Tag - Guida legislativa

Trattenimento nei CPR anche dopo la non convalida: la Cassazione solleva una questione di legittimità costituzionale
La Prima Sezione penale della Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2-bis, d.lgs. 142/2015, come modificato dal d.l. 37/2025. La vicenda trae origine dal ricorso presentato per un cittadino senegalese trasferito il 9 maggio nel CPR di Gjader in Albania, dove il 14 giugno aveva presentato domanda di protezione internazionale, respinta dalla Commissione territoriale di Roma il 30 giugno. Il Questore di Roma aveva quindi chiesto la convalida del trattenimento, rigettata dalla Corte d’Appello di Roma il 4 luglio. Nonostante ciò, il giorno successivo il Questore di Bari adottava un nuovo decreto di trattenimento (60 giorni prorogabili) presso il CPR di Bari-Palese, fondato sulla “pericolosità sociale” del soggetto. La Corte d’Appello di Bari convalidava, ma la difesa ricorreva in Cassazione denunciando l’incostituzionalità del meccanismo. Al centro vi è la norma che consente, in caso di mancata convalida del trattenimento, che il richiedente “permanga nel centro fino alla decisione sulla convalida del predetto provvedimento”, a condizione che il Questore adotti entro 48 ore un nuovo decreto ex art. 6, co. 2. Per la Suprema Corte, ciò introduce un “trattenimento ex lege” privo di titolo amministrativo o giudiziario, in contrasto con l’art. 13 Cost.: “si prevede che un provvedimento di trattenimento dichiarato illegittimo dal giudice […] non venga seguito dall’immediata liberazione dell’interessato, bensì legittimi la permanenza del migrante nel CPR”. La Cassazione ravvisa violazioni anche degli artt. 3 e 117 Cost., in relazione a CEDU, Patto ONU sui diritti civili e politici e Carta UE, poiché si determina una compressione della libertà personale “solo per volontà diretta del legislatore, in assenza di qualunque controllo o verifica giudiziaria”. La norma censurata appare dunque irragionevole e discriminatoria: “Consente la limitazione ex lege della libertà personale di un individuo solo perché si trovi già in un CPR […] a differenza di chi sia libero”. La Corte ricorda che “un tema particolarmente sensibile come quello della (ritenuta) illegittima restrizione della libertà personale non può che essere immediatamente sottoposto al vaglio della Corte costituzionale”. Gli atti sono stati quindi trasmessi alla Consulta, oltre che al Presidente del Consiglio e ai Presidenti di Camera e Senato. Corte di Cassazione, ordinanza n. 30297 del 4 settembre 2025 Si ringrazia l’Avv. Salvatore Fachile per la segnalazione. Il commento è a cura della redazione.
Cittadinanza per residenza: la valutazione del reddito deve tener conto dell’invalidità e dell’impegno nel reinserimento lavorativo
Il Consiglio di Stato è ritornato a pronunciarsi sui poteri discrezionali della P.a. in merito alla concessione della cittadinanza italiana, ovvero dei criteri che quest’ultima deve tenere in considerazione ai sensi dell’art. 3 d.l. 25 novembre 1989, n. 382, conv. in l. 25 gennaio 1990, n. 8. Nel caso di specie, il cittadino extracomunitario aveva presentato l’istanza a settembre del 2014, allegando – tra l’altro – anche la documentazione relativa ai redditi dell’ultimo triennio. Tuttavia, il Ministero dell’Interno – con il decreto del 7 agosto 2019 – aveva negato la concessione della cittadinanza per carenza dei criteri reddituali, poiché “lo straniero deve dimostrare di possedere una certa stabilità e continuità nel possesso del requisito, che va mantenuto fino al momento del giuramento”. Invero, l’Amministrazione non aveva tenuto in debita considerazione la circostanza che l’istante, in data 3 dicembre 2013, fosse stato giudicato invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 74% al 99%, con decorrenza dal 14 giugno 2013, risultando anche iscritto nell’elenco degli aventi diritto all’assunzione obbligatoria. Inoltre, avanzato ricorso avverso il suddetto provvedimento, il Tar – rigettando la domanda -aveva annunciato che “l’erogazione a titolo di pensione di invalidità “non assume rilievo ai