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Attualità del Socialismo e i rompicapi della transizione
Da pochi giorni è arrivato nelle librerie il nuovo lavoro editoriale di Giorgio Cremaschi, “Solo il Socialismo ci può salvare” – Mimesis Edizoni che segue il testo, uscito circa due anni fa, “Liberal/Fascismo” sempre per i tipi di Mimesis. Si conferma, dunque, una attitudine di riflessione e di approfondimento su […] L'articolo Attualità del Socialismo e i rompicapi della transizione su Contropiano.
Madagascar: la Generazione Z ha vinto, ma non è lei a riscrivere le regole
Abbiamo assistito di recente a una svolta storica in Madagascar, che ha visto protagonisti i giovani della Generazione Zeta. A distanza di poco tempo rimangono molti interrogativi e sfide. Tra il 25 settembre e il 14 ottobre scorsi, il Madagascar ha vissuto una svolta storica. La Generazione Z, nata e organizzata sui social network, è riuscita a far cadere il regime di Andry Rajoelina. Ora però i ragazzi della Gen Z tra i 15 e i 25 anni, arrabbiati, connessi e determinati, si trovano di fronte a un interrogativo cruciale: come evitare che il loro sogno di cambiamento venga neutralizzato? Il rischio principale per la Generazione Z malgascia è che il “momento rivoluzionario” venga normalizzato dentro logiche militari, clientelari e internazionali che non controlla, trasformando una vittoria di piazza in una riconfigurazione del vecchio sistema con volti nuovi. La specificità della Generazione Z malgascia è il suo nucleo motore: una galassia di gruppi urbani connessi che ha usato piattaforme cifrate per coordinare scioperi, sit-in, occupazioni, manifestazioni e presidi in spazi simbolici come la Place de la Démocratie, aggirando partiti e notabili. Questa “rivoluzione digitale” ha prodotto due effetti ambivalenti: ha mostrato che una generazione con poco da perdere può rovesciare rapidamente un presidente, ma ha anche aperto spazio a un arbitraggio di potere da parte dei militari, delle élite economiche e degli attori esterni che ora cercano di incanalare l’energia giovanile in una transizione controllata. Un governo senza consultazione La scelta del primo ministro e la formazione del nuovo governo sono avvenute senza il diretto coinvolgimento dei giovani protagonisti della rivolta. I 29 membri dell’esecutivo odierno includono qualche nuovo volto e alcuni esperti, ma l’insieme resta un sapiente dosaggio di vecchi politici, oppositori storici e persino rappresentanti del regime appena cacciato come Christine Razanamahasoa già presidente dell’Assemblea Nazionale ed ex ministro con Andry Rajoelina, che oggi nel nuovo governo ha ottenuto lo strategico Ministero degli Esteri. Sariaka Senecal, giovane attivista malgascia (poco più che ventenne) descrive così al settimanale francese Le Point il rapporto ambivalente con le nuove autorità: “E’ vero, siamo stati ricevuti dalla presidenza e al Ministero della Gioventù. Da questo punto di vista c’è stato ascolto. Ma sulle nomine politiche non siamo stati minimamente consultati. Dalla scelta del premier a quella dei ministri, non siamo mai stati coinvolti. Stiamo assistendo a una rifondazione di facciata. Non è prevista alcuna revisione costituzionale, nessuna riforma strutturale. Cambiano le facce, non le logiche. Ci ascoltano, fingono di prenderci sul serio. Ma hanno già i loro piani”. Dal movimento orizzontale alla struttura organizzata La difficoltà di questa “rivoluzione della Generazione Z” era prevedibile. Nata in modo spontaneo e orizzontale, la mobilitazione giovanile manca, come in altri contesti simili, di rappresentatività formale. Per acquisire maggior peso, il movimento starebbe valutando di modificare la pura orizzontalità e organizzarsi in una struttura più tradizionale, con portavoce, comitati e leader riconoscibili. La Generazione Z dispone oggi di reti e strumenti che le danno un’influenza senza precedenti, ma oscilla ancora tra la forma organizzata di un movimento e quella assembleare e fluida di un organo