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CPR di Palazzo San Gervasio: liberato il cittadino dominicano dopo l’ingiusta convalida del trattenimento
Il Giudice di Pace di Melfi convalidava illegittimamente il trattenimento di un cittadino dominicano e avverso il provvedimento veniva proposta istanza di riesame, la quale veniva accolta il 16.8.2025; nelle more del primo ricorso, il GdP di Roma con decreto dell’8.8.2025 accoglieva l’istanza di sospensiva proposta nel ricorso avverso l’espulsione. Giudice di Pace di Melfi, decreto del 16 agosto 2025 Giudice di Pace di Roma, decreto del 8 agosto 2025 Si ringrazia l’Avv. Antonello Andriuolo per la segnalazione e il commento. LA VICENDA DEL RICORRENTE Il 21.7.2025 alla Stazione Termini di Roma viene fermato un cittadino dominicano e dagli accertamenti della Polizia risulta che la Questura di Terni aveva disposto la revoca del permesso di soggiorno UE per la convivenza con una cittadina italiana, nonostante il permesso fosse stato rilasciato dalla Questura di Catania. Il Prefetto di Roma dispone l’espulsione e il competente Questore l’immediato ordine di trattenimento presso il CPR di Palazzo San Gervasio. La Polizia desume la sua pericolosità sociale sulla base di lievi precedenti penali risalenti al periodo della minore età e antecedenti al rilascio del PdS. La Questura di Roma non permette in alcun modo al cittadino dominicano di richiedere un permesso per motivi di famiglia, di lavoro o attesa occupazione, nonostante vi fossero i presupposti. Il trattenimento viene ingiustamente convalidato dal GDP di Melfi, competente per il CPR di Palazzo San Gervasio, e il sottoscritto avvocato congiuntamente al suo cliente decidono di non richiedere la protezione internazionale (prassi molto diffusa all’interno del CPR di Potenza) e di procedere con il riesame considerata la superficialità del primo giudice di Pace che non ha nemmeno esaminato la documentazione prodotta nel fascicolo telematico. Durante l’udienza di Convalida, il sottoscritto difensore si limita a riportarsi all’atto e alla documentazione prodotta, e il GDP, costatato che il ricorrente ha un figlio e una madre naturalizzata italiana, in accoglimento del ricorso, ordina l’immediata liberazione del trattenuto. Nelle more viene proposta l’impugnazione del provvedimento di espulsione e il Giudice di Pace di Roma, letto il ricorso, accoglie l’istanza di sospensiva rinviando, per il carico di ruolo, all’udienza del 23.9.2025. Dopo oltre 14 anni che tratto la materia dell’immigrazione, ritengo che in tanti casi la richiesta di protezione internazionale, all’interno dei CPR, possa compromettere i diritti dei cittadini stranieri oltre che per il periodo di trattenimento anche perché, cessate le misure di trattenimento, in tanti casi, potrebbero restare privi di qualunque tutela. L’istanza di protezione internazionale va esperita, in estrema ratio, quando si intuisce che sta per essere rilasciato il lascia passare necessario al rimpatrio coatto. La richiesta di protezione non è uno strumento che deve essere utilizzato per trasferire la competenza del caso alla CDA competente, illudendo il trattenuto di poter avere un’altra possibilità di ottenere la cessazione delle misure di trattenimento. E’ necessario che il difensore tuteli il diritto di soggiorno dello straniero anche dopo la sua liberazione dandogli la possibilità di avere un titolo di soggiorno altrimenti al primo controllo delle forze dell’ordine potrebbe essere nuovamente sottoposto alle misure di trattenimento.
Il CPR di Palazzo San Gervasio sotto la lente d’ingrandimento del Garante Nazionale
Sono stati pubblicati alla fine di agosto i rapporti stilati dalla delegazione del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale che il 12 e 13 dicembre ha fatto visita ai Centri di Permanenza per i Rimpatri di Palazzo San Gervasio e Bari – Palese 1. Si tratta di documenti importanti intanto per l’autorevolezza dell’Autorità che ha provveduto alla loro redazione, ma anche per i contenuti che confermano, se ancora ve ne fosse bisogno, le gravi mancanze che tali strutture presentano. In questo articolo ci soffermeremo su quanto riscontrato dalla delegazione nel Centro di Palazzo San Gervasio, rimandando ad altro intervento l’analisi della visita effettuata presso la struttura detentiva di Bari – Palese. LA VISITA PRESSO IL CPR DI PALAZZO SAN GERVASIO Il 12 dicembre 2024 una delegazione del Garante Nazionale, composta dl prof. Mario Serio e dalle dott.sse Elena Adamoli e Silvia Levorato, ha avuto accesso al CPR di Palazzo San Gervasio e nel corso dell’accesso ha avuto modo di interloquire con il Funzionario responsabile del dispositivo di vigilanza, con la responsabile dell’Ufficio immigrazione e con la responsabile dell’ente gestore – Cooperativa Officine Sociali, ma anche con diverse figure professionali presenti nella struttura. Assente invece la Prefettura di Potenza che, come riporta il rapporto, “non è stata in grado, per esigenze di ufficio, di inviare un proprio funzionario”. Un’assenza che non stupisce chi conosce le dinamiche del Centro di Permanenza di Palazzo San Gervasio ed è costretto a scontrarsi con le costanti assenze e i colpevoli silenzi della Prefettura di Potenza. La relazione pubblicata nel mese di agosto, dopo il preventivo invio alle autorità preposte ad effettuare osservazioni (Prefettura e Questura di Potenza) si compone di più parti, alcune destinate a fornire le informazioni generali sulla struttura visitata, altre ad analizzare singoli aspetti della vita dei trattenuti e dei servizi offerti (condizioni materiali, tutela della salute, assistenza psicologica e sociale, qualità della vita detentiva e contatti con il mondo esterno, sicurezza, diritto all’informazione e accesso alla giustizia). Per