«Basta con l’economia di guerra»

Jacobin Italia - Tuesday, September 9, 2025
Articolo di Ferdinando Pezzopane, Giorgio De Girolamo

«Se veramente perdiamo il contatto con José e con gli altri, se si mette male per loro, si mette male per tutti», ci ribadisce Riccardo Rudino, portuale del Calp di Genova, che non cambia una virgola dell’impegno preso dal palco della grande manifestazione genovese in sostegno alla Global Sumud Flotilla (Gsf) del 30 agosto scorso.

Nella storia i lavoratori portuali più volte hanno incrociato le braccia in solidarietà alle lotte di resistenza dei popoli, bloccando le merci, ma anche diventando protagonisti dell’invio di beni di prima necessità. Due episodi, tra i molti, restituiscono questa storia di antimilitarismo e solidarietà internazionalista: nel 1962 a San Francisco l’International Longshore Warehouse Union (Ilwu) impegnata contro l’Apartheid boicottò le partenze di navi verso il Sud Africa, mentre sempre a Genova, quasi 10 anni dopo, nel 1973 partì la nave Australe carica di cibo verso il Vietnam, ancora coinvolta nella guerra di resistenza contro l’invasore americano. 

Il Calp nel 2019 è riuscito per la prima volta dalla sua nascita a bloccare una nave carica di armamenti verso l’Arabia Saudita, la Bahri Yanbu. Il messaggio? Essere solidali con i popoli oppressi e al fianco della loro resistenza. Da allora non si sono più fermati e ai loro appelli hanno aderito le realtà più disparate, dal pacifismo cattolico di Pax Christi agli anarchici, contribuendo a scrivere una pagina di successo della convergenza antimilitarista del nostro paese. Intanto però l’economia e la logistica della morte hanno accelerato. Ma con le guerre e con il genocidio in corso il fronte del porto ha continuato a essere vivo, con blocchi sempre più partecipati contro le navi cariche di materiale bellico verso Israele. Come a fine luglio,  quando il Calp, insieme ai solidali, è riuscito a far rinunciare Cosco al transito di armi dal porto ligure, rispedendo così la merce a Singapore, da dove era partita. Queste attività non sono passate inosservate agli occhi della repressione e sono valse ai portuali inchieste per «interruzione di pubblico servizio», «attentato alla merce», e finanche «associazione a delinquere», poi archiviate.

I portuali questa volta però non sono impegnati solo in blocchi, ma partecipi dell’organizzazione della più grande missione umanitaria dal basso verso Gaza, per rompere l’assedio: la Global Sumud Flotilla (Gsf). Non è la prima missione di questo tipo. Negli anni ci sono stati vari tentativi posti in essere dalle flottiglie, con alterni esiti. Tra il 2008 e il 2016 trentuno imbarcazioni provarono l’impresa, ma solo cinque furono in grado di aggirare il blocco navale che Israele impone illegalmente dal 2007. Nel 2010 le Forze di occupazione israeliane (Foi) attaccarono in acque internazionali la nave Mavi Marmara uccidendo dieci attivisti e ferendone dozzine. Da allora nessuna imbarcazione è mai riuscita a raggiungere la Palestina, venendo puntualmente abbordata dalle Foi in  acque internazionali e vedendo i propri equipaggi detenuti e successivamente deportati. Nel solo 2025 sono stati già quattro i tentativi di rompere l’assedio. 

La partenza della missione, posticipata dal porto di Catania ancora di alcuni giorni rispetto alla data prevista del 7 settembre per coordinarsi con le partenze da altri paesi, sta alimentando un grande processo di solidarietà, indignazione e protesta nel paese. Dopo le grandi piazze di Genova e Catania, a Firenze, in migliaia giovedì hanno raccolto l’invito del Collettivo di Fabbrica – ex GKN a partecipare al nono Urlo per Gaza, per fare ancora rumore sul genocidio palestinese; a Venezia la mobilitazione continua dopo la grande manifestazione tenutasi una settimana fa in concomitanza con il Festival del Cinema; a Pisa, un corteo spontaneo ancora giovedì ha bloccato per un’ora la stazione ferroviaria lanciando un chiaro segnale al governo: «Se bloccano la missione, bloccheremo tutto». Anche i lavoratori portuali di Livorno hanno indetto insieme ad altre organizzazioni per venerdì una manifestazione a cui hanno partecipato migliaia di persone e che è entrata nel porto della città labronica. Una mobilitazione che sta riuscendo a generalizzarsi anche attraverso il contributo di piccoli centri periferici solitamente non toccati da questo tipo di agire collettivo. 

