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Tomás Hirsch: “Jeannette Jara rappresenta la speranza che in Cile sia possibile cambiare le cose in modo profondo”
Il 29 giugno in Cile Jeannette Jara ha vinto le primarie della sinistra e sarà la candidata delle forze democratiche, progressiste, indipendenti e umaniste alle elezioni presidenziali che si terranno a novembre, dove dovrà affrontare i rappresentanti della destra e dell’estrema destra. Discutiamo della situazione politica e sociale del Paese, delle prospettive aperte da questa vittoria e delle proposte della coalizione di sinistra con Tomás Hirsch, deputato e presidente di Acción Humanista, che ha partecipato con entusiasmo alla campagna elettorale che ha portato alla schiacciante vittoria di Jeannette Jara. Dopo quasi quattro anni di governo Boric, come vedi la situazione politica e sociale in Cile? Quali sono stati i principali progressi in questo periodo e quali le sconfitte? Indubbiamente in questi quasi quattro anni di governo del presidente Gabriel Boric, a cui abbiamo partecipato come Acción Humanista, sono stati compiuti importanti progressi, ma non abbastanza da poter dire che il Cile è un Paese in cui esistono una vera giustizia sociale e diritti sociali garantiti come quelli a cui aspiriamo. Sono stati fatti dei progressi, ma c’è ancora molta strada da fare. Perché c’è ancora molta strada da fare? Fondamentalmente perché, pur stando al governo, non avevamo la maggioranza al Congresso e questo ha significato un impedimento permanente da parte della destra a realizzare le principali trasformazioni proposte nel nostro programma di governo. Si trattava di trasformazioni strutturali nei settori della sanità, dell’istruzione, della casa, del lavoro e delle pensioni. Allo stesso tempo, la sconfitta subita nel plebiscito per l’approvazione di una nuova Costituzione è stata un colpo durissimo, che ha generato frustrazione e smobilitazione in molte persone. Da quel momento in poi c’è stato un cambiamento nelle priorità del governo, con una forte enfasi sulla sicurezza e su altre questioni che non erano incluse nel programma iniziale. In breve, credo che ci siano stati grandi progressi nei diritti delle donne, nei diritti del lavoro, nella riforma del sistema pensionistico e in quella del sistema educativo, per finire con il sistema di crediti e pagamenti per gli studenti, ma c’è ancora molta strada da fare e questa è la possibilità che si apre con un governo guidato da Jeannette Jara. Jeannette Jara ha sconfitto Carolina Tohá, la candidata del Socialismo Democratico, che fino a pochi mesi fa i sondaggi davano per sicura vincitrice. Quali sono stati, secondo te, gli elementi che l’hanno portata alla vittoria?   Credo che ci siano diversi elementi che hanno contribuito alla vittoria di Jeannette Jara. In primo luogo, le sue caratteristiche personali. La gente la percepisce come una persona genuina, sincera, vera, che non finge di essere ciò che non è, riconoscibile come una persona che viene dal popolo, con una madre che era una donna delle pulizie, con lei stessa che è stata una lavoratrice stagionale in gioventù, una bracciante agricola, ma allo stesso tempo come una persona che come Ministra del Lavoro è riuscita a far approvare importanti leggi come la riduzione della giornata lavorativa, l’aumento del salario minimo e la riforma del sistema pensionistico. In breve, direi che c’è un rifiuto dell’élite politica, un rifiuto di un ritorno alla vecchia Concertación, espresso nel voto molto basso per Carolina Tohá, che è stata percepita come un membro dell’élite, come una persona “distante”, che spiegava come dovrebbero essere le cose. La gente è stanca di quelli che vengono a pontificare, che vengono a spiegare dall’alto come dovrebbero essere le cose. Allo stesso tempo, credo che ci sia un’aspirazione a muoversi verso trasformazioni profonde come quelle proposte da Jeannette Jara e un rifiuto, una distanza da ciò che si percepiva di Carolina Tohá, come una politica che voleva rifondare, riprendere quella che era la vecchia Concertación. C’è stato anche un voto punitivo per il Frente Amplio, che credo rifletta anche la frustrazione per ciò che questo governo non ha fatto, per tutte le promesse