“Il 7 ottobre ha segnato una nuova fase”. Intervista a Leila Khaled

Associazionie amicizia italo-palestinese - Sunday, September 7, 2025

di Julio L. Zamarrón *

All’inizio del 2025, un collettivo composto da volontarie e volontari di diversi territori dello stato spagnolo ha potuto intervistare la leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina che dà il nome a questa Brigata: Leila Khaled.
La storica guerrigliera palestinese di 80 anni riflette in esclusiva sul genocidio, la resistenza, il presente e il futuro della Palestina in un’intervista estesa pubblicata in tre parti in esclusiva per Canal Red.

D: Sarebbe fantastico iniziare parlando con te degli eventi dell’ultimo anno. Stiamo assistendo a un genocidio flagrante, di cui tutta l’umanità è testimone e possiamo affermare che è evidente, poiché sia i popoli occidentali che quelli arabi vedono quotidianamente, in modo chiaro, le stragi perpetrate dal sionismo israeliano. In una precedente intervista, hai menzionato che il 7 ottobre ha segnato l’inizio della liberazione palestinese. Cosa significa per te la liberazione palestinese? Come la definisci?

R: Il 7 ottobre ha segnato una nuova fase nella storia del movimento nazionale palestinese. Non è stata un’operazione militare comune, ma un vero punto di svolta.
Da una prospettiva militare, lo spiegamento di 3.000 combattenti in un’azione simultanea non ha precedenti. Ciò che è accaduto quel giorno è stata una dichiarazione chiara al mondo intero che il popolo palestinese vive sotto occupazione e che è giunto il momento di iniziare il suo processo di liberazione.

Così è come io intendo il 7 ottobre. Questo evento ha avuto un impatto e una risonanza globale. Il massacro non era ancora iniziato, ma la risposta è arrivata dopo sotto forma di genocidio.
Questo è un conflitto storico. Il popolo palestinese da cento anni combatte per la sua libertà e indipendenza, passando attraverso diverse fasi nella sua storia. Non siamo stati i primi a impugnare le armi e a combattere. Partiamo dalla premessa che la liberazione non può essere raggiunta attraverso negoziati né per nessuna altra via che non sia la lotta armata. E questa non è un’invenzione palestinese.
Lungo la storia, numerosi popoli hanno utilizzato questo mezzo per raggiungere la propria indipendenza, riuscendo a sconfiggere i loro colonizzatori in diversi momenti. In questo contesto, il 7 ottobre ha rappresentato l’inizio di una nuova fase, l’inizio della liberazione.
Dal punto di vista strategico, l’azione militare di quel giorno ha segnato una pietra miliare. Un gruppo di 3.000 combattenti è riuscito a entrare in una base militare israeliana, situata all’interno di un insediamento, senza affrontare una resistenza significativa. Questo fatto ha amplificato la visibilità internazionale della causa palestinese. Il 7 ottobre è stato il risultato di decenni di lotta del popolo palestinese e del movimento nazionale palestinese, con tutte le sue ideologie e correnti di pensiero.

Qual era l’obiettivo di questa azione? Dall’inizio, ha scosso le fondamenta del nostro nemico, che occupa la nostra terra sotto un regime coloniale e di sostituzione demografica.
Quando parliamo di questa occupazione, ci riferiamo a un fenomeno distinto da qualsiasi altro nella storia. Per questo consideriamo il 7 ottobre come il culmine della lotta accumulata del popolo palestinese lungo tutte le sue fasi. Non è avvenuto per caso, ma era una necessità per la liberazione.
Il popolo palestinese ha resistito dal 1917, quando fu emessa la Dichiarazione Balfour, che prometteva una patria nazionale per gli ebrei in Palestina. Ma questa non è stata una colonizzazione convenzionale, in cui eserciti occupano territori, come si è visto nella storia. Per questo ha un’importanza speciale nella vita del popolo palestinese.
Ora, parliamo dei risultati fino a questo momento. Innanzitutto, questa battaglia dura già da un anno e due mesi. [l’intervista è stata realizzata alla fine del 2024]. In questo processo, il nemico, i suoi alleati e i suoi sponsor, specialmente gli Stati Uniti, hanno giocato un ruolo fondamentale. Per la prima volta nella nostra storia con il nemico sionista in Palestina, l’occupazione non si limita solo a un’amministrazione militare e a un popolo sottomesso. È un fenomeno molto più ampio e complesso.
Le stragi sono iniziate nel 1948. Tuttavia, il popolo palestinese ha resistito dal 1917, affrontando la Dichiarazione Balfour e la migrazione sionista. Senza entrare in troppi dettagli, il 7 ottobre rimarrà registrato come un momento chiave in questa lotta storica, riaffermando che la resistenza palestinese è ancora vigente e non ha cessato il suo obiettivo di raggiungere la libertà.

