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Piano Mattei fra mito e realtà
APPENA INSEDIATA A PALAZZO CHIGI, GIORGIA MELONI HA ANNUNCIATO UN PIANO MATTEI NEI CONFRONTI DELL’AFRICA. OGGI LA QUESTIONE ENERGETICA È SEMPRE DI PIÙ AL CENTRO DI QUEL PIANO, NELLA CUI “CABINA DI REGIA”, ISTITUITA PRESSO LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, CI SONO, TRA GLI ALTRI, ACEA, SNAM, FINCANTIERI, ENI, LEONARDO, FS, ENEL, TERNA… TRA GLI OBIETTIVI DEL GOVERNO E DEI SUOI AMICI CI SONO IN PARTICOLARE LA COSTRUZIONE TRA SICILIA E TUNISIA DI UN ELETTRODOTTO E DI UNA CONDUTTURA PER FAR ARRIVARE IDROGENO IN EUROPA. “I POPOLI DEL SUD DEL MONDO SONO STATI DEPREDATI DA SECOLI DI COLONIALISMO, GUERRE, SCAMBIO INEGUALE, LATROCINIO FINANZIARIO… – SCRIVE FRANCESCO GESUALDI – SOLO LA SOLIDARIETÀ GRATUITA, SENZA ASPETTARSI NIENTE INDIETRO, PUÒ PORTARE SVILUPPO UMANO. NON È CARITÀ, MA GIUSTIZIA…” Costa tunisina. Foto di unsplash.com -------------------------------------------------------------------------------- Poco dopo il suo insediamento a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni annunciò di voler lanciare un piano Mattei nei confronti dell’Africa. Inizialmente la proposta appariva piuttosto nebulosa perché se da una parte evocava l’idea di cooperazione, quindi di interventi senza contropartita economica, dall’altra la chiamata in causa di Mattei enunciava la connotazione commerciale, ricordandoci che Enrico Mattei è passato alla storia per avere instaurato nuovi rapporti economici con i paesi del Nord Africa produttori di petrolio. Col passare del tempo i contorni si sono fatti più chiari e alcune cose si possono affermare con certezza. La prima è che di tutto il Sud del mondo, il continente che Meloni ritiene strategico per l’Italia è l’Africa. Lo puntualizzò nella Conferenza Italia-Africa che convocò a Roma il 24 gennaio 2024. Alla presenza di una quarantina di delegazioni africane affermò: «L’obiettivo che ci siamo dati è quello di dimostrare che siamo consapevoli di quanto il destino dei nostri due continenti, Europa e Africa, sia interconnesso». Un’interconnessione che Meloni vede sotto due profili: da una parte la grande quantità di risorse custodite dall’Africa che se sfruttate adeguatamente possono fare la ricchezza sia dell’Africa, sia dell’Italia; dall’altra la crescita della popolazione africana a cui va data una prospettiva economica per impedire l’emergere di migrazioni di massa. La seconda cosa che si può dire è che la presidente del Consiglio, vuole seguire direttamente tutta la partita riguardante i rapporti di cooperazione e sviluppo con l’Africa. Come ogni stato, anche l’Italia dispone di una politica di aiuto al Sud del mondo articolata in più direzioni. Da una parte partecipando a fondi gestiti da istituzioni internazionali come la Banca Mondiale; dall’altra finanziando in forma diretta progetti di cooperazione sociale e ambientale. Secondo il bilancio di previsione dello stato, nel 2025 questo doppio canale di intervento dovrebbe assorbire 4,5 miliardi di euro, lo 0,20% del pil italiano ben lontano dallo 0,70% raccomandato dalle Nazioni Unite. Con l’istituzione del piano Mattei, divenuto legge con un provvedimento del gennaio 2024, tutti gli interventi riguardanti l’Africa saranno coordinati da un organismo unico, denominato “Cabina di regia” istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Allo stato attuale è composto da una trentina di membri, sia pubblici, sia privati, al cui apice siede il Presidente del Consiglio. ‬‬‬‬‬ La terza cosa che si può dire è che il Piano Mattei intende agire fortemente anche tramite le imprese private, sia africane, che italiane. Non a caso una buona metà dei componenti della Cabina di regia sono rappresentanti d’impresa o di associazioni imprenditoriali, fra cui Acea, Snam, Fincantieri, Eni, Fondazione Med-Or, Leonardo, Fs, Enel, Terna, Cna, Cia, Confagricoltura, Coldiretti, Confartigianato. Del resto durante il discorso che tenne alla Conferenza Italia-Africa nel gennaio 2024, Giorgia Meloni precisò che il Piano non può «prescindere dal pieno coinvolgimento di tutto il “Sistema Italia” complessivamente inteso, a partire dalla Cooperazione allo Sviluppo