Che cosa ha di inquietante l’autocoscienza maschile?

Comune-info - Sunday, September 14, 2025
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Quelli che oggi chiamiamo “stereotipi di genere”, se li guardiamo più profondamente, ci accorgiamo che non si tratta di “differenze”, ma di un processo sempre in atto di “differenziazione”, la spaccatura che ha diviso, contrapposto nella loro complementarità, parti inscindibili dell’umano, come il corpo e il pensiero, la ragione e i sentimenti, la biologia e la storia, e che perciò stesso tende alla loro riunificazione. Femminilità e virilità parlano di rapporti e di gerarchie di potere, di sfruttamento e di violenza, ma è innegabile che ritornano, sotto un altro aspetto, come i volti di quel desiderio di unità, appartenenza intima, che è il sogno d’amore: “il miracolo che di due esseri complementari fa un solo essere armonioso” (Sibilla Aleramo).

Di questa ambiguità delle figure di genere, strette dentro logiche di desiderio e di paura, di amore e di odio, di vita e di morte, a dare conto è stata finora la pratica che il femminismo ha chiamato “autocoscienza”: un pensiero e una parola spinti fin dentro le acque insondate della persona, ai confini tra inconscio e coscienza, tanto da portare allo scoperto vissuti che sfuggono alle costruzioni teoriche e al discorso politico tradizionalmente inteso, o che restano “impresentabili”.

Nei rari casi in cui sono stati uomini a vincere, nelle loro scritture, la ritrosia a parlare di sé, a esporre sentimenti, fantasie, ritenute “naturali” inclinazioni femminili, non sono mancate voci critiche anche nel femminismo. Il vissuto di un figlio, l’intreccio di sentimenti opposti di amore e odio, tenerezza e violenza, affidamento e autonomia, destano comprensibilmente inquietudini nella donna che, suo malgrado, ha fatta propria come portato “naturale” la maternità: madre sempre e comunque, che abbia o non abbia avuto figli. Se è stato storicamente lo sguardo dell’uomo, l’ideologia del patriarcato, a identificarla con la sessualità e la maternità, è nell’immaginario di un figlio maschio che prende corpo negli anni dell’infanzia e della adolescenza una relazione destinata a prolungarsi nella vita amorosa adulta, con tutte le sue contraddizioni e ambivalenze.

“Non c’è rivoluzione senza la liberazione delle donne”, scrivevamo nei volantini degli anni Settanta. Oggi direi “Non c’è liberazione senza una rivoluzione della coscienza maschile”. Se invece pensiamo che le donne siano “innocenti”, toccate dal patriarcato solo come vittime, e gli uomini malvagi “per natura”, allora non resta che chiederci perché continuiamo a mettere al mondo dei mostri.

Tra gli ultimi libri di Lea Melandri Come nasce il sogno d’amore e Dialogo tra una femminista e un misogino (Bollati Boringhieri). Nell’archivio di Comune, gli oltre duecento suoi articoli sono leggibili qui.

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