fini del calcolo e della formazione del reddito, avendo di contro la funzione solidaristica di sostegno al reddito”. Ebbene, il Tribunale Amministrativo Regionale aveva omesso di considerare nella sua interezza il contenuto del ricorso introduttivo, con il quale si evidenziava che il cittadino – nonostante le condizioni di salute – aveva cercato di inserirsi nel mondo del lavoro, essendo stato iscritto dal 15 maggio 2015 nell’elenco di cui all’art. 8 l. n. 68/1999; difatti, successivamente si era iscritto al Centro d’Impiego; aveva svolto un percorso di tirocinio formativo, fino ad essere nuovamente e regolarmente assunto nel 2020. Il Consiglio di Stato, difatti, ha ritenuta la censura meritevole di accoglimento poiché “l’Amministrazione appellata – ha omesso di attribuire rilevanza, ai fini dell’accertamento del requisito reddituale che concorre ad integrare i presupposti per la concessione della cittadinanza italiana, alla peculiare condizione di inabilità al lavoro concretizzatasi in data antecedente alla presentazione della domanda”. Pertanto, il criterio reddituale di cui all’art. 3 d.l. 25 novembre 1989, n. 382,, se rigidamente applicato senza tenere conto della peculiare condizione di inabilità dell’istante, assumerebbe carattere discriminatorio, in contrasto con il principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, comma 2, Cost. Quindi, il Giudice di Secondo Grado – accogliendo totalmente l’appello – ha evidenziato che “l’Amministrazione avrebbe dovuto vagliare, nel rispetto di un esercizio costituzionalmente orientato del relativo potere e per evitare che il riscontro del dato reddituale si risolva indirettamente in un elemento illegittimamente discriminatorio, la prospettiva di inserimento lavorativo del ricorrente, in specifica relazione alle peculiari condizioni dello stesso”. Consiglio di Stato, sentenza n. 6090 dell’11 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Gentian Alimadhi per la segnalazione e il commento.
Nessuna discriminazione tra cittadini italiani “statici” e “mobili” in tema di permesso FAMIT
Una recente decisione, ottenuta dall’avvocato Giovanni Barbariol nell’ambito del progetto “Annick. Per il diritto all’unità familiare”, ha fatto emergere una discriminazione specifica sul riconoscimento del diritto all’unità familiare. La vicenda di una coppia gay convivente tra cittadino italiano ed extraUE ha messo in evidenza come le persone LGBTQ+ possano incontrare ostacoli ulteriori nel vedersi riconosciuti diritti fondamentali. Il Tribunale di Trento ha accolto il ricorso cautelare presentato da un cittadino colombiano che aveva chiesto un permesso di soggiorno per motivi familiari in quanto convivente con il partner italiano. La Questura di Trento aveva respinto la sua domanda sostenendo che la convivenza di fatto non fosse equiparabile al matrimonio o all’unione civile, e che dunque il richiedente non potesse ottenere un titolo di soggiorno familiare, in particolare dopo le modifiche normative del 2023 che introducono la distinzione tra familiare di cittadino statico e dinamico. Inoltre, aveva ritenuto inammissibile la coesistenza di una precedente sua domanda di asilo e di una domanda per di permesso per motivi familiari. Il giudice, però, ha rigettato questa interpretazione. Nella decisione si sottolinea che la direttiva europea 2004/38/CE e il d.lgs. 30/2007 mirano a “garantire l’unità familiare, agevolando l’ingresso anche ai soggetti che, pur condividendo un progetto di vita caratterizzato da stabile assistenza morale e materiale, non abbiano formalizzato la loro unione con il matrimonio o con l’unione civile, purché la relazione sia debitamente attestata con documentazione ufficiale”. In questo senso, il contratto di convivenza stipulato e registrato dai due partner, uno cittadino extracomunitario l’altro cittadino italiano è ritenuto dal Tribunale pienamente valido: “Deve riconoscersi che il contratto di convivenza sottoscritto […] abbia i requisiti della documentazione ufficiale richiesta ai fini dell’iscrizione anagrafica” ai sensi dell’art. 3, comma 2, d.lgs. 30/07. Quanto