e dal settore privato che è fondamentale coinvolgere nella nostra strategia, dato l’enorme patrimonio di conoscenza, tecnologia e soluzioni innovative che può vantare». Il risultato è che fra i primi progetti inseriti nel Piano Mattei c’è l’avvio in Algeria di un polo agricolo gestito dall’azienda italiana Bonifiche Ferraresi per la messa in produzione di 800 ettari di terreni semi aridi, estendibili a 36.000 nella parte sud-orientale del Sahara algerino. Oltre alla coltivazione di grano, cereali e semi per oli, è prevista la costruzione di impianti di molitura, spremitura e altri stabilimenti di trasformazione alimentare, precisando che il 30% della produzione sarà riservato all’esportazione verso l’Italia. La stessa azienda sarà sostenuta per la realizzazione di un progetto agricolo in Egitto, paese nel quale sono previsti vari altri interventi fra cui la costruzione da parte di Arsenale Spa, di un treno turistico “Made in Italy” sulla tratta Il Cairo-Assuan. E rimanendo in ambito agricolo compare perfino un progetto gestito da Eni, già finanziato dalla Banca Mondiale e dal Fondo Italiano per il Clima per un totale di 210mila euro. Il paese di attuazione è il Kenya dal quale, già da anni la multinazionale petrolifera si approvvigiona di olio di ricino e altri oli vegetali da trasformare in biocarburante nei suoi stabilimenti di Gela e Porto Marghera. Dopo la forte riduzione di gas proveniente dalla Russia, il tema energetico è diventato di importanza strategica per tutta l’Europa e Gorgia Meloni non ha mai fatto mistero di volere inserire la questione energetica nel Piano Mattei con l’obiettivo di trasformare l’Italia in un hub, ossia un punto di approdo e smistamento energetico per tutta l’Europa. Lo ha ripetuto anche nel gennaio 2024 durante il discorso che tenne alla conferenza Italia-Africa: «Noi siamo sempre stati convinti che l’Italia abbia tutte le carte in regola per diventare l’hub naturale di approvvigionamento energetico per l’intera Europa. È un obiettivo che possiamo raggiungere se usiamo l’energia come chiave di sviluppo per tutti. L’interesse che persegue l’Italia è aiutare le Nazioni africane interessate a produrre energia sufficiente alle proprie esigenze e ad esportare in Europa la parte in eccesso. (,,,). Tra le iniziative in questo ambito voglio ricordare quella in Kenya dedicato allo sviluppo della filiera dei biocarburanti, che punta a coinvolgere fino a circa 400 mila agricoltori entro il 2027. Ma chiaramente questo scambio funziona se ci sono anche infrastrutture di connessione tra i due continenti e lavoriamo da tempo anche su questo, soprattutto insieme all’Unione Europea. Penso all’interconnessione elettrica ELMED tra Italia e Tunisia, o al nuovo Corridoio H2 Sud per il trasporto dell’idrogeno dal Nord Africa all’Europa centrale passando per l’Italia». Per capire meglio il discorso di Meloni, vale la pena precisare che Elmed è un progetto che prevede la costruzione di un elettrodotto tra Sicilia e Tunisia, per una lunghezza complessiva di 220 chilometri, di cui 200 in cavo sottomarino. Un progetto portato avanti dalla società elettrica italiana Terna e quella tunisina Steg, col finanziamento di fondi europei e della Banca Mondiale, per garantire all’Europa energia elettrica prodotta in Nord Africa da fonti rinnovabili. Quanto al Corridoio H2 Sud, è un progetto portato avanti da un consorzio di imprese europee, fra cui l’italiana Snam, finalizzato a costruire una conduttura lunga 3300 km per trasportare idrogeno prodotto in Tunisia fino al cuore d’Europa. Viste le dichiarazioni di Meloni, c’è da aspettarsi che entrambi i progetti saranno inseriti nel piano Mattei assorbendo chissà quanti soldi dei contribuenti italiani. Da un punto di vista finanziario, il Piano è piuttosto generico. Non precisa quali progetti hanno diritto a contributi a fondo perduto, quali solo a prestiti. Si limita a dire che in un quadriennio, il Piano potrà contare su 5,2 miliardi di euro, di cui 3 attinti dal Fondo italiano per il clima e 2,5 dai fondi per la Cooperazione allo sviluppo. Inoltre asserisce di volersi avvalere della collaborazione di una serie di istituti finanziari italiani di natura pubblica come la Cassa Depositi