Akira Higashiyama / Il giovane Qiu Sheng
Se l’uomo, come sostiene il filosofo e antropologo René Girard, non può
rinunciare completamente alla violenza, allora “da questo mondo non scomparirà
mai la guerra, né si spezzerà la catena delle vendette”. Pensieri e riflessioni
che solcano l’anima di Ye Qiu Sheng, protagonista di Ryu di Akira Higashiyama,
un romanzo di formazione ma anche un’opera complessa che cerca di districarsi
negli abissi della storia. Lo scenario è quello di Taiwan, oggi tornata alla
ribalta delle cronache per l’acuirsi delle tensioni con la Cina, un territorio
popolato dai cosiddetti waishengren, ovvero gli immigrati giunti dal continente
a partire dal 1945, e i benshengren, nativi taiwanesi di etnia han che hanno
vissuto la colonizzazione giapponese. Il dominio nipponico, iniziato nel 1895 e
concluso solo con la fine del Secondo conflitto mondiale, segna un’intera
generazione, in seguito disorientata dall’improvviso mutamento degli scenari.
L’isola, da questo punto di vista, è un microcosmo percorso da tensioni etniche
e problematiche identitarie, un terreno di scontro, un luogo dove dominano le
armi e la violenza.
In tale ambito si muove il protagonista, espulso dalla scuola, refrattario alla
disciplina militare, il cui coinvolgimento in sparatorie e rivalità fra bande
locali ne simboleggia il carattere ondivago, esposto ai capricci della storia.
La sua alterità è segnata da un dato linguistico: non parla bene come gli altri
studenti il taiwanese, ma la sua lingua madre è il cinese standard. Qiu Sheng
vive freneticamente gli anni dell’adolescenza, tra i rimproveri e le botte dei
genitori, che non condividono le sue scelte, e le esperienze estreme alle quali
viene sottoposto.
Motore del romanzo è il ritrovamento del corpo del nonno, assassinato da mani
misteriose all’interno del suo negozio. Un uomo con un passato oscuro,
responsabile di massacri e uccisioni, che amava dilettare il nipote con i propri
racconti guerreschi. “Il partito Comunista e quello Nazionalista facevano
entrambi le stesse cose. Ogni volta che mettevano piede in un villaggio altrui,
rubavano soldi e cibo. … Così è la guerra”, parole che denunciano l’insensatezza
di ogni conflitto. La pistola Mauser costudita gelosamente materializza quella
brutalità che, una volta incontrata, non si può più sfuggire. Il nonno vanta la
protezione della Dea volpe, sorta di creatura folklorica e fiabesca che sembra
estendere il proprio influsso benefico anche sul nipote. Dal punto di vista
stilistico, la narrazione si avvale di un registro a metà strada fra il magico e
il reale, senza rinunciare a notazioni colme di ironia. Ne risulta un quadro
variegato, dagli accesi cromatismi orientali, non esente da influssi filmici,
evidenti nel ritmo sostenuto di alcune scene e nella minaccia onnipresente della
violenza. Mettendosi ossessivamente sulle tracce degli assassini di suo nonno,
Qiu Sheng è alla ricerca di sé stesso, della propria incerta identità, delle
origini dell’inquietudine che lo tormenta, perché “i nostri cuori restano sempre
impigliati in qualcosa del passato”, con imprevedibili conseguenze.
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