consultivo. L’obiettivo comunque resta invariato: influenzare le decisioni del potere. Per ora una delle sfide principali per il nuovo governo è mantenere il sostegno finanziario della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, da cui dipendono numerosi progetti in corso per migliorare l’accesso all’acqua e all’energia: solo il 36% della popolazione malgascia ha accesso all’elettricità, quando c’è. Un brief “Poverty and Equity” su Madagascar dell’ottobre 2025 stima che nel 2024 circa l’80% dei malgasci viva sotto la soglia internazionale di povertà di 2,15 dollari al giorno Intanto la Russia in queste settimane ha manifestato ufficialmente la volontà di rafforzare la cooperazione con il Madagascar in questa fase di transizione. Una mossa sostenuta dal nuovo Presidente dell’Assemblea Nazionale malgascia, Siteny Randrianasoloniaiko, noto per la sua vicinanza a Mosca. “I russi sono specialisti nella risoluzione di problemi urgenti. possono fornirci carburante. La scelta è nelle nostre mani se vogliamo davvero trovare soluzioni ai nostri problemi” ha dichiarato lunedì 24 novembre, durante la discussione sulla legge finanziaria per il 2026. Il giorno seguente ha convocato i fornitori della Jirama, la società pubblica di distribuzione di acqua ed elettricità sostenendo che il supporto tecnico russo sarebbe il benvenuto dato che nella capitale sono già ripresi i tagli di corrente. Non è la prima volta che Mosca prova a esercitare la sua influenza sul Madagascar. Nel 2018, pochi mesi prima delle presidenziali, un’indagine di BBC Africa Eye aveva rivelato come una squadra di consulenti politici russi (entrati nel Paese come “turisti” o “osservatori”) avesse offerto denaro e supporto tecnico ad almeno sei candidati. L’obiettivo era influenzare l’esito del voto sostenendo più candidati in parallelo. Da allora gli attori esterni non hanno smesso di cercare spazio a Antananarivo, tra contratti minerari e offerte di ‘cooperazione strategica’. Ma sette anni dopo, quel copione non funziona più: per i ragazzi della Generazione Z la vera battaglia comincia adesso.   Africa Rivista
Pepe: la semplicità come rivoluzione
A Capriolo, il 7 novembre, uno spettacolo che racconta José “Pepe” Mujica, l’uomo che ha insegnato al mondo a vivere con dignità. UNA SERATA PER RICORDARE LA GRANDEZZA DELLA SEMPLICITÀ Il 7 novembre, alle ore 21, l’Auditorium BCC di Capriolo (via 4 Novembre) ospiterà un evento raro e prezioso: lo spettacolo “Pepe”, tratto dal libro omonimo di Milton Fernández, pubblicato da Rayuela Edizioni, organizzata dall’Associazione culturale Scenari. Accanto all’autore, in scena ci sarà anche Ángel Luis Galzerano, musicista e compositore uruguaiano, con cui Fernández condivide non solo le origini ma anche una profonda visione del mondo: quella di una cultura che intreccia arte, dignità e memoria. L’ingresso è gratuito, ma la serata promette un valore che va ben oltre il prezzo del biglietto. “Pepe” non è solo teatro o letteratura. È un viaggio nella storia recente dell’America Latina, ma anche una riflessione universale sulla libertà, la solidarietà e la possibilità di vivere in modo coerente con i propri ideali.   PEPE MUJICA: IL PRESIDENTE CHE NON SMISE MAI DI ESSERE UOMO Morto nel maggio del 2025, José “Pepe” Mujica è stato una delle figure più amate e autentiche del nostro tempo. Ex guerrigliero tupamaro, prigioniero politico per tredici anni, presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, Mujica ha saputo incarnare un’idea di politica fondata sull’etica quotidiana, sull’umiltà e sul servizio. Viveva in una piccola casa di campagna, coltivava fiori con la moglie Lucía Topolansky, e devolveva quasi tutto il suo stipendio in beneficenza. Ma la sua povertà non era rinuncia, bensì una forma di libertà: la libertà di non appartenere al potere, ma di restare fedele alla vita reale delle persone. “Lo sviluppo deve essere al servizio della felicità umana”, diceva Mujica. E nel suo modo di camminare, parlare e agire — tra un vecchio Maggiolino blu e una filosofia della sobrietà felice — molti hanno riconosciuto un testimone del possibile: un uomo che ha fatto della semplicità una rivoluzione.   (copertina del libro di Milton Fernández)    IL LIBRO: UNA RIVOLUZIONE SILENZIOSA Nel libro Pepe. La storia di una rivoluzione pacifica che ha incantato il mondo, Milton Fernández racconta la vita di Mujica con la delicatezza del poeta e la precisione dello storico. Non si limita a rievocare gli eventi — la guerriglia, la prigionia, la presidenza — ma penetra nell’anima del protagonista, restituendone la dimensione più intima: la solitudine, la tenacia, la gioia di un uomo che ha saputo perdonare la vita. È un ritratto che vibra di contrasti: il silenzio della campagna e il rumore della guerra, la durezza delle sbarre e la luce del sorriso, la fragilità dell’uomo e la forza delle idee. In queste pagine, Mujica non è un mito, ma un essere umano che ci ricorda quanto il potere, senza umanità, sia un guscio vuoto. Fernández — uruguaiano di nascita, italiano d’adozione — usa la parola come strumento di dialogo tra due mondi. E ci invita a chiederci, leggendo: che cosa significa oggi vivere con dignità?   (Da sinistra l’autore Milton Fernández e il musicista Ángel Galzerano)   MILTON FERNÁNDEZ E ÁNGEL GALZERANO: DUE VOCI, UNA RADICE Entrambi uruguaiani, entrambi fuggiti dalla dittatura oltre trent’anni fa, Milton Fernández e Ángel Luis Galzerano hanno trovato in Italia una nuova patria culturale, ma non hanno mai smesso di portare nel cuore la loro terra. Fernández, scrittore, editore e fondatore del Festival della Letteratura di Milano, ha fatto del racconto e della memoria il suo linguaggio universale. Galzerano, chitarrista e cantautore, con i suoi suoni mescola la nostalgia del Río de la Plata con le note mediterranee della sua vita italiana. Nel loro spettacolo, le parole di Milton e le note di Ángel si fondono in un unico respiro, in un racconto dove la poesia diventa musica e la musica diventa voce della storia. Sono, a modo loro, ambasciatori della cultura uruguaiana in Italia, ma soprattutto portatori di un messaggio che travalica i confini: quello di una umanità che non si arrende alla violenza del tempo, ma continua a cercare senso e bellezza nelle piccole cose.   (fotografia d’archivio José “Pepe” Mujica)   UN MESSAGGIO PER IL NOSTRO PRESENTE In tempi di crisi e disincanto, l’eredità di Pepe Mujica — e lo spettacolo che porta il suo nome — ci ricordano che la vera rivoluzione comincia dal modo in cui scegliamo di vivere. Non servono grandi ideologie né proclami, ma gesti quotidiani di libertà, solidarietà e responsabilità. Come scrive Fernández, “la semplicità può essere una forma di resistenza”. E questo spettacolo, fatto di parole, musica e silenzi, ci invita a resistere alla superficialità del presente, per tornare a guardare il mondo con occhi umani.   APPUNTAMENTO A CAPRIOLO Giovedì 7 novembre 2025, ore 21 Auditorium BCC, via 4 Novembre – Capriolo (BS) Ingresso libero Un’occasione unica per ascoltare due voci che raccontano, con autenticità e arte, la vita di un uomo che ha cambiato il modo di intendere la politica e l’esistenza. Un invito a ricordare, riflettere e — forse — ritrovare la speranza. PER APPROFONDIRE Pepe. La storia di una rivoluzione pacifica che ha incantato il mondo di Milton Fernández – Rayuela Edizioni, 2025 https://rayuelaedizioni.it/products/pepe?_pos=1&_sid=0a185ca26&_ss=r Musiche originali di Ángel Luis Galzerano: https://www.youtube.com/@angeluis1961 Simona Duci
“Né veritcale né orizzontale”: alcune note sulla proposta di Rodrigo Nunes
