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Mali, la grande pesca sacra
Migliaia di persone si riuniscono ogni anno nella città di San per celebrare il “Sanké mon”, un’antica tradizione di pesca collettiva che ha l’obiettivo di invocare la benevolenza degli spiriti dell’acqua alla vigilia della stagione delle piogge. Oggi, tuttavia, la celebrazione è minacciata dai cambiamenti climatici e dall’instabilità nella regione. Camminano per ore, sotto il sole implacabile del Sahel. Arrivano da villaggi lontani, a decine di chilometri di distanza. Uomini, donne e bambini avanzano portando reti e nasse, intonando canti tradizionali che riecheggiano nella savana. Un’atmosfera di attesa e gioiosa eccitazione avvolge il lungo pellegrinaggio verso il piccolo lago nei pressi di San, nella regione di Ségou, nel cuore del Mali. Qui, ogni anno, si svolge l’evento più atteso e spettacolare: il “Sanké mon”, antico rito di pesca collettiva che raduna migliaia di persone e che, secondo la tradizione, propizia l’inizio della stagione delle piogge. Le radici della celebrazione affondano nella storia ancestrale dei Bambara. Una leggenda racconta che il Sanké mon ebbe origine oltre sei secoli fa, quando un sovrano della regione ordinò una pesca collettiva per celebrare la prosperità del suo regno e garantire l’abbondanza ai suoi sudditi. Da allora, questa manifestazione si è tramandata di generazione in generazione, mantenendo inalterato il suo carattere rituale. La forza della tradizione Nel 2009 il Sanké mon è stato inserito dall’Unesco tra i Patrimoni immateriali dell’umanità, riconoscimento che ha dato risalto internazionale a un rito sacro che rappresenta ben più di un evento folcloristico: per i Bambara è simbolo di rinnovamento, abbondanza e riconciliazione con la natura. Il Sanké mon trae la sua energia da un senso profondo di appartenenza collettiva e dal legame sacro che unisce la comunità all’acqua. I preparativi iniziano giorni prima, con gli anziani, i griot (custodi della storia orale) e i cacciatori che si riuniscono per pianificare l’evento. Questo si apre con danze accompagnate dal ritmo dei tamburi e di strumenti a corda, che riecheggiano nel villaggio creando un’atmosfera vibrante e spirituale. Uomini e donne indossano abiti cerimoniali e tessuti dai colori vivaci, mentre risuonano nell’aria canti di lode, evocando gli antenati e gli spiriti dell’acqua. Il culmine della celebrazione è la pesca nel lago sacro di Sanké. Al segnale degli anziani, migliaia di persone si tuffano nell’acqua torbida munite di reti, ceste e pentole di terracotta, immergendosi in una frenesia collettiva. La pesca dura quindici ore, durante le quali si odono grida di gioia e incitamenti, in un’esplosione di entusiasmo che coinvolge ogni partecipante. Al termine, il pesce catturato viene distribuito secondo regole di equità che tengono conto delle famiglie più bisognose, dei capifamiglia e degli ospiti, riflettendo i valori di condivisione e solidarietà che caratterizzano la comunità. Minacce e rimedi Non è solo una celebrazione: è un rito che rafforza l’identità culturale e sociale dei Bambara, mantenendo vivi la memoria collettiva e il senso di coesione. Tuttavia il Sanké mon è oggi minacciato. I cambiamenti climatici, con l’aumento dei periodi di siccità, hanno ridotto il livello dell’acqua nel lago, compromettendo l’abbondanza della pesca, che per il resto dell’anno è vietata per consentire il ripopolamento. Le risorse ittiche si vanno riducendo, e ciò che un tempo garantiva prosperità rischia di non essere più sufficiente a