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Educazione e Legalità, l’alleanza tra istituzioni civili e militari trova sponda… in chiesa
Una sindaca, Daniela Ghergo eletta da una coalizione a guida PD, un parroco intraprendente, Aldo Buonaiuto e un questore “pedagogo” ante litteram sono stati i padrini (o padroni?) dell’iniziativa denominata di “Prossimità” cha ha visto 200 ragazz3 di Fabriano, nel quadro delle attività ludico-educative di un centro-estivo parrocchiale, a contatto con un gruppo di  poliziotti. Come in altri casi, sempre nelle Marche, si è vista la presenza di bellissimi cani-lupo, anti-droga, anti-esplosivi, anti-tutto, ecc..  La fantasia delle istituzioni che in Italia gestiscono l’ordine pubblico e che in questi ultimi anni tentano in tutti i modi di far passare la narrazione che il disagio sociale o psicologico, l’emarginazione e l’esclusione, le sofferenze per il non trovare casa o lavoro, quando si esprimono  in modo violento, vanno innanzitutto repressi e poi, se avanza tempo, si affrontano con altri mezzi, non conosce limiti. Anche perché sarà questo il loro principale impiego futuro in società, dal momento che l’unico reato in aumento significativo, mentre tutti gli altri sono in caduta libera, sono quelli informatici (clonazione carte, phishing, ecc.) e le truffe on-line. Tra il 2013 e il 2022 i furti in appartamento sono diminuiti del 46,9% e il balzo in alto tra il ’23 e il ’24 di circa il 10% non giustifica l’allarme dei media mainstream in quanto, in ogni caso, non si sono superati i dati del 2013. D’altra parte il balzo è anche legato all’effetto post-pandemia, all’aumento del turismo di massa che espelle sempre più persone in zone periferiche abbandonate a sé stesse e non ultimo l’impoverimento generalizzato della popolazione. Ciononostante è sempre allarme sociale, i furti sono dietro l’angolo la percezione, più che i dati di fatto è in crescita. D’altro canto, anche, la crescita dei reati informatici e truffe, se in valore assoluto sono in crescita, il loro valore percentuale andrebbe calcolato sul numero totale delle transazioni on-line, sul numero totale di utenti che navigano, acquistano e quindi subiscono pubblicità profilate. Allora cos’è che spinge gli educatori, in questo caso il parroco, a mettere in contatto i/le bambn3 con i poliziotti? La risposta la dà il questore di Ancona in persona “percorrere insieme i tempi che cambiano fa sì che i giovani trovino sempre e sempre più naturale fidarsi ed affidarsi alla Polizia di Stato in una prospettiva di prevenzione dei reati e di sana crescita generazionale (fonte ANSA)”. Le parole-chiave, dunque, sono affidarsi e fidarsi, (alle forze dell’ordine) contro nemici interni immaginari o reali/creati, senza curarsi della cause sociali, dei percorsi di devianza che portano a commettere furti o spaccio di stupefacenti ma anche da quelli esterni reali/creati, anche qui senza curarsi di spiegare come, un amico, ad esempio il Putin “berlusconiano”, un tempo desideroso di entrare addirittura nella NATO, si trasformi in un acerrimo nemico, tanto da costringerci a tagliare letteralmente i ponti con lui oltre che i tubi del gas russo, per comprare costosi carburanti in giro per vari paesi del  mondo compreso gli USA. Non si spiega altrimenti l’immancabile show degli artificieri con i loro robottini guidati dall’A.I. che disinnescano bombe, trovate sempre dal solito cane-poliziotto, sogno di tutt3 i/le bambin3. Preso forse dal senso di colpa per aver fatto immergere i proprio gregge di bambin3 in un clima di guerra e di lotta contro un crimine che non esiste se non a livello percettivo, il parroco alla fine si ricorda (anche) dei più sfortunati e quindi “non ha fatto mancare, a tutti i presenti, un profondo pensiero sulla drammaticità della condizione dei bambini nei mondi in cui fame e guerre mettono a rischio la loro vita (fonte ANSA)”. Al parroco della chiesa S. Niccolò di Fabriano, nella tranquilla e ordinate Marche, diciamo, a questo punto, da educatore a educatore che se non se la sente di seguire le orme di Don Pino Puglisi, ucciso nel 1993 nel  giorno del suo 56° compleanno dai sicari dei fratelli Graviano nel quartiere-feudo di Totò Riina e Leoluca Bagarella, il famigerato quartiere Brancaccio di Palermo, può fare richiesta come cappellano militare, così forse farà meno danni alle giovani generazioni, cui si prospetta un futuro di precariato lavorativo, relazioni (forse) coniugali senza figli e sullo sfondo, sempre nuove guerre. Stefano Bertoldi – Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università.
