Da Bibbiano a Caivano

Jacobin Italia - Monday, July 14, 2025
Articolo di Vincenzo Scalia

La sentenza emessa dal Tribunale di Reggio Emilia, lo scorso 9 luglio, che assolve gli imputati di Bibbiano dalle accuse più gravi, arriva pochi giorni dopo che la Consulta ha bocciato per ragioni di incostituzionalità il decreto Caivano. Per il giustizialismo all’italiana rappresentano due battute d’arresto di non secondaria importanza. Per la costruzione dell’impianto securitario, che con la giustizia minorile puntava a chiudere il cerchio, colonizzando una sfera fino a poco tempo fa immune da ogni impostazione legge e ordine. Ma anche per il complottismo di cui, dietro la vicenda di Bibbiano, si era nutrito il populismo italico, presunto antisistema e di destra, arrivando ad ammorbare l’opinione pubblica. Infine, per una certa idea di famiglia che, diffusa nel senso comune, viene promossa dall’attuale compagine governativa. Si tratta di tre aspetti che meritano essere approfonditi, per disinnescarne la portata minacciosa per la convivenza civile e per gli equilibri politici stessi.

Sul piano del populismo penale, il sistema giudiziario minorile italiano era rimasto per lungo tempo un’isola felice nel mare tempestoso dell’incarcerazione di massa e dei vari pacchetti sicurezza. Pur tra i limiti che lo contraddistinguevano, per esempio le differenze di risorse tra Nord e Sud e la difficoltà a tenere migranti e rom fuori dalla penalità, l’intendimento di non interrompere la crescita del minore, che ispira il DPR 448/1988 che ne regola il funzionamento, reggeva alla prova dei fatti. Fino ad essere preso a modello e studiato a livello internazionale. La Lega Nord, già nel 2002, sull’onda di alcuni delitti avvenuti nelle zone del suo bacino elettorale (come il caso di Novi Ligure), aveva tentato, attraverso il suo Guardasigilli Roberto Castelli, di abolirlo. Ma era incorsa nell’incostituzionalità.

Tornata al governo nella coalizione gialloverde, aveva visto, attraverso il caso di Bibbiano, l’occasione per riproporre il suo proposito. Le accuse di plagio, sottrazione di minori, abusi, mosse dalla magistratura agli operatori di una cooperativa locale e agli amministratori locali, erano parse l’occasione giusta. I grillini, allora partner di governo, spalleggiavano l’intento leghista, beneficiando dell’allarme sociale diffuso dagli imprenditori morali mediatici. Parlateci di Bibbiano era diventata una parola d’ordine, che creava convergenze non soltanto tra le file della coalizione gialloverde, ma anche presso l’allora opposizione di Fratelli d’Italia. L’attuale premier si era fatta riprendere davanti al cartello della cittadina emiliana, ripromettendosi di intraprendere e terminare un lavoro.

In seguito allo scoppio della pandemia, l’autostrada securitaria aperta dal caso di Bibbiano era stata solcata da altre iniziative di panico morale, relativamente ai minori. A partire dalla serie televisiva Mare Fuori, si era diffusa la convinzione che la devianza minorile fosse il nuovo problema dell’Italia odierna, e che il sistema penale minorile fosse troppo lassista nei confronti dei minori autori di reati. In realtà, come avviene da anni, si cercava di rispondere al disagio giovanile amplificato dalla pandemia, la questione degli italiani senza cittadinanza (ovvero i figli e nipoti di migranti nati e cresciuti in Italia), attraverso la risorsa penale. Dalì a Caivano, il passo era stato breve, con lo smantellamento dell’istituto della messa alla prova, previsto proprio per i minori autori di reati gravi.