sostenere la comunità. Anche l’instabilità nella regione costituisce un pericolo crescente. L’insorgenza di gruppi jihadisti ha portato paura e insicurezza, minacciando la continuità di una festa che per secoli ha rappresentato un baluardo di pace. Le autorità militari, consapevoli del valore simbolico e spirituale del Sanké mon, mettono in campo eccezionali misure di sicurezza per consentirne lo svolgimento, inviando centinaia di soldati nell’area per garantire la protezione dei partecipanti. Il governo maliano ha annunciato progetti di riqualificazione ambientale del lago, con l’obiettivo di preservare l’ecosistema e favorire il ripopolamento delle specie ittiche. Parallelamente si punta a sensibilizzare la popolazione sulla tutela dell’ambiente come fonte di vita e benessere collettivo. Le sfide sono grandi, ma il Sanké mon continua a rappresentare la resilienza del popolo bambara, la sua capacità di adattarsi e di lottare per mantenere vive le tradizioni, anche in tempi difficili. La prossima edizione del Sanké mon, fissata, come sempre, per il secondo giovedì del settimo mese lunare, sarà un nuovo momento di sfida e speranza. Mentre il mondo esterno si confronta con le trasformazioni climatiche e sociali, a San si rinnova un rito che parla di vita, comunità e fedeltà alle proprie radici.   Africa Rivista
Mali, protezione sussidiaria per i richiedenti: minaccia alla vita per la violenza indiscriminata
Il Tribunale di Potenza si è pronunciato sul ricorso presentato da due cittadini maliani contro il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bari, che aveva rigettato la loro domanda di protezione internazionale. La Commissione aveva tuttavia ritenuto sussistenti i presupposti per la trasmissione degli atti al Questore, ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 32, comma 3, del d.lgs. 25/2008 e s.m.i. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 I ricorrenti, in particolare, chiedevano al Giudice adito l’annullamento della decisione ed alla luce dell’instabilità che comunque caratterizza lil Mali nella sua interezza che venisse accertato e riconosciuto il diritto dei ricorrenti al riconoscimento della protezione internazionale, quale protezione sussidiaria o, in via gradata, qua le status di rifugiato ed In via ulteriormente gradata, il riconoscimento allo straniero del diritto di asilo costituzionalmente sancito ex art. 10 co. 3. Il tribunale dopo aver elencato numerose fonti internazionali concludeva per il riconoscimento della protezione sussidiaria in quanto vi era un serio pericolo per la loro vita per la sola presenza sul territorio a causa della violenza indiscriminata, oltre alla continua e radicata violazione dei diritti fondamentali della persona. Questo esimeva i ricorrenti dal fornire prova del rischio specifico (v.si, in tal senso, CGUE Grande sezione sentenza del 17 febbraio 2009 nel procedi mento C-465/07, caso Elgafaji), non rilevando, dunque, alcun giudizio di comparazione tra la condizione individuale in cui si troverebbero i ricorrenti in caso di rimpatrio e quella medio tempore raggiunta in Italia. 1) Tribunale di Potenza, decreto del 18 giugno 2026 2) Tribunale di Potenza, decreto del 18 giugno 2026 Si ringrazia l’Avv. Andrea Fabbricatti per la segnalazione e il commento. -------------------------------------------------------------------------------- * Consulta altri provvedimenti relativi all’accoglimento di richieste di protezione da parte di cittadini/e del Mali * Contribuisci alla rubrica “Osservatorio Commissioni Territoriali” VEDI LE SENTENZE * Status di rifugiato * Protezione sussidiaria * Permesso di soggiorno per protezione speciale