Dell’impegno dei portuali di Genova nella missione della Gsf e, più in generale, delle possibilità di dare continuità a una lotta anche a forte trazione sindacale nelle prossime settimane abbiamo parlato con Riccardo Rudino, lavoratore portuale di Genova e membro del Calp, che lo scorso 30 agosto ha pronunciato uno tra i più incisivi, ascoltati e ripresi interventi di chiusura del corteo genovese.

Perché avete deciso di imbarcarvi su una missione umanitaria, di passare dal blocco della logistica militare al tentativo di rompere un assedio?

La risposta è semplice. La Gsf ha contattato sia Music for Peace che noi e ci hanno proposto questa operazione. Perché non farla? Il nostro compagno José ha deciso di imbarcarsi e noi abbiamo deciso ovviamente che gli avremmo dato tutto il nostro sostegno. Non lo facciamo per noi. Siamo al fianco dei popoli che soffrono, ora al fianco del popolo palestinese – che soffre da troppi anni – qualche anno fa al fianco del popolo yemenita e del Rojava bloccando i carichi di armi. Puntiamo ad aiutare i popoli che vogliono l’autodeterminazione e che combattono per la loro nazione e la loro vita. Nell’ultima settimana il clima è cambiato molto, la solidarietà alla Flotilla è aumentata. Non abbiamo ancora consegnato un chilo di farina a Gaza e la tensione è già altissima. In pochissimi giorni sono state raccolte 300 tonnellate di materiali. La manifestazione è stata un’ulteriore sorpresa, 40 mila persone reali, una manifestazione di contenuto, anche determinata, con parole importanti e anche la presenza della sindaca.

Da lì si è messo in moto tutto, il sindacato che ha dato il suo appoggio e sta continuando a darlo, i portuali di altre città hanno dato sostegno e sono venuti a Genova. Noi abbiamo il supporto di città portuali di mezza Europa. Quello che abbiamo detto, ossia che faremo sciopero internazionale e che bloccheremo le armi, è realistico. 

Tutto sta accelerando, in tanti modi, ma anche nel bene. Oggi la dichiarazione del sindaco di Ravenna [che, a seguito di un’inchiesta del il manifesto del 2 settembre scorso che ha portato alla luce il transito nel porto romagnolo di carichi di armi partiti dalla Repubblica Ceca e privi della necessaria autorizzazione, ha manifestato in una lettera al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini, la contrarietà e l’opposizione della città a essere complice del genocidio perpetrato da Israele contro il popolo palestinese, Ndr] l’ho trovata importantissima, la manifestazione di Catania con 15 mila persone in piazza è stata stupenda al pari di quella di Genova. So già per certo che allo sciopero generale che lanceremo aderiranno altri sindacati sia di base che confederali o pezzi di sindacati importanti, nazionali e anche internazionali. 

Il 30 agosto ha segnato un passo importante per la mobilitazione in solidarietà al popolo palestinese. Negli ultimi anni avete riscontrato un salto di qualità nella partecipazione cittadina agli appelli dei portuali contro il transito di armi e in solidarietà con il popolo palestinese? Come si traduce, rispetto agli anni scorsi, in capacità concrete di mobilitazione e blocco?

Vanno dette due cose importanti per quella manifestazione. Anzitutto il merito principale è di Music for Peace, che riesce a muovere un mondo molto vasto ed eterogeneo, poi anche noi abbiamo fatto la nostra parte come altre realtà genovesi. Ma il nostro contributo nei giorni prima della partenza non è stato nè più nè meno di quello che hanno dato tutti gli altri volontari. Abbiamo svuotato qualche camion e caricato le barche alla fine dei nostri turni di lavoro.  Secondo me siamo arrivati a un punto di rottura, e sulla solidarietà per il popolo palestinese si stanno innestando tante vertenze, per cui le persone non ne possono più dell’economia di guerra, di assistere al genocidio a Gaza. Secondo me si sono incrociate tante cose. 

Genova sembra una città molto chiusa, polemica, ma quando decide di fare una cosa la fa; è sorniona, sembra assente ma in realtà guarda tutto e risponde sempre nel modo giusto, nella storia lo ha sempre fatto. Come il 30 giugno del 1960 quando i portuali, gli operai, i giovani e la città tutta scese in piazza contro la possibilità che si svolgesse a Genova il congresso del Movimento sociale italiano. Quell’esperienza di lotta portò alle dimissioni del governo democristiano di Fernando Tambroni. Noi oggi cerchiamo di interpretare al meglio quel sentimento antifascista e lo coniughiamo con l’anticolonialismo. Se le cose dovessero mettersi male per la Flotilla – anche se speriamo di no – la città tornerà a mobilitarsi e ne vedremo di tutti i colori.

