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Corteo e blocco del mercato delle armi
Un grande corteo antimilitarista ha attraversato le strade di Torino sabato scorso, rompendo la cortina fumogena che avvolge l’industria bellica ed il mercato delle armi aerospaziali nella nostra città. Da oggi sino al 4 dicembre si terrà la decima edizione dell’aerospace and defence meetings, dove i maggiori player a livello mondiale sottoscriveranno accordi commerciali per le armi che distruggono intere città, massacrano civili, avvelenano terre e fiumi. Produttori, governi e organizzazioni internazionali, esponenti delle forze armate, compagnie di contractor si incontrano e fanno affari all’Oval. Quella del 29 novembre è stata un’importante giornata di lotta al militarismo e alla guerra. Alla manifestazione, indetta dall’Assemblea antimilitarista, hanno partecipato il “Coordinamento torinese contro la guerra e chi la arma” e delegazioni dalle tante lotte contro basi militari, poligoni di tiro, caserme, fabbriche di morte. La Torino antimilitarista ha dato un segnale forte e chiaro: opporsi ad un futuro per la città legato alla ricerca, produzione e commercio bellici è un modo concreto per opporsi alla guerra e a chi la a(r)ma. Al termine del corteo è stata lanciata una giornata di lotta per oggi all’Oval per inceppare il business di morte. Ne abbiamo parlato con Federico dell’Assemblea Antimilitarista Ascolta la diretta: Aggiornamento. Bloccati i mercanti d’armi all’Oval! Di seguito stralci del comunicato dell’Assemblea antimilitarista: “Nella giornata di apertura dell’Aerospace and defence meetings, il mercato dell’industria bellica aerospaziale che si svolge ogni due anni a Torino, c’erano anche gli antimilitaristi, decisi a mettersi di traverso contro la guerra e chi la arma. L’appuntamento era di fronte all’ingresso dell’Oval, dove, protetti da un ingente schieramento di polizia, dovevano entrare i partecipanti a questa convention, fiore all’occhiello della lobby armiera subalpina. Gli antimilitaristi armati di striscioni e cartelli sin dalle 11,30 hanno occupato la strada davanti al cancello del centro congressi. La polizia ha tentato senza successo di allontanare i manifestanti, che si sono messi di mezzo, intralciando l’inaugurazione dell’aerospace and defence meetings. Dopo pochi minuti le auto dirette all’Oval hanno fatto retro marcia. I partecipanti sono stati obbligati ad entrare all’Oval a piedi, alla spicciolata, da un passaggio interno al Lingotto. Per la seconda volta in 20 anni gli antimilitarist* hanno bloccato l’ingresso ai mercanti d’armi. Un fatto è certo. La narrazione istituzionale e mediatica dell’Aerospace and defence meetings e della Città dell’aerospazio continua nascondere dietro la retorica dei viaggi spaziali, delle navicelle, degli esploratori di Marte e della Luna, la realtà di un mercato e di un comparto produttivo il cui fulcro sono le armi: cacciabombardieri, elicotteri da combattimento, droni, sistemi di puntamento. Queste armi sono impiegate nelle guerre di ogni dove, ma sono prodotte a due passi dalle nostre case. La cortina fumogena che nasconde la scelta di trasformare Torino in capitale delle armi è stata in parte dissipata, coinvolgendo nelle contestazioni studenti, ecologisti, lavoratori della formazione, oltre ai gruppi che da anni lottano contro l’industria bellica. La campagna lanciata dall’Assemblea Antimilitarista è riuscita a costruire un importante corteo comunicativo il 29 novembre ed è culminata con il blocco dell’ingresso alla mostra delle armi. Una bella manciata di sabbia è stata gettata negli ingranaggi di una macchina mortale. Bisognerà moltiplicare l’impegno perché la macchina sia fermata per sempre. Questo lungo mese di lotta si conclude con la consapevolezza che i mercanti di morte, gli eserciti, i produttori di armi troveranno sempre più gente disponibile a mettersi di mezzo. Fermare la guerra e chi la a(r)ma è possibile. Dipende da ciascuno di noi.”
