
“Un oceano di conoscenza in cui galleggia una quantità allarmante di spazzatura”: come ci siamo arrivati?
ROARS - Monday, September 8, 2025agghiacciante [Dorothy Bishop sul Guardian]
un oceano di conoscenza in cui galleggia una quantità allarmante di spazzatura. [Adam Marcus e Ivan Oransky su The Atlantic]
[Ripreso dal sito openscience.unimi.it]
Un bell’articolo sul Guardian fa il punto sullo stato dell’editoria scientifica. L’autore, Ian Sample, parte dal famosissimo caso della immagine del ratto con un pene gigante che ha fatto il giro del mondo e che è stata ritirata da Frontiers tre giorni dopo la pubblicazione insieme all’articolo. Questo episodio purtroppo non è isolato, ma è la punta dell’iceberg di una situazione che Dorotyhy Bishop ha definito sempre sul Guardian agghiacciante e Marcus e Oransky “un oceano di conoscenza in cui galleggia una quantità allarmante di spazzatura“.
Come siamo arrivati a questo punto? Sono in molti a interrogarsi sul futuro dell’editoria scientifica, prima fra tutti la Royal society dove si è appena tenuto un convegno sul futuro dell’editoria scientifica e che ha promesso entro la fine dell’estate un report sul tema.
Ma quali sono gli aspetti che hanno modificato così profondamente l’editoria scientifica?
Certamente la tecnologia che ha portato ad un incremento della produzione non necessario e spesso inutile (se non in quanto riga in più nei cv dei ricercatori).
L’incremento del numero di pubblicazioni non si accompagna invece ad un aumento del numero dei revisori che abbiano voglia di dedicare tempo prezioso ad una attività che non viene riconosciuta e che se fatta con coscienza è molto impegnativa. L’insieme di tecnologia e mancanza di tempo hanno portato allo sviluppo di paper e review mills, una piaga difficile da contrastare.
A proposito di riconoscimento, molti sistemi performance based incentivano la quantità (numero di pubblicazioni e numero di citazioni) portando i ricercatori ad adottare comportamenti adattativi e spesso frodatori che nulla hanno a che fare con l’amore per la scienza e per lo sviluppo della conoscenza.
Anche l’open access nella versione degli editori for profit ha contribuito allo stato deprecabile della ricerca, perché ha spinto gli editori a pubblicare di più e più in fretta ricerca spesso inutile e spesso non ancora sufficientemente robusta.
Un altro fenomeno che ha contribuito alla contaminazione del contesto è quello degli special issues, pubblicati spesso secondo criteri di qualità discutibili.
Gli effetti sono purtroppo sotto gli occhi di tutti: la crescita e diffusione delle riviste predatorie (anche fra i big five) la crescita del numero di articoli scritti con AI, l’incremento del numero di retractions, le dimissioni di interi editorial board, la crescita dei cosidetti hijacked journals.
Per Hanson et al. che hanno pubblicato lo scorso anno un importante articolo sulla pressione per pubblicare, più che il tema della frode scientifica (certamente in crescita) preoccupa l’enorme quantità di ricerche che non portano alcun contributo alla conoscenza e che però hanno un alto costo per il sistema in termini di soldi e ore uomo impiegate da tutte le persone coinvolte nel ciclo di produzione e validazione di un lavoro.
Sempre Hanson et al. individuano uno dei problemi maggiori nell’editoria commerciale for profit, che per fare cassa tende a pubblicare il più possibile, anche quando la ricerca è inutile, e vedono in una editoria not for profit una possibile soluzione.
Posizione diversa è invece quella degli editori for profit che attribuiscono la crescita del numero di pubblicazioni (con tutte le attività ad esse connesse) alla crescita della ricerca dei paesi emergenti (quali Cina e India ad esempio) e propongono come soluzione l’attivazione di un sistema di filtraggio migliore.
Una situazione complessa dunque in cui il contesto cambia velocemente e che merita di essere seguita con grande attenzione. Sono temi che investono senza dubbio il mondo della ricerca ma anche la società che questa ricerca la finanzia e su cui sarebbe necessario discutere sia a livello istituzionale che a livello nazionale. Anche attraverso la pubblicazione di articoli informati come quelli del Guardian.