ognuna delle sopra indicate sezioni, oltre ad un’analisi della situazione riscontrata, la delegazione effettua una serie di raccomandazioni al fine di risolvere e migliorare le criticità riscontrate. CONDIZIONI MATERIALI DELLA STRUTTURA Con specifico riferimento alle condizioni materiali, il Garante evidenzia come la struttura appaia connotata da scarsità di arredi, sbarre alle finestre e una copertura metallica a maglia molto fitta intorno ai moduli abitativi. Si tratta di un rilievo già effettuato in passato dallo stesso ufficio del Garante Nazionale, oltre che dai rapporti pubblicati da ASGI 2 e da CILD 3 negli anni scorsi. I moduli abitativi sono 14 e sono circondati da alte cancellate perimetrali. Un’area abitativa è vuota e viene utilizzata solo nel caso in cui si renda necessario sfollare temporaneamente un settore per interventi di riparazione. I moduli visitati sono privi di spazi di socialità/mensa come invece richiede il Regolamento sui CPR all’art. 4, paragrafo 4, lett. G 4. Gli ambienti, inoltre, si presentano molto bui a causa della copertura fitta dell’area esterna. Non vi sono campanelli di chiamata utilizzabili per chiedere interventi di urgenza del personale in casi di necessità (come malori, aggressioni, disordini) e questa appare una elementare violazione degli standard di sicurezza che appare ancora più significativa nel CPR di Palazzo San Gervasio per la conformazione della struttura e la distanza che sussiste tra i moduli detentivi e l’area medica o l’area in cui sosta il personale di polizia. Rispetto a tale situazione, la delegazione evidenzia come il Garante Nazionale abbia già in passato evidenziato tale situazione e ribadisce pertanto la necessità di dotare i moduli detentivi di campanelli di allarme. Per quanto riguarda invece gli ambienti esterni ai moduli, la delegazione evidenzia le seguenti carenze: 1) assenza di locali per l’attività dell’informatore legale che è costretto a svolgere i colloqui con i trattenuti all’aperto davanti ai singoli moduli detentivi con i trattenuti oltre le sbarre; 2) la mancanza di ambienti per lo svolgimento di attività ricreative o formative. Di fatto, le attività vengono pianificate nell’unico locale disponibile nella palazzina uffici, la sala c.d. di degenza, utilizzata anche per i colloqui dello psicologo e dell’assistente sociale. Una sala che può ospitare non più di 4 persone. In alternativa le attività devono svolgersi all’aperto, quando possibile. Altra importante mancanza riguarda proprio la sala di degenza che dovrebbe essere adibita a “locale di osservazione sanitaria” per l’alloggiamento temporaneo di persone con particolari esigenze sanitarie. Tale locale appare privo dei requisiti minimi funzionali allo scopo cui è preordinata. Manca infatti un accesso diretto ai servizi igienici, presenta una scaffalatura occupata da faldoni e documentazione in uso allo psicologo, all’assistente sociale e all’informatore legale. Per completezza e in aggiunta a quanto rilevato dalla delegazione nel mese di dicembre del 2024, possiamo dire che da diversi mesi la situazione è addirittura peggiorata. Infatti, come denunciato da ASGI in una missiva inviata alla Prefettura di Potenza che non ha ottenuto alcuna risposta, da diversi mesi la c.d. sala di degenza viene utilizzata anche per i colloqui difensivi essendo stata occupata la sala che in precedenza veniva utilizzata dagli avvocati per incontrare i propri assistiti. Per quanto riguarda invece l’infermeria, la delegazione ha evidenziato la mancanza di un lavandino nella sala dove vengono effettuare le visite e somministrati i farmaci in violazione della normativa che prescrive i requisiti minimi che deve possedere un Ambulatorio medico, ed in particolare un lavandino con rubinetto a pedale. Appare singolare che nelle visite e accessi compiuti dalle autorità chiamate a vigilare sul CPR di Palazzo San Gervasio, tale mancanza non sia mai stata evidenziata. Strano che gli addetti dell’ASP e delle altre autorità di controllo non abbiano mai rilevato tale mancanza che appare particolarmente grave. TUTELA DELLA SALUTE Dalle informazioni raccolte dalla delegazione nel corso della visita anche a seguito del colloquio con il medico di turno, sono emerse difficoltà relative alle verifiche sanitarie preliminari da effettuare al momento dell’ingresso e la mancanza di documentazione sanitaria attestante i problemi di salute e le terapie in corso da parte degli stranieri che vengono condotti nella struttura. Una situazione che riguarda soprattutto i soggetti tossicodipendenti i quali fanno accesso alla struttura senza una preventiva, reale e concreta verifica della loro condizione e, quindi, della loro compatibilità con la vita ristretta. Particolarmente gravi appaiono le dichiarazioni della direttrice del Centro che riferisce alla delegazione in visita di aver avuto indicazione di accettare in ingresso nel CPR anche persone che giungono senza visita medica. Tale situazione sarebbe avvalorata da quanto sostenuto dal protocollo sottoscritto dalla Prefettura di Potenza, dalla Questura di Potenza, dall’Azienda ospedaliera San Carlo di Potenza e dall’Ente gestore, che consente di effettuare la visita anche nelle successive 48 ore, ma si pone in contrasto con la Direttiva Lamorgese contenente il Regolamento sui CPR, che prevede un termine di 24 ore. Il Garante, pertanto, raccomanda di allinearsi a quanto previsto dal Regolamento CPR garantendo la visita di idoneità al massimo nelle 24 ore successive all’ingresso nel Centro. Ma le mancanze rilevate non si limitano a questo. Il Garante evidenzia anche la prassi in uso presso il CPR di Palazzo San Gervasio di consentire che lo screening sanitario in ingresso sia effettuato dall’operatore sanitario presente al momento, considerato che la presenza del