e Prestiti, Simest, Sace e altri fondi di livello internazionale. Ma non precisa né i criteri di finanziamento né le procedure da seguire, forse per lasciare mano libera alla Cabina di regia che di volta in volta potrà decidere quale forma di aiuto assicurare e da parte di chi. Meloni ha presentato il Piano come «una cooperazione da pari a pari, lontana da qualsiasi tentazione predatoria, ma anche da quell’impostazione “caritatevole” che mal si concilia con le straordinarie potenzialità di sviluppo dell’Africa». Per sapere se è davvero così dovremo aspettare qualche anno, ma l’eccessiva attenzione ai benefici che ne può trarre l’Italia e l’eccessivo protagonismo del mondo degli affari non sono di buon auspicio. In Kenya, ad esempio, in località Mbegi ci sono già state proteste da parte dei piccoli contadini che producono ricino per Eni: i guadagni promessi non sono arrivati. Lo scrive il Financial Times dell’11 aprile 2025. I popoli del Sud del mondo sono stati depredati da secoli di colonialismo, guerre, scambio ineguale, latrocinio finanziario. Per rialzarsi hanno bisogno di opere e servizi di base pensati per loro: acqua, sanità, corrente elettrica, scuole, trasporti. Il mondo degli affari ha portato sfruttamento e miseria. Solo la solidarietà gratuita, senza aspettarsi niente indietro, può portare sviluppo umano. Non è carità, ma giustizia. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Piano Mattei fra mito e realtà proviene da Comune-info.
Luci a Kibera: un ritratto della più grande baraccopoli dell’Africa orientale
Tra enormi sfide e difficoltà, la vita a Kibera, malfamata baraccopoli di Nairobi, testimonia la straordinaria tenacia dei suoi abitanti. Capaci di vincere le avversità con creatività e resilienza, scrivono ogni giorno un racconto che esalta l’indomito spirito umano. Il testo e le immagini di questo articolo sono tratti dal calendario 2025 dell’associazione non profit Amani, che da trent’anni si dedica a garantire a bambini, bambine e giovani in Africa il diritto a un’identità, una casa sicura, cibo, istruzione, cure mediche e il calore di una famiglia. Amani gestisce case di accoglienza, centri educativi e scuole professionali in Kenya e Zambia, offrendo ogni giorno opportunità concrete a chi altrimenti vivrebbe in strada, negli slum e nelle periferie di Nairobi e Lusaka. Il calendario (disponibile nell’e-shop di Amani al prezzo di € 10,00 per la versione da parete e € 5,00 per quella da scrivania) è dedicato a Kibera, una delle più grandi e note baraccopoli dell’Africa orientale, periferia di Nairobi. Le splendide immagini sono opera del fotogiornalista Brian Otieno, cresciuto proprio a Kibera e quotidianamente impegnato a sfatare i cliché sulla sua terra d’origine attraverso il progetto Kibera Stories (v. servizio di copertina di Africa 6/2020 a lui dedicato). A introdurre questo viaggio fotografico nella quotidianità di Kibera è il racconto di una giornalista keniana pluripremiata, Judie Kaberia, esperta di media e attivista dei diritti umani, delle politiche pubbliche e della parità di genere. Basta dire Kibera perché chi conosce la realtà della vita in uno slum senta un brivido freddo correre lungo la schiena. Per gli altri, quella realtà sarà qualcosa di vago che scaturisce da racconti che trasformano la cruda realtà in favola. Per capire cosa significhi vivere in uno slum, bisogna guardare Kibera, una delle baraccopoli più estese dell’Africa orientale. Situata nella capitale del Kenya, Nairobi, in soli 2,5 chilometri quadrati Kibera ospita circa un milione di persone, che per lo più sopravvivono con meno di un dollaro al giorno, affrontando alti livelli di disoccupazione e criminalità dilagante. Per molti dei residenti, dati gli scarsi guadagni, Kibera rappresenta un rifugio sicuro. Le sue viuzze si snodano tra baracche costruite con ogni tipo di materiale: plastica, lamiera arrugginita, legno e fango. Minuscole catapecchie così fitte che i sussurri dei vicini filtrano attraverso le pareti. Sopra le loro teste si snoda una precaria ragnatela di cavi elettrici, una costante minaccia di rimanere folgorati. La mancanza di fognature adeguate fa sì che anche i servizi igienici siano un lusso e che