
Per Paolo Virno
EuroNomade - Tuesday, November 11, 2025Segnaliamo alcuni fra i molti ricordi di Paolo Virno che sono stati pubblicati all’indomani della sua morte.
Francesco Raparelli, E ci mancheranno «le parole per dirlo». Paolo, ciao, su Dinamopress:
Succede, nella vita, che si impara a parlare una seconda, una terza volta, e ancora. A me, così è accaduto con Paolo Virno. Paolo Virno era un filosofo, quindi un artista delle parole. Uno che afferrava cristalli di pensiero, un’idea di mondo, nelle regole grammaticali. Uno che non aveva mai perso di vista ciò che conta, ovvero che pensiero e prassi sono tutt’uno con le preposizioni: “con”, “tra”, “fra”. Si agisce e si pensa con le altre e gli altri, tra le altre e gli altri, fra una cosa e l’altra. Nel mezzo – senza principio né fine.
Aula 6 di Lettere, Sapienza, primavera del 1998. Per ricordare l’anno 1968, presentavamo il libro di Bifo dedicato a Potere Operaio. Comparve Paolo. Il corpo, senz’altro – così alto. Ma il corpo con la parola, con una parola che sapeva farsi corpo con i gesti delle mani, con la voce e il suo volume cangiante, imprevedibile. Filosofo del linguaggio, del linguaggio di Paolo mancava qualcosa senza vedere le mani, e la braccia, con quei movimenti ampi, quasi preparassero la scena dell’enunciato. «L’inserzione del linguaggio nel mondo», avrebbe detto lui.
Christian Marazzi, Scavare il linguaggio: l’insegnamento di Paolo Virno, su Effimera:
Dobbiamo scavare marxianamente nel linguaggio, ma nel linguaggio ormai interno ai processi produttivi, il linguaggio messo al lavoro dopo la crisi del fordismo. Così ci diceva Paolo, definendo un programma di lavoro collettivo di lungo corso per costruire le nuove armi della lotta della moltitudine. Convenzione e materialismo è del 1986; è in quel libro che, per la prima volta, si parla del computer come “macchina linguistica”, la tecnologia che ha determinato la svolta linguistica dei processi di digitalizzazione e valorizzazione dell’economia, del mondo, della vita. In parte lo scrisse in prigione, nella cella in cui si trovavano anche Toni Negri e Luciano Ferrari Bravo. Luciano una volta mi descrisse il ticchettio della macchina da scrivere di Paolo intento a scrivere i suoi testi: lento, con lunghe pause tra una parola e l’altra, come se Paolo accarezzasse ogni lettera, come se ogni parola fosse un corpo in divenire. Sembrava che le stesse ascoltando quelle parole, scendendo nella profondità della loro verità, della loro carnalità. A volte usava parole arcaiche, quasi a significare una storia iniziata da molto tempo, la storia della lotta di classe.
Giuliano Santoro, Sostanza di cose sperate, su Jacobin Italia:
«Una cosa è far finta di aver letto Schumpeter o Keynes e una cosa è far finta di aver letto il ‘Libretto’ di Mao» così, con la consueta divertita ironia, che nascondeva con fare dinoccolato e sorrisi velati da malinconia, Paolo Virno raccontava la postura teorica-politica di Potere operaio, gruppo al quale aderì da adolescente nel 1969. Lo diceva per esprimere ciò che ne aveva tratto: la larghezza degli orizzonti culturali, la necessità di misurarsi coi giganti, anche lontani o nemici, per andare alla radice delle contraddizioni.
Con le certezze che ci consegna il senno del poi, possiamo dire che quella vastità di riferimenti è stata anche la condizione del durare a lungo. In fondo, una delle caratteristiche di Virno e di molti dei suoi compagni e compagne è stata quella di aver mantenuto questa ottica rivoluzionaria senza rigidità, di non aver chiuso la porta ai mutamenti costanti del capitalismo e di averli guardati negli occhi per coglierne le contraddizioni e le opportunità liberatorie. Senza perdere radicalità ma senza abbandonarsi a rimpianti.
L'articolo Per Paolo Virno proviene da EuroNomade.