Migliaia in corteo a Messina: il Sud unito contro il Ponte sullo Stretto
Ancora una volta in migliaia abbiamo percorso le strade di Messina. Lo abbiamo fatto insieme a tante realtà del Sud con le quali condividiamo la decisione di difendere i nostri territori dalla furia devastatrice delle politiche coloniali ed estrattiviste. In questi giorni la governance del ponte ha subito un duro colpo, ma noi non ci facciamo illusioni. È possibile che tornino ancora, perché il dispositivo del ponte è uno strumento troppo succulento per il blocco sociale che lo sostiene. Noi ci saremo ancora, ma, soprattutto, continueremo la nostra lotta per rivendicare le risorse destinate al ponte affinché vengano soddisfatti I bisogni che i nostri territori esprimono. Abbiamo fatto un altro passo. Tantissime volte ci siamo ritrovati in questa piazza alla fine di un corteo no ponte. E siamo sempre stati in tanti. Sì, perché questo è sempre stato il movimento no ponte, un movimento di popolo, un movimento dal basso, un movimento di abitanti che vogliono decidere del proprio futuro. Questo è sempre stato il movimento no ponte, un luogo d’incontro per tutte le lotte territoriali. Oggi, collegati con la manifestazione che intanto si svolge a Roma, questo luogo è anche la Palestina. > Perché Gaza è oggi il nome comune di ogni ingiustizia e perché il progetto di > ricostruzione di Gaza è la manifestazione più feroce delle politiche > estrattiviste e coloniali di cui anche il ponte è espressione. Quelle stesse > politiche estrattiviste e coloniali che portano con sé morte e repressione, > repressione che colpisce i movimenti con arresti, multe, misure sempre più > restrittive della libertà di manifestare, Saremmo potuti venire in piazza convinti di dovere dare l’ultima spallata, convinti che, alla fine, un giudice metterà fine a questa follia e che ci preserverà dalla devastazione. Saremmo potuti venire in piazza convinti che fosse riconosciuta la ragionevolezza delle nostre argomentazioni, che, alla fine, le bugie hanno le gambe corte e la giustizia prevale sempre. Noi, però, abbiamo imparato che non è così. In tutti questi anni abbiamo imparato che la storia del ponte è fatta di un’alternanza di fasi e che a uno stop segue sempre una ripresa. Non è, d’altronde, solo la storia del ponte. È la storia delle grandi opere e avviene perché intorno alle grandi opere si forma un blocco sociale che si nutre delle risorse pubbliche. Per questo ci fidiamo così poco delle forze politiche, perché gli abbiamo visto cambiare opinione troppe volte. E anche quando si sono schierate per il no al ponte gli abbiamo visto usare troppo spesso un no condizionato. «Il nostro non è un no ideologico», dicono. E quale sarebbe il no ideologico? «Questo progetto non sta in piedi», dicono. E, se stesse in piedi, diventeremmo per quello a favore del ponte? Noi pensiamo, invece, che dalla storia del ponte bisogna uscire definitivamente. Il ponte non è emendabile, non esiste il ponte ecologico, non esiste il progetto che non impatta sul territorio, soprattutto non esiste un ponte che non sperpera enormi quantità di risorse pubbliche che andrebbero usate per la messa in sicurezza del territorio, per scuole, ospedali, reddito. Così come abbiamo scritto nell’appello “Il Sud unito contro il ponte”. * * di Flashmood …MA CHE COS’È QUESTO SUD? Potremmo partire dal dire che c’è sempre qualcuno più a Sud… nel piccolo e nel grande: a Messina, città del Sud, c’è una zona sud: quella che non ha la spiaggia più bella secondo il National Geographic, quella che nei decenni è stata sacrificata prima all’industria e poi al consumo, quella che non fa notizia, non esiste, non importa… e quella che, in qualche modo, è colpa di chi ci abita se ogni giorno è ancora là… Il Sud: il Sud dove manca il progresso (quella nozione circondata dalla nebbia che, come ricordavamo questa estate, anche nella teoria di chi ci governa dovrebbe essere tutt’altro da una grande opera inutile e impattante); il Sud dove manca la civiltà; il Sud dove manca la voglia di lavorare; il Sud dove manca la coscienza; il Sud dove manca la legalità. Ma non si sa perché a nessuno interessa che manchino (queste davvero) la sanità, la cultura, la cura per i territori, le basi per avere la libertà di decidere come vivere… E in questo contesto