blokadi – Od mog sela do Brisela”. Partita da Novi Sad, la staffetta aveva quale meta la capitale europea e ha superato i 2.000 chilometri attraverso 8 paesi. Il gruppo, composto da 21 studenti, è stato affiancato da diversi team di supporto: fisioterapisti, autisti, logistica, comunicazione e molti altri. Il movimento studentesco serbo, che è cresciuto continuamente negli ultimi sei mesi, è nato in seguito alla tragedia del 1° novembre, quando il crollo della pensilina presso la stazione ferroviaria di Novi Sad ha provocato la morte di 16 persone. Questo dramma ha generato una reazione collettiva contro la corruzione sistemica che affligge la Serbia e la stessa la protesta è divenuta un segnale d’allarme per l’intero continente, dove problemi simili e i dilemmi etici ostacolano il sano sviluppo delle società a livello politico, economico, educativo e culturale.   Gli eroi ed eroine in cammino: in bici o a piedi, con coscienza e determinazione Unito da uno slogan trasversale e da una battaglia specifica e chiara, quella della lotta alla corruzione, il movimento si è strutturato attorno al meccanismo dei “plenum”, concepiti come veri pilastri di un modello di democrazia diretta e partecipativa in corso di sperimentazione. Rifiutando qualsiasi deriva legata al culto della personalità, alla militanza di facciata o a alle strumentalizzazioni ideologiche, il movimento ha finora mantenuto una chiara indipendenza rispetto ai dibattiti sull’adesione all’Unione europea, così come alle polemiche nazionali o regionali, concentrandosi sui punti chiave del cambiamento sistemico che sono presentati come prioritari e urgenti. Questa vera e propria “rivolta in cammino”, che ha fatto delle occupazioni universitarie (note come «blokada» nel contesto serbo) un simbolo di resistenza, unisce mobilità e creatività per stimolare una partecipazione popolare di portata inaudita. L’energia del movimento, il suo processo partecipativo, l’innovazione costante delle iniziative e la determinazione dei protagonisti hanno contribuito a renderlo un vero e proprio movimento di massa. I giovani ne sono il motore, ispirando anche le generazioni precedenti a impegnarsi e cercando di contrastare l’emorragia migratoria che colpisce tutta l’Europa sud-orientale, e in particolare la Serbia. Un recente studio della Fondazione Friedrich Ebert ha illustrato dati aggiornati che evidenziano come la Serbia sia il paese con il maggiore scarto tra formazione e impiego tra i dodici analizzati nel corso delle attività di ricerca: nel 2024, soltanto il 20,7% dei giovani lavorava nel proprio ambito di studi e di specializzazione, mentre l’83,2% della popolazione intervistata risultava essere eccessivamente qualificata rispetto alle possibilità di impiego accessibili. Al centro di questa dinamica di partecipazione e di azione – dalla rotta ciclistica alla volta di Strasburgo fino alla maratona da Novi Sad e, più simbolicamente, alla partenza dai villaggi d’origine dei 21 corridori fino a Bruxelles – le diaspore serbe hanno giocato un ruolo fondamentale sostenendo le rivendicazioni degli studenti e organizzando in poche ore una straordinaria rete di accoglienza in famiglia a Bruxelles, come era già avvenuto nelle altre città europee attraversate precedentemente dal movimento. Dall’Austria alla Francia, dalla Germania all’Ungheria, dai Paesi Bassi alla Slovenia, queste comunità diasporiche hanno rappresentato un motore transnazionale e intergenerazionale in grado di conferire alla protesta una dimensione pienamente europea, dimostrando che l’Europa dei popoli può precedere – e sopravvivere – all’Europa delle istituzioni quando queste non riescono a rispondere alle sfide del presente. In Belgio, i maratoneti sono arrivati a Liegi al tramonto di domenica 11 maggio, accolti da canti, cartelli, messaggi di sostegno, abbracci festosi e dai discorsi di Dragana Radanović, in rappresentanza del collettivo della diaspora «Palac Gore», e della deputata belga Sarah Schlitz, del gruppo Ecolo-Groen. Il giorno