Da ‘Rondine’ la storia di Bernadette
Riceviamo e pubblichiamo dall’associazione RONDINE “Oggi non voglio solo raccontare una storia, ma scelgo di condividere una parte della mia anima. Una parte di me che la guerra ha segnato profondamente, ma che la speranza ha saputo illuminare. Mi chiamo Bernadette, ho 24 anni, sono nata in Mali, un paese dai mille colori, dai profumi dolci dei mercati affollati, dalle strade piene di vita e risate di bambini. Io ero una di quei bambini, spensierata e piena di sogni. Fino a quando, una mattina di novembre del 2015, questa spensieratezza mi è stata strappata via. Avevo 11 anni. Quel giorno, mentre il sole illuminava ancora i tetti di Bamako, un attentato ha squarciato il cuore della mia città. Ricordo le urla, i volti sconvolti dalla paura, le madri che correvano per strada cercando disperatamente i loro figli. Ricordo il silenzio angosciante che seguiva ogni esplosione. Fu il mio primo contatto diretto con la guerra. Fino a quel momento avevo sentito solo storie, racconti lontani di soldati caduti in battaglia, di villaggi distrutti nel nord del Mali. Ho provato un brivido nell’apprendere che uno dei datori di lavoro di mia madre, un uomo con cui giocavo da bambina, aveva deciso di diventare soldato… e che era stato ucciso in un attacco ad Aguelhok. Ma fino a quel giorno, la guerra era solo un’ombra distante. In un solo giorno, è diventata la mia realtà. Una vita sconvolta. Dopo quell’attentato, nulla è stato più come prima. La paura è diventata la nostra compagna silenziosa. Non potevo più uscire da sola. Addio ai giochi serali con gli altri bambini. Addio alle visite ai nonni. Il suono delle risate è stato sostituito dal rumore sordo della paura. La vita vibrante della mia città si è trasformata in un’esistenza sospesa. Ogni uscita poteva essere l’ultima. Ricordo una sera in cui eravamo riuniti in casa. Il mio cuore batteva forte a ogni rumore sospetto. Vedevo la preoccupazione sul volto di mia madre, l’ombra dell’angoscia nei suoi occhi. Avevamo appena appreso di nuovi attacchi, e ogni nome di vittima poteva essere quello di una persona cara. Ecco cosa fa la guerra: non solo uccide, ma lacera le anime. Ma il peggio non era solo la paura. Era il vuoto che lascia. Ho visto famiglie distrutte. Padri che non sono mai tornati a casa. Madri che piangevano i loro figli, partiti per combattere e mai più rientrati. Ricordo un giorno in cui attraversai un campo militare e vidi donne pregare e piangere per i loro mariti e figli al fronte. Quel giorno rividi mia madre, quando seppe della morte di mio padre. Capii che la guerra non risparmia nessuno. Ma oggi, sono qui, viva, in piedi. Oggi mi trovo a Rondine, un luogo in cui giovani da tutto il mondo, segnati dalla guerra, si riuniscono non per coltivare l’odio, ma per costruire la pace. Essere qui è una vittoria. È la prova che non ho lasciato che il mio passato mi distruggesse. Che non sono fuggita dal dolore, ma ho scelto di farne una forza. A Rondine, ho scoperto che non ero sola. Altri giovani come me hanno vissuto l’orrore, hanno perso persone care, sono stati strappati dalle loro case. Ma abbiamo scelto di credere in qualcosa di più grande, che ci ha salvato: la speranza. È ciò che mi ha permesso di credere che, oltre le bombe e le lacrime, la vita poteva ancora essere bella. Che il mondo poteva ancora cambiare. Ed è qui che vorrei lasciarvi con un compito. Voi che mi state ascoltando, che mi state leggendo, vi chiedo di diventare