e gli impegni non mantenuti, anche se in molti casi questo mancato adempimento è dovuto al fatto che l’opposizione di destra ha la maggioranza al Congresso. Jeannette Jara rappresenta quindi la speranza, il ritorno della speranza che sia possibile cambiare le cose in modo profondo. Credo che questo elemento abbia avuto una forte influenza, rafforzato anche dalle sue caratteristiche personali. Jeannette viene percepita come una persona molto semplice, comunicativa, che vive e conosce davvero i problemi di cui soffre la stragrande maggioranza della gente. In un certo senso queste elezioni primarie sono state definite come una scelta tra “popolo ed élite”. Vedi delle analogie con un’altra vittoria inaspettata e incoraggiante, quella di Zohran Kwame Mamdani alle primarie del Partito Democratico per il candidato sindaco di New York?  Si possono certamente riconoscere delle analogie con la vittoria molto incoraggiante di Zohran Kwame Mamdani alle primarie del Partito Democratico per la candidatura a sindaco di New York. In Cile e negli USA queste vittorie esprimono una ribellione alle vecchie proposte conservatrici che promettono, ma alla fine non cambiano nulla. Credo che entrambi rappresentino la freschezza del nuovo, la possibilità di cambiare, le speranze delle nuove generazioni. In breve, mi sembra che ci siano delle analogie e che ci siano anche delle somiglianze con quanto abbiamo visto in Messico con l’elezione e le politiche portate avanti da Claudia Sheinbaum, l’attuale presidente del Paese. Che cosa ha spinto Acción Humanista a sostenere la candidatura di Jeannette Jara? In Acción Humanista abbiamo deciso di sostenere Jeannette Jara diversi mesi fa, quando nessuno la vedeva come una candidata con possibilità di vincere le elezioni primarie. La decisione è stata presa in un ampio consiglio generale all’unanimità e grazie a un registro di coerenza. Abbiamo ritenuto che fosse la cosa giusta da fare, che non si trattava di un calcolo elettorale, ma che dovevamo fare la nostra scelta sulla base di un registro di coerenza, che lei rappresentava le aspirazioni più sentite del mondo dell’umanesimo, che la sua proposta rifletteva le nostre priorità, le nostre lotte fondamentali. Va sottolineato che, oltre ai comunisti, il suo partito, Acción Humanista è stata l’unico altro partito a sostenerla alle primarie. Da questo punto di vista, tralasciando tutti i calcoli, e pensando all’epoca che molto probabilmente non avrebbe vinto, c’è stato un consenso per appoggiare la sua candidatura. Lo abbiamo fatto in modo molto attivo, ci siamo uniti al suo direttivo, siamo stati tra i principali portavoce della sua campagna, sia la deputata e vicepresidente di Acción Humanista, Ana María Gazmuri, sia il nostro sindaco Joel Olmos, sia io, come deputato e presidente di Acción Humanista. La nostra gente ha partecipato molto attivamente in tutte le regioni e i Comuni in cui siamo presenti. Abbiamo anche creato un legame umano molto stretto con Jeannette e credo che siamo riusciti a dare un contributo in termini di sguardo, di stile, di atteggiamento, di collocazione dell’umanesimo nel rapporto che stavamo costruendo con lei, che andava avanti già da prima e che ora è proiettato verso il primo turno delle elezioni,  a novembre. Valutando la nostra decisione ora che Jeannette ha vinto con una maggioranza schiacciante alle primarie, crediamo che sia stato un atto molto valido, che ci permette di guardare al futuro con grande speranza. Come umanisti siamo molto impegnati a continuare a lavorare insieme, a contribuire con uomini e donne ai rispettivi team di lavoro, a collaborare negli aspetti programmatici, editoriali, organizzativi e comunicativi. Sappiamo che in questa nuova fase confluiranno anche le équipe degli altri partiti progressisti che hanno perso alle primarie e hanno promesso il loro sostegno, per cui si formerà un direttivo molto più ampio e diversificato e continueremo a contribuire con la visione e le proposte dell’umanesimo. Quali sono i punti principali del programma della sinistra? I punti principali del programma sono, in primo luogo, passare da un salario minimo, che è già cresciuto molto con questo governo, a quello che noi chiamiamo un salario vitale, cioè un salario che permetta a una famiglia di vivere in modo decente e dignitoso.  