dopo, dopo 18 giorni di marcia, i corridori hanno finalmente raggiunto Bruxelles, entrando dal parco del Cinquantenario poco prima delle 20:00, attraversando l’Arco di Trionfo illuminato dalla luce dorata della sera, in un’atmosfera di unità e di apertura dei cammini tracciati dalla gioventù europea oltre i confini e le divisioni. Le note di «Bella Ciao», universalmente nota e interpretata dal «pianista di strada» Davide Martello, musicista presente nei luoghi simbolici della storia europea con il suo tormentato pianoforte che anticipa puntualmente l’arrivo dei manifestanti, che i maratoneti hanno varcato le arcate del parco. Come in altre città, anche ai margini estremi del continente, Martello ha lasciato suonare per un attimo un bambino cedendogli il suo sgabello, prima che i corridori venissero travolti dall’entusiasmo del pubblico. Da quel momento, la celebrazione è esplosa in un clima festoso, al ritmo di «Pumpaj», con un immancabile cappello Pikachū ribattezzato «Trkachu» dalla maratoneta più giovane del gruppo, i ricongiungimenti emozionanti con i propri cari arrivati di sorpresa con fiori in mano, e infine il ritorno tra le braccia del proprio team. L’arrivo alla rotonda Schuman è stato intensamente vissuto da tutte le squadre che hanno accompagnato i maratoneti e dal pubblico più variegato, tutti in trepidante attesa lavorando alacremente ai preparativi e immaginando i loro volti da 18 giorni: giornalisti, coordinatori dell’accoglienza, autisti, artisti, rappresentanti istituzionali, studenti, volontari, famiglie locali, … Alcuni partecipanti hanno iniziato subito a cercare i loro ospiti da portare a casa, mentre una potente rete di accoglienza familiare, talvolta tra sconosciuti, continuava ad autorganizzarsi con una straordinaria efficienza tanto che al termine dell’evento, ogni studente aveva già trovato una famiglia ospitante a Bruxelles. Tra le numerose persone accorse a sostenerli vi erano anche membri della diaspora dell’intera regione: non solo serbi, ma anche cittadini di altri paesi, tra cui Bosnia-Erzegovina e Croazia, ispirati dalla protesta e desiderosi di incontrare gli studenti dopo averli seguiti a distanza per diverse settimane. Quello che gli studenti hanno portato, e ciò che intendono costruire, è un messaggio di unità e coesione. Lo testimoniano le parole di Maja, la più giovane del gruppo dei maratoneti nonché unica liceale tra gli altri universitari, che ha tagliato il nastro dell’ultimo metro esclamando con emozione: «Grazie, grazie davvero. Grazie ai miei compagni di viaggio… sapete quanto siete forti, pieni di energia, e quanto contate per me?» Il programma ha alternato momenti gioiosi a parti solenni. Il “Coro della Blokada” ha interpretato i canti emblematici del movimento, è stato poi osservato il rigoroso momento di silenzio per le vittime di Novi Sad lungo sedici minuti sotto una pioggia improvvisa, mentre diverse personalità politiche hanno espresso il proprio sostegno con la loro presenza e le parole di solidarietà durante l’arrivo degli studenti, a cominciare da Martin Hojsík, vicepresidente del Parlamento europeo, seguito da Vula Tsetsi, segretaria generale del gruppo Verdi/ALE, e Kathleen Van Brempt, vicepresidente del gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D). In questo contesto, l’arrivo a Bruxelles non rappresenta solo la conclusione di uno sforzo fisico fuori dal comune: apre una nuova fase, quella di un rinnovato appello alla responsabilità democratica e all’impegno civico. Grazie alla loro perseveranza, questo gruppo di giovani ha richiamato con decisione l’attenzione delle istituzioni europee e dell’opinione pubblica. I loro passi, ormai dissolti sotto l’Arco di Trionfo del Parco del Cinquantenario, lasciano un messaggio chiaro: il futuro della Serbia deve radicarsi nella democrazia, nel rispetto dei diritti umani, nella libertà di espressione e nella voce sovrana dei cittadini.     Tag:  Anna Lodeserto
Ritorno della leva obbligatoria in tutta Europa: cosa aspettarsi dalla corsa al riarmo