un po’ di spaesamento con qualche deriva razzista, noi, che siamo il Sud dell’Italia, guardiamo al Sud del Mediterraneo, al Nord Africa, per cercare alleati, amici, compagni; e loro, quelli del Nord dell’Africa, a loro volta guardano al Sud del Sahara, e forse si continua così fino al polo, chissà… Se fossimo (per dirne una) nei Balcani, o anche egiziani (strano ma vero), le nostre percezioni cambierebbero: non ci sentiremmo “a Sud” ma “a Est”; e allora potremmo dire che c’è sempre qualcuno più a Est (palestinesi, siriani, curdi, iracheni, iraniani, afgani e via dicendo…). E questo è già un primo paradosso. Il secondo paradosso è che negli ultimi anni è diventata palese una strana emigrazione di “progresso”: i meccanismi più beceri di estrazione di profitto sono arrivati, palesemente, al Nord: cantieri senza una fine, incompiute, opere pubbliche fatte coi piedi, ricatto occupazionale… Insomma: quelle cose che sono cose del Sud… E intanto, dall’altro versante, la “democrazia illiberale” (come la chiamano in tv per non allarmarci troppo), quella cosa dell’Est, si è palesata, senza più veli, a Ovest: repressione sempre più violenta, pene sempre più severe, giustizialismo sempre più cieco, un’emergenza eterna e l’idea che dietro ogni parola non conforme c’è un nemico. Repressione che in questi mesi ha colpito con arresti, multe e denunce le lotte contro il ponte e il ddl sicurezza, il movimento contro la guerra e solidale col popolo palestinese. > Sud, Nord, Est, Ovest… sono convenzioni per capire dove siamo su una cartina > geografica (che è a sua volta una convenzione) e vengono, da chi ha più > potere, usate come convenzioni anche per stabilire chi sta sopra e chi sta > sotto. Perché il sistema ha bisogno di qualcuno che sia sempre più in basso; > di qualcuno a cui manchi sempre qualcosa; di qualcuno a cui continuare a > togliere per poi dargli l’illusione di ricevere una grazia. Ma non sono le convenzioni stabilite da altri che possono definire chi siamo, che è indissolubilmente legato a dove scegliamo di essere, ai territori che decidiamo di vivere. E quindi, tornando alla domanda: che cos’è questo Sud? Quello che vogliamo che sia. Tutto quello che ha di potenziale nei nostri desideri. Il Sud può diventare, se lo vogliamo, un concetto intersezionale: non un modo per tracciare nuovi confini identitari, ma una parola collettiva che riunisce e rimanda a tutte le comunità e singolarità che ogni giorno, in ogni parte del mondo vengono ingannate, sfruttate, impoverite, tarpate, ignorate, bombardate, asfaltate e continuano a resistere. Il Sud, può essere la parola con cui immaginiamo, in un mondo che ci vorrebbe tutti uguali sotto i più uguali degli altri, una collettività delle differenze. * * di Flashmood CONVERGENZE E forse è per questo che siamo qua: se è vero (e, in fondo, è vero) che nessuno si salva da solo, vogliamo desiderare, insieme, un nuovo modo di resistere e di esistere; e andare in quella direzione. Ed è in risposta a tutto questo che oggi abbiamo dato vita a questo bellissimo spezzone, ampio e plurale, che ha riempito le strade di Messina e che si ritrova qui, con le tantissime di persone di questa piazza. Una piazza che mette al centro la lotta contro l’estrattivismo delle grandi opere, contro la devastazione di tutti i territori di tutti i Sud e che parte dalla necessaria urgenza della solidarietà tra tutte le comunità in lotta, ecco una piazza così, questa piazza non può che essere invasa dalla consapevolezza che tocca a noi adesso chiudere definitivamente la partita del ponte. Solo la nostra mobilitazione può far sì che i nostri territori smettano di essere ostaggio di un’opera già crollata su se stessa e che i 13 miliardi e mezzo di euro destinati al ponte vengano impiegati per realizzare scuole, ospedali, infrastrutture di mobilità sostenibile, messa in sicurezza idrogeologica e sismica, riammodernamento della rete idrica e tanto altro. Siamo chiare, siamo chiari: tocca a noi farlo. È una lotta che non possiamo, né vogliamo delegare. È una lotta delle persone, dei comitati, dei collettivi, dei movimenti, delle comunità – e nessuno se ne può appropriare. E il primo obiettivo per archiviare la questione ponte per noi è evidente: chiudere la Stretto di Messina SpA. Lo gridiamo forte a chi è al governo – a Meloni, Salvini, Tajani –, ma lo ricordiamo anche a chi ha avuto responsabilità di governo in passato e non lo ha fatto. Oggi alcuni di questi soggetti hanno manifestato per le strade di Messina, ma vogliamo essere chiare, e altrettanta chiarezza pretendiamo, con chi magari un giorno tornerà al governo del Paese: chiudere la Stretto di Messina SpA. Il problema non è solo il ponte di Salvini, il problema è il ponte in sé. * * di Flashmood Questa piazza chiama anche i governi regionali e locali a un’assunzione collettiva di responsabilità, perché non siamo disposte, e mai lo siamo state, a tollerare complicità più o meno aperte con questi progetti di saccheggio da parte di chi dovrebbe tutelare gli interessi dei territori in cui viviamo. E non possiamo che cominciare dal sindaco di Messina, Federico Basile, che chiamiamo, per l’ennesima volta, a prendere una posizione chiara e netta, a dirci se vuole assumere una iniziativa politica in difesa di Messina o contribuire a regalare la città a Webuild, in cambio di quattro spicci per le opere compensative. Questo spezzone, questa piazza, ci consegnano ancora una volta la piena consapevolezza che la lotta No ponte è molto più di una battaglia ambientale o locale. È il punto cruciale in cui i territori del Sud tornano a essere voce collettiva, tornano a mettere al centro se stessi, i propri bisogni, la propria dignità. No al ponte, ma, ancora di più, no a una classe politica che per anni ci ha trattato come territori di conquista, come luoghi da sfruttare e svuotare. > E allora lo ripetiamo, limpide e determinate, quello che vogliamo. Vogliamo > che i miliardi oggi destinati alla devastazione dei territori e alle armi > vengano invece investiti nei servizi essenziali e per la tutela dei diritti > fondamentali, dalla Palestina allo Stretto, passando per tutti gli altri Sud. > Vogliamo una sanità pubblica efficiente, capillare, di qualità. Vogliamo > infrastrutture davvero sostenibili, che uniscano persone e comunità, non che > le dividano. Vogliamo l’acqua nelle case, vogliamo scuole e ospedali che funzionino, vogliamo poter nascere, crescere e invecchiare con dignità, con servizi pubblici che non lascino indietro nessuno. Vogliamo poter scegliere: scegliere di restare o di partire, senza essere costrette a scappare. Vogliamo questo e molto di più. Dalla piazza di Messina, da questa piazza, nasce un’onda che non potrete fermare. Copertina e galleria di fotografie dal corteo a cura del collettivo Flashmood, che ringraziamo per la collaborazione. Il comunicato No Ponte è stato pubblicato sulla pagina facebook No Ponte. SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Migliaia in corteo a Messina: il Sud unito contro il Ponte sullo Stretto proviene da DINAMOpress.
Diecimila persone in piazza a Messina contro il Ponte
Ancora una volta migliaia di persone hanno percorso le strade di Messina. Presenti tante realtà del Sud con le quali decise a difendere i propri territori dalla furia devastatrice delle politiche coloniali ed estrattiviste. In questi giorni la governance del ponte ha subito un duro colpo, ma in pochi si […] L'articolo Diecimila persone in piazza a Messina contro il Ponte su Contropiano.
Settimana di trasappuntamenti
Grande affollamento della crew al completo, e due ospiti in studio per farci raccontare un appuntamento appena passato (Trans day of Revenge) ed uno futuro (qui per il gruppo di mutuo auto aiuto).
OPERAZIONE IPOGEO A CATANIA
La Procura di Catania ha coordinato l’Operazione Ipogeo, eseguendo due ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettantx compagnx per il corteo del 17 maggio, organizzato dalla “Rete No DDL Sicurezza Catania” per protestare contro il ddl Sicurezza. Perquisizioni domiciliari sono state eseguite dalla polizia con la collaborazione delle Digos nelle città di Palermo, Bari, Brindisi, Messina e Siracusa. Abbiamo chiesto a un compagno di Messina di parlarci dell’operazione repressiva e delle occasioni di portare solidarietà allx arrestatx. Per scrivere allx compagnx reclusx Luigi Calogero bertolani C/o casa circondariale Piazza Lanza 11 95123 Catania Gabriele Maria Venturi C/o Casa Circondariale Via Appia 131 72100 Brindisi LUIGI, BAK, ANDRE, GUI LIBERX SUBITO!! LIBERX TUTTX!!! PALESTINA LIBERA! NO AL PONTE SULLO STRETTO!
