Valerio V.

Comune-info - Sunday, September 21, 2025

Lo scambio di vedute era stato aspro, ideologico, quasi surreale. S’era fatto tardi e il cortile buio del palazzone dove la mattina s’infilavano i duemila studenti romani del liceo Archimede era avvolto da un silenzio raro. «Ma insomma la rivoluzione con chi la vuoi fare? Pensi che un giorno la gente possa seguire noi, qualche migliaio di stupide avanguardie? La rivoluzione culturale ha detto: lasciate che nel movimento le masse si educhino da sole».

La tramontana sollevava il cappuccio dell’eskimo coprendogli il viso e ricacciava in gola il fumo che usciva denso con le nostre parole.

Valerio ebbe un gesto di collera, la reazione comune di un giovanissimo «autonomo» verso un «professorino del ‘pacifesto’» già alle prese con la maturità. La pace, nel febbraio del ’77, era un insulto. Era la pace dei padroni e poteva servire solo a tenerci buoni. Quelli del manifesto, poi, la sapevano lunga in fatto di astrazioni teoriche utili solo a rimandare l’ora X. «Non lo so, ci devo pensare», disse Valerio.

Poi, per un istante che con gli anni si è fatto interminabile, i fari di un’auto accesero il suo viso: rideva. Quel sorriso di lupetto, capace di intenerire chiunque.

Tre anni dopo, il 22 febbraio del 1980, tre persone suonarono alla porta di casa Verbano, in via Monte Bianco. «Siamo amici di suo figlio, vorremmo parlargli», dissero. La signora Rina aprì la porta. Venne legata e imbavagliata con il marito mentre i fascisti, incappucciati, aspettavano che Valerio rientrasse. Un colpo alla nuca, sparato col silenziatore, spense per sempre quel sorriso di lupetto e chiuse il conto con i dubbi e le passioni rivoluzionarie. La signora Rina riuscì ad aprire col mento la porta della stanza in cui l’avevano chiusa. Fece in tempo a vedere gli ultimi istanti del suo ragazzo che moriva, tre giorni prima di compiere 19 anni.

Un silenzio lungo 26 anni copre i nomi degli assassini e il dossier sui neofascisti che Valerio aveva raccolto. Un dossier scomparso, forse, fra le mani del giudice Mario Amato, ucciso dai Nar il 24 giugno del 1980. In aprile, Rina Zappelli avrà 82 anni. Ricorda le ultime parole di suo marito, Sardo Verbano: «Speriamo che almeno tu, col tempo, riuscirai a sapere». Lei vive ancora per questo, per sapere. Nel quartiere di Montesacro, una via prenderà il nome di Valerio grazie a un’iniziativa di Massimiliano Smeriglio. L’avvocato Guido Calvi pensa che si possa «riaprire il caso». Strano destino, quello di certe parole: oggi i fascisti fanno i ministri, i pochi che parlano [sottovoce] di rivoluzione hanno smesso di sognare il sol dell’avvenire e il risveglio delle masse e cercano relazioni sociali anticapitaliste qui e adesso.

Pubblicato su Carta nel novembre 2005 (come editoriale senza titolo)

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