di GIROLAMO DE MICHELE. Pubblicato nel 2020, il libro di Rodrigo Nones Né verticale né orizzontale. Una teoria dell’organizzazione politica (Alegre, 2025) esce in traduzione italiana in queste settimane, accompagnato da un giro di presentazioni dello stesso Nunes. In verità, non avendolo potuto pressentare all’uscita, Nunes era poi venuto in Italia nel 2022: ma adesso, con la traduzione a mano – e, cosa non da poco, con la disponibilità dell’autore di presentarlo e discuterlo in italiano – le presentazioni consentono una discussione e un approfondimento dei contenuti (cui si giova il sottoscritto). Aggiungo che sul primo numero di Teiko, dedicato all’enigma dell’organizzazione, lo stesso Nunes ha discusso le sue tesi. La pubblicazione del 2020 cadeva in un momento in apparenza propizio, venendo dopo un ciclo di mobilitazioni internazionali, che hanno però dovuto fare i conti con il loockdown; la sua traduzione circola oggi in un’Italia attraversata dalle mobilitazioni contro il genocidio di Gaza, sfociate nelle piazze stracolme del 22 settembre e 3 ottobre: per quanto casuale possa sembrare (ma dalla prospettiva ecosistemica di Nunes il “caso” non esiste…), è un’ottima occasione per mettere a verifica la sua teoria. Prima di entrare nel cuore della proposta di Nunes, esemplificato dal titolo, conviene forse partire dalle ultime pagine, nelle quali è dichiarato l’orizzonte entro il quale va considerato il rapporto fra movimenti e organizzazione: il riscaldamento globale, e l’imprescindibile necessità di invertire il processo clmatico prima che diventi irreversibile. Partire dalla lotta al mutamento climatico, ossia a un evento epocale che prende le mosse dalla rivoluzione industriale, significa avere un approccio ecologico sia sul piano della prassi – allargare la potenza dei movimenti fino all’ampiezza necessaria per combattere questa lotta; sia sul piano teorico – elaborare una strategia ecologica nel metodo, e nell’episteme. In altri termini, l’ecologia diventa una modalità di enunciazione collettiva che tiene insieme le cose da fare e le parole per dirlo: concatenamenti collettivi di enunciazione, insomma. La proposta di Rodrigo Nunes sembra muoversi fra un assunto di sapore foucaultiano, e una proposta guattariana: si tratta di infatti di cambiare l’ordine del discorso sul rapporto partito-movimento, e di ottenere un effetto terapeutico che liberi i movimenti dalla doppia malinconia, esito delle sconfitte, a fasi alterne, tanto delle esperienze organizzate quanto di quelle spontanee, che porta a rifiutare l’approccio organizzativo in favore dello spontaneismo, e viceversa. Un doppio rifiuto che retroagisce, in un perverso feedback negativo, sulle macerie psichiche lasciate dai movimenti del passato. In realtà bisognerebbe riconoscere in questo doppio rifiuto preconcetto un doppio movimento simultaneo, un doppio vincolo – una schismogenesi simmetrica, afferma Nunes citando Bateson (un autore la cui epistemologia ha un ruolo ancor più importnate di quanto non sia dichiarato). Di fatto, sostiene Nunes, nessun movimento “spontaneo” è davvero privo di una struttura organizzativa; così come la presenza di un momento organizzativo non per necessità comporta l’affermazione di UN unico modello-ombrello sotto il quale forzare ogni ambito della prassi. Per Nunes la questione dell’organizzazione è imprescindibile nella lotta al riscaldamento globale: non è pensabile che un processo ecosistemico di questa ampiezza possa essere arrestato da una miriade di picocle azioni quotidiane o “locali”. Ma va modificata in modo radicale la grammatica tradizionale della questione organizzativa, che presuppone la domanda su quale sia la forma organizzativa più adatta a svolgere quella funzione-ombrello di cui si è detto. La grammatica ecologica proposta da Nunes parte dal presupposto che, secondo un approccio ecosistemico, non c’è mai una forma ideale, ma ci sono sempre una pluralità di forme a gradi. Non si tratta quindi di cercare una ecologia ottimale o perfetta, ma di chiedersi quale sia la potenzialità insita in una ecologia: non potestas, ma potentia. Questa nuova grammatica, che segue il ritmo dell’approccio ecologico, porta a orerare una risignificazione di alcuni termini chiave (Deleuze avrebbe forse detto parole-baule). La direzione politica deve funzionare come funzione distribuita: la leadership esiste nella misura in cui esiste una funzione di innovazione, cioè di