In secondo luogo, portare avanti e approfondire la riforma del sistema pensionistico, auspicabilmente fino a porre fine alle “Administradoras de Fondos de Pensiones” ( AFP)[1].  In terzo luogo, portare avanti un modello di sviluppo e crescita con una migliore distribuzione del reddito, dando priorità ai progressi verso un maggiore valore aggiunto nell’economia del Paese, che è fondamentalmente un’economia estrattivista ed esportatrice di materie prime. Quarto, migliorare le condizioni nello sfruttamento dei nostri minerali, aumentando le royalties e puntando a recuperare l’industria del litio come industria strategica per il nostro Paese. Quinto, fare progressi nella riforma del sistema sanitario, rafforzando la sanità pubblica, che oggi soffre ancora di enormi carenze a causa della mancanza di finanziamenti adeguati che le permettano di competere meglio con i sistemi sanitari privati. In sesto luogo, una politica che ponga l’accento sulla protezione dell’ambiente, tenendo conto delle crisi climatiche, del riscaldamento globale e dei rischi che queste crisi climatiche comportano oggi per il nostro Paese. Pertanto, i criteri ambientali costituiscono un aspetto strategico e fondamentale del nostro programma di governo. Settimo, rafforzare e far progredire le relazioni internazionali con la nostra regione, mantenendo i legami con i Paesi dei cinque continenti, ma promuovendo una politica di pace, soprattutto nella nostra regione latinoamericana. Questi sono alcuni degli aspetti del programma di governo, che in questa fase sarà arricchito con le proposte programmatiche degli altri candidati che hanno partecipato alle primarie e hanno perso. Ci siamo impegnati a includere anche le loro proposte, per elaborare un programma comune a tutto il progressismo e l’umanesimo. Quali prospettive vedi per le elezioni presidenziali di novembre? Qualche tempo fa si dava per scontato che le elezioni di novembre sarebbero state vinte dalla candidata di destra Evelyn Matthei e c’era anche il rischio che vincesse un candidato di estrema destra come José Antonio Kast. Oggi direi che questo scenario è cambiato. I primi sondaggi dopo le primarie danno un ottimo primo posto a Jeannette Jara, molto più avanti di Matthei e Kast. Naturalmente il panorama è ancora aperto, mancano cinque mesi e possono succedere molte cose, ma credo che oggi sia un’elezione aperta e che il mondo della sinistra, del progressismo e dell’umanesimo possa vincere. Metteremo tutto in gioco per ottenere questa vittoria, che probabilmente non sarà al primo turno di novembre, ma al secondo turno di dicembre. Oggi Jeannette Jara è chiaramente una candidata molto competitiva, che sta generando una grande speranza in molte persone, soprattutto tra i giovani. Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo [1] Un sistema istituito nel 1981 dal regime militare di Pinochet, affidando le pensioni a società finanziarie private che gestivano i contributi dei lavoratori senza alcun intervento statale o contributo da parte dei datori di lavoro. Anna Polo
Jeannette Jara: la prima comunista che guiderà la sinistra cilena
Alle primarie delle elezioni cilene ha vinto Jeannette Jara per il Partito Comunista con oltre il 60% dei voti. Domenica 29 giugno si sono tenute le primarie della sinistra cilena. L’elezione vedeva confrontarsi quattro candidati: Carolina Tohá per il PPD, partito di centrosinistra membro della storica Concertación; Gonzalo Winter per il Frente Amplio, la coalizione del presidente Boric; Jaime Mulet, della Federación Regionalista Verde Social, e Jeannette Jara per il Partito Comunista. Ha vinto Jara, che con oltre il 60% dei voti ha ottenuto una vittoria non solo netta, ma anche storica: per la prima volta, infatti, una militante del Partito Comunista guiderà la candidatura presidenziale della sinistra cilena. Fino a oggi, il Partito Comunista del Cile (PCCh) aveva partecipato a numerose candidature e governi della sinistra cilena. Il governo del presidente Boric, quello di Salvador Allende o il secondo mandato di Bachelet sono alcuni degli esempi più rilevanti. In questi governi e nelle candidature che li hanno portati alla Moneda, il