Per Paolo Virno
Segnaliamo alcuni fra i molti ricordi di Paolo Virno che sono stati pubblicati
all’indomani della sua morte.
Francesco Raparelli, E ci mancheranno «le parole per dirlo». Paolo, ciao, su
Dinamopress:
> Succede, nella vita, che si impara a parlare una seconda, una terza volta, e
> ancora. A me, così è accaduto con Paolo Virno. Paolo Virno era un filosofo,
> quindi un artista delle parole. Uno che afferrava cristalli di pensiero,
> un’idea di mondo, nelle regole grammaticali. Uno che non aveva mai perso di
> vista ciò che conta, ovvero che pensiero e prassi sono tutt’uno con le
> preposizioni: “con”, “tra”, “fra”. Si agisce e si pensa con le altre e gli
> altri, tra le altre e gli altri, fra una cosa e l’altra. Nel mezzo – senza
> principio né fine.
>
> Aula 6 di Lettere, Sapienza, primavera del 1998. Per ricordare l’anno 1968,
> presentavamo il libro di Bifo dedicato a Potere Operaio. Comparve Paolo. Il
> corpo, senz’altro – così alto. Ma il corpo con la parola, con una parola che
> sapeva farsi corpo con i gesti delle mani, con la voce e il suo volume
> cangiante, imprevedibile. Filosofo del linguaggio, del linguaggio di Paolo
> mancava qualcosa senza vedere le mani, e la braccia, con quei movimenti ampi,
> quasi preparassero la scena dell’enunciato. «L’inserzione del linguaggio nel
> mondo», avrebbe detto lui.
Christian Marazzi, Scavare il linguaggio: l’insegnamento di Paolo Virno, su
Effimera:
>
> Dobbiamo scavare marxianamente nel linguaggio, ma nel linguaggio ormai interno
> ai processi produttivi, il linguaggio messo al lavoro dopo la crisi del
> fordismo. Così ci diceva Paolo, definendo un programma di lavoro collettivo di
> lungo corso per costruire le nuove armi della lotta della moltitudine.
> Convenzione e materialismo è del 1986; è in quel libro che, per la prima
> volta, si parla del computer come “macchina linguistica”, la tecnologia che ha
> determinato la svolta linguistica dei processi di digitalizzazione e
> valorizzazione dell’economia, del mondo, della vita. In parte lo scrisse in
> prigione, nella cella in cui si trovavano anche Toni Negri e Luciano Ferrari
> Bravo. Luciano una volta mi descrisse il ticchettio della macchina da scrivere
> di Paolo intento a scrivere i suoi testi: lento, con lunghe pause tra una
> parola e l’altra, come se Paolo accarezzasse ogni lettera, come se ogni parola
> fosse un corpo in divenire. Sembrava che le stesse ascoltando quelle parole,
> scendendo nella profondità della loro verità, della loro carnalità. A volte
> usava parole arcaiche, quasi a significare una storia iniziata da molto tempo,
> la storia della lotta di classe.
Giuliano Santoro, Sostanza di cose sperate, su Jacobin Italia:
> «Una cosa è far finta di aver letto Schumpeter o Keynes e una cosa è far finta
> di aver letto il ‘Libretto’ di Mao» così, con la consueta divertita ironia,
> che nascondeva con fare dinoccolato e sorrisi velati da malinconia, Paolo
> Virno raccontava la postura teorica-politica di Potere operaio, gruppo al
> quale aderì da adolescente nel 1969. Lo diceva per esprimere ciò che ne aveva
> tratto: la larghezza degli orizzonti culturali, la necessità di misurarsi coi
> giganti, anche lontani o nemici, per andare alla radice delle contraddizioni.
>
> Con le certezze che ci consegna il senno del poi, possiamo dire che quella
> vastità di riferimenti è stata anche la condizione del durare a lungo. In
> fondo, una delle caratteristiche di Virno e di molti dei suoi compagni e
> compagne è stata quella di aver mantenuto questa ottica rivoluzionaria senza
> rigidità, di non aver chiuso la porta ai mutamenti costanti del capitalismo e
> di averli guardati negli occhi per coglierne le contraddizioni e le
> opportunità liberatorie. Senza perdere radicalità ma senza abbandonarsi a
> rimpianti.
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