all’interpretazione dell’art. 23, comma 1-bis, introdotto nel 2023, il Giudice chiarisce che non può essere usato per restringere i diritti dei familiari di cittadini italiani “statici”: il rinvio al Testo Unico Immigrazione riguarda solo le modalità tecniche di rilascio, non la sostanza del diritto. Diversamente, spiega l’ordinanza, si produrrebbe “una discriminazione dei cittadini italiani statici rispetto ai cittadini europei e ai cittadini italiani mobili, non supportata da adeguata giustificazione”. Infine, viene escluso che la pendenza di una domanda di protezione internazionale impedisca quella per motivi familiari. Il pericolo di espulsione, dato il rigetto della prima richiesta d’asilo e l’incertezza sulla seconda, rende urgente la tutela. Per queste ragioni, il Tribunale ha ordinato il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari con dicitura “Familiare cittadino italiano” (denominato FAMIT), accertando il diritto del ricorrente all’unità familiare. Tribunale di Trento, ordinanza del 26 luglio 2025 “Annick. Per il diritto all’unità familiare” è un progetto a cura di Melting Pot ODV in collaborazione con Circolo Arci Pietralata e il supporto dei legali dell’Associazione Spazi Circolari, dedicato ad Annick Mireille Blandine. E’ stato finanziato nel corso del 2024 da ActionAid International Italia E.T.S e Fondazione Realizza il Cambiamento nell’ambito del progetto “THE CARE – Civil Actors for Rights and Empowerment” cofinanziato dall’Unione Europea. Il contenuto di questo articolo rappresenta l’opinione degli autori che ne sono esclusivamente responsabili. Né L’Unione europea né l’EACEA possono ritenersi responsabili per le informazioni che contiene né per l’uso che ne venga fatto. Analogamente non possono ritenersi responsabili ActionAid International Italia E.T.S. e Fondazione Realizza il Cambiamento.
Nessuno Stato può negare i bisogni essenziali dei richiedenti, neanche in caso di afflusso imprevisto
Non ci sono emergenze che tengano: gli Stati membri dell’Unione europea devono sempre garantire ai/alle richiedenti asilo condizioni di vita dignitose, anche quando le strutture di accoglienza risultano sature a causa di un arrivo imprevisto di persone in cerca di protezione. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Ue con la sentenza nella causa C-97/24, riguardante due richiedenti asilo – un cittadino afghano e uno indiano – che in Irlanda si erano trovati a vivere in strada, senza alloggio né mezzi di sostentamento. Le autorità irlandesi avevano consegnato a ciascuno solo un buono da 25 euro, rifiutandosi di assegnare loro un posto nei centri di accoglienza e negando quindi anche l’accesso al piccolo sussidio giornaliero previsto dalla normativa nazionale. I due richiedenti asilo hanno denunciato di aver vissuto per settimane all’aperto o in alloggi di fortuna, senza cibo né possibilità di mantenere l’igiene, e di essere stati esposti a violenze e pericoli. Davanti all’Alta Corte irlandese, hanno chiesto il risarcimento del danno subito. Il governo di Dublino ha riconosciuto la violazione del diritto dell’Unione, ma ha invocato la “forza maggiore”, attribuendo la saturazione delle strutture all’ondata di arrivi seguita alla guerra in Ucraina. La Corte di giustizia ha però respinto questa linea di difesa. Secondo i giudici di Lussemburgo, la direttiva 2013/33/UE (cosiddetta direttiva accoglienza 1) impone agli Stati membri di garantire “condizioni materiali di accoglienza che assicurino un tenore di vita adeguato” (art. 17), attraverso alloggio, sostegno economico o buoni. Tali condizioni devono coprire i “bisogni essenziali” dei richiedenti e tutelarne la salute fisica e mentale. La mancata erogazione di queste misure – anche solo temporaneamente – costituisce una violazione “manifestamente e gravemente” contraria al margine di discrezionalità lasciato agli Stati. Ciò che ha stabilito la Corte vale per tutti gli Stati membri, Italia compresa, dove il tema dell’accoglienza resta al centro del dibattito politico quotidiano. Nel nostro Paese, infatti, le autorità spesso non garantiscono