medico è garantita soltanto per 35 ore settimanali. Tale differimento della visita medica è rischiosa e può arrecare danno alle persone che fanno il loro ingresso e anche alle persone che già sono trattenute nel Centro. Inoltre, oltre alle ragioni di opportunità a che tale prassi non venga seguita, vi sono anche ragioni di legittimità. La compilazione di una scheda medica da parte di personale che non riveste tale qualifica può considerarsi legittima? Ancora, sulle problematiche che attengono al diritto alla salute, si sottolinea nel rapporto che “anche alla luce della documentazione esaminata” e riguardante alcune segnalazioni pervenute al Garante, nella pratica la rivalutazione sanitaria può giungere con molto ritardo rispetto al manifestarsi delle vulnerabilità e soprattutto che, “nel caso di valutazioni psichiatriche, il medico si limita a stabilire una terapia senza interrogarsi sulla compatibilità delle condizioni di salute della specifica persona con la misura restrittiva cui è sottoposto”. Mancano inoltre protocolli di trattamento delle vulnerabilità e del rischio suicidario e in caso di azioni di autolesionismo ci si limita ad aumentare i colloqui con psicologo e assistente sociale. Un paragrafo, poi, è dedicato anche alla fase delle dimissioni dei trattenuti e alle assurde condizioni in cui queste avvengono. Sul punto il Garante evidenzia come le prassi in uso presso il CPR di Palazzo San Gervasio violino la disciplina di settore per i rimpatri e, in casi specifici, anche le raccomandazioni mediche. QUALITÀ DELLA VITA DETENTIVA E CONTATTI CON IL MONDO ESTERNO Nonostante un programma di iniziative previste per il giorno della visita (attività all’aperto, art therapy, giochi di società, calcio, gruppo di psicoterapia e corso di lingua italiana), la delegazione fa rilevare nel rapporto che “fatto salvo l’accesso al campo sportivo, le attività programmate il giorno della visita non avevano luogo concretamente, mentre psicologo e assistente sociale si limitavano a passeggiere accanto ai settori per qualche colloquio con gli stranieri”. Tale affermazione riassume perfettamente la realtà del Centro di Palazzo San Gervasio dove è facile riscontrare una costante discrasia tra quanto formalmente dichiarato e quanto concretamente attuato. D’altra parte, la mancanza di strutture, di spazi idonei, di convenzioni con associazioni esterne, rende la realizzazione di attività ricreative, sociali e culturali una semplice utopia. Quanto alla possibilità di mantenere rapporti con il mondo esterno, questa è fortemente limitata, se non addirittura preclusa, dalla prassi in uso presso il Centro di requisire i cellulari personali al momento dell’ingresso. L’unica possibilità di comunicare con il mondo esterno è data dall’utilizzo di un cellulare (non smartphone) che deve essere condiviso dagli ospiti dei singoli moduli. Tale condizione crea tensioni tra i trattenuti per l’utilizzo del telefono e limita anche la possibilità di comunicare con familiari e con il difensore. Per questo il Garante raccomanda di assicurare alle persone trattenute la libertà di corrispondenza che al momento appare limitata fortemente e si invita a garantire anche la possibilità di effettuare videochiamate. DIRITTO ALL’INFORMAZIONE E ACCESSO ALLA GIUSTIZIA Oltre alle condizioni di estrema precarietà che contraddistinguono la somministrazione della informativa legale da parte degli operatori legali, la delegazione ha evidenziato nel rapporto anche l’esiguità del Regolamento interno del Centro che si limita a riproporre alcune norme del Regolamento ministeriale senza aggiungere altro e senza regolamentare nello specifico il trattamento riservato ai soggetti trattenuti nella struttura di Palazzo San Gervasio. Assente nel regolamento è ogni riferimento ai controlli per il rinvenimento di oggetti vietati, o la custodia degli effetti personali, ma anche le modalità di presentazione di domante da parte dei trattenuti (istanze, reclami, richieste di protezione internazionale). Allo stesso modo non vi sono regole scritte che determinano le procedure di nomina dell’avvocato di fiducia, i colloqui e le visite, le modalità di comunicazione con l’esterno, l’accesso ai servizi, la fruizione delle attività, l’acquisto di beni, le regole di comportamento e di convivenza, la consultazione del cellulare personale. > In mancanza di norme scritte e precise, prevale la discrezionalità o > addirittura l’arbitrarietà. Tra le mancanze più importanti rilevate rispetto all’accesso alle informazioni e al diritto di difesa, oltre alla mancanza di mediatori culturali in grado di parlare il portoghese o le lingue asiatiche (Hindi, urdu, farsi, pshtu), lingue utilizzate da una quota non trascurabile di stranieri trattenuti, spicca la mancanza di pratiche tempestive per consentire la registrazione della volontà di chiedere la protezione internazionale. La prassi in uso presso il CPR di Palazzo San Gervasio prevede che lo straniero debba fare richiesta di colloquio con l’Ufficio immigrazione per il tramite del personale dell’ente gestore e che solo in sede di colloquio con l’Ufficio immigrazione viene presa in considerazione e formalizzata la richiesta di protezione internazionale. Considerando che l’Ufficio immigrazione non è operativo dal sabato pomeriggio al lunedì mattina, è facile che passino diversi giorni prima che una richiesta di colloquio venga presa in carico. Quanto poi al diritto di assistenza legale, il Garante evidenzia nel rapporto la necessità di inserire nel regolamento del Centro le modalità di nomina del legale di fiducia, che sia l’ente gestore a raccogliere le nomine e, infine, che la nomina venga tempestivamente comunicata al difensore incaricato. CONCLUSIONI Ancora una volta, il Garante nazionale ha evidenziato la presenza di gravi