25 NOVEMBRE, BLOCCHIAMO TUTTO
La guerra, il genocidio e la violenza patriarcale sono unite dallo stesso filo, un filo rosso che ci vuole impaurit3, ricattabili, vittime sacrificabili, chius3 nei confini dei ruoli di genere tradizionali. Per questo, il 25 novembre sono stati indetti appuntamenti contro la violenza patriarcale in quasi tutte le città d’Italia. A Torino, gli appuntamenti sono due, alle 18.30 in Piazza Carlo Felice e alle 17 pre concentramento a Palazzo Nuovo, ma tutto il giorno sono previste iniziative, per rimanere aggiornat3, ascoltate la radio e seguite le pagine social di NUDM Torino. Abbiamo ricordato al telefono con Maria, di NUDM Torino, gli appuntamenti cittadini e fatto alcune riflessioni in vista di domani. Tutt3 in piazza!
[2025-11-22] Sabotiamo Guerre e Patriarcato - Corteo Nazionale @ Piazza della Repubblica
SABOTIAMO GUERRE E PATRIARCATO - CORTEO NAZIONALE Piazza della Repubblica - P.za della Repubblica, 00185 Roma RM, Italia (sabato, 22 novembre 14:30) Sabotiamo guerre e patriarcato. Facciamo salire la marea! In un paese che si prepara al riarmo approfondendo disuguaglianze e discriminazioni, la violenza patriarcale diventa programma di governo ed è normalizzata dalla produzione ossessiva di misure e leggi misogine e transfobiche. I dati dell’Osservatorio di Non Una di Meno registrano, tra gli altri dati, 78 femminicidi, 3 suicidi indotti di donne, 2 suicidi indotti di due ragazzi trans, 1 suicidio indotto di una persona non binaria, 1 suicidio indotto di un ragazzo ma, come sappiamo, questi numeri, di per sé eloquenti, non danno la misura di quel quotidiano sommerso e strutturale della violenza. L’approccio punitivista scelto dal Governo è pura propaganda da cui non farsi incantare: mentre mostra il pugno di ferro con l’ergastolo per i colpevoli di femminicidio, attacca i centri antiviolenza, la loro storia politica femminista, le pratiche e le metodologie per la fuoriuscita e la prevenzione della violenza di genere. Mentre i media rilanciavano la notizia dell’ennesimo femminicidio, la Commissione Cultura della Camera votava un disegno di legge che vietava l’educazione sessuale anche alle scuole medie e la subordina al consenso dei genitori negli istituti medi superiori, svuotando la scuola pubblica di un ruolo educativo insostituibile nella diffusione della cultura del consenso e delle differenze. Questa la fotografia del momento, al di là di ogni ipocrisia propagandistica o di piccoli dietrofront. Violenze, abusi e umiliazioni fanno parte dell’educazione sentimentale dei maschi italici da tempo – come testimoniano il gruppo facebook “Mia moglie” e i siti Fika.net e Social Media Girls – eppure le indicazioni nazionali di Valditara vanno proprio nella direzione di sdoganare la violenza, del disciplinamento di studenti e docenti, della militarizzazione dei saperi e della formazione, di un approccio alla cultura bigotto e autoritario. Si accompagnano alla stretta sui percorsi di affermazione di genere con la Legge Disforia nella crociata ideologica antigender che colpisce in particolare infanzia e adolescenza. Da donne, persone trans*, precarie, migranti paghiamo doppiamente il prezzo della militarizzazione delle relazioni, della vita, della società, dell'economia. Siamo noi a pagare il riarmo con i salari da fame, il part time imposto e il taglio del welfare. La manovra finanziaria propaganda il sostegno alle famiglie ma si tratta di mance una tantum come il Bonus Mamme e di incentivi a tornare a casa per curare figli e parenti senza alcun sostegno economico. Quando Meloni parla di famiglia e di natalità, in realtà scarica altro lavoro gratuito sulle donne per compensare i tagli alla sanità e ai servizi sociali. In Italia sono più di 2 milioni le famiglie in povertà assoluta (con più di 1 milione di minori), si è povere anche se si ha un lavoro, i salari sono i più bassi d’Europa, non esistono tutele dal ricatto economico, molestie sul lavoro e stress mentale. In un Paese