condizioni adeguate ai/alle richiedenti asilo, che possono rimanere per mesi – talvolta per oltre un anno – esclusi/e dal sistema di accoglienza, in attesa di un posto. La Corte ha inoltre ricordato che la direttiva prevede un regime derogatorio (art. 20, par. 9), applicabile solo in circostanze eccezionali e per un periodo limitato, quando un afflusso improvviso di richiedenti esaurisce temporaneamente la capacità ricettiva degli Stati. Va però sottolineato che negli ultimi anni i numeri delle richieste d’asilo non hanno registrato aumenti tali da configurare un’emergenza. E comunque, anche in uno scenario del genere, ha precisato il collegio, resta fermo l’obbligo di rispettare la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, in particolare l’articolo 1, che tutela la dignità umana, e l’articolo 4, che vieta trattamenti inumani o degradanti. “Nessuno Stato membro – scrive la Corte – può invocare l’esaurimento delle strutture di accoglienza per sottrarsi all’obbligo di soddisfare le esigenze essenziali dei richiedenti protezione internazionale”. L’Irlanda, nel caso di specie, non ha dimostrato alcuna impossibilità oggettiva di adempiere ai propri obblighi, ad esempio attraverso il ricorso ad alloggi temporanei alternativi o a sussidi economici. La sentenza stabilisce dunque che un simile comportamento può configurare una “violazione sufficientemente qualificata” del diritto dell’Unione, aprendo la strada alla responsabilità dello Stato e al diritto dei richiedenti di ottenere un risarcimento. Una decisione chiara e netta, che nessuno Stato dell’Unione europea può fingere di non conoscere. Corte di Giustizia UE, sentenza dell’1 agosto 2025 1. Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. ↩︎
Respinti in Libia da nave militare italiana: riconosciuto risarcimento di 15.000 euro
La Corte di Appello di Roma conferma la sentenza di primo grado e condanna il Ministero della Difesa e la Presidenza del Consiglio dei Ministri per un respingimento effettuato dalla nave militare “Orione” nel 2009 ai danni di alcuni cittadini eritrei in Libia. Il gruppo, soccorso in acque internazionali dalla nave militare, fu riportato in Libia senza alcuna possibilità di chiedere asilo. Una prassi che li espose a detenzione e violenze, e che da anni era al centro di una lunga battaglia legale. Ancora una volta la Corte di Appello di Roma conferma che nessuno accordo con la Libia o atto politico può pregiudicare il diritto delle persone straniere a entrare in Italia in attuazione dell’art. 10 della costituzione per richiedere asilo politico e del principio internazionale di non-refoulement, che vieta di respingere persone verso Paesi dove rischiano persecuzioni o trattamenti inumani. Lo Stato italiano fu responsabile di una grave violazione del diritto costituzionale d’asilo e gli accordi bilaterali con Paesi terzi non possono in alcun modo giustificare pratiche contrarie alla Costituzione e al diritto internazionale. I protagonisti della vicenda sono già in Europa e riceveranno un risarcimento per ciascuno di 15.000 euro; una decisione importante ma riconosciuta in casi simili, tra cui il noto caso “Asso 29” in cui oltre al risarcimento del danno è stato ordinato al ministero di rilasciare un visto umanitario di ingresso per l’esercizio del diritto di asilo. Giurisprudenza italiana/Guida legislativa ASSO 29, HA DIRITTO AL VISTO PER CHIEDERE ASILO UNA PERSONA RESPINTA ILLEGALMENTE IN LIBIA Il Tribunale di Roma: lo Stato italiano avrebbe dovuto assicurare il loro trasporto in un luogo sicuro ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione 13 Settembre 2024 La sentenza di rilievo, quindi, non riguarda solo il passato, ma la stretta attualità e quanto accade quotidianamente nel Mediterraneo, perché ribadisce che le azioni compiute da navi italiane in mare aperto ricadono sotto la responsabilità diretta dello Stato e devono rispettare i diritti fondamentali. Corte d’Appello di Roma, sentenza n. 4611 del 21 luglio 2025 Si ringrazia l’avv. Salvatore Fachile per la segnalazione. Il commento è a cura della redazione di Melting Pot.