i liquami scorrano tra le case, diffondendo malattie e un fetore intenso. La criminalità è una costante e la brutalità della polizia la conseguenza. Spesso i residenti cadono vittime di arresti illegali, estorsioni o, tragicamente, anche di esecuzioni. Durante le stagioni politiche o le proteste, Kibera diventa l’epicentro dei disordini, dove i giovani disoccupati sfogano la propria frustrazione affrontando la dura repressione della polizia. Dove fiorisce la speranza Eppure, nonostante una realtà così difficile, lo spirito umano fiorisce. La vita continua con vigore e tenacia. Le storie dei residenti riflettono una grande resilienza e ci dicono che c’è speranza anche negli ambienti più inospitali. Una speranza simile a una rosa stupenda che sboccia da un cespuglio di spine, così come la gente di Kibera trova forza dentro di sé, sfruttando qualsiasi opportunità, convinta che ogni giorno possa portare a un futuro migliore. Circa 30 anni fa, questa speranza ha richiamato l’attenzione di Amani — che significa “pace” — e di Koinonia Community, che hanno attivato un progetto alimentato dalla capacità di affrontare e superare le difficoltà di una comunità desiderosa di creare una vita migliore per le generazioni future. Grazie ad Amani e a Koinonia, bambini che vivevano in strada hanno potuto andare a scuola e affrancarsi da povertà e crimine. Guidati da padre Kizito Sesana, migliaia di loro sono stati allontanati dalla strada, trovando una casa e un centro dove l’istruzione è un diritto. Vengono sostenuti bambini che affrontano sfide quali violenza di genere, tossicodipendenza, matrimoni precoci, sfruttamento sul lavoro e traffico di esseri umani. A Kibera fiorisce anche la creatività. La comunità ha capito che il successo non andrebbe misurato con i soliti esami scolastici e ha cercato di identificare e coltivare il talento, consentendo ai bambini e ai giovani di partecipare a eventi sportivi e culturali. Nonostante i preconcetti che circondano la vita in uno slum, i giovani di Kibera sono coinvolti in attività creative e spesso eccellono negli sport, fino a entrare in squadre nazionali che offrono loro l’opportunità di un futuro migliore. Lo sport e il gioco sono parte della vita. Dopo scuola o nei fine settimana, bambini e giovani si ritrovano per giocare. Celebrazione della vita La loro idea di divertimento non coincide certo con quella di chi vive fuori dallo slum. Quello che per molti è un fiume melmoso, per loro è un allegro parco giochi. Con o senza costume, si tuffano creando ricordi preziosi che rimarranno per tutta la vita. Anche la moda trova un suo posto nel cuore dello slum. Tra le baracche, un ragazzo e una ragazza posano orgogliosi mostrando stili locali, bellezza incontaminata e creatività. Questa vibrante celebrazione della vita dimostra che i residenti non sono semplici spettatori, ma partecipano attivamente alla definizione delle tendenze globali, esprimendo la propria unicità. Un ring di pugilato, coperto da un tappeto cremisi, si erge a simbolo di resistenza. Eventi come questo dimostrano la collaborazione tra società, Ong e agenzie governative per coltivare i talenti locali e offrire occasioni di divertimento a tutta la comunità. Negli angoli di Kibera, i bambini trasformano ciò che li circonda in fonte di gioia. In assenza di veri campi da gioco, si arrampicano e inventano giochi che scatenano tante risate. Lo spirito della comunità cresce con giovani che si impegnano a ripulire la baraccopoli: uno sforzo collettivo che promuove il senso di appartenenza e li rende orgogliosi di migliorare l’ambiente in cui vivono. In questo arazzo di resilienza, brillano le donne di Kibera. Le madri, esempio di amore incondizionato e forza, affrontano sfide immense come la violenza di genere e la povertà estrema. Organizzazioni come Amani forniscono un sostegno vitale, offrendo l’opportunità di sviluppare nuove competenze e mezzi di sostentamento sostenibili. I murales colorati che adornano le strade di Kibera raccontano storie di grande intensità: comunicano le lotte quotidiane, le paure e le speranze che consentono di immaginare un futuro migliore. Ogni pennellata cattura le lezioni apprese e alcuni degli artisti sviluppano carriere degne di nota. Questa speranza radicata nella comunità è la luce in fondo al tunnel. Pur presentando sfide formidabili, la vita a Kibera è anche testimonianza della tenacia dei suoi residenti, che abbracciano il proprio destino con orgoglio e affrontano le avversità con creatività e resilienza, scrivendo un racconto che esalta l’indomito spirito umano. Per la gente di Kibera domani sarà sicuramente un giorno migliore. Foto di Brian Otieno Africa Rivista
