È l’Europa che è malata--------------------------------------------------------------------------------
--------------------------------------------------------------------------------
Il sito dell’Unione Europea dichiara: “Ogni anno il 9 maggio si celebra la Festa
dell’Europa, che celebra la pace e l’unità in Europa”. Come ormai la maggior
parte delle istanze internazionali l’Ue da sei anni sotto la direzione di quella
che fu la ministra della difesa di Angela Merkel, Ursula von der Leyen,
imbarazza e disgusta nella sua mancanza di volontà politica nel prendere una
posizione radicale contro il genocidio del popolo Palestinese a Gaza e nella sua
insensata – se non alla luce dei profitti che ci stanno dietro – corsa
all’armamento.
In Italia la richiesta di manifestare appoggio e indignazione contro il
massacro, sia online sia per le strade, risulta quasi sterile. Malgrado ciò, a
chi ha ancora la forza di andare in strada, malgrado la stagnante aria di
fallimento che si respira in Europa, va tutta la mia stima. Come uno dei
partecipanti della manifestazione di Milano del 25 Aprile ricorda in un video:
“È importante ogni tanto stare insieme, e vedere che siamo ancora in tanti”.
Online si vede circolare un manifesto, portato in corteo in diverse
manifestazioni pro-Palestina, in differenti città europee che dice: “You know
what also died in Gaza? The myth of western Humanity and Democracy?” (Sapete
cos’è morto anche a Gaza? Il mito dell’umanità e della democrazia occidentale).
Quel mito è morto, se mai ha avuto ragione per nascere, da molto tempo. È basato
sulla ripetuta incapacità dell’Europa di fare autocritica, di guardare alla
propria storia fatta sul sacrificio e lo sfruttamento degli altri, una storia
che continua tuttora nella forma che i migranti, le donne, coloro che non
rientrano nelle regole dei padri fondatori, maschi etero bianchi, sono trattati
e perseguitati. Nel suo Discorso sul Colonialismo (1950) Césaire, commentando la
differente risposta della società occidentale alle atrocità dell’olocausto e
della schiavitù, già lo fece notare parecchio tempo fa: “Hanno tollerato quel
nazismo prima che fosse loro inflitto, lo hanno assolto, hanno chiuso gli occhi
su di esso, lo hanno legittimato, perché, fino ad allora, era stato applicato
solo ai popoli non europei”.
Esistono gradi diversi di applicare le universali europee norme di umanità e
democrazia. La guerra in Ucraina, contemporanea alla guerra in Palestina, lo ha
reso ancora più palese. Secondo Van Bever Donker, della University of Western
Cape, “ciò che la civiltà [europea] ha raggiunto, il punto a cui è giunta, non
equivale ad altro che alla sua morte”. E forse per questo tollera la morte
ovunque.
In contrasto allo stato di asfissia europeo e di reazione programmata come
strategia di sopravvivenza, la quotidianità della solidarietà al popolo
Palestinese da parte del popolo sudafricano impressiona nella sua naturalezza,
nel suo non bisogno di spettacolarità. Innumerevoli sono le iniziative in
solidarietà e concreto sostegno. Lo si vede nei muri delle case, dove messaggi
in sostegno al popolo palestinese sono continui, negli adesivi nelle
autovetture, nelle molte bandiere presenti nei festeggiamenti di Eid al-Fitr, o
semplicemente Eid, la festa in cui musulmani di tutto il mondo celebrano la fine
del mese di digiuno dall’alba al tramonto del Ramadan.
Domenica 27 aprile in occasione del Freedom Day, una dozzina di nuotatori hanno
organizzato una staffetta percorrendo a nuoto il tratto di 7,4 km da Robben
Island a Bloubergstrand, nella acque gelide di Cape Town. Lo hanno fatto per
raccogliere fondi necessari per l’assistenza umanitaria a Gaza e per
sensibilizzare l’opinione pubblica sull’impossibile situazione dei palestinesi.
“I nuotatori sono semplici sudafricani che si tuffano in acque simbolo della
nostra storia di lotta e prigionia in solidarietà con chi soffre sotto
l’oppressione”, hanno detto gli organizzatori che si proponevano di raccogliere
almeno 500.000 e ne hanno raccolti 600.000, circa 30.000 euro, in poche ore.