Richiedenti asilo: condannata la Questura di Torino per discriminazione diretta, individuale e collettiva
“L’accesso al servizio pubblico erogato dalla Questura di Torino non solo non assicura il risultato preteso dalla legge (la formalizzazione della domanda entro il termine previsto dall’art. 26 d.lgs. n. 25/2008), ma impone anche mortificanti condizioni per gli aspiranti richiedenti asilo che non sono imposte dalle necessità prospettate (la necessità di identificare gli aspiranti richiedenti protezione internazionale)”. E’ questo un passaggio di fondamentale importanze della sentenza n. 3818/2025 assunta il 4 agosto 2025 e pubblicata l’8 agosto, con la quale il Tribunale di Torino ha accertato che il modello organizzativo adottato dall’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino riguardante i cittadini stranieri che intendono formalizzare la domanda di riconoscimento della protezione internazionale integra una discriminazione diretta, individuale e collettiva. La causa, scrive l’Associazione Studi Giuridici per l’Immigrazione promotrice della class action, ha portato all’attenzione del Tribunale il fatto che a Torino, per presentare domanda di protezione internazionale, le persone migranti sono costrette a mettersi in coda per mesi fuori dagli uffici della Questura sin dalle prime ore della notte nella speranza di essere selezionate e poter così formalizzare le proprie richieste. Ogni giorno, davanti ad una platea di un centinaio di richiedenti, solo circa 10 persone possono presentare la domanda di asilo: il sistema non prevede alcuna possibilità di prenotazione e, soprattutto, non ci sono criteri trasparenti per comprendere in base a quali parametri avvenga la selezione per l’ingresso. Per settimane, l’immagine delle lunghe code in corso Verona aveva bucato l’apatia delle notizie locali e nazionali. File interminabili di persone in attesa, documentate anche dalle telecamere, che secondo i giudici non dovevano nemmeno esistere. L’ASGI, in un comunicato stampa, ha spiegato le ragioni per cui il Giudice ha accolto integralmente la tesi dei ricorrenti, riconoscendo in quelle code e nel sistema di accesso imposto dalla Questura una discriminazione diretta, fondata su due punti. Da un lato, una discriminazione tra cittadini stranieri. Chi viene escluso dalla selezione mattutina, infatti, non riesce a regolarizzare la propria posizione sul territorio e si vede così negato l’accesso ai diritti sociali e sanitari garantiti per legge a richiedenti asilo e persone straniere regolarmente soggiornanti. Si crea quindi una disparità di trattamento rispetto a chi riesce, invece, a formalizzare la domanda di permesso di soggiorno. Dall’altro, una discriminazione tra cittadini stranieri e cittadini italiani. Per questi ultimi, l’accesso ai servizi della pubblica amministrazione è sempre immediato o comunque regolato da meccanismi di prenotazione trasparenti. Non esiste alcun caso in cui a un cittadino italiano sia preclusa addirittura la possibilità di avviare una procedura amministrativa per ottenere una prestazione o il riconoscimento di un diritto da parte dello Stato. La sentenza del Tribunale di Torino non si limita ad accertare la discriminazione: ordina alla Questura di strutturare un nuovo modello organizzativo entro quattro mesi dalla pubblicazione. Inoltre, impone alla pubblica amministrazione di provvedere, a proprie spese, alla pubblicazione per estratto della sentenza sul quotidiano La Stampa e alla pubblicazione integrale, per quattro mesi, sul sito del Ministero dell’Interno (sezione Immigrazione e asilo) e sul sito istituzionale della Questura di Torino. Per le associazioni, questa vittoria rappresenta un tassello fondamentale nella lotta alle prassi illegittime adottate dalle Questure in tutta Italia. Stabilisce un principio chiaro: l’assenza di modelli organizzativi trasparenti e rispettosi della dignità delle persone costituisce una discriminazione diretta. Nessuna scarsità di risorse o difficoltà organizzativa può giustificare la violazione dei diritti dei migranti. Al contrario, è lo Stato che deve garantire strumenti adeguati e un’organizzazione efficiente per tutelare chi si trova sul suo territorio e ha diritto di presentare istanze alle sue amministrazioni. Tribunale di Torino, sentenza del 4 agosto 2025