Sul finire del secolo scorso, l’esigenza dei paesi NATO era quella di costruire un nuovo modello di difesa con militari di professione, giudicando la leva un antico, e ormai inutile, retaggio del passato. Serviva, insomma, un esercito addestrato, con numeri decisamente inferiori al passato, ma capace di intervenire con efficacia e tempestività. La scarsa motivazione dell’esercito di leva, venuto meno quel clima da opposti schieramenti, anche ideologici, sancito dal lungo secondo dopo guerra, l’evoluzione della tecnologia militare e duale, a partire dalle guerre spaziali degli anni Ottanta, andavano mutando scenari e  priorità. Già 30 anni fa giravano vari studi atti a dimostrare che la leva obbligatoria era fonte di inutile spesa pubblica, non servivano soldati poco motivati e obbligati a mesi nelle caserme, ma forze di pronto intervento rapido da utilizzare negli scenari di guerra e dopo alcuni anni da ricollocare, con corsie preferenziali, negli uffici pubblici. E a quel punto qualche anno da militare di professione spianava la strada anche ad un successivo impiego sicuro, questi erano i presupposti con i quali partiva la campagna per l’esercito professionale 25 anni or sono. Con la fine della Guerra Fredda, nell’arco di pochi anni, quasi tutti i paesi eliminano la leva obbligatoria scegliendo la strada (suggerita dagli USA) delle forze di difesa professionali, iniziano Belgio (1995) e Paesi Bassi (1997) seguiti da innumerevoli paesi per arrivare poi, nel nuovo secolo, ad altre nazioni ossia Germania (2012), Ucraina (2014), Lituania (2015), Lettonia (2023). La leva in realtà nel nostro paese non è stata cancellata, ma solo sospesa e di questo l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha ampiamente parlato e scritto negli ultimi mesi, nel frattempo registriamo spinte importanti che vanno nella direzione di ripristinare la obbligatorietà della leva, prevedendo in alcuni casi una scelta tra addestramento militare e un servizio civile. E nazioni come Germania e Polonia da due anni parlano di pianificare l’addestramento militare per i civili per far fronte alla minaccia russa. E questi due paesi sono quelli che maggiormente nel vecchio continente hanno accresciuto le spese belliche in rapporto al loro stesso PIL e nel caso renano sta partendo la riconversione di interi settori dell’economia civile a fini militari, un progetto di economia di guerra sul quale stanno lavorando da un anno. Meno di un anno fa la Polonia annunciava un piano straordinario di addestramento militare a “tutti gli uomini adulti” nell’ottica di costruire un esercito di 500 mila uomini inclusi i riservisti che, sul modello israeliano, diventano sempre più importanti nei futuri scenari militaristi. Se la guerra in Palestina è condotta con ampio utilizzo di tecnologie di ultima generazione e con sistemi all’avanguardia, il conflitto ucraino, per quanto presenti ampio utilizzo di droni e missili, di aerei a guida senza pilota, ha richiesto quantitativi di soldati decisamente maggiori a quelli disponibili, la Russia ha inviato al fronte ex detenuti in cambio della promessa, una volta tornati dalla guerra, di non espiare la pena, in Ucraina i reclutatori dell’esercito costringono giovani ad andare al fronte battendo villaggio per villaggio. In Germania, nel frattempo, si parla di reintroduzione del servizio militare obbligatorio entro la fine dell’anno, in Spagna invece, dove le posizioni sono diametralmente opposte, è iniziata una aspra discussione sulla cultura della sicurezza e della difesa che in soldoni potrebbe portare a rivalutare la leva obbligatoria (con qualche modifica rispetto al passato) da qui a pochissimi anni. Ritorno del servizio militare obbligatorio: più dubbi che certezze – Lavoce.info Servizio militare obbligatorio: Spagna e altri Paesi europei potrebbero ripristinare la leva | EuronewsIl Belgio rilancia il servizio militare volontario: obiettivo 20mila riservisti | Euronews Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università