Eurovision song contest 2025 a Basilea: canta che ti passa?

Pressenza - Sunday, May 18, 2025

Si è tenuto dal 13 al 17 maggio la 69° edizione dell’Eurovision Song Contest.

Si è concluso a Basilea l’Eurovision song contest e anche quest’anno fa discutere, prima, dopo e durante la sua realizzazione, nonostante le conduttrici svizzere, tra cui la ben nota Michelle Unziker, abbiano precisato che non si tratta di un evento di valore politico. Precisazione inutile.

La politica, prima di essere legge o governo, è consuetudine, è credenza acquisita, è cultura. La politica si nutre di questi eventi per promuovere la linea da seguire, quella giusta, quella dei giusti.

Canta che ti passa! Non cercare di vedere sempre manipolazioni, in fin dei conti non è che un concorso canoro!

E allora parliamo delle esibizioni, perché ce ne sono state per tutti i gusti. Gli artisti hanno cercato di produrre stupore o emozione nel pubblico e le potenzialità tecnologiche del palco sono ogni anno più sorprendenti. Qualcuno ha cercato di usarle proprio tutte, come un bimbo che vede un giocattolo nuovo e vuole provare a spingere ogni bottone colorato. Alcune delle atmosfere che sono state create hanno risucchiato lo spettatore all’interno di un video game, di un film o di una pittura, ma le qualità dei musicisti, le loro storie, l’autenticità e la capacità di entrare in risonanza con l’energia dell’universo, hanno fatto la differenza.

I testi, poveri come non mai, anche quelli di brani interessanti, hanno testimoniato l’attuale incapacità dell’essere umano di comunicare con la parola, mentre le musiche hanno toccato una gamma ampissima di generi e fusioni con costruzioni originali o azzardate e soluzioni toccanti.

Negli anni ci sono state ondate di stili di moda che hanno influenzato la manifestazione in modo trasversale, e così è stata la volta del folklorico col recupero e la rivisitazione di strumenti e costumi tradizionali, quella del romanticismo poetico, quella del sociale, sempre all’interno dei valori di pace, unità e convivenza tra i popoli che la manifestazione dice di voler sostenere. Questa volta, sulla scia della vittoria nel 2024 di Nemo (artista dichiaratamente queer che fonde il pop con l’opera), non è mancata l’originalità dei costumi e delle voci liriche, che non sono riuscite però ad occupare il “centro energetico” della kermesse, se non nel caso del vincitore, a cui dedico un commento nel finale. Si è sentito invece, nel sottofondo di molte canzoni, il ritmo della guerra e dalle quinte, ma non solo, è filtrata la solitudine esistenziale e l’ingiustizia che accompagnano la carenza – e la ricerca- di speranza.

Il filo sottile della speranza che si manifesta nei momenti catastrofici è sorto in alcuni brani che hanno espresso in modo più o meno esplicito un possibile contatto con la sfera spirituale, quella della profondità umana, facendo vibrare una frequenza emotiva più alta, che supera le vicende personali e universalizza le vicende esistenziali. Questo filone è quello che mi ha colpito di più, sono poche canzoni che vorrei commentare.

Lo spirituale puro

Le “ondine” lettoni (Tautumeitas – Bur Man Laimi) hanno messo in scena, ricreandolo nella fusione fra antico e contemporaneo, un vero e proprio rito sciamanico di risveglio con suggestioni sonore e immagini evocative dell’animismo arcaico che giace nel fondo e alla base di qualunque ricerca spirituale. “Non conoscevo la mia felicità finché non ho incontrato la mia miseria” è la chiusura dell’ultima strofa della canzone.

Allo stesso modo, una nuova generazione di artisti ucraini, con estetica e sonorità che ricordano gli anni ‘70, come degli elfi in un paesaggio lisergico (Ziferblat – Bird of Pray) hanno pregato esplicitamente e con potenza. “Cerco la luce, scavalcherò montagne e ti chiamerò… per vivere e condividere il mio cuore con chi sa volare”, i giovani artisti hanno stimolato un’esperienza emotiva molto particolare con i salti musicali, le voci e le suggestioni simboliche della loro performance.

