Più lavoro e austerità per la Francia

Jacobin Italia - Saturday, July 26, 2025
Articolo di Harrison Stetler

Il governo di François Bayrou riuscirà a superare il 2025? Il primo ministro francese sembrava dubitarne il 15 luglio scorso, quando con un discorso di fuoco e fiamme ha illustrato i suoi piani per un rigoroso bilancio di austerità per il 2026.

Parlando martedì scorso da una tribuna intitolata Il momento della verità, Bayrou ha chiesto al parlamento francese, rimasto in stallo, di adottare un pacchetto di tagli alla spesa e aumenti delle entrate. Vuole persino eliminare due festività nazionali nel tentativo di far «lavorare di più» i francesi. Quando sarà in discussione in autunno, si prevede che questo piano deciderà il destino della carica di primo ministro di Bayrou, e aumentano le speculazioni su un possibile scioglimento dell’Assemblea nazionale – con conseguenti nuove elezioni – in caso di sconfitta.

Ogni componente dell’Assemblea nazionale ha qualcosa da ridire sul progetto di bilancio di Bayrou, che si tratti di piccole intrusioni nelle linee rosse imposte dalla destra in materia di aumenti fiscali, o dei ben più drastici attacchi ai servizi pubblici e alle prestazioni sociali che la sinistra si è impegnata a bloccare. Con l’obiettivo di 40 miliardi di euro di risparmi netti per il prossimo anno fiscale, l’impulso principale del quadro di bilancio di Bayrou è quello di placare le preoccupazioni dei mercati del debito e delle istituzioni europee sulle finanze dello Stato francese.

Secondo Bayrou, la Francia è con le spalle al muro. «Siamo diventati dipendenti dalla spesa pubblica», ha avvertito il primo ministro, definendo debito e deficit una «maledizione» per la società francese. Secondo lo scenario apocalittico che ha disegnato, la Francia, seconda economia dell’Eurozona, si trova ora sul ciglio di una spirale debitoria in stile greco che potrebbe presto portare alla subordinazione del paese a istituzioni finanziarie esterne. «Ogni secondo che passa, la Francia si accolla altri 5.000 euro di debito – ha detto il premier al consesso di giornalisti, deputati e funzionari governativi che hanno assistito al suo discorso – Non abbiamo altra scelta che assumerci le nostre responsabilità, poiché questa è l’ultima tappa prima del baratro».

Si stima che nel 2025 il debito francese costerà oltre 55 miliardi di euro. Questa cifra è raddoppiata dal 2020, a causa dell’aumento dei tassi dei titoli di Stato francesi e dell’impennata della spesa pubblica durante la crisi del Covid-19 e del costo della vita. Il pagamento degli interessi ammonta a quasi il 10% del bilancio statale.

Tagli alla spesa

L’obiettivo dichiarato di Bayrou è di portare il rapporto deficit/Pil della Francia al 4,6% entro la fine del 2026, in calo rispetto al 5,8% registrato all’inizio del 2025. Si tratta comunque di un livello ben al di sopra dell’obiettivo di deficit del 3% previsto dalle regole di bilancio dell’Unione europea. Tuttavia, con l’attività economica in calo a causa delle forti turbolenze globali, vi è un rischio considerevole che un ridimensionamento della spesa pubblica possa di fatto aggravare la situazione economica del paese.

Il fulcro del piano di Bayrou è una significativa riduzione della spesa pubblica, per un totale di circa 28 miliardi di euro sui 43,8 miliardi di euro di risparmi totali. Gli enti locali sono chiamati a effettuare tagli di bilancio per 5,3 miliardi di euro. Per limitare il numero totale di dipendenti pubblici impiegati dallo Stato, Bayrou auspica una graduale eliminazione di molti incarichi governativi, con un funzionario in pensione su tre non sostituito da nuove assunzioni.

