Muoversi nel buio

Comune-info - Saturday, August 2, 2025

L’orrore precipitato sulla Palestina e sul mondo intero non è solo un problema politico, ma esistenziale, antropologico: stiamo perdendo la capacità stessa di essere umani nel senso pieno, di entrare in relazione autentica con gli altri. Chi ci può guidare fuori da questo labirinto? Per dirla con Simone Weil, non si tratta di attendere grande leader o di individuare qualche intellettuale da seguire, il nostro sguardo deve cercare nella vita di ogni giorni di tante persone comuni che sanno prendersi cura degli altri senza cercare riconoscimento, sanno vivere per la giustizia senza protagonismo. “Non è romanticismo ingenuo – scrive Emilia De Rienzo – È la scoperta che il cambiamento più profondo passa attraverso la trasformazione della qualità delle relazioni umane… È lì, in quella fedeltà apparentemente insignificante, che può nascere qualcosa di nuovo…”

Cucina popolare di al-Mawasi (Khan Younis), nel sud della Striscia di Gaza, promossa dalla campagna “SOS GAZA” (qui le informazioni per sostenere la campagna)

“Il presente è uno di quei periodi in cui svanisce quanto normalmente sembra costituire una ragione di vita e, se non si vuole sprofondare nello smarrimento o nell’incoscienza, tutto va rimesso in questione. Solo una parte del male di cui soffriamo è da attribuire al fatto che il trionfo dei movimenti autoritari e nazionalisti distrugga un po’ dovunque la speranza che uomini onesti avevano riposto nella democrazia e nel pacifismo: esso è ben più profonda e ben più vasto. Ci si può chiedere se esista un ambito della vita pubblica o privata dove le sorgenti stesse dell’attività e della speranza non siano avvelenate dalle condizioni nelle quali viviamo”. Queste parole di Simone Weil, scritte negli anni Trenta di fronte all’ascesa dei totalitarismi europei, risuonano oggi con una forza inquietante. Come allora, assistiamo al fallimento delle democrazie, al ritorno di nuovi fascismi. Ma Weil ci aveva avvertiti: il problema non è solo politico. È più profondo, più vasto.

La crisi che viviamo è esistenziale e antropologica. Stiamo perdendo la capacità stessa di essere umani nel senso pieno: di pensare autonomamente, di entrare in relazione autentica con gli altri, di sentirci radicati in qualcosa che abbia senso. Il lavoro precario e frammentato, l’impossibilità di progettare il futuro, la sensazione di essere ingranaggi di meccanismi che ci sfuggono completamente – tutto questo corrode quelle che Weil chiamava le “radici” dell’anima umana.

E chi ci può guidare fuori da questo labirinto? Gli intellettuali, anche quelli che proclamano belle idee, sembrano presi dai loro interessi personali, chiusi in circoli autoreferenziali, troppo lontani dalla gente comune. Weil lo aveva capito sulla propria pelle: aveva abbandonato l’insegnamento per andare a lavorare in fabbrica, convinta che la verità si trovasse nell’esperienza concreta, non nei discorsi su di essa.

Forse la risposta non sta nel cercare guide esterne, ma nel ripartire da quella che lei chiamava “attenzione”: la capacità di vedere realmente ciò che ci sta davanti, senza filtri ideologici.

Le guide, se esistono, sono quelle persone – spesso anonime – che nella loro vita quotidiana praticano forme autentiche di resistenza: chi si prende cura degli altri senza cercare riconoscimento, chi lavora per la giustizia senza protagonismo.

Ma allora, viene da chiedersi, che senso ha? Diventare una piccola lucina nel buio totale non sembra forse inutile, insignificante?

Eppure, chi di noi non ha sperimentato la gioia profonda che nasce quando incontriamo una persona che ci presta vera attenzione, che usa gentilezza nei nostri confronti? In quel momento il respiro si apre, qualcosa in noi si risveglia. È la prova che l’essere umano ha bisogno di questo riconoscimento autentico per esistere pienamente. E quando ringraziamo quella persona, quando le facciamo sapere che la sua gentilezza non è stata inutile, chiudiamo un cerchio prezioso. Non è più un gesto disperso nel vuoto, ma qualcosa che ha toccato un’altra vita umana, che probabilmente si moltiplicherà in altri gesti simili.

Per Weil questi momenti di vera connessione umana erano preziosi. Perché è lì che si sperimenta concretamente cosa significa essere trattati come persone e non come oggetti, cosa vuol dire la giustizia nelle relazioni quotidiane.

Non è romanticismo ingenuo. È la scoperta che il cambiamento più profondo passa attraverso la trasformazione della qualità delle relazioni umane, una persona alla volta, un incontro alla volta.

È l’intuizione che ogni gesto autentico di attenzione, di verità, di giustizia, ha un valore assoluto, non perché produca effetti visibili, ma perché è l’unica risposta degna dell’essere umano di fronte al male: essere fedeli a ciò che sentiamo giusto. È lì, in quella fedeltà apparentemente insignificante, che può nascere qualcosa di nuovo.

In un’epoca in cui le “sorgenti stesse dell’attività e della speranza” sembrano avvelenate, la piccola lucina che accendiamo nella nostra vita quotidiana non è un gesto consolatorio. È un atto di resistenza. È il modo in cui scegliamo di rimanere umani.

LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI JOHN HOLLOWAY:

Imparare a pensare la speranza

L'articolo Muoversi nel buio proviene da Comune-info.