mancanze e di criticità all’interno del Centro di Permanenza per i Rimpatri di Palazzo San Gervasio. Criticità che riguardano la struttura e la gestione della stessa, ma anche la mancanza di controlli da parte delle autorità che dovrebbero vigilare sul rispetto delle regole all’interno del Centro. La compressione di diritti fondamentali come quello ad una compiuta informazione legale o quello alla tutela della salute, anche dopo gli episodi numerosi e reiterati che sono stati segnalati in questi mesi, ma soprattutto dopo il decesso del povero Oussama Darkaoui il 5 agosto 2024 5, non sono più giustificabili, accettabili, tollerabili. Il rapporto della visita compiuta dalla delegazione del Garante nazionale lo scorso 12 dicembre, rappresenta l’ennesima dimostrazione che il CPR di Palazzo San Gervasio è un luogo strutturalmente patogeno e che troppe sono le omissioni da parte delle autorità a vari livelli. 1. Leggi il rapporto sulle visite effettuate ai Cpr di Palazzo San Gervasio e di Bari il 12 e il 13 dicembre 2024 ↩︎ 2. Diritti negati al CPR di Palazzo San Gervasio. Report e raccomandazioni di ASGI – 17 giugno 2022 ↩︎ 3. Buchi neri. La detenzione senza reato nei CPR – 15 ottobre 2021 ↩︎ 4. Si veda la direttiva ↩︎ 5. Oussama Darkaoui, un anno dopo: il ricordo, la lotta, la speranza ↩︎
CPR di Palazzo San Gervasio: dall’esasperazione alla protesta per denunciare condizioni disumane
Sono stati giorni di forti tensioni quelli appena trascorsi nel Centro di Permanenza di Palazzo San Gervasio in Basilicata. Giorni particolari sfociati nella eclatante protesta del 5 agosto con 9 trattenuti che salgono sul tetto dei moduli abitativi per manifestare tutto il loro disappunto e la loro frustrazione per le condizioni in cui sono costretti a vivere. Una protesta che si consuma, ironia della sorte, mentre all’esterno un gruppo di attivisti e di associazioni svolgevano un pacifico sit-in per ricordare il giovane Oussama Darkaoui, morto nel Centro di Palazzo San Gervasio, il 5 agosto del 2024. Notizie/CPR, Hotspot, CPA OUSSAMA DARKAOUI, UN ANNO DOPO: IL RICORDO, LA LOTTA, LA SPERANZA Dal CPR di Palazzo San Gervasio, una storia che chiede giustizia Avv. Arturo Raffaele Covella 5 Agosto 2025 La manifestazione dei 9 “ribelli” è durata diverse ore e si è conclusa solamente a tarda sera con l’arresto in flagranza di 2 manifestanti. Per altri 7 partecipanti, invece, si è provveduto con l’arresto in flagranza differita dopo l’analisi delle immagini delle videocamere e delle foto scattate dalla polizia. Tale procedura è stata applicata in base alle disposizioni del Decreto Sicurezza 2025 (D.L. 48/2025, convertito in legge n. 80 del 9 giugno 2025), approvato definitivamente dal Senato il 4 giugno, che ha esteso l’uso della flagranza differita anche a reati commessi nel corso di manifestazioni pubbliche. E’ stata la prima applicazione in Basilicata del nuovo decreto. A tutti i partecipanti sono stati contestati i reati di danneggiamento e rivolta. Approfondimenti/CPR, Hotspot, CPA DDL SICUREZZA: AUMENTI DI PENE, REATO DI RIVOLTA, NORMA ANTI ONG, DIVIETO DI SIM PER CHI NON HA IL PDS L’analisi del Capo III articolo per articolo 19 Ottobre 2024 Gli arresti sono stati successivamente convalidati dal gip del Tribunale di Potenza; mentre, però, per il promotore della protesta è stata confermata la misura cautelare della detenzione in carcere, per gli altri, non essendo stata disposta alcuna misura cautelare, si è provveduto solamente al trasferimento in altri Cpr. PH: Melting Pot Quanto accaduto riporta l’attenzione sul CPR di Palazzo San Gervasio e sulle condizioni di vita nella struttura. La protesta del 5 agosto non può, infatti, essere declassata a semplice notizia di cronaca. Si tratta piuttosto di capire le ragioni che hanno indotto queste persone a manifestare. Sarà infatti il Tribunale di Potenza a pronunciarsi sulle ipotesi di reato contestate e a determinare le eventuali responsabilità per i fatti contestati. Noi osservatori abbiamo invece la responsabilità di provare a capire il perché di una protesta che, anche alla luce degli ultimi interventi normativi, rende non certo facile la situazione degli attuali indagati. Comprendere le ragioni della protesta, allora, vuol dire interrogarsi sulle condizioni di vita all’interno del CPR di Palazzo San Gervasio e sulla incompatibilità tra queste condizioni e la dignità umana. La protesta del 5 agosto è il punto di arrivo di una settimana di tensioni. PH: Melting Pot Lo sfogo finale di un gruppo di trattenuti stanchi di subire, non solo la privazione della libertà determinata dalla detenzione, ma anche la privazione della dignità determinata dalle condizioni di quel trattenimento. Chiusi in gabbia con temperature che, nelle ore più calde della giornata, arrivano anche a 37°, privati della possibilità di utilizzare il campo di calcio (unico “diversivo” presente nella struttura), davanti al gip di Potenza, i ragazzi hanno raccontato anche dei ritardi nella somministrazione dei pasti, della scarsa qualità del cibo somministrato, dei tanti che hanno avuto malori nei giorni precedenti e che non sono stati portati in ospedale. Non possiamo dimenticare le reali condizioni di vita degli stranieri trattenuti nei Centri di Permanenza. Privati della libertà e spogliati della dignità, rimane solo la disperazione. Ignorare queste condizioni significa accettare tacitamente che luoghi come il CPR di Palazzo San Gervasio possano continuare a esistere in questo stato. Non si tratta di giustificare o condannare un gesto, ma di comprenderne le radici: le proteste non nascono nel vuoto, ma germogliano in un terreno fatto di soprusi, disattenzione e silenzi istituzionali. Senza uno sguardo lucido e onesto sulla realtà quotidiana di chi è trattenuto, episodi come quello del 5 agosto verranno liquidati come atti di teppismo o criminalità, mentre sono – in verità – la fotografia di un sistema che produce sofferenza e frustrazione. Raccontare e analizzare queste vicende significa dare voce a chi, rinchiuso dietro le sbarre di un CPR, viene reso invisibile. E l’invisibilità, in una democrazia, è la forma più subdola di negazione dei diritti. PH: Melting Pot