Visite scolastiche alla NATO: propaganda o educazione?
Il fenomeno della militarizzazione delle scuole sta assumendo dimensioni così ampie da rendere sempre più difficoltosa la sua “mappatura”. Apprendiamo in questi giorni di attività svolte nei mesi di febbraio/marzo presso la base N.A.T.O di Lago Patria – Giugliano in Campania, che ha coinvolto le studentesse e gli studenti delle scuole superiori di primo grado dei plessi “Don Salvatore Vitale” Giugliano (Napoli) E “M. Beneventano” di Ottaviano (Napoli) e studentesse e studenti delle scuole superiori di secondo grado delle scuole Don Lorenzo Milani, (Gragnano) e Antonio Serra (Napoli).  Troviamo su internet anche una circolare del liceo Matilde Serao, con in oggetto la stessa visita guidata (con pagamento a carico delle famiglie del bus) fatta rientrare nelle ore di didattica orientativa e di educazione civica, qui). Apprezziamo che non sia stata definita dalla D.S. visita di istruzione, ma visita guidata, cosa che auspichiamo dovuta alla consapevolezza che tale uscita non abbia proprio nulla di istruttivo. Mentre nutriamo forti dubbi che una tale uscita possa rientrare nell’educazione civica, non ne abbiamo alcuno sul suo carattere orientativo, essendo tale uscita finalizzata ad orientare i ragazzi verso nuove “culture” (della difesa, della sicurezza, militare) anche con il fine di un possibile loro arruolamento nelle forze armate. Per quanto riguarda le scuole medie, organizzata in occasione del 70° della N.A.T.O ai ragazzi e alle ragazze è stato ricordato come questa alleanza sia nata per “contrastare quel blocco di Stati che si riunirà qualche anno dopo nel Patto di Varsavia” mostrando già da questo breve incipit dell’articolo pubblicato sul sito della scuola il carattere propagandistico dell’iniziativa. Se storicamente si dovesse rispettare l’ordine cronologico degli eventi si sarebbe dovuto spiegare ai ragazzi esattamente l’inverso come il patto di Varsavia sia nato, 6 anni dopo la N.A.T.O, con il fine di contrastare l’alleanza militare North Atlantic Treaty Organization. In ogni modo, caduto nel 1991 il Patto di Varsavia, perché la  N.A.T.O ha continuato ad esistere? Quale ratio dietro la scelta del suo non scioglimento? Sono state elencate ai ragazzi le innumerevoli guerre che dal 1991 in poi hanno coinvolto o sono state causate dalla N.A.T.O? E’ stato spiegata la richiesta (a febbraio Marzo non ancora certa, non se ne conosceva con certezza la percentuale del 5%, ma si discuteva sull’alzamento del PIL che il vertice N.A.T.O avrebbe richiesto) dell’aumento delle spese per gli armamenti e dei relativi tagli che queste avrebbero comportato? Tagli a istruzione, ricerca, sanità, welfare. Nulla di tutto questo è stato detto alle ragazze e ai ragazzi già vittime della implicita manipolazione che una gita scolastica sottende: in quanto scolastica essa ha fare con la scuola, con la formazione, con l’educazione al pari di una vista ad un museo, ad una città d’arte o ad un convegno disciplinare per fare alcuni esempi. Leggendo tutti i report delle giornate, si scopre come gli incontri siano serviti a promuovere un’immagine della N.A.T.O dual use, con due “rami”: quello militare e quello civile e come tutto l’incontro abbia nei fatti promosso l’importante ruolo della N.A.T.O sul piano civile: giornalismo, salute e ambiente, trasporti, ingegneria civile, con particolare attenzione alla Cyber Security. Il fine degli incontri era proprio quello di riuscire a “mutare” negli studenti l’immagine della NATO che non può continuare a essere percepita come composta di soli “mezzi corazzati” e quindi solo nella sua veste militare, ma va promossa con la costruzione di un aspetto “buono”, il suo essere formata da civili (si fatica a lanciare il ruolo del militare senza armi né guerre evidentemente!) istruiti e preparati pronti a intervenire sul piano civile. La solita operazione di brand washing più volta denunciata dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università adottata dalle forze armate e dalle forze dell’ordine. Ovviamente come confermano anche le studentesse e gli studenti degli