Gran finale della «Trka do Brisela» nel cuore dell’EuropaGli « héros et héroïnes à vélo » (eroi ed eroine in bicicletta), dopo aver
compiuto l’impresa monumentale di attraversare l’Europa dal 3 al 15 aprile, da
Novi Sad a Strasburgo, hanno continuato a portare con forza attraverso i propri
corpi la causa degli studenti serbi che si stanno mobilitando ininterrottamente
da oltre sei mesi, a casa e altrove. All’impresa della “Tura do Strazbura” ha
fatto immediatamente seguito un secondo attraversamento del continente, questa
volta a piedi, in direzione di Bruxelles.
Questa mobilitazione si è trasformata in una vera e propria ultramaratona di
1.950 chilometri, percorsi in 18 giorni da un gruppo determinato di studenti e
attivisti serbi, all’interno dell’incredibile percorso conosciuto come “Trka do
Brisela” nell’ambito dell’azione “Trkači u blokadi – Od mog sela do Brisela”.
Partita da Novi Sad, la staffetta aveva quale meta la capitale europea e ha
superato i 2.000 chilometri attraverso 8 paesi. Il gruppo, composto da 21
studenti, è stato affiancato da diversi team di supporto: fisioterapisti,
autisti, logistica, comunicazione e molti altri.
Il movimento studentesco serbo, che è cresciuto continuamente negli ultimi sei
mesi, è nato in seguito alla tragedia del 1° novembre, quando il crollo della
pensilina presso la stazione ferroviaria di Novi Sad ha provocato la morte di 16
persone. Questo dramma ha generato una reazione collettiva contro la corruzione
sistemica che affligge la Serbia e la stessa la protesta è divenuta un segnale
d’allarme per l’intero continente, dove problemi simili e i dilemmi etici
ostacolano il sano sviluppo delle società a livello politico, economico,
educativo e culturale.
Gli eroi ed eroine in cammino: in bici o a piedi, con coscienza e determinazione
Unito da uno slogan trasversale e da una battaglia specifica e chiara, quella
della lotta alla corruzione, il movimento si è strutturato attorno al meccanismo
dei “plenum”, concepiti come veri pilastri di un modello di democrazia diretta e
partecipativa in corso di sperimentazione. Rifiutando qualsiasi deriva legata al
culto della personalità, alla militanza di facciata o a alle strumentalizzazioni
ideologiche, il movimento ha finora mantenuto una chiara indipendenza rispetto
ai dibattiti sull’adesione all’Unione europea, così come alle polemiche
nazionali o regionali, concentrandosi sui punti chiave del cambiamento sistemico
che sono presentati come prioritari e urgenti.
Questa vera e propria “rivolta in cammino”, che ha fatto delle occupazioni
universitarie (note come «blokada» nel contesto serbo) un simbolo di resistenza,
unisce mobilità e creatività per stimolare una partecipazione popolare di
portata inaudita. L’energia del movimento, il suo processo partecipativo,
l’innovazione costante delle iniziative e la determinazione dei protagonisti
hanno contribuito a renderlo un vero e proprio movimento di massa. I giovani ne
sono il motore, ispirando anche le generazioni precedenti a impegnarsi e
cercando di contrastare l’emorragia migratoria che colpisce tutta l’Europa
sud-orientale, e in particolare la Serbia. Un recente studio della Fondazione
Friedrich Ebert ha illustrato dati aggiornati che evidenziano come la Serbia sia
il paese con il maggiore scarto tra formazione e impiego tra i dodici analizzati
nel corso delle attività di ricerca: nel 2024, soltanto il 20,7% dei giovani
lavorava nel proprio ambito di studi e di specializzazione, mentre l’83,2% della
popolazione intervistata risultava essere eccessivamente qualificata rispetto
alle possibilità di impiego accessibili.
Al centro di questa dinamica di partecipazione e di azione – dalla rotta
ciclistica alla volta di Strasburgo fino alla maratona da Novi Sad e, più
simbolicamente, alla partenza dai villaggi d’origine dei 21 corridori fino a
Bruxelles – le diaspore serbe hanno giocato un ruolo fondamentale sostenendo le
rivendicazioni degli studenti e organizzando in poche ore una straordinaria rete
di accoglienza in famiglia a Bruxelles, come era già avvenuto nelle altre città
europee attraversate precedentemente dal movimento. Dall’Austria alla Francia,
dalla Germania all’Ungheria, dai Paesi Bassi alla Slovenia, queste comunità
diasporiche hanno rappresentato un motore transnazionale e intergenerazionale in
grado di conferire alla protesta una dimensione pienamente europea, dimostrando
che l’Europa dei popoli può precedere – e sopravvivere – all’Europa delle
istituzioni quando queste non riescono a rispondere alle sfide del presente.