Durante la fiaccolata del 30 agosto avete ventilato l’ipotesi di un blocco totale dei porti europei. Negli ultimi giorni Adl Cobas Venezia insieme ai centri sociali del Nord-est si è detta disposta a bloccare il porto, alla loro dichiarazione è seguita quella di diversi collettivi universitari – dai Collettivi Autorganizzati Universitari di Napoli, Torino e Padova al Collettivo Autonomo Universitario di Bologna pronti a bloccare le università. Se la Cgil da un lato sostiene l’iniziativa umanitaria, e chiama alla più ampia «mobilitazione contro la barbarie», sembra dall’altro ancora molto lontana dal prendere in considerazione l’indizione di uno sciopero generale contro il genocidio, che è stato invece già evocato dall’Usb e da altri sindacati di base. Quali interlocuzioni sono già in corso (sindacati confederali e di base, portuali, logistica, scuola, servizi) e quali alleanze ritenete decisive per rendere lo sciopero praticabile ed efficace?

Adl Cobas Veneto, in particolare di Verona, è stato il primo che incontrammo anni fa uscendo da Genova per raccontare le nostre lotte contro la logistica delle armi che passa attraverso i porti. I nostri rapporti sindacali, con i compagni, sono sempre stati corretti con tutti. Poi magari su certe cose non siamo d’accordo, ma non è importante. I rapporti li manteniamo e ci sono. Nel movimento non ci vogliono tanti discorsi e tante cupole. Qui c’è una cosa da fare: difendere quei ragazzi che sono su quelle barche e aprire un canale umanitario permanente verso la popolazione di Gaza che porti al fatto che comincino a tornare i diritti, le leggi internazionali e cessi la guerra. 

Come lo faremo noi ce l’abbiamo in testa. Abbiamo le idee abbastanza chiare. Al porto di Venezia, di Livorno, di Ravenna sapranno come fare e così in tutti i porti italiani ed europei. Nel lungo periodo vedremo come fare. Siamo anche in contemporanea con questa mezza rivoluzione che a partire dal 10 settembre vogliono fare in Francia.

Già in questi giorni stiamo andando in diverse città d’Italia per ragionare sul da farsi. Soprattutto arriveremo all’assemblea generale di giovedì 11 settembre aperta a tutti al Cap (Circolo Autorità Portuale) e in quell’assemblea tutto sarà subordinato a cosa succede sulla Gsf. Potrebbe essere un’assemblea in cui condivideremo informazioni organizzative importanti, ma potrebbe anche già essere un momento in cui prendere iniziative di mobilitazione. 

Avete parlato di un blocco dei porti a carattere internazionale: da ultimo in questi giorni è arrivato il sostegno e l’adesione a tale iniziativa da parte del principale sindacato dei lavoratori portuali di Barcellona. Ma voi siete anche parte di un Coordinamento internazionale dei lavoratori portuali. Quante e quali realtà fanno parte di questo coordinamento, che tipo di strumenti vi siete dati negli ultimi mesi dato l’intensificarsi del genocidio in atto e che tipo di contatti state avendo in questi giorni?  

Il coordinamento internazionale dei lavoratori portuali è stato costruito anche con il contributo di Usb ed è nato il 28 febbraio scorso. Le realtà sindacali aderenti sono tante. Per il 26 e 27 settembre abbiamo lanciato un’assemblea del coordinamento internazionale a Genova dal quale è probabile che lanceremo lo sciopero internazionale e bisogna capire la Global Flotilla in che situazione sarà in quelle giornate. Ci saranno delegazioni da Grecia, Slovenia, Francia, i portuali marocchini di Tangeri e gli svedesi. Gli sloveni, per esempio, hanno detto che porteranno tre pullman di portuali: hanno mille lavoratori tutti iscritti allo stesso sindacato, e appoggiano completamente le mobilitazioni per la Palestina [la Slovenia è peraltro il primo paese europeo ad aver annunciato e realizzato un embargo sulle armi verso Israele Ndr]. Se diventerà una cosa immediata dipenderà da quella che sarà la situazione sulla Gsf, se sarà una cosa tranquilla allora lo sciopero internazionale avrà dei tempi più morbidi, mentre se la situazione della Gsf sarà drammatica allora i tempi accelereranno. Per questo la questione dei porti europei e non, anche dall’altra parte del Mediterraneo, ha un suo valore: il danno economico che si produrrebbe spingerebbe la rottura degli accordi commerciali con Israele. 

*Giorgio De Girolamo è dottorando di ricerca in Diritto del lavoro presso l’Università di Trento, è attivo nei movimenti sociali e climatici, fa parte del collettivo Exploit – Pisa.  Ferdinando Pezzopane è studente di Scienze del governo presso l’Università degli Studi di Torino, fa parte del Collettivo di Comunicazione Chrono.

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