istituti superiori di secondo grado i temi affrontati sono quelli che, fino alla visita alla struttura di Lago Patria, credevano “di competenza dei libri di testo o dei telegiornali: tutela della pace, difesa dei Paesi membri, sostegno nelle attività umanitarie, cyber security, conflitto russo ucraino. La parola pace fa riflettere se usata da un’alleanza sulle cui guerre illegali esiste una consistente bibliografia (fra tutti vd. Daniel Ganser) e i cui membri, rivolgendosi ai ragazzi e alle ragazze,   ammettono il solito ossimoro guerrafondaio: Per mantenere la pace, interveniamo in qualsiasi modo possibile, fino al più drastico, cioè con le armi. Dubitiamo che sia stato ricordato alle scuole, come si legge on line, che nel 2015, la base NATO di Lago Patria è stata il centro di coordinamento della più grande esercitazione militare dopo la caduta del Muro di Berlino, chiamata “Trident Juncture“, con la partecipazione di 36.000 militari. Tendiamo più a pensare che tale visite guidate abbiano anche un altro fine orientativo per le/i giovani e l’intera società civile: l’accettazione incondizionata di questa presenza sul proprio territorio in vista di possibili future esercitazioni che acquistano, con questo manipolativo avvicinamento, il carattere di necessità al fine del mantenimento della pace. Ovviamente come sempre non poteva mancare anche qui l’inclusione di genere: Particolare interesse è stato mostrato dalle studentesse sul ruolo delle donne all’interno dell’Alleanza, sia come civili che come militari. Per essere più accattivante la N.A.T.O strumentalizza anche il tema dell’inclusione di genere e della parità. Si legge sul report dell’istituto San Vitale: Tali visite sono molto importanti perché i ragazzi hanno potuto capire che per mantenere alta la sicurezza, mantenere ed attuare cambiamenti radicali di pace nel Mondo ci sono delle persone che lavorano in silenzio tutti giorni in strutture internazionali. La conclusione è agghiacciante. Un’alleanza militare che assicura la sicurezza e cambiamenti radicali di pace è la cosa più lontana da quanto i libri di storia ci insegnano e la nostra contemporaneità ci mostra. Quale docente realmente impegnato sull’educazione alla pace potrebbe fare sua questa conclusione? Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Propaganda nei Campi-Scuola: formazione o indottrinamento?
Qualcuno forse si era illuso che con la chiusura estiva delle scuole la gioiosa macchina da guerra della propaganda avrebbe rallentato il ritmo incessante delle proprie azioni all’interno del mondo giovanile e invece arriva puntuale la smentita: tutto l’armamentario si trasferisce nei campi-scuola, all’interno di un setting formativo molto più sbilanciato verso l’aspetto ludico. Vediamo così delle forze dell’ordine impegnate in dimostrazioni di “didattica avventurosa” che stimola i ragazzi attraverso  un approccio  tanto paternalistico quanto superficiale e tendenzioso, ad assumere un atteggiamento benevolo verso le forze dell’ordine, migliorando la percezione interiore che ne hanno. Considerate le ultimissime sentenze della Corte d’appello di Roma, sul caso Stefano Cucchi, in cui, dai vertici apicali fino ai livelli più bassi fin nelle stazioni territoriali coinvolte, l’Arma ha dovuto rispondere non solo di un atroce omicidio ma dopo 16 anni anche di gravissimi insabbiamenti delle indagini, il lavoro di “ricostruzione” in chiave positiva dell’immagine sembrerebbe a prima vista arduo. D’altro canto, gli investimenti degli ultimi anni, con le forze dell’ordine ormai soddisfatte per gli aumenti salariali ricevuti e le dotazioni tecniche ma soprattutto il riordino dei ruoli al loro interno, consente  all’Arma dei Carabinieri di ripulire anche l’immagine più sporca che si è sempre tentato di attribuire alle solite “mele marce”. In questo caso abbiamo i Carabinieri alle prese con la  cosiddetta “generazione Alpha”, stranamente in sintonia con l’altra Alfa, l’ Alfa Romeo “Giulia” la gazzella dei Carabinieri sulla quale sono stati fatti salire i ragazzini di una scuola di Loreto, nell’ambito di un campo estivo. Dopo la visita all’interno di una stazione  territoriale dell’Arma, questo spaccato di vita quotidiana con le stellette, i/le ragazz* si sono divertit* a bordo di questi bolidi  a quattro ruote, come tanti piccoli “alfisti”, ma anche in sella ad  una moto da enduro di ultima generazione. Non poteva mancare un altro elemento che scatena sempre la fantasie e l’empatia,  ovvero i cani della squadra cinofila, un evergreen che funziona sempre anche con i ragazzini più “digitali”.  