D: Consideri che il prezzo che sta pagando il popolo palestinese sia troppo alto? Con tante vittime, diresti che questa conseguenza era prevedibile e che si era preparati ad assumerla? O credi che ora il popolo palestino sia semplicemente una vittima? È questo prezzo necessario?

R: Il conflitto con il nemico ha sempre avuto vittime. Sempre. Siamo vittime dello sfollamento, poiché non tutti i palestinesi sono nella loro terra. Siamo il risultato di una Nakba continua, che è ancora vigente dal 1948.
Il popolo palestinese continua a combattere e ad affrontare tutte le sfide perché non abbiamo altra opzione. Non c’è alternativa per chi ancora vive nei campi profughi. L’occupazione militare è ancora presente in Palestina, e tutto il popolo palestinese soffre le conseguenze di una Nakba che non è ancora finita.
Stiamo pagando un prezzo? Sì, siamo consapevoli che il costo è alto. Le carceri sono piene. Questo non è un fenomeno recente. Non è iniziato nel 1967, ma molto prima, durante il mandato britannico in Palestina. E questo prezzo lo assumiamo volontariamente, perché non abbiamo altra opzione se non vincere. Finché il nemico rimane sulla nostra terra dobbiamo affrontarlo.
Tuttavia, questa volta il costo è stato ancora maggiore. L’occupazione ha attaccato il nostro popolo con una brutalità senza precedenti. Non è la prima guerra sulla nostra terra; dal 2008, abbiamo affrontato sei offensive. In tutti questi anni, il popolo palestinese ha resistito. Per questo, il 7 ottobre è stato un avvenimento che ha sorpreso positivamente. Sapevamo che avremmo pagato un prezzo, ma, per essere onesti, non ci aspettavamo che fosse con il sangue dei nostri bambini, donne e popolo.
Nonostante tutto, il popolo palestinese continua a sostenere la resistenza, anche dentro Gaza. La gente è stanca, sì, ma non ha espresso il suo rifiuto alla lotta. Pertanto, comprendiamo che questo cammino esige grandi sacrifici. La storia ha dimostrato che la liberazione delle nazioni avviene solo in questo modo.

D: I mezzi di comunicazione hanno concentrato la loro attenzione esclusivamente sugli ostaggi a Gaza e, in molti casi, su Hamas, senza considerare che quanto accaduto il 7 ottobre è stato un atto di resistenza, come tu hai descritto precedentemente. Qual è la tua posizione politica su questo approccio?

R: L’approccio principale si è concentrato su Hamas. La menzogna dello Stato occupante è che afferma di essere contro un’organizzazione, quando in realtà è contro il popolo palestinese. Coloro che combattono, indipendentemente dalla fazione a cui appartengono, fanno parte del popolo palestinese. Loro tentano di riscrivere la storia secondo i loro propri interessi e desideri, con l’obiettivo di cambiare la narrativa.
Tuttavia, sappiamo che la resistenza fa parte essenziale del popolo palestinese. Fazioni come Hamas, la Jihad Islamica o il Fronte Popolare hanno fatto ricorso alle armi in passato e continuano a farlo oggi. Per questo, è comprensibile che i media occidentali insistano sul fatto che Israele, che chiamiamo lo “Stato illegittimo”, è stato creato da una risoluzione dell’ONU. Tuttavia, dobbiamo rimandarci alla storia per ricordare che Israele non è uno Stato comune.
Israele fa parte del movimento sionista, un progetto appoggiato dall’Occidente, con tutto il suo sistema e protetto da risoluzioni dell’ONU. Questa è una tragedia reale per noi come popolo, poiché ci viene presentata solo una parte della storia: l’esistenza di Israele come Stato.
Nel frattempo, i palestinesi siamo classificati unicamente come profughi che hanno bisogno di aiuto umanitario, come se la nostra situazione fosse semplicemente una crisi umanitaria, e non la lotta di un popolo che rivendica i suoi diritti e il suo ritorno alla sua terra. Ci negano il diritto al ritorno, ma noi affermiamo che questa è una lotta per la libertà, l’indipendenza e per la nostra terra.