in cui cresce l’intensità del disagio economico, si sta configurando una legge di bilancio “austera” e piuttosto “debole” in termini di risorse, che libera soldi per il riarmo, la difesa e la produzione di armamenti all’interno della necessità di risanamento dei bilanci pubblici voluta dall’Europa. Viviamo in un momento storico in cui la guerra è diventata la regola dei rapporti sociali. Nazionalismo e suprematismo sono le parole chiave della destra al potere che si riorganizza intorno a Trump. Si materializzano nella loro forma più brutale in Palestina, mentre la guerra globale si accende in decine di focolai nel mondo dettando le condizioni di un potere economico predatorio e senza argini. Abbiamo abitato, a partire dal posizionamento transfemminista, con rabbia e desiderio le mobilitazioni contro il genocidio e il disegno neo-coloniale che si sta dispiegando ancora oggi in Palestina, nonostante la finta “tregua”. Nelle scorse settimane siamo state marea, esondazione di corpi che si sono riappropriati dello strumento dello sciopero generalizzato, che hanno praticato blocchi diffusi, che hanno espresso ostilità contro governi complici attraverso discorso e pratiche radicali. Dalla giornata del TDOR del 20 allo sciopero del 28 sarà di nuovo agitazione permanente. Occupiamo le piazze per bloccare tutto e unire le lotte! In uno scenario in cui paradigma genocidario e guerra stanno cambiando il volto dell’economia, del welfare e della produzione, pensiamo sia sempre più urgente ribadire che la Palestina ci riguarda, che lottare per l’autodeterminazione dei popoli significhi lottare per l’autodeterminazione dei nostri corpi e delle nostre vite, a partire dalle soggettività specifiche che ne sono maggiormente colpite, donne, giovani, migranti, precarie, persone trans*, queer, non binarie, lavoratrici. Il 22 novembre inondiamo le strade di Roma! il 25 novembre cortei, azioni e iniziative in tutte le città. Per un'antiviolenza femminista e transfemminista, finanziata e libera dall'ideologia punitivista e confessionale. Per una scuola libera da condizionamenti e diktat, per la libertà di ricerca e di insegnamento, per l'educazione sessuo-affettiva dalla scuola dell’infanzia all'università. Contro la manovra finanziaria. Noi la guerra non la paghiamo! Né complici né vittime della conversione bellica. Per il diritto all’autodeterminazione dei corpi e dei popoli.
Sabotiamo guerre e patriarcato. Facciamo salire la marea!
IL 22 NOVEMBRE INONDIAMO LE STRADE DI ROMA. IL 25 NOVEMBRE CORTEI, AZIONI E INIZIATIVE IN TUTTE LE CITTÀ! In un paese che si prepara al riarmo approfondendo disuguaglianze e discriminazioni, la violenza patriarcale diventa programma di governo ed è normalizzata dalla produzione ossessiva di misure e leggi misogine e transfobiche.  I dati dell’Osservatorio di Non Una di Meno registrano, tra gli altri dati, 78 femminicidi, 3 suicidi indotti di donne, 2 suicidi indotti di due ragazzi trans, 1 suicidio indotto di una persona non binaria, 1 suicidio indotto di un ragazzo ma, come sappiamo, questi numeri, di per sé eloquenti, non danno la misura di quel quotidiano sommerso e strutturale della violenza. L’approccio punitivista scelto dal Governo è pura propaganda da cui non farsi incantare: mentre mostra il pugno di ferro con l’ergastolo per i colpevoli di femminicidio, attacca i centri antiviolenza, la loro storia politica femminista, le pratiche e le metodologie per la fuoriuscita e la prevenzione della violenza di genere. Mentre i media rilanciavano la notizia dell’ennesimo femminicidio, la Commissione Cultura della Camera votava un disegno di legge che vietava l’educazione sessuale anche alle scuole medie e la subordina al consenso dei genitori negli istituti medi superiori, svuotando la scuola pubblica di un ruolo educativo insostituibile nella diffusione della cultura del consenso e delle differenze. Questa la fotografia del momento, al di là di ogni ipocrisia propagandistica o di piccoli