L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, stigmatizza in questo caso le scelte “culturali” ma che noi definiremmo molto più sinceramente propaganda di “educazione militarizzata” dell’assessora del Comune di Loreto  sempre con il lasciapassare della “cultura della legalità”. Nell’ultimo anno in questa parte delle Marche ben 18 istituti e 1200 ragazz* hanno subito questa propaganda in divisa, fatta di intrattenimento ludico, di indottrinamento paternalistico alla cosiddetta “cultura della legalità” (“l’Arma come baluardo contro il male e i devianti della società”): siamo sicuri che di fronte ad una tendenza “panpenalistica” della politica, da sinistra come, ancora di più, da destra, non ci sia bisogno invece di una “cultura dei diritti”? Con un numero di omicidi in caduta libera da trent’anni (1.916 nel 1991 contro i 341 del 2023 fonte ISTAT p.17)  e in generale di tutti i reati ( circa il 50% in meno negli ultimi 10 anni in furti in casa e d’auto e rapine) si assiste invece ad un aumento dei reati tipici delle mafie, dalle “eco-mafie” , alle estorsioni, ai crimini informatici. Quindi non si spara più, la violenza non dilaga per le strade ma allo stesso tempo aumenta la percezione negativa di una società insicura: presentarsi nelle scuole con questo carico di “pericoli immaginari” vuol dire fare esattamente ciò che avviene politicamente a livello mondiale con la creazione a tavolino di sempre nuovi nemici e “stati canaglia”. Fare lo stesso anche con i bambini, questo si, che è delinquenziale oltre che anti-pedagogico!
FORMAZIONE: SUPERARE LA “CONCEZIONE PUNITIVA E REPRESSIVA” DELLA SCUOLA, DIBATTITO A TRE VOCI
Torniamo a scuola, torniamo sul caso sollevato anche da Enea Zanoglio, oramai ex studente del liceo Bagatta di Desenzano del Garda, provincia di Brescia, che ha raccontato a Radio Onda d’Urto le ragioni del suo boicottaggio dell’esame orale alla maturità, conseguendo comunque il diploma. A settembre si iscriverà all’università. Enea Zanoglio, studente modello, media dell’8, impegnato politicamente nel Collettivo Gardesano Autonomo e nel Fronte della Gioventu Comunista, ci aveva raccontato come l’esame di maturità rappresentasse l’emblema di una “concezione punitiva e repressiva” del sistema scolastico. Enea ha criticato l’impostazione del sistema di istruzione che ha definito “ottocentesco”, puntando il dito non solo contro l’attuale ministro ma anche contro chi lo ha preceduto, a destra e a sinistra. Torniamo quindi sulla notizia e allarghiamo il dibattito ad alcuni collettivi che hanno preso posizione sull’argomento e che da anni ragionano e mettono in campo azioni volte a migliorare la scuola. Un dibattito radiofonico a tre voci, in collegamento con noi: Maurizio Pe, studente al liceo Virgilio di Milano e compagno di Enea nel Fronte della Gioventù Comunista. Matilde Zanardelli del Collettivo Onda Studentesca. Lucia Dante del Collettivo di insegnanti Assenze Ingiustificate. La trasmissione completa (30 minuti). Ascolta o scarica
Come si può parlare di guerra e pace nelle scuole? Cominciamo da una Semantica di Pace
