“Un oceano di conoscenza in cui galleggia una quantità allarmante di spazzatura”: come ci siamo arrivati?
agghiacciante [Dorothy Bishop sul Guardian]
un oceano di conoscenza in cui galleggia una quantità allarmante di
spazzatura. [Adam Marcus e Ivan Oransky su The Atlantic]
[Ripreso dal sito openscience.unimi.it]
Un bell’articolo sul Guardian fa il punto sullo stato dell’editoria scientifica.
L’autore, Ian Sample, parte dal famosissimo caso della immagine del ratto con un
pene gigante che ha fatto il giro del mondo e che è stata ritirata da Frontiers
tre giorni dopo la pubblicazione insieme all’articolo. Questo episodio purtroppo
non è isolato, ma è la punta dell’iceberg di una situazione che Dorotyhy Bishop
ha definito sempre sul Guardian agghiacciante e Marcus e Oransky “un oceano di
conoscenza in cui galleggia una quantità allarmante di spazzatura“.
Come siamo arrivati a questo punto? Sono in molti a interrogarsi sul futuro
dell’editoria scientifica, prima fra tutti la Royal society dove si è appena
tenuto un convegno sul futuro dell’editoria scientifica e che ha promesso entro
la fine dell’estate un report sul tema.
Ma quali sono gli aspetti che hanno modificato così profondamente l’editoria
scientifica?
Certamente la tecnologia che ha portato ad un incremento della produzione non
necessario e spesso inutile (se non in quanto riga in più nei cv dei
ricercatori).
L’incremento del numero di pubblicazioni non si accompagna invece ad un aumento
del numero dei revisori che abbiano voglia di dedicare tempo prezioso ad una
attività che non viene riconosciuta e che se fatta con coscienza è molto
impegnativa. L’insieme di tecnologia e mancanza di tempo hanno portato allo
sviluppo di paper e review mills, una piaga difficile da contrastare.
A proposito di riconoscimento, molti sistemi performance based incentivano la
quantità (numero di pubblicazioni e numero di citazioni) portando i ricercatori
ad adottare comportamenti adattativi e spesso frodatori che nulla hanno a che
fare con l’amore per la scienza e per lo sviluppo della conoscenza.
Anche l’open access nella versione degli editori for profit ha contribuito allo
stato deprecabile della ricerca, perché ha spinto gli editori a pubblicare di
più e più in fretta ricerca spesso inutile e spesso non ancora sufficientemente
robusta.
Un altro fenomeno che ha contribuito alla contaminazione del contesto è quello
degli special issues, pubblicati spesso secondo criteri di qualità discutibili.
Gli effetti sono purtroppo sotto gli occhi di tutti: la crescita e diffusione
delle riviste predatorie (anche fra i big five) la crescita del numero di
articoli scritti con AI, l’incremento del numero di retractions, le dimissioni
di interi editorial board, la crescita dei cosidetti hijacked journals.
Per Hanson et al. che hanno pubblicato lo scorso anno un importante
articolo sulla pressione per pubblicare, più che il tema della frode scientifica
(certamente in crescita) preoccupa l’enorme quantità di ricerche che non portano
alcun contributo alla conoscenza e che però hanno un alto costo per il sistema
in termini di soldi e ore uomo impiegate da tutte le persone coinvolte nel ciclo
di produzione e validazione di un lavoro.
Sempre Hanson et al. individuano uno dei problemi maggiori nell’editoria
commerciale for profit, che per fare cassa tende a pubblicare il più possibile,
anche quando la ricerca è inutile, e vedono in una editoria not for profit una
possibile soluzione.
Posizione diversa è invece quella degli editori for profit che attribuiscono la
crescita del numero di pubblicazioni (con tutte le attività ad esse connesse)
alla crescita della ricerca dei paesi emergenti (quali Cina e India ad esempio)
e propongono come soluzione l’attivazione di un sistema di filtraggio migliore.
Una situazione complessa dunque in cui il contesto cambia velocemente e che
merita di essere seguita con grande attenzione. Sono temi che investono senza
dubbio il mondo della ricerca ma anche la società che questa ricerca la finanzia
e su cui sarebbe necessario discutere sia a livello istituzionale che a livello
nazionale. Anche attraverso la pubblicazione di articoli informati come quelli
del Guardian.