Scuola di Alta Formazione per operatori e operatrici legali: aperte le iscrizioni
IL CORSO È ARTICOLATO SU 14 MODULI – 168 ORE – E FORNISCE COMPETENZE TEORICHE E PRATICHE APPROFONDITE PER AFFRONTARE LE SFIDE ATTUALI NEL CAMPO DELLA TUTELA DEI DIRITTI DELLE PERSONE MIGRANTI. Scarica la brochure informativa La scuola organizzata da ASGI e l’APS Spazi Circolari mira a formare la figura di operatori e operatrici legali nella tutela delle persone straniere che chiedono – o a cui è stata riconosciuta – una forma di protezione internazionale o speciale oppure che versano nella condizione di vittima di tratta o grave sfruttamento ovvero si trovano in Italia come minori stranieri non accompagnati. Si tratta di una figura in Italia sostanzialmente innovativa, che non ha ancora ottenuto un suo riconoscimento formale, ma che da più parti è considerata fondamentale nel settore in esame. Si tratta di una figura a cui viene richiesta una vasta gamma di competenze ed è per questo che il corso prevede diversi moduli interdisciplinari. La Scuola di alta formazione è destinata a formare 45 operatori e operatrici legali, prevalentemente scelte fra persone che abbiano già conseguito un diploma di laurea in giurisprudenza o in altra facoltà umanistica oppure la qualifica di mediatore o mediatrice culturale o interprete o in alternativa che possano dimostrare una comprovata esperienza in qualità di operatore nel campo della protezione internazionale o delle migrazioni. Il Comitato scientifico della scuola è composto da: Loredana Leo, Salvatore Fachile, Lucia Gennari, Giulia Crescini, Cristina Laura Cecchini, Federica Remiddi, Cristina Gasperin, Papia Aktar, Roberto Bertolino e Andrea Nasciuti. Responsabili scientifiche: Loredana Leo e Salvatore Fachile. Quando: da venerdì 24 ottobre 2025 a sabato 18 aprile 2026. La durata complessiva sarà dunque di 6 mesi circa e si articolerà in 14 moduli (28 incontri) ciascuna con inizio il venerdì alle 9.30 e fine il sabato alle 13.30. Le lezioni si svolgeranno nei seguenti fine settimana: 24-25 ottobre 2025; 7-8 novembre 2025; 21-22 novembre 2025; 5-6 dicembre 2025; 19-20 dicembre 2025; 9-10 gennaio 2026; 23-24 gennaio 2026; 6-7 febbraio 2026; 20-21 febbraio 2026; 6-7 marzo 2026; 20-21 marzo 2026, 27-28 marzo 2026; 10-11 aprile 2026; 17-18 aprile 2026. Dove: in presenza presso la Città dell’Altra Economia, quartiere Testaccio, Roma. Come: il corso prevede lezioni frontali e molte esercitazioni pratiche, alle materie giuridiche sono affiancati moduli relazionali e moduli di antropologia, con una lettura intersezionale, uniti a una prospettiva etno-psichiatrica e a uno sguardo attento alle questioni di genere, elementi essenziali per garantire la massima tutela alle e ai destinatari e destinatarie del supporto legale. Scarica il calendario con il programma dettagliato COSTI E MODALITÀ D’ISCRIZIONE Il costo per ciascuna corsista è di 1.300 euro, di cui 600 da versare al momento dell’iscrizione e 700 entro il 31 dicembre 2025. Per le socie e i soci Asgi e Spazi Circolari, in regola al momento del versamento con l’iscrizione annuale del 2025, il costo è di 1.150 euro. La data ultima per l’iscrizione è il 9 ottobre 2025. Le iscrizioni verranno chiuse in anticipo laddove dovesse essere raggiunto il numero massimo di partecipanti previsto. L’iscrizione avverrà sulla base dell’ordine cronologico iscrizione. Il corso non sarà avviato se non verrà raggiunto il numero minimo di 25 iscritti. Il calendario dettagliato sarà inviato agli iscritti entro il 9 ottobre 2025, sono già da ora certe le date in cui si svolgeranno le lezioni. La domanda di iscrizione dovrà effettuarsi tramite la compilazione del modulo online e attendere le istruzioni via mail per effettuare il pagamento e perfezionare così l’iscrizione. Modulo d’iscrizione online (clicca qui) Attenzione: la sola compilazione del modulo online non è sufficiente a perfezionare l’iscrizione. * Per informazioni contattare: formazione.roma@asgi.it