novità all’interno dell’ecologia, e dura fino a quando questa funzione viene riconosciuta. Così come la funzione di avanguardia non è più quella di marciare avanti ai movimenti, ma diviene un evento contingente e sperimentale: un’iniziativa si muove attraverso le decisioni e le iniziative dei gruppi che compongono l’ecologia, ed chi in quel momento esercita tale funzione è un’avanguardia contingente. Nunes sostiene che il ruolo delle avanguardie quale si è dato in passato fosse legato a una visione deterministica della storia come processo; in alternativa a questa visione, propone una episteme aggiornata al livello dei sistemi scientifici contemporanei, secondo la quale ogni momento del sistema è già sempre organizzato – ma non in modo eteronomo, dall’esterno, bensì dall’interno. Questo approccio non comporta però una sorta di effetto-testimone di Geova, ovvero andare casa per casa a citofonare agli “organizzativisti” o agli “spontaneisti” duri e puri per spiegar loro un po’ di teorie scientifiche (sarà il caso di ricordare che, lasciando da parte Lenin e il suo rapporto con Mach, Stalin la meccanica quantistica la conosceva, e non è per accidente che ha stroncato il suo sviluppo nell’URSS). Piuttosto, si tratta di uscire dalle secche mentali che ci fanno categorizzare secondo la falsa opposizione fra spontaneo e organizzato la nostra comprensione del mondo. Un approccio volontaristico, certo: che comporta la necessità di camminere con i piedi nelle scarpe dei movimenti e delle mobilitazioni che si stanno dando, a livello globale, oggi. Resta, a chi scrive, una perplessità teorica. Nunes legge Spinoza (e una la sua lettura di Spinoza in chiave polemica verso Negri e Hardt, collocati fra gli “spontaneisti”) come portatore di una posizione che non afferma che “tutto dovrebbe essere autorganizzato – meno ancora che lo sarà, data la critica di Spinoza alle cause finali – ma riconoscere che ogni cosa lo è già“: il che, oltre a disincantare la natura come autorganizzazione, riconoscendo che non è “dalla nostra parte”, non essendo né buona né cattiva, porterebbe in luce un errore nello spinozismo negriano, che legge nella moltitudine una finalità immanente. È certo vero che per Spinoza ogni elemento del reale è in sé organizzato: la servitù della mente esprime un livello di potenza e di organizzazione, tanto quanto lo esprime la mente liberata. Ma non si può certo dire che per Spinoza le due condizioni siano equivalenti, né che il pensiero e la prassi della liberazione implicano una causa finale, cioè un teleologismo: è una potentia essendi, e potenza di essere ve ne è sempre. Se la moltitudine è sempre pensabile come all’altezza del compito di liberazione, non è per un qualche nascosto provvidenzialismo, ma per la sua composizione politica in quanto forza lavoro: per le potenzialità insite nel suo essere parte del processo produttivo – come, per fare un esempio, il rider che riesce a riprogramare il telefonino, strumento di asservimento al sistema distributivo just in time, per convocare una chat di rider insubordinati e organizzare uno sciopero per superare uno stato del sistema con uno nel quale i diritti dei lavoratori siano a un più avanzato livello. Tornando infine a Nunes: il suo è il libro, ossia una proposta, che parla di politica non in astratto, ma “con il soggetto dentro”, pur essendo al tempo stesso privo di soggetto, nella misura in cui non propone un modello ideale da imitare: nondimeno, la prassi cui il libro – e il suo autore stesso – chiamano è quella che assume l’orizzonte politico più ampio, cioè quello della rivoluzione, non come risposta possibile, ma come l’unica risposta che ha la possibilità di affrontare la questione climatica. Un movimento reale, in conclusione, che non può che proporsi come obiettivo la distruzione dello stato di cose esistente: camminando, come s’è detto, con i piedi nelle scarpe dei movimenti L'articolo “Né veritcale né orizzontale”: alcune note sulla proposta di Rodrigo Nunes proviene da EuroNomade.