PUBBLICATO SULLA RIVISTA LA LANTERNA IL 15 LUGLIO 2025 PUBBLICATO SU WWW.AGORASOFIA.COM IL 16 LUGLIO 2025 Affermare al giorno d’oggi che non ci sia abbastanza clamore intorno ai temi della guerra e della pace potrebbe risultare completamente fuori contesto, dal momento che quasi quotidianamente si viene letteralmente bombardati, sia attraverso i maggiori media mainstream sia attraverso i canali social, da immagini e notizie relative a conflitti armati in corso e a proteste che cercano, in nome di un qualche richiamo al pacifismo, di contestare quella barbarie. Una simile sovraesposizione alla guerra e alla pace, tuttavia, necessita di uno sfondo di comprensione, di un contesto significativo in cui inserire i fatti, di una ermeneutica scevra da condizionamenti e prese di posizione preventive. Quel contesto storicamente imparziale e logicamente argomentato non può che essere costruito nelle scuole, cioè nei luoghi deputati all’insegnamento di orizzonti simbolici caratterizzati dalla solidarietà, dalla cooperazione, dall’accoglienza e non dal mero apprendimento di procedure, competenze tecniche e posture flessibili in linea con il mercato del lavoro. Ma, se così stanno le cose, se nelle scuole ancora insegnano docenti in carne e ossa che progettano la didattica, che adottano una sorta di immaginazione utopistica per prevedere delle finalità per il loro insegnamento, allora la loro responsabilità è totale in riferimento al bagaglio di valori che si viene a determinare nella realtà a partire dai contesti educativi. Ora, prendendo come riferimento l’universo simbolico che è scaturito dalle parole degli studenti e delle studentesse che sono intervenuti/e nelle varie occasioni in cui abbiamo portato in pubblico o nelle scuole le questioni denunciate dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, possiamo affermare con qualche grado di certezza che essi/esse già mostrano in maniera altamente preoccupante una sorta di normalizzazione della guerra e una preoccupante rassegnazione davanti al fatto che si tratterebbe di un fenomeno necessario nello sviluppo storico. La sovraesposizione mediatica a immagini di guerra e il coinvolgimento politico del nostro Paese in vari scenari bellici con annessa legittimazione mediatica ha generato, in sostanza, un’idea della guerra come tratto ineluttabile, connaturato all’umanità e alla quale non serve opporsi. Dai loro discorsi sembra quasi che sia stata riesumata una sorta di impostazione ideologica riconducibile al filosofo tedesco Hegel, il quale tendeva a rimarcare verso i primi dell’Ottocento, nell’apoteosi della boria della cultura tedesca, l’idea che la guerra fosse lo strumento naturale per l’evoluzione degli Stati. Davanti a questa condizione piuttosto diffusa, a questo mondo dato per scontato da parte dei/delle più giovani, forse sarebbe il caso di mettere da parte, per il momento, la critica del reale, l’analisi delle circostanze per cui ci sono le guerre attuali, in Palestina come in Ucraina e negli altri cinquantasei scenari mondiali. Se non altro, forse emerge la necessità, quantomeno, di affiancare a quelle analisi geopolitiche un lavoro più profondo di tipo antropologico, o addirittura ontologico, sulla guerra come destino dell’umanità e portare nelle scuole una concreta proposta didattica di pace, che ragioni storicamente e logicamente sulla necessità di ricorrere in maniera obbligata al conflitto armato per la risoluzione delle controversie nazionali o internazionali.   E tutto ciò, ovviamente, sempre con il dubbio che parlare di guerra, come di violenza e di male assoluto, nelle scuole possa essere, paradossalmente, un modo per portare all’attenzione degli studenti e delle studentesse un tema che, invece di rimanere fuori dalla storia, riesca ancora inspiegabilmente, in un clima di irrazionalismo diffuso, ad affascinare le giovani generazioni in cerca, forse, di affermazione, di riscatto, di macabra attrazione nei confronti del deprecabile pur di salire alla ribalta e ottenere notorietà. Davanti ad un simile scenario assiologico riteniamo che studiare la Pace come tema e, di conseguenza, insegnare la pace come argomento specifico sia necessario. Si tratta di un assunto che deriva da un inconfutabile dato storico, giacché dopo ogni guerra inizia il periodo di ricostruzione e di pacificazione, che spesso è anche più lungo della occorrenza della guerra, ma evidentemente il nostro gusto per l’orrido, per il torbido, sopravanza quello per la bellezza, che senza alcun dubbio viene distrutta durante la guerra. Ci siamo mai chiesti come mai nei manuali di storia in uso nelle scuole all’interno dei capitoli l’accento venga posto, con dovizia