Oussama Darkaoui, un anno dopo: il ricordo, la lotta, la speranza
«La pace, la misericordia e le benedizioni di Dio siano su di voi. Vogliamo esprimere la nostra sincera gratitudine a tutte le associazioni della provincia di Potenza e all’Avvocato Covella per il loro prezioso sostegno. Ringraziamo di cuore tutte le persone che hanno collaborato con noi nel seguire la vicenda, contribuendo a far conoscere la verità con rispetto e dedizione. Un ringraziamento speciale va anche a coloro che hanno seguito con attenzione il caso di mio figlio, Oussama Darkaoui, impegnandosi nell’accertamento della verità. Vi chiediamo di continuare a seguire il fascicolo fino alla conclusione del processo, affinché giustizia sia pienamente fatta. Rinnoviamo la nostra fiducia nella giustizia italiana, nella quale crediamo profondamente. Le notizie che ci arrivano ci parlano di persone competenti e umanamente straordinarie. Grazie di cuore a tutti». Con questo messaggio il padre del giovane Oussama Darkaoui, morto nel Centro di Permanenza di Palazzo San Gervasio il 5 agosto del 2024, ha voluto ricordare la vicenda del figlio e ringraziare tutti coloro che si stanno adoperando per arrivare alla verità e fare giustizia. Notizie/CPR, Hotspot, CPA NEL CPR DI PALAZZO SAN GERVASIO MUORE UN RAGAZZO DI 19 ANNI SOTTO GLI OCCHI ATTONITI DEI COMPAGNI Un'altra morte che non può avere giustificazioni: ad essere sotto accusa è l’intero sistema dei CPR italiani Avv. Arturo Raffaele Covella 6 Agosto 2024 Sono parole semplici, dirette, sincere. Sono le parole di un padre che, nonostante la tragedia per il lutto subito, continua ad avere fiducia e speranza nel prossimo. Oussama è morto nel CPR di Palazzo San Gervasio esattamente un anno fa. La sua è la storia di tanti ragazzi che abbandonano tutto e vengono in Europa con la speranza di poter realizzare i loro sogni. La voglia di migliorare la loro condizione, di poter essere utili per coloro che restano nel paese di origine, il desiderio di realizzare un sogno, sono le ragioni principali di questi viaggi. Oussama Darkaoui Oussama aveva scelto l’Italia per la sua grande passione per il calcio e perchè sognava un giorno di poter giocare in una grande squadra. Un sogno comune a tanti giovani al di là della nazionalità o del colore della pelle. Un sogno che però si è infranto presto quando il giovane Oussama ha fatto esperienza della dura realtà del nostro Paese. Le difficoltà di ottenere un documento per soggiornare regolarmente, il viaggio a Napoli in cerca di lavoro e, infine, il trasferimento, dopo un controllo di polizia, nel Centro di Permanenza di Palazzo San Gervasio. I ragazzi che con lui hanno vissuto la drammatica esperienza del CPR di Palazzo San Gervasio lo descrivono come un ragazzo generoso, solare, disponibile. Un ragazzo in salute a cui piaceva fare sport e tenersi in allenamento. Eppure, i documenti ci mostrano una realtà più complessa e probabilmente un carattere non abbastanza forte per resistere alla durezza della vita nel CPR. Sono bastati pochi giorni in quel lager maledetto prima che i segni sul corpo e nella mente del povero Oussama iniziassero a palesarsi. Le ferite auto inferte sulle braccia e sulle gambe, l’ingestione di pezzi di vetro e di ferro, sono stati i primi gesti mediante i quali Oussama ha cercato di comunicare il proprio disagio, la propria sofferenza, il dolore per quella condizione in cui era costretto a vivere. Segni che non sono stati colti, che non sono stati ascoltati per menefreghismo ma non solo. L’autolesionismo e i tentativi di suicidio in Centri come quello di Palazzo San Gervasio sono la normalità e non vengono presi sul serio. Sono minimizzati e vengono interpretati non come il segno di un disagio ma come una simulazione messa in atto per trovare una via di uscita da quella situazione di detenzione. Così la risposta che viene data, la stessa offerta a Oussama, è il ricorso a forti dosi di psicofarmaci per fiaccare il corpo e la mente. Il torpore garantisce calma e serenità e alleggerisce il lavoro di chi dovrebbe invece operare per rendere meno gravosa la vita all’interno di quel lager. Così, il 5 agosto, imbottito di farmaci, il corpo di Oussama dice basta e la sua anima, in cerca di libertà, decide di volare via da quel Centro maledetto. È trascorso un anno, ma non è trascorso invano. È stato un anno di battaglie e di rivendicazioni per ottenere la chiusura del CPR di Palazzo San Gervasio e non solo. È stato un anno di consapevolezza che ha portato tanti cittadini lucani a prendere coscienza di quanto accade in quella struttura. È stato un anno di indagini scrupolose da parte della Procura per arrivare a determinare le cause della morte di Oussama e i responsabili. Certo, siamo ancora in attesa di ottenere verità e giustizia, ma questo anno non è stato caratterizzato da immobilismo, tutt’altro. Anzi, possiamo affermare che in questo anno Oussama è diventato il simbolo della consapevolezza che sta animando tantissimi giovani lucani e diverse realtà associative. Oussama continua a vivere tra noi e ad spronare le lotte quotidiane di tanti contro il CPR di Palazzo San Gervasio, contro la detenzione amministrativa e contro politiche di odio e di divisione. Un vento attraversa la nostra terra sussurrando la storia di Oussama e ci ricorda che non possiamo distogliere lo sguardo su quanto accade ogni giorno all’intero dei Centri di Permanenza per i Rimpatri.