FOCUS ON AFRICA. Il Kenya a un anno dal voto per una politica sempre più etnicizzata
Nel paese si va a elezioni l’anno prossimo, dopo decenni di tornate elettorali sanguinose. L’avvento della democrazia multipartitica  nel 1992 ha portato all’etnicizzazione della politica, con i partiti che si uniscono attorno ai mediatori del potere tribale Poster elettorali e graffiti che invocano la pace a Nairobi (Fonte: Human Rights Watch) di Federica Iezzi Roma, 9 aprile 2022, Nena News – Negli ultimi anni, la democrazia in Africa ha tremato. Il ritorno dei colpi di stato militari in Guinea, Ciad e Mali, l’inefficace rivoluzione democratica in Sudan, i conflitti civili e la violenza politica in Etiopia e Somalia. In Uganda e Tanzania, elezioni libere ed eque si sono rivelate un obiettivo sfuggente. È in questo ambiente febbrile che il Kenya si prepara ad affrontare i propri demoni elettorali. A partire dai sondaggi. A volte sono stati davvero strumenti per l’espressione della volontà popolare, come nel 2002, quando l’ex dittatore Daniel Arap Moi, successore di Jomo Kenyatta, perse contro il democratico Mwai Kibaki, leader della National Rainbow Coalition. Solo cinque anni dopo, il Paese si è quasi fatto a pezzi a causa dei risultati elettorali contestati. Da allora, le elezioni sono diventate occasioni che ispirano grandi speranze di cambiamento e contemporaneamente una terribile paura dei risultati. Gli ultimi due cicli elettorali presidenziali hanno visto questa dinamica all’opera. Sono ancora vividi i ricordi delle violenze etniche post-elettorali del 2007-2008 tra i due principali schieramenti politici, i Kikuyu del Partito di Unità Nazionale, guidati dal Presidente Mwai Kibaki, e i Luo del National Super Alliance (NASA), coalizione dei principali partiti all’opposizione, con a capo Raila Odinga. Tensione alta anche nel 2013 durante le elezioni di presidente, membri del Parlamento, governatori regionali e dirigenti di 47 assemblee distrettuali. Nonostante le abbondanti prove, le elezioni non si svolsero nel rigoroso rispetto della legge e la neonata Corte Suprema, guidata dall’avvocato Willy Mutunga, fece di tutto per dichiarare valido il risultato. Così, Uhuru Kenyatta divenne presidente. Nel 2017, l’offerta di Kenyatta per la rielezione è naufragata quando la Corte Suprema, guidata da David Maraga, giudice ultra-conservatore, ha annullato le elezioni per mancato rispetto della legge. I tribunali kenyani negli ultimi anni hanno dimostrato coraggio nella difesa della Costituzione, frenando i tentativi di Kenyatta e di Odinga di cambiarla. I sondaggi presidenziali meno violenti sono stati nel 2002 e nel 2013, quando i limiti di mandato hanno impedito rispettivamente a Daniel Arap Moi e al suo successore Mwai Kibaki di candidarsi ancora. Kenyatta affronterà la stessa barriera l’anno prossimo e la sua volontà di minacciare e cooptare istituzioni indipendenti rimane immutata. Ma Martha Koome, rinomata avvocata, difensora dei diritti umani e prima donna a capo della giustizia del Paese, ha mostrato poca voglia di combattere con l’esecutivo. Il sostegno alla democrazia in tutto il continente rimane ostinatamente alto, secondo i sondaggi di opinione. L’avvento della democrazia multipartitica in Kenya nel 1992 ha portato all’etnicizzazione della politica, con i partiti che si uniscono attorno ai mediatori del potere tribale, e a un panorama politico in continua evoluzione, mentre le alleanze interetniche si formano e si disgregano. In assenza di partiti basati su un’ideologia politica coerente, la strumentalizzazione delle identità tribali e la manipolazione delle lamentele etniche rimangono la base primaria della mobilitazione politica, con la seria minaccia della violenza. Nena News