di particolari, sulla follia della guerra? Come mai ci sono ricercatori e storici che conoscono ogni dettaglio militare e decidono di corredare i nostri manuali di paragrafi interi su tecniche di guerra, materiale bellico utilizzato e scoperte militari devastanti per l’umanità? Il fatto che gli studenti e le studentesse conoscano i minimi dettagli sulle vicende di guerra obbedisce solo ad una esigenza informativa? Qual è la ricaduta educativa della sovrabbondanza di un lessico costellato di semantica di guerra e violenza? E ancora, come mai si parla di Prima, Seconda Guerra mondiale e non di Prima, Seconda Pace mondiale, che pure sono esistite, ma non godono di una consistenza ontologica prima che semantica? Sarà mai che questo eccesso di conoscenza e di ricerca inerente al tema della guerra e delle sue peculiarità sia funzionale, malgrado l’esimio lavoro degli storici di professione, alla sua normalizzazione, alla sua presenza costante all’interno dell’universo delle possibilità umane di gestione dei conflitti? Insomma, a noi pare che la sproporzione tra una “semantica di guerra” e una “semantica di pace” all’interno dei progetti educativi e dei programmi scolastici in generale, almeno dalle scuole secondarie di primo grado in poi, sia abbastanza evidente. Tutto ciò determina, in qualche modo, la costruzione di un universo simbolico nelle menti degli studenti e delle studentesse che dà consistenza ontologica alla guerra e non alla pace, mentre quest’ultima viene, nella migliore delle ipotesi, ritenuta un’appendice momentanea dell’urgenza distruttiva della guerra, percepita come connaturata all’essere umano. In realtà, non solo sappiamo con chiarezza dalla storia, dall’antropologia, dalla sociologia e dalla psicologia, che le cose non stanno proprio così, cioè che la guerra irrompe nella storia in un momento preciso, vale a dire quando le popolazioni sono diventate stanziali e si è pensato di cominciare a occupare la terra e dichiararla di proprietà esclusiva secondo una prima forma di appropriazione indebita ante litteram. Ma ciò che sappiamo con altrettanta certezza è che vi è una galassia sconfinata di studi, di teorie, di pratiche della pace, perlopiù coltivata dai Centri Studi, associazioni, circoli culturali, organizzazioni non governative, che, però, non trova dignità accademica, non trova investimenti, a differenza della galassia degli studi e delle pratiche di guerra, che incontrano gli interessi di industrie belliche che fatturano miliardi. Ad ogni modo, la semantica della pace va coltivata a partire dal lessico che utilizziamo quotidianamente. Come educatori ed educatrici che assumono l’impegno politico e civico di presentarsi come “docenti pacefondai”, si può avviare una grande rivoluzione lessicale con un piccolo sforzo consapevole orientato alla smilitarizzazione del linguaggio: mai più militanti, ma attiviste/i; mai più concentramento, ma incontro; mai più in trincea o in prima linea, ma a disposizione. Si tratta di una piccola e costante attenzione lessicale che porta con sé una più grande rivoluzione semantica, di senso, un cambiamento di prospettiva che genera nuovi orizzonti di nonviolenza, che è quello di cui la scuola e l’umanità hanno bisogno e su cui don Tonino Bello ci ammoniva tempo fa: «Smilitarizziamo il linguaggio, spesso così intriso di assurde categorie belliche, che dà l’impressione di un agghiacciante bollettino di guerra. Preserviamo i nostri ragazzi, che hanno sempre più come principale referente lo schermo televisivo, dalle trasfusioni di violenza che essi metabolizzano paurosamente» (A. Bello, Convivialità delle differenze Meridiana, Molfetta 2006, p. 51). Michele Lucivero, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Protestare non è educato
In questi giorni oggetto di discussione sui giornali e nella piazza social è la protesta dello studente e della studentessa, che si sono rifiutati di sostenere la prova orale all’esame di maturità. Credo che quello che l’azione dei due e le varie reazioni, arrivate come sempre dalle parti più disparate […] L'articolo Protestare non è educato su Contropiano.