Marco Cavallo scende in piazza: un viaggio contro i CPR, lager del presente
Marco Cavallo è una grande scultura azzurra, alta circa quattro metri, realizzata nel 1973 dai pazienti e dagli operatori del manicomio di San Giovanni a Trieste, durante l’esperienza di Franco Basaglia. Nella sua pancia, i ricoverati inserirono biglietti con i loro desideri. Il 21 gennaio 1973 Marco Cavallo fu portato fuori dal manicomio in un corteo che abbatté muri fisici e simbolici. Quel momento divenne il simbolo della lotta contro l’internamento psichiatrico e per la libertà, contribuendo alla riforma che chiuse i manicomi in Italia. Oggi Marco Cavallo torna a camminare per abbattere un’altra forma di esclusione: i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR). Il progetto, lanciato a febbraio, dal Forum Salute Mentale e inserito nella campagna nazionale #180 Bene Comune, ha già raccolto decine di adesioni da associazioni, gruppi, operatori, comitati, attivisti e reti locali e nazionali 1. Un fronte plurale che chiede con forza la chiusura dei CPR e la fine della detenzione amministrativa. «Come poteva il Forum della Salute Mentale, che tanto si è battuto per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari e che accompagnò il Cavallo azzurro nelle manifestazioni, restare indifferente davanti allo scandalo dei CPR?» scrive Francesca de Carolis, una delle voci editoriali del Forum. «Strutture che, per molti aspetti, ricordano gli OPG, ma che sono ancora più crudeli. Qui sono rinchiuse persone il cui “reato” è stato varcare un confine, spinte da guerre, difficoltà economiche e dal desiderio legittimo di una vita migliore. Migranti colpevoli di “desiderio di vivere”». Nel suo articolo de Carolis racconta come Marco Cavallo si muova verso i CPR per denunciarne l’orrore. Oggi in Italia ci sono dieci CPR, nati con la legge Turco-Napolitano del 1998 e trasformati nel tempo, con la recente legge Minniti-Orlando che ha prolungato la detenzione fino a 180 giorni. Il viaggio ufficiale di Marco Cavallo partirà il 6 settembre con una manifestazione a Gradisca d’Isonzo. Nei mesi successivi farà tappa a Milano, Roma, Gradisca e altre città. Ogni fermata di questo percorso di denuncia, sarà un’occasione per portare alla luce la realtà dei CPR, raccontare storie dimenticate e denunciare la disumanizzazione di chi vi è rinchiuso. Ogni tappa prevede assemblee pubbliche, performance, letture e momenti di riflessione collettiva. Il Forum Salute Mentale ha lanciato anche una campagna di raccolta fondi per coprire le spese del viaggio (trasporti, accoglienza, materiali, supporto tecnico), coinvolgendo concretamente la società civile. Marco Cavallo non è solo una scultura: è un corpo collettivo in cammino, una memoria che non vuole tacere, un sogno di libertà senza confini. Unitevi al viaggio. 1. Qui le adesioni ↩︎
Controfuoco. Per una critica all’ordine delle cose (N° 2, giugno 2025)
> con·tro·fuò·co/ > Incendio, appiccato volontariamente, > per eliminare il materiale > combustibile e quindi contrastare > l’avanzata di un incendio di grandi > proporzioni, spec. nei boschi. ARCHITETTURE DEL CONFINAMENTO: IL TRATTENIMENTO COME INFRASTRUTTURA L’editoriale di Francesco Ferri e Omid Firouzi Tabar Sono passati oramai dieci anni dalla cosiddetta “crisi dei rifugiati” e appare sempre più chiaro come il regime complessivo di regolamentazione, filtraggio e selezione della mobilità delle persone migranti sia vivendo una preoccupante virata autoritaria e repressiva, una recrudescenza che vede nella privazione della libertà un fattore sempre più diffuso, strutturale e normalizzato. Questa “sicuritarizzazione” dell’apparato sicuritario-umanitario, che vediamo da alcuni anni intrecciare e ibridare dinamiche di controllo e segregazione con quelle dell’assistenzialismo compassionevole e infantilizzante, si sta progressivamente infiltrando gran parte dei contesti legati alle migrazioni. Lo vediamo nelle narrazioni mediatiche sempre più stigmatizzanti, nel piano normativo che restringe progressivamente diritti e garanzie e nelle prassi istituzionali sempre più segnate da dinamiche di abbandono socio-economico e dalla moltiplicazione degli ostacoli amministrativi e burocratici. Stiamo assistendo in primo luogo a un vero e proprio attacco frontale al diritto di asilo per come lo abbiamo conosciuto, che si materializza attraverso la progressiva centralità di concetti come “paesi sicuro” e alle conseguenti procedure “accelerate” o di “frontiera”. In questo senso la richiesta di protezione internazionale non è più soltanto preludio a una vera e propria trappola sociale, ma è sempre più un’opzione che viene semplicemente negata, soprattutto per sottrarre le persone al pacchetto di diritti che tutt’ora implicherebbe. In tale direzione vanno legislazioni nazionali e il nuovo Patto europeo su migrazioni e asilo, punto di svolta decisivo delle politiche migratorie continentali. A questa erosione del diritto di asilo si accompagna una sorta di “Hotspotizzazione” della regolamentazione delle persone anche oltre alle fasi successive all’approdo. Al netto della resistenza, talvolta anche ostinata, di alcuni tribunali, la prospettiva politica sembra essere quella di dare una progressiva centralità (non soltanto simbolica) a strutture classicamente detentive come i Cpr, ma anche a strutture ibride di trattenimento come i centri albanesi (e altri che fioriranno sul perimetro europeo per le “procedure di frontiera”), e quelli di Pozzallo e Porto Empedocle adibiti per le “procedure veloci”. In parallelo, la costante minaccia di “deportabilità” in questi luoghi, ben agevolata dalla diffusione di misure di militarizzazione urbana come le “Zone Rosse”, diventa ingrediente ricattatorio di