Un Premio Nobel senza pace
Forse è davvero ora di buttare nella spazzatura un premio che, al contrario di altri (fisica, medicina, ecc) è diventato soltanto un’indicazione di guerra ideologica e culturale. Qui tre degli interventi che ci sono giunti o abbiamo trovato tra i nostri contatti, chiedendo ovviamente scusa agli altri, ma non potevano […] L'articolo Un Premio Nobel senza pace su Contropiano.
DIVENIRE RIVOLUZIONARI.E
PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI ROBERTO CICCARELLI “DIVENIRE RIVOLUZIONARI.E” APPUNTAMENTO PER DOMENICA 12 OTTOBRE ALLE 17:30 CIRCOLO ANARCHICO PONTE DELLA GHISOLFA. Nel centenario della nascita (1925) e nel trentennale della scomparsa (1995) di Gilles Deleuze, il libro di Roberto Ciccarelli propone … Continua a leggere→
Assata Shakur è morta all’Avana
Rivoluzionaria afroamericana, attivista per i diritti sociali, militante delle Pantere Nere, Madrina del Rapper Tupac, perseguitata per oltre 40 anni dalla CIA e dal FBI aveva trovato un porto sicuro a Cuba. La Casa Bianca aveva messo una taglia di un milione di dollari sulla sua testa ma l’Isola Ribelle […] L'articolo Assata Shakur è morta all’Avana su Contropiano.
NEPAL: INTERVISTA DA KATMANDU CON NAVYO ELLER, “MAI VISTA UNA RIVOLUZIONE COSì VELOCE, NETTA E SENZA COMPROMESSI”
È tornata la calma nel paese himalayano dopo le durissime quanto rapide proteste della scorsa settimana a Katmandu e in molti altri centri del Nepal. Il nuovo governo di transizione, votato dal popolo in rivolta e guidato da Sushila Karki, prima donna premier nella storia del paese, dovrà organizzare le elezioni tra sei mesi. Ieri la nazione era in lutto per i morti durante le recenti manifestazioni, nel frattempo le scuole hanno riaperto e tutto sembra tornato alla normalità. Decine di migliaia di giovani erano scesi in piazza l’8 settembre nella capitale e in tutto il paese, per manifestare contro la corruzione e l’arroganza del potere. Alla decisione di bloccare temporaneamente i social network, sono scoppiati pesanti disordini: dati alle fiamme uffici e ministeri, il Parlamento, il palazzo del Governo, quello della Corte Suprema, le case del ministro degli interni e dell’ex premier. La repressione della polizia è stata violentissima, ha provocato decine di morti e centinaia di feriti, spingendo ampie fette della popolazione ad unirsi agli agitatori della protesta, la GenZ, giovanissimi tra i 15 e i 20 anni. In meno di due giorni, dato anche l’assenza di interventi da parte dell’esercito, il governo in carica si è dimesso. Navyo Eller, cittadino italiano da oltre trent’anni in Nepal, ha dichiarato ai nostri microfoni di “non aver mai visto una rivoluzione così veloce, netta e senza compromesso”. Ascolta o scarica
Ricordando Fidel, a 99 anni dalla nascita
“Per noi militanti ‘in difesa dell’umanità’, obiettivo che ci ha affidato esplicitamente lui stesso fondando REDH, Fidel rappresenta uno dei pilastri teorici più profondi del pensiero antimperialista e del socialismo rivoluzionario. Egli trascende le specificità e le contingenze diventando esempio e fondamento per tutte le rivoluzioni antimperialiste capaci di difendere […] L'articolo Ricordando Fidel, a 99 anni dalla nascita su Contropiano.