costruttori di pace. Siate testimoni per coloro che soffrono, per coloro che, come me un tempo, hanno creduto che tutto fosse perduto. Andate incontro a chi ha il cuore spezzato, ai bambini che oggi stanno vivendo ciò che io ho vissuto ieri. Dite loro che la guerra non definisce il loro futuro. Dite loro che l’amore è più forte dell’odio, che il dialogo è più forte della violenza. La pace non è un’attesa passiva. È una missione. Un impegno che ci riguarda tutti. Dobbiamo costruire insieme un mondo in cui nessun bambino si svegli più al suono delle bombe, in cui nessuna madre pianga più il proprio figlio, in cui nessun popolo viva più nella paura. Noi siamo la voce di un futuro diverso. Allora, camminiamo insieme, portatori di speranza, di coraggio e di pace. Redazione Italia
Riscoprendo la falce d’oro tra campi stellati. Il libro della Luna, di Fatoumata Kébé
RISCOPRENDO LA FALCE D’ORO TRA CAMPI STELLATI Il libro della Luna ✏ Fatoumata Kébé 26 Settembre 2021/di Adele Akinyi Manassero CATEGORIE: Libreria  / Saggistica Tempo di lettura: 5 minuti * Il libro della Luna. Storia, miti e leggende, Fatoumata Kébé, Blackie Edizioni, 2021, traduzione dal francese di Chiara Manfrinato. Non parliamo molto spesso di saggistica su Afrologist, ma questa settimana mi piacerebbe parlarvi di un’opera che mi ha risvegliato i sensi, assopiti in questo settembre ormai finito: Il libro della Luna. Storia, miti e leggende (Blackie Edizioni, 2021) dell’astrofisica e astronoma francese Fatoumata Kébé. Non si dovrebbero mai giudicare i libri dal titolo e dalla copertina, ma ammetto che sono stati proprio questi due elementi a colpire la mia attenzione. Il primo per la sua semplicità evocativa che mi ha riportato per associazione alla cosmicomica La distanza della Luna di Calvino. La copertina invece, per il foro circolare che lascia intravedere la Luna calante come da un’oblò. Ancor prima di sapere che genere di libro fosse, mi sono ritrovata con la fantasia su una nave in mezzo all’oceano a contemplare il cielo. «LA LUNA È ALL’ORIGINE DI TUTTI I MITI E DI TUTTE LE RELIGIONI, PERCHÉ ESISTE DA SEMPRE, PERCHÉ L’UOMO LA OSSERVA DA SEMPRE. E DA QUANDO ESISTE L’UOMO, LA LUNA È SEMPRE LA STESSA: PERENNE, RASSICURANTE, MA ANCHE INQUIETANTE. CAMBIA FORMA, COLORE, FA SOLLEVARE GLI OCEANI, CRESCERE LE PIANTE, DANZARE I FOLLETTI. HA UNA FACCIA NASCOSTA.» Il libro della Luna è un saggio scientifico divulgativo che ripercorre in brevi e semplici capitoli tutti gli aspetti astronomici legati al nostro satellite, dalle ipotesi della sua nascita ai moti, le sue fasi e le eclissi, il calcolo del tempo e così via. Tratteggia l’influsso della Luna sulla Terra, gli animali e gli esseri umani. Ed accompagna spiegazioni scientifiche al racconto di leggende, credenze e miti che diverse popolazioni del mondo dal Paleolitico ad oggi hanno associato a questo corpo celeste nelle loro cosmologie, religioni e scienze. Come nella miglior tradizione divulgativa astronomica, l’autrice ha incorniciato ogni capitolo con titoli poetici che parlano da soli come: Conoscere la Luna per conoscere noi stessi, Una falce d’oro tra i campi stellati (citazione a Victor Hugo in La leggenda dei secoli), La leggenda del corpo senza testa e il mio preferito Nell’Oceano delle Tempeste. «LA LUNA ROSSA È ATTESA DAI GIARDINIERI FRANCESI PER LA SEMINA DELLE PATATE, MENTRE PROVOCA IL PANICO IN EUROPA DEL NORD, DOVE VIENE CHIAMATA LUNA DI SANGUE. LA MITOLOGIA SCANDINAVA EVOCA I LUPI DELLA LUNA, I FEROCI MÁNAGARMR, NATI DALL’UNIONE IMPROBABILE TRA IL LUPO FENRIR E LA GIGANTESSA