dietrofront. Violenze, abusi e umiliazioni fanno parte dell’educazione sentimentale dei maschi italici da tempo – come testimoniano il gruppo facebook “Mia moglie” e i siti Fika.net e Social Media Girls – eppure le indicazioni nazionali di Valditara vanno proprio nella direzione di sdoganare la violenza, del disciplinamento di studenti e docenti, della militarizzazione dei saperi e della formazione, di un approccio alla cultura bigotto e autoritario. Si accompagnano alla stretta sui percorsi di affermazione di genere con la Legge Disforia nella crociata ideologica antigender che colpisce in particolare infanzia e adolescenza. Da donne, persone trans*, precarie, migranti paghiamo doppiamente il prezzo della militarizzazione delle relazioni, della vita, della società, dell’economia. Siamo noi a pagare il riarmo con i salari da fame, il part time imposto e il taglio del welfare. La manovra finanziaria propaganda il sostegno alle famiglie ma si tratta di mance una tantum come il Bonus Mamme e di incentivi a tornare a casa per curare figli e parenti senza alcun sostegno economico. Quando Meloni parla di famiglia e di natalità, in realtà scarica altro lavoro gratuito sulle donne per compensare i tagli alla sanità e ai servizi sociali.  In Italia sono più di 2 milioni le famiglie in povertà assoluta (con più di 1 milione di minori), si è povere anche se si ha un lavoro, i salari sono i più bassi d’Europa, non esistono tutele dal ricatto economico, molestie sul lavoro e stress mentale. In un Paese in cui cresce l’intensità del disagio economico, si sta configurando una legge di bilancio “austera” e piuttosto “debole” in termini di risorse, che libera soldi per il riarmo, la difesa e la produzione di armamenti all’interno della necessità di risanamento dei bilanci pubblici voluta dall’Europa.   Viviamo in un momento storico in cui la guerra è diventata la regola dei rapporti sociali. Nazionalismo e suprematismo sono le parole chiave della destra al potere che si riorganizza intorno a Trump. Si materializzano nella loro forma più brutale in Palestina, mentre la guerra globale si accende in decine di focolai nel mondo dettando le condizioni di un potere economico predatorio e senza argini.  Abbiamo abitato, a partire dal posizionamento transfemminista, con rabbia e desiderio le mobilitazioni contro il genocidio e il disegno neo-coloniale che si sta dispiegando ancora oggi in Palestina, nonostante la finta “tregua”. Nelle scorse settimane siamo state marea, esondazione di corpi che si sono riappropriati dello strumento dello sciopero generalizzato, che hanno praticato blocchi diffusi, che hanno espresso ostilità contro governi complici attraverso discorso e pratiche radicali. Dalla giornata del TDOR del 20 allo sciopero del 28 sarà di nuovo agitazione permanente. Occupiamo le piazze per bloccare tutto e unire le lotte! In uno scenario in cui paradigma genocidario e guerra stanno cambiando il volto dell’economia, del welfare e della produzione, pensiamo sia sempre più urgente ribadire che la Palestina ci riguarda, che lottare per l’autodeterminazione dei popoli significhi lottare per l’autodeterminazione dei nostri corpi e delle nostre vite, a partire dalle soggettività specifiche che ne sono maggiormente colpite, donne, giovani, migranti, precarie, persone trans*, queer, non binarie, lavoratrici.    Il 22 novembre inondiamo le strade di Roma! il 25 novembre cortei, azioni e iniziative in tutte le città. Per un’antiviolenza femminista e transfemminista, finanziata e libera dall’ideologia punitivista e confessionale. Per una scuola libera da condizionamenti e diktat, per la libertà di ricerca e di insegnamento, per l’educazione sessuo-affettiva dalla scuola dell’infanzia all’università. Contro la manovra finanziaria. Noi la guerra non la paghiamo! Né complici né vittime della conversione bellica. Per il diritto all’autodeterminazione dei corpi e dei popoli.
Sabotiamo guerre e patriarcato. Facciamo salire la marea!
