
Hulk Hogan, delatore e razzista
Jacobin Italia - Tuesday, July 29, 2025
Hulk Hogan, un disastro umano assoluto e il più importante wrestler professionista mai esistito, è morto a settantun anni. Togliamoci subito di torno questa seconda parte, perché mentre la maggior parte del mondo sa che è vero, i veri appassionati di wrestling spesso lo negano completamente. E Hogan, ovviamente, è interamente da biasimare: ha passato gli ultimi decenni a implorare chiunque gli prestasse attenzione di tirare lo scarico per una storia che lui ha gettato nel water.
Ed è lì che rimarrà la sua eredità, troppo grande per essere gettata nel water e troppo disgustosa per essere lasciata altrove. Dal punto di vista tecnico, Hogan era un wrestler mediocre, un uomo che aveva solo una dozzina di mosse sul ring ma che le faceva sempre funzionare. All’apice della sua carriera era una valanga di carisma alimentato dalla cocaina, ma col tempo i suoi promo si sono trasformati in una noiosa prova di forza a colpi di slogan. Il trucco di Hogan si adattava perfettamente alla cultura del wrestling da cartone animato degli anni Ottanta e Novanta, e dopo di allora ha dato vita per anni a un impressionante turn heel [così si dice quando un personaggio buono, nelle messe in scena del wrestling, diventa cattivo, Ndt], ma alla fine dell’era Bush si era completamente trasformato in un caso di nostalgia anacronistico.
Eppure, ancora oggi Hulk Hogan rimane uno dei nomi più riconosciuti al mondo. Negli anni Ottanta, ha quasi da solo trasformato il wrestling professionistico da curiosità regionale che si esibiva nelle palestre delle scuole superiori e nelle fiere di contea in un’industria globale multimilionaria (e alla fine miliardaria) di dollari. Hogan ha fatto a gara con il Papa per far entrare più persone negli stadi. Aveva il suo cartone animato, il suo show live action e i suoi film. Era una celebrità di serie A in un’epoca in cui altri wrestler di primo livello avrebbero potuto faticare a vendere biglietti nella propria città natale. Ric Flair era un wrestler più affermato, Dusty Rhodes era migliore al microfono e André the Giant era un atleta più impressionante, ma è stato l’uomo Hogan a rendere il wrestling quello che è.
Era anche, a detta di tutti, un essere umano assolutamente patetico e riprovevole. Il suo grande momento di infamia, ovviamente, rimarrà per sempre il famigerato audio razzista in cui, be’, ha dichiarato al mondo di essere un razzista. Quell’incidente gli è costato un temporaneo allontanamento dalla Wwe e l’espulsione dalla Hall of Fame, finché l’altro grande nemico del wrestling professionistico, Vince McMahon, non gli ha dato il bentornato. I fan non lo hanno mai fatto. Nell’ultima apparizione di Hogan in un programma televisivo di wrestling all’inizio di quest’anno, è stato fischiato fuori dall’arena.
Ma il razzismo non è stato l’unico fattore devastante per l’eredità di Hogan. Nel corso degli anni, memorie e ricordi trapelati dallo spogliatoio hanno rivelato un lato della sua carriera che era sempre stato nascosto al pubblico. Era un arrivista spietato ed egocentrico che si è messo in proprio – un termine del settore per indicare i wrestler che promuovono il proprio marchio a spese di tutti gli altri membri della promotion. Hogan ha ripetutamente vanificato incontri da sogno contro avversari che riteneva inferiori alle sue capacità, come Jake The Snake Roberts e Bret The Hitman Hart. Insisteva per vincere i titoli anche quando non aveva alcun interesse a difenderli nei match. Fingeva un infortunio nel tentativo di screditare la leggenda della Wwe The Undertaker e farlo passare come un wrestler insicuro. E quando gli avversari proponevano incontri o sviluppi della trama che lo facevano apparire meno di un supereroe invincibile e virtuoso, lui rispondeva sempre con la stessa battuta: «Questo non funziona per me, fratello».
Hogan nel corso degli anni si è rivelato anche un bugiardo compulsivo. Storicamente, i wrestler professionisti sono sempre stati bugiardi; il loro unico compito è confondere il confine tra finzione e realtà e presentarsi al pubblico come personaggi larger than life. Ma Hogan non mentiva per il gusto di intrattenere; spesso mentiva solo per il gusto di mentire. E nel corso degli anni, le bugie si sono trasformate in bugie sempre più assurde e infantili in stile «mio zio lavora alla Nintendo». Hogan ha affermato di essere stato reclutato da diverse squadre di baseball, dai Metallica e dai Rolling Stones, e da Darren Aronofsky per interpretare il ruolo principale in The Wrestler. Sosteneva che Mike Tyson avesse paura di combattere contro di lui. Raccontava bugie su bambini e colleghi morenti; nella mia bugia preferita, affermava di aver attraversato i fusi orari così spesso da riuscire in qualche modo a lavorare quattrocento giorni in un solo anno. Qualcuno potrebbe dire che era difficile distinguere la realtà dalla finzione con Hogan, ma non è proprio così: era estremamente facile. Tutto quello che dovevi fare era avere presente che mentiva sempre.
Da qui in poi le cose non fanno che peggiorare. Hulk Hogan è un delatore: lui, personalmente, è il motivo per cui i wrestler professionisti non sono mai riusciti a formare un sindacato. Hulk Hogan è il motivo per cui abbiamo perso Gawker e ha rappresentato la punta di lancia per le aggressive ambizioni mediatiche della mafia di PayPal. E in una delle sue ultime apparizioni pubbliche, Hulk Hogan ha appoggiato Donald Trump alla Convention nazionale repubblicana del 2024.
Hogan ha regalato agli appassionati di wrestling alcuni momenti davvero iconici sul ring, e ha anche reso il nostro mondo significativamente peggiore. La sua faida del 1990 contro John Earthquake Tenta mi ha insegnato a tenere testa ai bulli. Ha affermato di aver incontrato Gesù una dozzina di volte nel corso della sua carriera, quindi forse è riuscito ad arrivare in paradiso. Ma siccome Hulk Hogan è un bugiardo, immagino che non lo sapremo mai.
*Carl Beijer scrive su carlbeijer.com. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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