In Belgio, i maratoneti sono arrivati a Liegi al tramonto di domenica 11 maggio,
accolti da canti, cartelli, messaggi di sostegno, abbracci festosi e dai
discorsi di Dragana Radanović, in rappresentanza del collettivo della diaspora
«Palac Gore», e della deputata belga Sarah Schlitz, del gruppo Ecolo-Groen. Il
giorno dopo, dopo 18 giorni di marcia, i corridori hanno finalmente raggiunto
Bruxelles, entrando dal parco del Cinquantenario poco prima delle 20:00,
attraversando l’Arco di Trionfo illuminato dalla luce dorata della sera, in
un’atmosfera di unità e di apertura dei cammini tracciati dalla gioventù europea
oltre i confini e le divisioni.
Le note di «Bella Ciao», universalmente nota e interpretata dal «pianista di
strada» Davide Martello, musicista presente nei luoghi simbolici della storia
europea con il suo tormentato pianoforte che anticipa puntualmente l’arrivo dei
manifestanti, che i maratoneti hanno varcato le arcate del parco. Come in altre
città, anche ai margini estremi del continente, Martello ha lasciato suonare per
un attimo un bambino cedendogli il suo sgabello, prima che i corridori venissero
travolti dall’entusiasmo del pubblico. Da quel momento, la celebrazione è
esplosa in un clima festoso, al ritmo di «Pumpaj», con un immancabile cappello
Pikachū ribattezzato «Trkachu» dalla maratoneta più giovane del gruppo, i
ricongiungimenti emozionanti con i propri cari arrivati di sorpresa con fiori in
mano, e infine il ritorno tra le braccia del proprio team.
L’arrivo alla rotonda Schuman è stato intensamente vissuto da tutte le squadre
che hanno accompagnato i maratoneti e dal pubblico più variegato, tutti in
trepidante attesa lavorando alacremente ai preparativi e immaginando i loro
volti da 18 giorni: giornalisti, coordinatori dell’accoglienza, autisti,
artisti, rappresentanti istituzionali, studenti, volontari, famiglie locali, …
Alcuni partecipanti hanno iniziato subito a cercare i loro ospiti da portare a
casa, mentre una potente rete di accoglienza familiare, talvolta tra
sconosciuti, continuava ad autorganizzarsi con una straordinaria efficienza
tanto che al termine dell’evento, ogni studente aveva già trovato una famiglia
ospitante a Bruxelles.
Tra le numerose persone accorse a sostenerli vi erano anche membri della
diaspora dell’intera regione: non solo serbi, ma anche cittadini di altri paesi,
tra cui Bosnia-Erzegovina e Croazia, ispirati dalla protesta e desiderosi di
incontrare gli studenti dopo averli seguiti a distanza per diverse settimane.
Quello che gli studenti hanno portato, e ciò che intendono costruire, è un
messaggio di unità e coesione. Lo testimoniano le parole di Maja, la più giovane
del gruppo dei maratoneti nonché unica liceale tra gli altri universitari, che
ha tagliato il nastro dell’ultimo metro esclamando con emozione: «Grazie, grazie
davvero. Grazie ai miei compagni di viaggio… sapete quanto siete forti, pieni di
energia, e quanto contate per me?»
Il programma ha alternato momenti gioiosi a parti solenni. Il “Coro della
Blokada” ha interpretato i canti emblematici del movimento, è stato poi
osservato il rigoroso momento di silenzio per le vittime di Novi Sad lungo
sedici minuti sotto una pioggia improvvisa, mentre diverse personalità politiche
hanno espresso il proprio sostegno con la loro presenza e le parole di
solidarietà durante l’arrivo degli studenti, a cominciare da Martin Hojsík,
vicepresidente del Parlamento europeo, seguito da Vula Tsetsi, segretaria
generale del gruppo Verdi/ALE, e Kathleen Van Brempt, vicepresidente del gruppo
dei Socialisti e Democratici (S&D).
In questo contesto, l’arrivo a Bruxelles non rappresenta solo la conclusione di
uno sforzo fisico fuori dal comune: apre una nuova fase, quella di un rinnovato
appello alla responsabilità democratica e all’impegno civico. Grazie alla loro
perseveranza, questo gruppo di giovani ha richiamato con decisione l’attenzione
delle istituzioni europee e dell’opinione pubblica. I loro passi, ormai dissolti
sotto l’Arco di Trionfo del Parco del Cinquantenario, lasciano un messaggio
chiaro: il futuro della Serbia deve radicarsi nella democrazia, nel rispetto dei
diritti umani, nella libertà di espressione e nella voce sovrana dei cittadini.
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Anna Lodeserto