D: Si afferma che il Mossad avesse conoscenza preventiva dell’attacco del 7 ottobre e abbia optato per permettere che accadesse.

R: Il Mossad mente, come tutti i suoi leader. Mentono per dare l’impressione di essere informati e preparati.
Dal primo giorno, Netanyahu ha dichiarato la guerra e poi ha accusato i servizi di sicurezza di negligenza. Ma, il Mossad non fa forse parte di quegli stessi servizi di sicurezza? Vogliono attribuirsi meriti. Credono che la Palestina appartenga loro e vogliono far credere che stanno difendendo la loro terra.
Ma, è così? Se affermano che stanno difendendo la loro terra, significa che riconoscono di aver oppresso un popolo e di essere stati occupanti. Allora, perché si sorprendono che ci sia una risposta? Come possono fare un’affermazione del genere? Oggigiorno, con la tecnologia e i social media, i segreti sono pochi. Tutti possono vedere ciò che accade attraverso i loro telefoni. Pertanto, stanno mentendo.
Ora hanno formato un comitato per investigare chi è il responsabile. Netanyahu, nonostante la sua posizione di primo ministro, non ha assunto alcuna responsabilità. Accusa altri e si scusa. Ma se fosse realmente innocente, perché ha mobilitato il suo esercito? Perché ha dichiarato la guerra? Con quale scopo?

D: Non vogliamo continuare a parlare del 7 ottobre, poiché crediamo che tu l’abbia chiarito. Tuttavia, prima di cambiare argomento, un’ultima domanda: Nell’ultimo anno, siamo stati testimoni di manifestazioni in Israele in protesta contro la guerra. Sappiamo che un’alta percentuale della società israeliana appoggia il progetto sionista e sostiene l’occupazione. Questa parte della società è contro l’esistenza del popolo palestinese e anche contro il concetto di due Stati. In Occidente, alcuni credono che ci siano giovani progressisti, anche comunisti e anarchici che protestano a Tel Aviv contro la guerra, e il loro messaggio ha un grande impatto sulla gioventù occidentale. Quale messaggio hai per loro sulla realtà della gioventù israeliana e la sua opposizione al genocidio?

R: Le manifestazioni in Israele sono iniziate prima del 7 ottobre, in protesta contro una riforma giudiziaria promossa dal governo, che cercava di dare a Netanyahu un maggiore controllo sul sistema giudiziario del paese. Inizialmente, le proteste erano dirette contro Netanyahu, ma dopo il 7 ottobre hanno cambiato focus. Il loro slogan principale si è concentrato sulla questione degli ostaggi, invece di esigere la fine della guerra.
Questo non è un popolo, ma una società eterogenea che si trova sulla nostra terra sotto il nome di “Stato di Israele”. Per questo, il 7 ottobre ha rivelato verità che il mondo ignorava fino a quel momento. Ora, il mondo sa qual è l’origine di questo conflitto e perché persiste. Non si tratta solo di un conflitto con i palestinesi, ma contro tutta la nazione araba. Dal 1948, siamo stati testimoni di numerose guerre con Egitto, Siria, Giordania e altri paesi.
Perché? Perché il progetto sionista ha come obiettivo principale l’instaurazione dello Stato di Israele, un obiettivo che è già stato raggiunto. L’altro progetto è che Netanyahu osi dire che cambierà il Medio Oriente mentre è immerso a Gaza, e il suo esercito è intrappolato lì.
Per la prima volta nella storia di Israele, questa entità ha chiesto protezione, richiedendola agli Stati Uniti, che hanno risposto inviando navi e equipaggiamento in Medio Oriente. Ma la questione non risiede solo in questo. Ora, le verità sono più chiare e logiche, anche per questo mondo che ci ha negato e ci ha trattato solo come profughi, mentre siamo ancora sotto occupazione.
Oggi, tutto è chiaro. Sappiamo che questo è un genocidio, e il genocidio, per definizione, è lo sterminio di un intero popolo, qualcosa che gli israeliani stanno portando a termine. Questo costituisce un crimine di guerra. Tuttavia, fino ad ora, Israele non è stato punito per tutte le stragi commesse lungo la nostra storia. Per questo, ora si alza con più forza la voce mondiale che denuncia questo genocidio, esigendo che Israele sia punito.