Sulla rotta securitaria Bibbiano-Caivano, tuttavia, si colloca anche lo sviluppo delle narrazioni complottiste che avrebbero alimentato una parte consistente dell’opinione pubblica italiana durante la pandemia. Nella versione pentastellata, il circolo vizioso della corruzione tra esponenti politici, del mondo cooperativo, del sistema giudiziario minorile, rappresenterebbe l’epifania della corruzione sociale e morale che corrode un tessuto altrimenti sano e bisognoso di improbabili e imprecisati ritorni alla natura. Nella narrazione leghista e di estrema destra, lo stesso circolo vizioso nasconderebbe manovre occulte votate ad alterare i naturali equilibri della società. Lo stesso nome attribuito dalla magistratura reggiana all’inchiesta, Angeli e Demoni, allude a una dimensione soprannaturale, diabolica, dove la purezza delle famiglie, l’innocenza dei bambini, sarebbero corrotte e minacciate dalla cattiveria senza scrupoli di assistenti sociali, psicologi e amministratori. Gli stessi che, poco dopo, avrebbero costretto la popolazione ad assumere dei vaccini dal contenuto misterioso, ancorché di dubbia efficacia. L’inchiesta reggiana forniva l’occasione per porvi rimedio, iniziando un percorso di riappropriazione della purezza originaria.

È in questo contesto che si innesta il terzo aspetto della vicenda di Bibbiano, che aveva trovato nel decreto Caivano il suo culmine. La narrazione giustizialista pentastellata condivide con quella leghista la convinzione che la severità delle leggi, l’irrogazione seriale di sentenze di condanna, proteggano dai pericoli dell’ambiente esterno un mondo altrimenti sano nella misura in cui fa della famiglia tradizionale il perno delle relazioni sociali. Si tratta di una convinzione assolutamente errata, che si rifiuta di fare i conti con la realtà. L’80% dei reati di genere, dalle violenze sessuali ai femminicidi, avvengono all’interno di contesti familiari o vengono commessi da partner o da ex-partner. Allo stesso modo, gli atti di pedofilia, in due terzi dei casi, hanno luogo tra le mura domestiche, con parenti prossimi ed amici pronti a commettere abusi a danni dei minori. L’idea che la famiglia angelica vada protetta dalle insidie degli influssi malefici di psicologi e assistenti sociali, oltre ad essere storicamente superata (anche De Amicis e Collodi valorizzavano le figure esterne alla famiglia), è anche profondamente infondata.

Dall’altro lato, però, continua a sorreggere l’impalcatura ideologica di chi fa del Family Day la sua bandiera, rifiuta di approvare le leggi sul fine vita, mette i bastoni tra le ruote all’aborto e all’autodeterminazione delle donne, vede i consumatori di sostanze come l’emblema del degrado morale, si scaglia lancia in resta contro le unioni dello stesso sesso. I minori, in quanto categoria sociale marginale, caratterizzati dalla personalità fluida e dalla cospicua presenza di migranti e rom tra le loro schiere, sono visti come il cavallo di Troia attraverso cui introdurre narrazioni tradizionaliste e provvedimenti giustizialisti. Si tratta di un progetto di società al momento egemone, anche grazie alla sponda solida che gli fornisce l’industria mediatica, che si alimenta di sangue e paura per guadagnare audience e attrarre inserzioni pubblicitarie.

Ci troviamo di fronte a una deriva morale e civile, contro la quale bisogna costruire al più presto argini solidi e duratura. Questa volta ci hanno pensato i giudici di Reggio Emilia e la Consulta. La prossima volta potrebbe non bastare, senza la presa di consapevolezza e la mobilitazione di quei settori della società civile che ancora sono convinti della bontà della separazione dei poteri, del principio di innocenza, del welfare State, e soprattutto, della Costituzione. Sarebbe anche il caso che chi voleva parlare di Bibbiano chiedesse scusa. Ma non lo faranno. Le autovetture che solcavano l’autostrada securitaria tra Bibbiano e Caivano sono finite in un testacoda. Facciamo in modo che la prossima volta non abbiano a percorrere nemmeno un sentiero sterrato.

*Vincenzo Scalia è professore associato in Sociologia della devianza presso l’Università degli Studi di Firenze. Si occupa di carceri, criminalità organizzata, abusi di polizia. Ha insegnato e svolto ricerca in Messico, Argentina e Inghilterra. Il suo ultimo libro è Incontri troppo ravvicinati? (manifestolibri, 2023)

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