I fondi sono stati ripassati a Gift of the Givers una versione sudafricana di
Emergency, fondata nel 1992 da un medico sudafricano, Imtiaz Ismail Sooliman,
per offrire soccorso in caso di calamità e assistenza umanitaria in tutto il
mondo, a gennaio 2025 l’organizzazione ha dichiarato di impiegare oltre 600
persone con uffici in nove aree, tra cui Somalia, Yemen e Palestina. Con
finanziamenti da aziende sudafricane e donazioni private, l’organizzazione ha
distribuito oltre 6 miliardi di Rand (319 milioni di dollari) in aiuti in 47
paesi in 32 anni, ed è la più grande agenzia di risposta ai disastri di origine
africana.
La prossima settimana a Johannesburg si terrà il Jozi Palestinian Film Festival,
due serate di film e dibattiti sulla situazione palestinese organizzate da South
Africa BDS Coalition. I biglietti sono esauriti dopo due giorni dall’annuncio
del festival, anche quelli delle overflow seating, sedie di plastica, da
aggiungere in sala ovunque ci sia spazio. Il documentario Al-Nakba: The
Palestinian Catastrophe (2024) di Rawan Damen apre la rassegna il giorno – 15
maggio – in cui la Nakba (catastofe) viene commemorata ogni anno. Tra il 1947 e
1949, 531 città e paesi furono distrutti dalle milizie israeliane.
Dei 1,4 milioni di abitanti palestinesi dell’epoca. Si stima che ci siano oltre
9 milioni di rifugiati palestinesi sparsi in tutto il mondo. Alla luce del
genocidio di 2,3 milioni di abitanti della Striscia di Gaza oggi la Nakba assume
un nuovo significato. Nel corso del festival verranno presentati Eyes of Gaza
(2024) di Mahmoud Atassi, sull’indicibile numero di giornalisti uccisi in un
anno nella guerra tra Israele e Gaza, più alto in qualsiasi altro conflitto da
quando il Comitato per la Protezione dei Giornalisti ha iniziato a raccogliere
dati nel 1992.
Mercoledi 21 l’University of Johannesburg insieme alla Birtzeit University
Occupied Palestine, ospiterà la terza Shireen Abu Akleh lezione pubblica, dal
titolo Genocidio e apartheid: terra e identità in Palestina e Sudafrica, in
memoria della giornalista palestinese statunitense uccisa da un soldato
israeliano mentre seguiva un raid nel campo profughi di Jenin, nella
Cisgiordania occupata da Israele nel 2022, sarà possibile seguirla online.
Segue Al-Shifa Hospital: The Crimes They Tried to Bury (2024), un breve
documentario prodotto da Al Jazeera che mira a scoprire la verità dietro le
atrocità commesse durante l’assedio dell’ospedale Al-Shifa da parte
dell’occupazione israeliana. Il documentario funge da contro-narrativa alle
distorsioni e garantisce che le voci delle vittime e dei testimoni vengano
ascoltate. La proiezione sarà seguita da una sessione di domande e risposte con
gli Healtchcare Workers 4 Palestine. HW4P, è stata co-fondata in Inghilterra da
un gruppo di medici nel 2023 per combattere la censura e difendere i diritti
degli operatori sanitari palestinesi e il diritto dei palestinesi all’assistenza
sanitaria.
Il sabato Nathi Ngubane, scrittore e illustratore del libro da colorare From the
River to the Sea, i cui ricavati della vendita sono devoluti al popolo
palestinese tramite Penny Appeal South Africa, terrà un laboratorio per bambini
mentre chiuderà il festival il documentario girato in Libano e nella Palestina
occupata, The Last Sky (2024) di Nicholas Hanna’, avvocato libanese-australiano,
seguito da una sessione di domande e risposte con il regista.
Vale la pena tornare di nuovo a Césaire e alla sua convinzione che l’intervento
europeo non deve rivolgersi a salvare i colonizzati, ma offrire all’Europa la
possibilità di salvarsi. “Ciò che è in gioco è la possibilità per un volto più
umano […]. Nell’argomento di Césaire, il problema è in realtà la rivendicazione
dell’Europa allo status di uomo, e la produzione di una testimonianza come
espressione di questo, che è la rivendicazione dell’Europa. È l’Europa che è
malata” ricorda Bever Donker leggendo Césaire.
--------------------------------------------------------------------------------
L'articolo È l’Europa che è malata proviene da Comune-info.