La pressione sui tribunali internazionali perché prendano una decisione è crescente. È lamentabile che, nel 2004, la Corte Internazionale di Giustizia abbia già determinato che l’occupazione, gli insediamenti e il muro sono illegali. In questo contesto, la Corte Penale Internazionale dovrebbe basarsi su questa decisione, poiché l’occupazione è illegittima e illegale dall’inizio, e viola il diritto internazionale.
Non voglio entrare in altri argomenti, ma mi chiedo: chi ha definito il diritto internazionale? I paesi che hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale lo hanno stabilito, ma chi lo applica? Nessuno lo fa. Per questo, Israele si considera al di sopra del diritto internazionale.

D: Parliamo della Palestina, della Palestina storica, come hai menzionato parlando delle origini della causa. Attualmente, alcuni paesi come la Spagna e la Norvegia tentano di riconoscere lo Stato di Palestina, e credono che questa sia la soluzione. Comunicano, per esempio, con l’Autorità Palestinese, che sembra essere a favore della soluzione dei due Stati, secondo le notizie. Cosa pensi di questa iniziativa, del fatto che riconoscano lo Stato di Palestina? Sei a favore della soluzione dei due Stati? Esistono molte soluzioni e approcci differenti. Cosa vuole realmente il popolo palestinese? Questa è la grande domanda. A partire da qui, possiamo parlare dei progetti esistenti.

R: Il popolo palestinese vuole ritornare alla sua terra, è suo diritto, per poter decidere il suo destino sulla sua terra. Nessun popolo può decidere il suo destino stando fuori dal suo territorio. Una grande parte del popolo palestinese è in esilio.