estrema violenza. Senza scordarci, per completare questo cupo quadro, di una certa intensificazione della criminalizzazione delle pratiche solidali, soprattutto in mare, e di quella, statisticamente preoccupante, dello smuggling e dei cosiddetti “capitani”, che sta allargando la stretta penale su un numero sempre più vasto di migranti. Tutto ciò non sembra proiettarsi nella direzione di un rafforzamento di forme di mera esclusione ed estromissione delle persone dalla cosiddetta “Fortezza Europa”, concetto che ci appare oggi anche poco funzionale, talvolta del tutto fuorviante, per leggere in profondità i processi in corso e le razionalità che li sottendono. In campo sembra invece persistere un’economia politica del modello confinario imperniata su dinamiche di selettività e di violenta (im)mobilizzazione, orientate a garantire nuove linee di inclusione subalterna e di produzione di soggettività, più che a materializzare una rigida (e improduttiva) impermeabilizzazione del perimetro europeo. Più che alla tensione tra rigide linee che separano estromissione da e inclusione nello spazio europeo, dobbiamo in sintesi sforzarci a cogliere tensioni e conflittualità sempre più molecolari e interstiziali tra espressione di mobilità indisciplinata e tentativo di produzione di soggettività esposte a forme sempre più intensive di sfruttamento lavorativo e di stigmatizzazione utile a nutrire le retoriche sicuritarie. Questi nuovi sviluppi si materializzano dentro una congiuntura di guerra che, oltre alle uccisioni, ai massacri, ai genocidi e alle devastazioni che produce nelle zone di conflitto dove è materialmente in atto, si espande in quanto regime complessivo di produzione di linee di comando, ispirando drammaticamente molte politiche europee tra cui quelle che riguardano migrazioni e confini. In questo scenario bellico la costruzione dei blocchi e delle polarizzazioni, strutturati intorno a un ritorno di costruzioni identitarie come popolo, stato e nazione, produce inevitabili e considerevoli ripercussioni nei regimi di  “bordering” e di “othering”, ponendosi come frame perfettamente coerente con la stretta sicuritaria vissuta in questa fase storica in molti territori europei. Scendendo su un piano più concreto, l’analisi del “modello Albania” fornisce indicazioni utili per cogliere le tendenze che attraversano il regime confinario. Il funzionamento del centro di Gjader ha evidentemente caratteristiche peculiari ma non è, dal punto di vista della logica che lo informa, un’eccezione. Questo progetto, infatti, rende visibile e leggibile una delle traiettorie più rilevanti del governo della mobilità: l’estensione selettiva del trattenimento come pratica ordinaria. In Italia, la detenzione amministrativa si presenta come diffusa ma non generalizzata: uno scarto importante, da cogliere per darne preciso rilievo politico. Infatti, la gran parte delle persone rimpatriate non passa dai Cpr. Ma questo dato non ridimensiona il ruolo politico di quei centri. Al contrario, lo chiarisce: i Cpr non funzionano per volumi, ma per effetto. Producono una pedagogia della minaccia, inscrivono nella vita migrante una moltiforme precarietà costitutiva, alimentano una condizione permanente di esponibilità alla violenza e al rimpatrio. Il modello Albania riproduce questa stessa logica: poche persone effettivamente trattenute bastano a produrre un salto, simbolico e materiale, nell’architettura del confinamento. È per questo che l’analisi non può fermarsi ai numeri. Serve uno sguardo qualitativo e politico sulla detenzione, che è poi quello che questo numero di Controfuoco tenta di portare. Le molteplici forme del trattenimento non vanno valutate unicamente sulla base della capienza o del tasso di rimpatri che producono, ma interrogati come dispositivi: macchine selettive di produzione della soggettività e della forza-lavoro migrante. Le loro funzioni travalicano i corpi che rinchiudono. La violenza concreta che esercitano non va dunque ridimensionata, ma compresa nella sua estensione. La lista dei diritti violati – libertà personale, difesa, salute, unità familiare – è solo la soglia di un impatto più ampio: una violenza sistemica, che agisce al di là delle griglie giuridiche. È una violenza strutturale, fatta di trattamento differenziale, segregazione materiale e simbolica, disciplinamento sociale. Il trattenimento va allora letto come infrastruttura, non come eccezione. Non è una parentesi nella vita migrante, ma una condizione che incide sui tempi, gli spazi, le possibilità di movimento e di relazione. La deportabilità – più che la deportazione effettiva – è oggi la condizione generalizzata che definisce la collocazione sociale di ampi settori di soggettività migrante. Il rischio permanente della detenzione orienta le traiettorie, comprime le aspettative, spezza le reti, contribuisce alla collocazione nel mercato del lavoro, nei modelli dell’abitare. È in questo scenario che si colloca il presente numero di Controfuoco, dedicato alle molteplici forme del trattenimento. Le attraversa, le connette, le storicizza. Non per restituirne un’immagine unitaria, ma per mapparne le articolazioni, le ricadute, le resistenze. Il trattenimento non è ai margini: è un asse portante delle politiche migratorie. È dentro la società, ne riflette le gerarchie, ne rafforza i confini. L’ambizione di questo numero è chiara: contribuire, con strumenti agili e accessibili, alla politicizzazione del dibattito sul trattenimento. Passando in rassegna i vari contributi, Chiara Denaro presenta delle riflessioni che riguardano i nuovi piani di sperimentazione della detenzione migrante. Si parla dei centri di Pozzallo e Porto Empedocle, pensati per trattenere migranti giunti dai “paesi