PCCh era presente, ma sempre in secondo piano. I comunisti fornivano disciplina, lavoro e forza militante, ma si riteneva che un candidato di quell’area fosse un suicidio politico. Il Cile era un paese troppo conservatore, o troppo anticomunista, perché qualcuno del PCCh potesse raggiungere la presidenza. Questa narrazione è durata a lungo ed è stata presente persino nella precedente primaria presidenziale, in cui il comunista Jadue partiva come favorito, ma fu ampiamente superato da Gabriel Boric che, oltre a fare una campagna migliore, era considerato più competitivo per la corsa presidenziale. Oggi, per la prima volta, questo racconto si è spezzato e Jara si è imposta con una forza che neppure le più ottimiste si sarebbero aspettate. L’ex-ministra di Boric ha vinto in tutte le regioni e ha ottenuto il doppio dei voti rispetto all’altra ex-ministra Carolina Tohá, che inizialmente molti consideravano come la favorita. Ha dimostrato chiaramente di essere la miglior candidata della primaria e ora resta da vedere come si muoverà in un terreno più difficile: l’elezione presidenziale. Foto di Luca Profenna JARA PUÒ VINCERE? La grande domanda che aleggia nella conversazione pubblica cilena è se Jeannette Jara abbia la possibilità di vincere un’elezione presidenziale. La candidata comunista ha già rotto lo schema delle primarie, ma riuscirà anche a rompere quello di un’elezione presidenziale? La prima cosa da dire è che Jara affronterà la sfida elettorale in un contesto estremamente difficile. La candidata della sinistra cilena avrà molte difficoltà non solo per essere comunista, infatti, molte delle sfide che dovrà affrontare sarebbero toccate a qualunque altro vincitore delle primarie. La prima di queste è il clima di smobilitazione che sta vivendo la sinistra cilena. La campagna ne è stata un chiaro riflesso: mentre la primaria del 2021 fu vibrante, intensa e pervasa da un certo sentimento di speranza, quella del 2025 è stata monotona, noiosa e ha faticato a suscitare l’interesse dei cileni. I numeri della partecipazione parlano da soli: nel 2021 votarono 1,7 milioni di persone in una primaria tra Frente Amplio e Partito Comunista; nel 2025 sono stati solo 1,4 milioni, nonostante questa volta partecipasse anche il centrosinistra e ci fossero quattro candidati. Le differenze non sono solo quantitative, ma anche qualitative: è sembrato che nel 2021 si corresse per vincere, mentre nel 2025 si è corso per sopravvivere. Il secondo elemento che complica qualsiasi candidatura da sinistra è l’usura del governo di Gabriel Boric. Un altro cambiamento del 2025 rispetto al 2021 è che “la primaria della sinistra” è diventata “la primaria del governo” e qualsiasi candidatura vincente sarà la rappresentante dell’attuale esecutivo nel prossimo agosto. Il governo di Boric non è affondato nei consensi, tutt’altro, e a differenza degli ultimi governi Piñera e Bachelet ha mantenuto percentuali stabili fino alla fine del mandato. Il problema è che questi numeri non sono sufficienti, poiché si aggirano attorno al 30% dell’elettorato, più o meno la percentuale che lo sostenne al primo turno nel 2021. Per arrivare al ballottaggio, Jara dovrà inizialmente conquistare quel 30% da cui al momento è piuttosto distante. Nelle elezioni di ieri ha votato solo il 9% del corpo elettorale e la candidata comunista, con i suoi 800.000 voti, dovrà arrivare almeno a due milioni per avere possibilità di giocarsi il secondo turno. Non è impossibile, ma certo non sarà una passeggiata. Il terzo punto critico per la sinistra è un’agenda mediatica sbilanciata a destra, dove l’insicurezza e la lotta alla criminalità restano i temi dominanti del dibattito pubblico e le principali preoccupazioni dei cileni. Questi temi, come già nel 2021, continuano a penalizzare la sinistra, oggi anche considerata responsabile per non averli risolti durante il mandato. In questo contesto, le ricette securitarie e i discorsi della mano dura di Kast, Matthei o Kaiser risultano molto più in sintonia con il sentire comune e hanno maggiori possibilità di crescere rispetto a una sinistra che fatica ancora a trovare tono e proposte. L’unico lato positivo è che almeno la candidata non sarà l’ex-ministra dell’interno – Carolina