
Pena di morte ed espulsioni, il futuro di Silwan e Cisgiordania
Associazionie amicizia italo-palestinese - Sunday, November 16, 2025Pena di morte ed espulsioni, il futuro di Silwan e Cisgiordania | il manifesto
Michele Giorgio Il Manifesto
Terra rimossa Avanza alla Knesset la legge voluta da Itamar Ben Gvir per colpire i «terroristi palestinesi». A Silwan altre famiglie espulse dalle loro case

Una manifestazione contro le demolizioni di case a Gerusalemme -Mostafa
Gli avvocati erano riusciti a strappare ai giudici israeliani lo slittamento di qualche settimana degli ordini di espulsione di decine di famiglie palestinesi a Silwan, ai piedi della città vecchia di Gerusalemme. Ma due, la Odeh e la Sweiki, domenica hanno già visto occupata e confiscata la loro casa. Un’altra, la Rajabi, ha ricevuto la «visita» della polizia e presto perderà la sua abitazione. L’ombra dei coloni israeliani e della legge israeliana a senso unico grava sempre di più su Silwan e sui rioni di Batn al Hawa e Bustan. Dopo anni di battaglie legali, gli sfratti politici nella zona araba della città occupata da Israele nel 1967 diventano esecutivi con l’impiego di decine di poliziotti. Il clima è cupo e a renderlo più opprimente è il dibattito sulla «pena di morte per i terroristi» (palestinesi), in corso ad appena tre chilometri di distanza da Silwan, alla Knesset, per iniziativa del ministro israeliano della Sicurezza, Itamar Ben Gvir. La legge verrà approvata «rapidamente e senza compromessi» dal parlamento, ha promesso Ben Gvir. Quando sarà approvata in via definitiva, i giudici manderanno davanti al boia coloro che avranno commesso l’omicidio di un israeliano per motivi nazionalistici, quindi solo i palestinesi.
«La situazione è pessima, peggiora giorno dopo giorno. Siamo disperati, non sappiamo dove andare e a chi chiedere aiuto» ci dice al telefono Zohair Rajabi, attivista di Batn al Hawa e cugino di Nasser Rajabi, al quale potrebbero portare via la casa nel giro di qualche giorno. «Nasser – racconta Zohair – ha cinque figli, uno dei quali disabile. Gli israeliani gli porteranno via la casa e per lui e la sua famiglia trovare un alloggio sarà impossibile. In città gli affitti sono altissimi per i nostri stipendi molto bassi». La famiglia Rajabi è solo una delle tante a vivere con la paura costante di perdere la propria casa. L’ordine di sfratto stabilisce che dovrà uscire dall’abitazione entro il primo dicembre. Altrimenti sarà cacciata via con la forza. Sullo sfondo di queste sentenze ci sono le organizzazioni dei coloni israeliani.
Durante i due anni di offensiva contro Gaza, al riparo dagli obiettivi delle telecamere, i coloni e le autorità israeliane sono riusciti a cambiare ulteriormente il volto di Silwan. Oltre alle evacuazioni di Batn al Hawa, è vicino al completamento lo scavo della via Erodiana e avanza il piano di demolizione del rione Bustan. Questi progetti cambieranno il volto dell’intera Silwan, aumentando il numero dei coloni e rendendo la vita più complicata agli abitanti palestinesi. L’organizzazione israeliana Ateret Cohanim rivendica la proprietà di oltre 5.200 metri quadrati di terreno, sostenendo che appartenevano a ebrei yemeniti fin dal 1881. L’argomento legale si fonda su di un trust istituito nel 1890 per ospitare immigrati ebrei dallo Yemen, abbandonato negli anni Trenta e poi riattivato nel 2001 con il trasferimento del diritto di gestione ad Ateret Cohanim da parte del cosiddetto Custode israeliano delle proprietà degli assenti. Da allora, 87 famiglie palestinesi hanno ricevuto ordini di sgombero, citazioni legali e minacce. Domenica, durante l’irruzione della polizia, Asmahan al-Shweiki, una settantenne, ha avuto un collasso ed è stata portata all’ospedale.
La situazione non è diversa nella Cisgiordania occupata. Nel villaggio di Umm al-Khair, a sud di Hebron, gli abitanti attendono l’arrivo dei bulldozer militari israeliani. Quattordici strutture, tra cui il centro comunitario e la serra, saranno demolite. Molti residenti hanno ricostruito le case distrutte decine di volte. Israele parla di «costruzioni illegali». Ma ottenere un permesso di costruzione per i palestinesi è quasi impossibile: secondo l’organizzazione Bimkom, tra il 2016 e il 2021 il 99% delle richieste è stato respinto. I coloni dell’insediamento di Carmel, accanto al villaggio, hanno spesso preso parte ad atti di violenza. All’inizio del 2025, un settler ha ucciso l’attivista Awdah Hathaleen mentre si trovava nel centro destinato ora alla demolizione.
Nei villaggi cisgiordani, nel frattempo, non si arrestano gli attacchi dei coloni contro gli uliveti. A Khirbet al-Taban, nella zona di Masafer Yatta, sono stati sradicati circa settanta alberi nelle ultime ore. Tra i 14 palestinesi feriti nel fine settimana a Beita ci sono anche cinque giornalisti picchiati dai coloni. La fotoreporter della Reuters, Ranin Sawafteh, ha subito fratture e contusioni. Dall’ottobre 2023, con l’inizio della guerra a Gaza, la violenza dei coloni e gli spari delle forze israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono aumentati drasticamente: oltre mille palestinesi sono stati uccisi e migliaia arrestati.