sicuri”, mentre viene esaminata la loro richiesta di protezione internazionale. L’autrice si sofferma in particolare sulla privazione della libertà vista come ingrediente sempre più diffuso del controllo delle migrazioni e sul ruolo svolto dai giudici e dal diritto in questo campo di tensioni. Francesco Ferri presenta una riflessione critica rispetto a un tema che ha avuto recentemente molta amplificazione mediatica, quello dei centri di detenzione in Albania. Ferri si sofferma nello specifico sulla funzione latente di questi luoghi, interpretati come strumenti punitivi che incarnano, anche in prospettiva delle nuove politiche europee, uno specifico modello di controllo della mobilità indisciplinata. In particolare emerge l’idea che tali luoghi rappresentino un confine interno esternalizzato, dove la dislocazione della detenzione pone, tra i vari, seri problemi dal punto di vista del controllo giurisdizionale e della tutela legale. Il tema della detenzione amministrativa è stato approfondito da Rocco Sapienza, in relazione alla struttura collocata a Palazzo San Gervasio, in Provincia di Potenza. Le riflessioni intorno a questo Cpr si soffermano non soltanto sulla violenza istituzionale agita con le forme del trattenimento all’interno di questo luogo, ma si sviluppano anche in riferimento alla sua collocazione nel territorio e in particolar modo nelle reti e infrastrutture dello sfruttamento lavorativo. La progressiva recrudescenza delle politiche di controllo delle migrazioni e la crescente centralità di strumenti necropolitici e repressivi è la cornice di riferimento del contributo di Francesca Esposito. L’autrice, focalizzandosi sul tema della detenzione amministrativa in Italia e in Europa, propone una riflessione critica di orientamento transfemminista e abolizionista indicando la necessità di guardare alle molteplici interconnessioni tra la violenza confinaria e violenza di genere, con particolare riferimento allo sguardo portato nel dibattito attuale dal femminismo anticarcerario. Anche il contributo di Luca Ceraolo affronta il tema della detenzione delle persone migranti all’interno del Cpr. Tenendo la salute mentale come cornice generale di riferimento, in questo contributo viene messa a fuoco la relazione tra diversi campi del sapere – con particolare attenzione a quello medico – nelle pratiche detentive e la materializzazione di un “continuum coloniale” nei processi di stigmatizzazione che riguardano le soggettività migranti. Luca Daminelli e Andrea Contenta si focalizzano sulla Grecia e sul borderscape rappresentato da quella particolare porta d’ingresso verso l’Europa, segnata fortemente dagli accordi con la Turchia che continuano ad avere molteplici conseguenze. In questo contributo l’attenzione è rivolta ai dispositivi di privazione della libertà, che fungono in modo sempre più diffuso e normalizzato come strategie di regolamentazione, esclusione ed inclusione subalterna dei migranti irregolarizzati, ma anche dei richiedenti asilo. Infine troviamo le riflessioni presentate da Giovanni Marenda, che volge lo sguardo verso la Bulgaria, di nuovo imperniate sull’analisi della centralità assunta dalla pratica della detenzione nel governo delle migrazioni indisciplinate. Secondo l’autore le prassi osservabili in quel territorio, segnate da diffusi soprusi e violenze discrezionali degli attori istituzionali, possono essere interpretate come una sorta di anticipazione del recente Patto europeo sulle migrazioni che tende ad incorporarle, legalizzandole. Quest’ultimo infatti viene immaginato non tanto come cambio di paradigma, ma come normalizzazione di un sistema che prevede lo strapotere di polizia e la generalizzazione della detenzione come fulcri operativi. CONTROFUOCO N° 2 GIUGNO 2025 SOMMARIO I nuovi centri di detenzione per i richiedenti asilo. Genealogia di un fallimento governativo Chiara Denaro Da dove viene la singolare pretesa di trasportare i migranti in Albania per aumentare i rimpatri? Francesco Ferri Geografia del controllo: note da Palazzo San Gervasio Rocco Sapienza Per una critica transfemminista abolizionista della detenzione amministrativa in Italia Francesca Esposito Politiche della diagnosi e continuum della colonia. Riflessioni sulla salute nella detenzione amministrativa Luca Ceraolo La Grecia scudo d’Europa. Di razzismo istituzionale, condizioni di vita inumane e politiche di morte Andrea Contenta e Luca Daminelli Reclusi alla periferia d’Europa. Uno sguardo sulla detenzione dei migranti in Bulgaria Giovanni Marenda Clicca sull’immagine di copertina per scaricare gratuitamente la rivista o qui sotto Download in pdf Acquista una copia cartacea Fotografie: Silvia Di Meo, Rami Sole, Luca Greco, Marios Lolos, Francesco Cibati, Rocco Sapienza, Stop CPR Roma e Mel Progetto grafico: Giacomo Bertorelle Gruppo redazionale: Jacopo Anderlini, Emilio Caja, Francesco Della Puppa, Francesco Ferri, Enrico Gargiulo, Barbara Barbieri, Stefano Bleggi, Giovanni Marenda, Omid Firouzi Tabar, Martina Lo Cascio La foto di copertina è stata scattata durante la mobilitazione del Network Against Migrant Detention in Albania l’1 e 2 dicembre 2024. NAMD è una rete di attivist* transnazionale che chiede l’abolizione della detenzione amministrativa. Cooperativa editrice Tele Radio City s.c.s., Vicolo Pontecorvo, 1/A – 35121 Padova, Italy, Iscr. Albo Soc. Coop. n. A121522 Melting Pot è una testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Padova in data 15/06/2015 n. 2359 del Registro Stampa. Controfuoco è un processo aperto e collettivo che vuole coinvolgere saperi e conoscenze composite e crescere a partire dalle diverse esperienze e biografie che intreccerà. Per contribuire scrivi a collaborazioni@meltingpot.org.