Intervista ad Alessandra Alberti e Cristina Ronchieri dell’Osservatorio su “Il Paese delle donne”
RILANCIAMO LA VIDEO-INTERVISTA AD ALESSANDRA ALBERTI E CRISTINA RONCHIERI, DOCENTI E REFERENTI PER I CONTATTI CON LE ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALI PER L’OSSERVATORIO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLE SCUOLE E DELLE UNIVERSITÀ, DA PARTE DI MARIA PAOLA FIORENSOLI DE IL PAESE DELLE DONNE. L’Osservatorio contro la militarizzazione nelle scuole e nelle Università collabora a livello nazionale e internazionale con soggetti impegnati sui temi della democrazia, dell’educazione alla pace, del contrasto alla cultura armista e militarista che in Europa, nelle Americhe e altrove si sta diffondendo capillarmente specie nei luoghi elitari della istruzione e della socialità delle generazioni più giovani.  Delle recenti iniziative dell’Osservatorio – compreso il VADEMECUM proposto a insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado – e del GLOBAL WOMEN FOR PEACE – UNITED AGAINST NATO, rete nata nel 2023 a Bruxelles e che in occasione del 75° anniversario della NATO (2024), ha organizzato a Washington DC una serie di iniziative contro il modello culturale della “sicurezza” articolato solo al militare, profittevole per il mercato delle armi, ostacolante lo sviluppo di società inclusive, che valorizzino le relazioni pacifiche e diplomatiche, ne parlano CRISTINA RONCHIERI (docente di lingue straniere nella scuola secondaria di II° grado, attivista nel Sindacato Sociale di Base), e ALESSANDRA ALBERTI (docente di lingua e letteratura inglese nella scuola secondaria di II° grado, del sindacato di base della scuola CUB SUR). Roncheri parla dell’opera di monitoraggio e di denuncia dei tanti e sempre più pervasivi programmi specifici del “Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della difesa” istituito dal ministro Crosetto l’indomani della sua nomina: iniziativa governativa in linea con quanto sta accadendo in Europa e non solo, con preoccupante gradualità nelle forme e nell’imposizione. Lo scorso WEBINAR del GLOBAL WOMEN (disponibile sul sito del network womenagainstnato.org), partecipato da centinaia di soggetti di vecchia (es. WILPF) e nuova costituzione, uniti nel contrastare la “cultura della difesa” e contro la NATO, ha accompagnato la preoccupazione per la diffusione di politiche militariste e di riarmo alla proposta di modelli sociali inclusivi che valorizzano le relazioni pacifiche e la risoluzione diplomatica dei conflitti e sostengano le organizzazioni internazionali a rischio di delegittimazione nello scenario mondiale. In merito, Alberti cita alcuni interventi: quello di Vera Zalka, esponente del “Sistema della società critica dell’Ungheria”, a contrasto della “fortissima militarizzazione della società ungherese dove, in un clima sempre più oppressivo e autoritario, nel 2024 sono state introdotte lezioni di militarismo nei programmi scolastici e dove gli/le insegnanti scioperando per rivendicare l’indipendenza della scuola dal mondo militare e proteggere la libertà d’insegnamento a oggi molto limitata. Quello della bielorussa Olga Karach, fondatrice e presidente dell’organizzazione per i diritti umani OUR HOUSE (condannata l’11 luglio dal regime di Lukashenko a 12 anni di carcere), attivista anche della WILPF (la più antica delle associazioni di donne per la pace, nata ai primi del Novecento e tra le maggiori sostenitrici del GLOBAL WOMEN). Olga K. ha denunciato la militarizzazione in atto dell’infanzia sotto il titolo di “educazione patriottica, con lezioni di coraggio effettuate da militari assegnati alle scuole che nel tempo costruiscono stabili relazioni anche con le famiglie e la scuola.” Altro intervento molto interessante, quello di Karin Utat Karson (Svezia) “Promuovere una cultura di pace insegnando la prevenzione dei conflitti e la risoluzione dei conflitti” con citazione di John Burton (teoria dei bisogni umani, vedi “piramide di Maslow”), che ha coniato la parola “provention” che combina “prevention” (prevenzione) con “promotion” (promozione), dove “prevenire” non significa prevenire un attacco armandosi ma prevenire la costruzione dell’immagine di un nemico, funzionale alle politiche di riarmo, e promuovere una società in cui vogliamo vivere e che non può esistere se non nel bene comune.” Gli scorsi appuntamenti del controvertice europeo NO NATO WAR SUMMIT, all’Aja (Paesi Bassi) e la manifestazione del 26 giugno a Roma con adesione di circa 500 tra associazioni, sindacati e movimenti politici, sono stati momenti di grande esposizione e presa di parola di movimenti sempre più diffusi contro politiche liberticide collegate alla “cultura della difesa”, alla corsa al riarmo e al rafforzamento della NATO. A chiusura dell’intervista, Roncheri ricorda la condanna dell’Osservatorio e la mobilitazione della scuola a sostegno della popolazione civile palestinese. Fonte: Il Paese delle Donne.