Stiamo stabilendo uno stato, e alla fine si stabilirà uno Stato. Dall’inizio, noi non siamo a favore della soluzione dei due stati. Io rappresento l’Organizzazione del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, e il nostro nome riflette la nostra identità. Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina vuole la liberazione della Palestina. Per questo questo è il nome: liberazione della Palestina. Qualsiasi progetto che ci venga presentato che non sia questo, lo rifiutiamo.
Purtroppo, dopo l’intifada del 1987, un settore del popolo palestinese ha approfittato del momento e ha presentato una grande concessione negli accordi di Oslo. Prima di ciò, delegazioni di Madrid e Washington andavano e venivano. Ma l’idea principale e l’obiettivo è la liberazione della Palestina. Sorge sempre la domanda: cosa fare con gli ebrei? Non vogliamo far loro nulla. Dico sempre che fanno la domanda sbagliata. Non è forse nostro diritto ritornare e stare nella nostra patria?
C’è una risoluzione emessa dalle Nazioni Unite chiamata 194, che stabilisce il ritorno dei profughi alle loro case e il recupero delle loro proprietà come condizione per approvare che Israele sia membro delle Nazioni Unite. Le Nazioni Unite hanno accettato questo, hanno accettato di riconoscere Israele come un’entità per gli ebrei, come una patria nazionale per loro, hanno spartito la terra come hanno voluto e hanno detto che sarebbero stati due stati.
Questo è ciò che stabilisce la risoluzione 181 adottata dalle Nazioni Unite, la divisione della Palestina in due stati: uno stato ebraico e uno stato arabo, ma non hanno detto palestinese. Per questo si basano su questo argomento, dicendo: perché si stabilisce uno stato e non l’altro? Non si è stabilito lo stato palestinese ed è stato occupato da Israele nel 1967, annettendo più terre.
Sappiamo di questo progetto, perché come ho espresso prima riguardo all’occupazione, non è un’occupazione militare normale, come quelle di prima, dove semplicemente occupavano. L’Europa è sempre stata quella che ha colonizzato il mondo. Per questo diciamo che questa terra si chiama Palestina nella storia, nella geografia e nell’esistenza, come un’esistenza umana.
Ora queste questioni iniziano a chiarirsi un po’. Alcuni dicono che siamo contro l’occupazione delle terre occupate nel 1967. Bene, e che ne è delle terre occupate prima di ciò? Cosa ne pensano? Per questo non siamo a favore di nessuna soluzione che venga presentata né di nessun accordo. Qualsiasi accordo che si voglia fare riguardo al popolo palestinese e alla sua causa, se non mantiene il nostro diritto di esistere sulla nostra terra, di ritornare ad essa, e questo riguarda i profughi, e allo stesso tempo stabilisce un sistema politico per noi e per coloro che vogliono restare, mentre coloro che non vogliono restare possono ritornare al loro paese, al paese da dove sono venuti.
Per questo ora stiamo vedendo che molti israeliani vanno alle ambasciate per ottenere la cittadinanza dei loro nonni, padri o qualche parente. Perché sono venuti in diversi periodi, non sono venuti insieme, ma da molti paesi. Vogliono ottenere una risposta da noi: perché non lo chiedono a loro? Perché lo chiedono a noi?
La nostra risposta alla loro domanda su cosa faremo con gli ebrei è chiara: non vogliamo far loro nulla. Vogliamo liberare la nostra terra e ritornare ad essa. E questo a loro non piace, ci dicono che non accettiamo accordi e, per questo, vogliono combattere con noi.
Queste sono equazioni naturali. Dove c’è occupazione, ci sarà resistenza. Questo è stato presente in tutta la storia. Non abbiamo inventato la lotta armata. Cosa diciamo del Vietnam? Dell’Algeria? Del Sudafrica? Dei paesi dell’America Latina? Queste rivoluzioni sono avvenute in quei paesi, per cosa? Per la libertà del loro popolo.
Anche noi; non siamo diversi in questa questione. Pertanto, c’è una distorsione deliberata nei termini, fatta intenzionalmente per beneficiare l’entità sionista, non il popolo palestinese.
La domanda sull’Olocausto in Europa non deve essere diretta a noi. Non siamo stati noi, sono stati gli europei a farlo, non noi. Gli ebrei sono venuti da noi e noi li abbiamo ricevuti. Quando emigrarono in quella fase, li abbiamo ricevuti. Esistono video ancora disponibili che possono vedere, che mostrano come arrivarono in barche e come i palestinesi li aiutarono.
Perché sono venuti? Perché eravamo in Palestina sotto il colonialismo britannico, e ha facilitato loro questa missione. Poi, sono diventate bande, ci hanno tradito e ci hanno cacciato dal nostro paese. Non ai due stati, come si dice “un diritto che viene usato per uno scopo sbagliato. no, è un diritto”, nessuno ci concede il nostro diritto, siamo noi a strapparlo. E il nostro diritto è ritornare, e questa è la chiave della soluzione.
Non c’è nessuna soluzione che possa avanzare, come gli accordi di Oslo, l'”offerta del secolo” e altri. Tutti sono progetti inutili, al contrario, sono progetti dalla parte nemica del popolo, i suoi diritti e i suoi sogni di libertà.

D: Non chiederò la tua opinione in relazione all’accordo di Oslo, perché è già fin troppo conosciuta. Tuttavia, la questione della soluzione dei due stati è rilevante ora, poiché quest’anno alcuni paesi hanno iniziato a riconoscere lo Stato di Palestina. Allo stesso tempo, continuano a inviare armi allo Stato occupante. Sostengono che se viene riconosciuto, si potranno ottenere più diritti. Questo punto mi piacerebbe che fosse conosciuto e discusso. La seconda questione è la seguente: in interviste precedenti, hai menzionato l’ipocrisia araba nella lotta palestinese. A cosa ti riferisci esattamente con l’ipocrisia araba?

