
Lydie Salvayre / La vita imprigionata nella scrittura
Pulp Magazine - Sunday, August 17, 2025Lydie Salvayre le definisce “pazze” – sette scrittrici che nei loro modi senza limiti e con tutte le barriere offerte dal mondo, hanno coltivato la propria scrittura dove spesso il gotico della loro mente prendeva il sopravvento, e dove le emozioni s’incaricavano di imprigionare i corpi in torri saracene là dove pochi potevano raggiungerle.
L’arte del ritratto è pericolosa, si rischia l’infezione, e Salvayre vi si getta senza edulcorare i termini, anzi spesso rasenta gli spazi della scrittura dove albergano i mostri, e occorre essere lupi per sopravvivere – o capibranco delle lettere come Eliot e Pound, e come lo è stata, in definitiva, e per alcuni tratti di esistenza, Virginia Woolf. Una delle donne a cui l’attenzione della scrittrice francese si rivolge. Anche a lei non basta indagare nelle trame delle opere. Con logica drammatica riavvolge il film di ciascuna vita, e ben presto ci accorgiamo che il più delle volte non di pazzia si tratta ma di una famelica ambizione di vita, di vivacità dei corpi e di scrittura – quella che per Salvayre coincide in pieno con l’esistenza. Essere pazzi di qualcosa non significa essere folli, ma rasentare ogni giorno i confini della decisione, buttarsi a capofitto nella passione. In un ambiente letterario dominato dagli uomini. Mettere alla prova queste scrittrici, per l’epoca in cui sono vissute (al netto di quanto si potrebbe ancora dire tutt’oggi a riguardo), su tale terreno, immerge la loro biografia in qualcosa di equivalente a un terremoto.
Basta, qui, rinominarle per capire come non esistesse distanza di sicurezza fra creazione e quotidianità: Emily Brontë, Colette, Virginia Woolf, Ingeborg Bachmann, Djuna Barnes, Sylvia Plath. Salvayre mette sulla pagina uno scandalo secolare, mai del tutto dissolto. Non è un caso che in epoca di crisi ci si rivolga ancora a coloro che rappresentano da sempre un “altro tempo”, si metta alla prova il pensiero attuale con il pensiero diagonale, discorde, controverso, di sette donne che hanno vissuto dando alla letteratura opere che le hanno fatte colare a picco per troppa decisione d’esistere. Stando dentro una contemporaneità spesso riprovevole.
Ogni ritratto non attinge a ipotesi erudite, in ogni capitolo si ritrovano dettagli biografici e fascinose scoperte. Ma più di tutto interessano i modi disparati con cui ognuna di queste donne ha potuto dire la sua sulla letteratura, e come fin da giovani hanno inventato linguaggi che ancora oggi contrastano il mercato della pubblicità, dei politicanti, tutto quanto viene definito da Bachmann cattivo linguaggio. Leggere Sette donne significa scoprire l’impegno che nulla giustifica in ogni tempo – il tempo in cui vissero loro e il tempo in cui vive, legge e spiega, Salvayre. Tutti questi tempi sono per noi, che non sia peregrino l’accostarvisi.
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