JÁRNVIÐR. BESTIE SANGUINARIE E DIVORATRICI DI UOMINI CHE SI DIVERTONO A INGOIARE LA LUNA E POI A LORDARE DI SANGUE IL TRONO DEGLI DÈI.» Racconta infine la Storia delle spedizioni di cosmonauti russi e astronauti americani nella frenetica corsa allo Spazio durante la Guerra Fredda. In questo breve excursus, cita anche la matematica afroamericana Katherine Coleman, tra le poche donne reclutate all’inizio degli anni ’50 al NASA Langley Research Center per supervisionare i primi voli con passeggeri. Proprio i suoi calcoli, nel febbraio del 1962, salveranno la vita dell’astronauta John Glenn nel primo volo orbitale sulla capsula Friendship 7. «È LEI A STABILIRE L’ESATTO TRAGITTO DELLA CAPSULA INTORNO ALLA TERRA, E SOPRATTUTTO LA TRAIETTORIA DI RIENTRO NELL’ATMOSFERA, IL MOMENTO ESATTO IN CUI SARANNO ACCESI I RETRORAZZI, L’ALTERNATIVA IN CASO DI GUASTO, L’AMMARAGGIO NELLA ZONA DI RECUPERO, ECCETERA.» Unica mancanza: non aver incluso maggiori informazioni sulle cosmogonie africane (non limitate all’antico Egitto o al mondo arabo) e la storia di Edward Mukuka Nkoloso, insegnante e “afronauta” zambiano che nel 1964 lanciò lo Zambian Space Program e addestrò aspiranti astronauti per unirsi alla corsa allo Spazio. Bellissimo a questo proposito il pezzo sul New Yorker della scrittrice zambiana Namwali Serpell. Fatoumata Kébé ha racchiuso in un solo volume tutta la poesia e la passione di scienziata che la lega alla Luna: il “romanzo della sua vita”. Di famiglia originaria del Mali, questa promessa dell’astronomia francese, oltre a promuovere una maggiore partecipazione all’astronomia da parte delle donne, è impegnata come educatrice e divulgatrice in Francia e nel continente africano. Ha fondato Ephémérides: un programma di lezioni d’astronomia per ragazzi e ragazze provenienti da background svantaggiati, lanciandolo anche a Bamako. In quest’opera ci rivela il suo sogno: «andare nello spazio ed essere la prima donna a mettere piede sulla Luna». Nel frattempo, restiamo insieme a lei con il naso all’insù verso cieli stellati rischiarati dalla Luna.✎ INCIPIT «Nell’ultima sala di Lascaux, in fondo alla grotta, a circa due metri e mezzo di altezza, sulla parete di destra, è raffigurato un cavallo al galoppo. Non lo si nota subito. Eppure sembra che gli artisti del Paleolitico, nel tentativo di rappresentare il mondo, diciottomila anni fa, abbiano voluto conferirgli una particolare importanza. Il cavallo, infatti, domina tutti gli altri affreschi, anche se è quasi nascosto, e potrebbe avere una valenza sacra. Il suo profilo, dalle narici alla ganascia, lungo i fianchi e fino alla coda, è punteggiato da una lunga scia di stelle. Secondo gli studiosi, si tratterebbe di una rappresentazione delle diverse fasi lunari, un modo per misurare il tempo, un calendario.» Tags: astronomia, Blackie Edizioni, evidenza, Fatoumata Kébé, francese, Francia, luna, Mali, scienza CORRELATI IN CONGO TRA SOCIALISMO SCIENTIFICO E ALIENI. JAZZ E VINO DI PALMA, DI EMMANUEL DONGALA 26 Settembre 2020 / 0 Commenti Continua a leggere https://www.afrologist.org/wp-content/uploads/2020/07/Emmanuel-Dongala-Jazz-e-vino-di-palma-slider.jpg 844 1500 Adele Akinyi Manassero https://afrologist.org/wp-content/uploads/2019/02/Logo-bozza-Letture-afropolitane-con-libro-tutta-scritta-con-A-bis-1030x202.png Adele Akinyi Manassero2020-09-26 13:10:242021-07-19 11:17:10In Congo tra socialismo scientifico e alieni. Jazz e vino di palma, di Emmanuel Dongala L'articolo Riscoprendo la falce d’oro tra campi stellati. Il libro della Luna, di Fatoumata Kébé proviene da Afrologist.