R: I paesi arabi hanno normalizzato le loro relazioni con Israele. Usano la causa palestinese come una scusa. Dicono: ‘Siamo con il popolo palestinese, aiutiamo il popolo palestinese, e deve avere il suo proprio stato…’ Parlano di questo, e ora promuovono la soluzione dei due stati. Tuttavia, esiste una differenza tra creare uno stato in una parte liberata della nostra terra, come è accaduto a Gaza, dove gli israeliani hanno dovuto uscire perché sentivano che quel luogo era diventato un ‘nido di vespe’, come ha detto Isaac Rabin.
Non vogliono che quella situazione si ripeta nel resto della Palestina. Quello che cercano è distruggerci. Stiamo vivendo quello che si chiama genocidio. È una pulizia etnica, non solo un genocidio, ma un assassinio sistematico per sterminare un popolo.
Ci vedono come una razza non semitica che deve morire, noi e gli altri. E quelli che combattono l’antisemitismo sono stati testimoni di ciò che è accaduto, come ad Amsterdam. [si riferisce agli scontri contro i tifosi del club israeliano Maccabi] Ma questo è stato presente dall’inizio, per cui non dobbiamo temere i termini del nemico.
Ora non solo parlano di occupazione, ma anche di genocidio, e lo vediamo riflesso nei cartelli delle manifestazioni. La parola ‘apartheid’ sembra anche infastidire Israele. Attualmente, esiste una settimana dedicata alla lotta contro l’apartheid israeliano sionista. Nel terzo mese dell’anno, durante la prima settimana di marzo, si celebrano questi giorni di protesta contro l’apartheid. Questo stato è stato caratterizzato da due termini: apartheid e genocidio, combinati.
D. La causa palestinese si è fatta conoscere nelle strade occidentali e arabe. Non c’è nessuno che non legga, non c’è nessuno che non appoggi la Palestina, nessuno dice che non è genocidio. Ma in Europa, in Francia o Germania, questi slogan sono stati perseguitati. C’era o la paura che la gente scenda in strada e parli di ciò che sta succedendo. Oggi tentano di far sì che la frase ‘dal fiume al mare’ sia una frase terroristica o una frase antisemita. Cosa significa per te la frase ‘dal fiume al mare’? E quanto è importante?

R: Stiamo parlando della Palestina storica. È così, dal fiume fino al mare. È nei documenti religiosi. Non esiste qualcosa chiamato ‘Israele’. Anche nei documenti, non esisteva ‘Israele’. Esisteva la Palestina.

Nella Bibbia è Palestina, nel Corano è Palestina, nella Torah è Palestina. Come è accaduto? Non parliamo dal punto di vista storico. Cosa è successo? Ma vogliamo dire, cosa hanno fatto gli arabi in tutte le nostre guerre con loro? Nulla.
Al contrario, hanno consegnato la Palestina. Cosa erano prima? Non erano paesi, erano divisi. Dopo il governo ottomano, quindi, erano vincolati al colonialismo. Sia l’inglese che il francese, occuparono tutta la regione. La disegnarono a loro misura. Solo per dividere gli arabi.
E hanno alzato slogan con la causa palestinese. Ma non abbiamo visto azione. La cosa più pericolosa ora è che stanno normalizzando le relazioni. Sei paesi hanno normalizzato relazioni con Israele. L’Arabia Saudita sta aspettando che finisca la guerra per firmare il suo accordo. Forse questa guerra impedisce loro di firmare. Forse sentono un pericolo maggiore per loro. Ma fino ad ora non sentivano pericolo. Lo abbiamo visto nella Lega Araba. Quali decisioni hanno preso? Qualcosa di vergognoso. Questa è la nostra storia con loro. Notiamo che nei luoghi dove i palestinesi sono attaccati, nessun paese li ha difesi. I paesi arabi, alcuni hanno già normalizzato relazioni e altri no. Tutti sono dalla stessa parte.

* da Diario Red

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