IL 22 NOVEMBRE INONDIAMO LE STRADE DI ROMA! IL 25 NOVEMBRE CORTEI, AZIONI E INIZIATIVE IN TUTTE LE CITTÀ In un paese che si prepara al riarmo approfondendo disuguaglianze e discriminazioni, la violenza patriarcale diventa programma di governo ed è normalizzata dalla produzione ossessiva di misure e leggi misogine e transfobiche.  I dati dell’Osservatorio di Non Una di Meno registrano, tra gli altri dati, 78 femminicidi, 3 suicidi indotti di donne, 2 suicidi indotti di due ragazzi trans, 1 suicidio indotto di una persona non binaria, 1 suicidio indotto di un ragazzo ma, come sappiamo, questi numeri, di per sé eloquenti, non danno la misura di quel quotidiano sommerso e strutturale della violenza. L’approccio punitivista scelto dal Governo è pura propaganda da cui non farsi incantare: mentre mostra il pugno di ferro con l’ergastolo per i colpevoli di femminicidio, attacca i centri antiviolenza, la loro storia politica femminista, le pratiche e le metodologie per la fuoriuscita e la prevenzione della violenza di genere.  Mentre i media rilanciavano la notizia dell’ennesimo femminicidio, la Commissione Cultura della Camera votava un disegno di legge che vietava l’educazione sessuale anche alle scuole medie e la subordina al consenso dei genitori negli istituti medi superiori, svuotando la scuola pubblica di un ruolo educativo insostituibile nella diffusione della cultura del consenso e delle differenze. Questa la fotografia del momento, al di là di ogni ipocrisia propagandistica o di piccoli dietrofront. Violenze, abusi e umiliazioni fanno parte dell’educazione sentimentale dei maschi italici da tempo – come testimoniano il gruppo facebook “Mia moglie” e i siti Fika.net e Social Media Girls – eppure le indicazioni nazionali di Valditara vanno proprio nella direzione di sdoganare la violenza, del disciplinamento di studenti e docenti, della militarizzazione dei saperi e della formazione, di un approccio alla cultura bigotto e autoritario. Si accompagnano alla stretta sui percorsi di affermazione di genere con la Legge Disforia nella crociata ideologica antigender che colpisce in particolare infanzia e adolescenza. Da donne, persone trans*, precarie, migranti paghiamo doppiamente il prezzo della militarizzazione delle relazioni, della vita, della società, dell’economia. Siamo noi a pagare il riarmo con i salari da fame, il part time imposto e il taglio del welfare. La manovra finanziaria propaganda il sostegno alle famiglie ma si tratta di mance una tantum come il Bonus Mamme e di incentivi a tornare a casa per curare figli e parenti senza alcun sostegno economico. Quando Meloni parla di famiglia e di natalità, in realtà scarica altro lavoro gratuito sulle donne per compensare i tagli alla sanità e ai servizi sociali.  In Italia sono più di 2 milioni le famiglie in povertà assoluta (con più di 1 milione di minori), si è povere anche se si ha un lavoro, i salari sono i più bassi d’Europa, non esistono tutele dal ricatto economico, molestie sul lavoro e stress mentale. In un Paese in cui cresce l’intensità del disagio economico, si sta configurando una legge di bilancio “austera” e piuttosto “debole” in termini di risorse, che libera soldi per il riarmo, la difesa e la produzione di armamenti all’interno della necessità di risanamento dei bilanci pubblici voluta dall’Europa.   Viviamo in un momento storico in cui la guerra è diventata la regola dei rapporti sociali. Nazionalismo e suprematismo sono le parole chiave della destra al potere che si riorganizza intorno a Trump. Si materializzano nella loro forma più brutale in Palestina, mentre la guerra globale si accende in decine di focolai nel mondo dettando le condizioni di un potere economico predatorio e senza argini.  Abbiamo abitato, a partire dal posizionamento transfemminista, con rabbia e desiderio le mobilitazioni contro il genocidio e il disegno neo-coloniale che si sta dispiegando ancora oggi in Palestina, nonostante la finta “tregua”. Nelle scorse settimane siamo state marea, esondazione di corpi che si sono riappropriati dello strumento dello sciopero generalizzato, che hanno praticato blocchi diffusi, che hanno espresso ostilità contro governi complici attraverso discorso e pratiche radicali. Dalla giornata del TDOR del 20 allo sciopero del 28 sarà di nuovo agitazione permanente. Occupiamo le piazze per bloccare tutto e unire le lotte! In uno scenario in cui paradigma genocidario e guerra stanno cambiando il volto dell’economia, del welfare e della produzione, pensiamo sia sempre più urgente ribadire che la Palestina ci riguarda, che lottare per l’autodeterminazione dei popoli significhi lottare per l’autodeterminazione dei nostri corpi e delle nostre vite, a partire dalle soggettività specifiche che ne sono maggiormente colpite, donne, giovani, migranti, precarie, persone trans*, queer, non binarie, lavoratrici.    Il 22 novembre inondiamo le strade di Roma! il 25 novembre cortei, azioni e iniziative in tutte le città. Per un’antiviolenza femminista e transfemminista, finanziata e libera dall’ideologia punitivista e confessionale. Per una scuola libera da condizionamenti e diktat, per la libertà di ricerca e di insegnamento, per l’educazione sessuo-affettiva dalla scuola dell’infanzia all’università. Contro la manovra finanziaria. Noi la guerra non la paghiamo! Né complici né vittime della conversione bellica. Per il diritto all’autodeterminazione dei corpi e dei popoli.