L’esistenziale universalizzato

Passando ai brani che partono dall’esperienza esistenziale e la elevano, una giovane Monna Lisa nordica che si è presentata per la Svizzera (Zoë Më – Voyage) è uscita da un quadro di Caravaggio portando un’infinita dolcezza che è sgorgata da lei e ha illuminato nonostante la mancanza di amore e l’incomprensione. La cantante francese che da figlia si è ritrovata mamma (Louane – Maman) nel dialogo immaginario con sua madre ha usato il seme come simbolo e una clessidra senza contenitori che fa scorrere il flusso continuo dei semi ed evoca la tentazione di fermare il tempo. L’antieroe italiano (Lucio Corsi – Volevo essere un duro) ha portato a estrema sintesi la difficoltà di vivere in quest’epoca, recitando uno dei testi più complessi e poetici del festival “…non ho mai perso tempo, è lui che mi ha lasciato indietro” e, con un’estetica felliniana, ha usato ben poche opzioni del super palco giocattolo tecnologico.

Altri brani particolari

Sono degne di menzione altre tre canzoni, per ragioni diverse ma legate dal fatto di avere un tono ludico, considerando la tristezza o la tragedia espressa da tanti autori in un modo o nell’altro:

la performance del gruppo svedese (KAJ – Bara bada bastu) che ha inscenato un teatrino divertente di un pic-nic con sauna, forse in modo auto-ironico; il discusso caffè espresso del rapper estone (Tommy Cash – Espresso macchiato) nella sua performance dadaista sia nel modo di usare le parole che le scene; la fuga per mare alla ricerca di un posto migliore, (verso la Groenlandia???) di un duo di ragazzini islandesi (Væb – Ròa) che sembrano parte di un videogame. Un breve capitolo a parte per la canzone proposta dal duo albanese (Shkodra Elektronike – Zjerm), che, alla musica e la scenografia raffinate, ha provato ad aggiungere il tentativo di parlare di questioni esistenziali e sociali insieme.

Chi ha vinto

Il giovane Ulisse austriaco che (JJ – Wasted love) con una voce che assomiglia più a una sirena che a un uomo, si è afferrato al palo della sua fragile imbarcazione fino a giungere al faro, ha prodotto un effetto di coincidenza di simboli opposti di forza e debolezza, e ha impressionato tutti per il suo virtuosismo canoro nel brano dalla melodia convincente e dal testo minimalista che si dispera per l’amore sprecato. Come abbia potuto vincere una canzone confezionata in tempi brevi ed esclusivamente per questo contest, di un artista in erba e sconosciuto ai più anche in patria, è il mistero che circonda quasi sempre le vittorie dei concorsi canori più celebri e seguiti.

Due parole sull’artista Israeliana (Yuval Raphael – New day will rise), la cui canzone ha ricevuto il numero più alto di punteggio del pubblico, nonostante fosse al limite della media delle canzoni presentate, sia per la musica che per il messaggio che suona come un tiepido e nefasto: andrà tutto bene. Ci sarebbero stati molti modi per partecipare a questo incontro dando un segnale di pace e unità e convivenza fra i popoli. Sventolare due bandiere invece che una all’ingresso, cantare in duetto con una cantante palestinese di Israele e così via, spendere una parola in più oltre “grazie”. Evidentemente non ne ha avuto l’intenzione, facendo invece circolare l’informazione della sua sopravvivenza al famoso Rave del 7 ottobre. Che dire di più? Anche cantando, questa davvero non ci passa.

Senza dubbio una vittoria meritata, anche se non ufficializzata con un premio, è stata quella del trio di conduttrici (Unziker, Hazel, Studer), che hanno saputo dare agli intermezzi quel pizzico di umorismo svizzero, poco noto ai più, giocando con autoironia sulle caratteristiche che rendono gli svizzeri orgogliosi di esserlo.

Silvia Nocera