Non chiamiamola ‘Maturità’
Personalmente, ho un buon ricordo del mio esame di maturità. Allo scritto d’italiano mi capitò per tema una frase di Gramsci sullo studio della storia. Non poteva andarmi meglio. All’orale, la commissione si dimostrò obiettiva e corretta, ascoltandomi esporre con sicurezza pari solo alla mia ingenuità un programma articolato su […] L'articolo Non chiamiamola ‘Maturità’ su Contropiano.
DESENZANO (BS): BOICOTTA L’ESAME ORALE PERCHÈ CONTRARIO ALLA “CONCEZIONE PUNITIVA E REPRESSIVA” DELLA SCUOLA
Continuano ad emergere su quotidiani e televisioni nazionali nuovi casi di studenti e studentesse delle scuole superiori che si sono rifiutate di sostenere l’esame orale alla maturità. Hanno preferito accontentarsi di un voto appena sufficiente ottenuto con il curriculum scoltastico e le prove scritte. Diserzioni alla maturità anche in provincia di Brescia. Contrario ad una concezione “ottocentesca, punitiva e repressiva” del sistema scolastico Enea, ormai ex studente del liceo di Stato Girolamo Bagatta di Desenzano del Garda, si è rifiutato di sostenere l’esame orale. La decisione è stata presa dopo aver sostenuto gli esami scritti, durante i quali aveva ottenuto un punteggio “inferiore alla media di tutto l’anno precedente”, in particolare durante la prima prova. Dopo aver sostenuto i due esami scritti, Enea aveva già il punteggio necessario per la promozione. Per lui non era quindi fondamentale sostenere l’orale, che avrebbe contribuito unicamente ad alzare il voto finale. Contro le defezioni di studenti e studentesse si era schierato il Ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara, che ha già minacciato chi rifiuterà l’orale il prossimo anno: saranno bocciati. La testimonianza di Enea, che ha appena terminato gli esami di maturità presso il liceo Bagatta di Desenzano del Garda. È militante nel Collettivo Gardesano Autonomo e nel Fronte della Gioventù Comunista. Ascolta o scarica
Wumingfoundation.com: Rimozione forzata. Cinque anni dal lockdown e (fingere di) non sentirli
DI STEFANIA CONSIGLIERE E CRISTINA ZAVARONI PUBBLICATO SU WWW.WUMINGFOUNDATION.COM L’11 LUGLIO 2025 Ospitiamo con piacere sul nostro sito l’interessante articolo scritto da Stefania Consigliere e Cristina Zavaroni pubblicato su Wumingfoundation.com l’11 luglio 2025 in cui, tra le altre cose, viene ribadito quanto l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università denuncia da due anni a questa parte, vale a dire un pericolosissimo processo di occupazione degli spazi del sapere e della formazione da parte delle Forze Armate e di strutture di controllo. «Concludiamo in modo volutamente telegrafico con il più inquietante fra tutti i fenomeni elencati: impiantata quando la metafora della guerra al virus si è tradotta nella realtà di un generale a capo della campagna vaccinale, la militarizzazione prosegue imperterrita sulle strade, nelle scuole e nelle università, e scandisce il passo di marcia verso un conflitto che pochi, oggi, pensano ancora evitabile. E infatti ora ci dicono che è bene prepararsi al peggio mettendo in borsetta una power bank e un mazzo di carte...continua a leggere su www.wumingfoundation.com.