I pensionati e i percettori di sussidi sono particolarmente colpiti. La quota maggiore di risparmi proviene dal congelamento della spesa automatica sotto forma di erogazioni di sussidi e pensioni. Pur evitando di imporre tasse speciali ai pensionati più ricchi, il piano di Bayrou prevede un congelamento di un anno dell’adeguamento all’inflazione per tali sussidi, che dovrebbe ammontare a poco più di 7 miliardi di euro di risparmi.

Non tutte le voci del bilancio statale sono destinate a essere ridotte il prossimo anno. Su espressa richiesta del presidente Emmanuel Macron, le linee guida del bilancio di Bayrou prevedono un aumento di 3,5 miliardi di euro per il Ministero della Difesa, con un ulteriore aumento di 3 miliardi di euro previsto nel 2027. Quando Macron è entrato in carica nel 2017, il bilancio della Difesa ammontava a 32 miliardi di euro. Oggi supera i 50 miliardi di euro e si prevede che salirà a 64 miliardi di euro entro il 2030.

L’aumento della spesa per la difesa del prossimo anno sarà più che compensato dai 4,2 miliardi di euro di entrate statali che si stima deriveranno dalla cancellazione di due festività nazionali: il lunedì di Pasqua e la festa della Vittoria in Europa dell’8 maggio. Attaccato sia dalla sinistra che dall’estrema destra, Bayrou sta spacciando la mossa come un tentativo di «riconciliare i francesi con il lavoro». In questo modo, alimenta la falsa narrazione secondo cui il francese medio lavora considerevolmente meno dei suoi coetanei europei. Un lavoratore francese occupato lavorerà infatti cento ore in più in un dato anno rispetto al suo omologo tedesco, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Con undici giorni festivi, la Francia è già al di sotto della media dell’Unione europea.

Linee rosse

Inchiodato dall’ossessione di non aumentare le tasse della sua coalizione centrista-conservatrice, Bayrou è stato cauto nell’evitare qualsiasi cosa che potesse ricordare una nuova tassazione. Le sue proposte per nuove entrate vedrebbero la fine di alcune scappatoie, congelando allo stesso modo le modifiche per l’adeguamento all’inflazione nel calcolo delle aliquote fiscali. In totale, si stima che le misure di entrata dovrebbero fruttare poco meno di 16 miliardi di euro.

Eppure, anche questi modesti aggiustamenti hanno suscitato lamentele da parte di figure chiave della coalizione di Bayrou. Laurent Wauquiez, leader del partito di centro-destra Républicains all’Assemblea nazionale e tecnicamente alleato di Bayrou, chiede un bilancio 2026 che trarrebbe «il 100%» dei risparmi dai tagli alla spesa.

L’elemento più importante del progetto di bilancio di Bayrou è ciò che non include. La destra e il centro spesso si lamentano del fatto che, tra i paesi Ocse, la Francia attinga alla quota più elevata del reddito nazionale sotto forma di entrate fiscali o contributi previdenziali. Eppure, questo è di per sé indicativo di un certo esaurimento del modello di tassazione e spesa alla base dello stato sociale del secondo dopoguerra, e del fatto che le vere riserve di ricchezza e reddito non vengano tassate.

A giugno, il Senato ha bocciato una proposta di buon senso volta a tassare i patrimoni più consistenti del Paese. La cosiddetta «tassa Zucman», dal nome dell’economista francese Gabriel Zucman, avrebbe stabilito un’imposta del 2% sui patrimoni di valore superiore a 100 milioni di euro. La misura era stata approvata quest’inverno: grazie all’astensione del Rassemblement national di estrema destra e dei suoi alleati, il Nouveau front populaire di sinistra è riuscito a superare numericamente la coalizione di governo di Bayrou. Contando su appena milleottocento famiglie, si stimava che la tassa Zucman avrebbe generato circa 20 miliardi di euro di entrate annue. Il Senato ha bloccato l’iniziativa.

Opposizione o stabilità?

Tutto è pronto perché il bilancio di Bayrou incontri una forte resistenza quando verrà discusso in autunno, dopo la pausa estiva. Senza la maggioranza all’Assemblea nazionale, il premier dovrà quasi certamente ricorrere a uno speciale potere costituzionale, il famigerato articolo 49.3, nella speranza di aggirare un voto di sfiducia. Farlo, tuttavia, esporrebbe il suo governo a un voto di sfiducia potenzialmente fatale. Lo scorso dicembre, il predecessore di Bayrou, Michel Barnier, è stato destituito durante un voto di bilancio simile, avendo proposto analoghi blocchi delle erogazioni pensionistiche che avevano spinto il Rassemblement national ad appoggiare la mozione di sfiducia del Nfp.

Settimane dopo, all’inizio di febbraio, l’estrema destra e il Partito socialista di centrosinistra si sono astenuti dal voto di sfiducia sul bilancio 2025 rielaborato da Bayrou. Per ora, i vertici di entrambi gli schieramenti stanno cercando di coltivare un’ambiguità strategica prima che la battaglia per il bilancio 2026 si intensifichi davvero.

Il Rassemblement national rimane bloccato dalla necessità sia di apparire come una forza di opposizione, sia di evitare di alienare coloro che nel mondo aziendale anelano alla stabilità. A questa tensione si aggiunge la rabbia per la condanna per appropriazione indebita della leader di lunga data Marine Le Pen, avvenuta all’inizio di questa primavera, che allo stato attuale le impedirebbe di candidarsi alla carica per cinque anni. Questa sentenza potrebbe spingere il suo partito alla cautela, per timore di provocare uno scioglimento e elezioni anticipate che potrebbero seguire il crollo del governo Bayrou. Oppure potrebbe incoraggiare il partito a impegnarsi per aggravare la crisi francese, per rimettere insieme i pezzi in seguito.

Più in generale, la leadership di estrema destra sta criticando duramente una legge di bilancio che, a suo dire, non fa abbastanza per ridurre la spesa sociale per la popolazione immigrata in Francia. «Se François Bayrou non cambia la sua legge di bilancio, voteremo la sfiducia», ha scritto Le Pen su X poco dopo il discorso del premier di martedì.

Se questa volta il Rassemblement national si rivoltasse contro Bayrou, la sua ultima linea di difesa sarebbe il Parti Socialiste. Eppure, nelle ultime settimane, questa forza di centro-sinistra ha virato di nuovo verso l’opposizione, dopo il fallimento del conclave sulla riforma delle pensioni di Bayrou. Queste discussioni erano state organizzate in nome della revisione della bozza del controverso aumento dell’età pensionabile di Macron per il 2023, ma si sono presto arenate. La speranza di Bayrou ora è che le sue piccole modifiche alle scappatoie fiscali e un eccezionale contributo di «solidarietà» da parte dei redditi più alti siano sufficienti ad attirare il Partito socialista dalla sua parte. Tuttavia, il leader del partito, Olivier Faure, ha cercato di moderare queste aspettative. «Allo stato attuale, l’unico esito possibile è un voto di sfiducia», ha dichiarato Faure.

Forse anche gli alleati di Bayrou sono tentati di gettare la spugna. Il premier si ritrova al minimo storico dei consensi. Nel frattempo, mentre la presidenza di Macron entra nel suo crepuscolo, i partiti della coalizione di Bayrou si contendono una posizione nella battaglia per la successione. C’è poca disciplina tra i partiti di centro in lotta. Circa il 59% dei francesi vorrebbe un nuovo primo ministro, secondo un sondaggio Ipsos pubblicato il 18 luglio. Al momento, il 44% considera un nuovo scioglimento e elezioni anticipate come la via d’uscita migliore dall’impasse.

*Harrison Stetler è un insegnante e giornalista freelance. Lavora a Parigi. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

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