Tohá – che avrebbe avuto molte difficoltà a convincere qualcuno di essere la soluzione per problemi che non è riuscita a risolvere nell’ultima legislatura. Nonostante uno scenario tutt’altro che promettente, ci sono tre elementi chiave che sono stati determinanti nella vittoria di Jara e su cui si può costruire una candidatura presidenziale vincente. Foto di Luca Profenna LE BUONE CHANCES Il primo è che Jara è l’unica candidata in grado di articolare, in qualche modo, un discorso anti-establishment. A differenza di Winter e Tohá, la candidata comunista è cresciuta in un quartiere popolare e ha una storia personale che può connettere con il cileno medio, evitando di essere percepita come parte dell’élite. Questo è fondamentale nel contesto cileno, dove il rifiuto delle élite è stato una costante negli ultimi anni. Questo rifiuto ha avuto espressioni tanto a destra quanto a sinistra, a seconda del momento politico, ma è presente dal estallido social [una serie di manifestazioni scoppiate in Cile, principalmente nella capitale Santiago, a partire dal 7 ottobre 2019, inizialmente contro l’aumento del costo del biglietto della metropolitana, ma ben presto estese alla protesta contro il carovita e la corruzione, ndt] del 2019. È stato presente nelle proteste contro il governo Piñera, nel rigetto di due proposte costituzionali e anche in un’elezione presidenziale in cui Boric riuscì a incorniciare il secondo turno come uno scontro tra “il nuovo e il vecchio”, che lo portò alla vittoria su Kast. Se Jara vuole vincere l’elezione dovrà in qualche modo cavalcare questo sentimento diffuso tra molti cileni. Avrà un’occasione, dato che i suoi principali avversari – Matthei, Kast e Kaiser – provengono da famiglie con generazioni alle spalle in posizioni di potere politico o militare. Il punto sarà capire se riuscirà a farlo in un contesto di forte distacco verso un governo di cui ha fatto parte attivamente. Il secondo elemento che favorisce Jara è che probabilmente è colei che meglio può sopravvivere al sentimento antigovernativo oggi prevalente in Cile. Tra tutte le misure adottate dal governo in questi quasi quattro anni, quelle uscite dal ministero di Jara sono state le più apprezzate dalla popolazione cilena. La riduzione della giornata lavorativa e l’aumento del salario minimo sono state tra le poche promesse che il governo Boric ha mantenuto in modo soddisfacente, insieme alla riforma delle pensioni, che pur se insufficiente, almeno indica una direzione. Dunque, se si tratta di difendere l’eredità del governo Boric, Jeannette Jara è probabilmente la più preparata a farlo e la meno esposta alle critiche sull’insoddisfazione verso l’esecutivo. Il terzo punto a favore di Jara riguarda il suo rapporto con il partito. Si è ripetuto fino alla nausea che la sua militanza comunista potrebbe condannarla al fallimento, ma Jara non è percepita come una comunista tipica. Il suo rapporto con il partito è stato molto teso negli ultimi mesi e la candidata si è notevolmente distanziata, senza però rompere del tutto con la cupola comunista. Jara ha dichiarato che chi «vince la primaria sarà la candidata di una coalizione ampia, non di un solo partito» e ha evitato di prendere posizione sugli orientamenti internazionali del partito in temi delicati come Cuba o Venezuela, questioni su cui Jadue perse terreno nelle passate primarie. L’ex-ministra del lavoro sa perfettamente che se sarà percepita come una comunista intransigente non avrà nessuna possibilità in queste elezioni, per cui negli ultimi mesi ha cercato di distaccarsi da quella immagine. La figura di Jara, quindi, non è quella di una militante comunista tradizionale, ma quella di una persona che, tanto per il suo percorso personale quanto per la sua traiettoria politica, può essere considerata a suo modo un’outsider – e questo, negli ultimi anni, ha avuto un certo valore nella politica cilena. Per molti, la nuova candidata ricorda più Bachelet per il suo carisma e la sua empatia nel rapporto con le persone, rispetto a una tipica candidata comunista; questo potrebbe aiutarla nelle prossime elezioni. Come detto, per Jara sarà una sfida molto difficile ed è bene essere consapevoli della realtà e non farsi troppe illusioni, nonostante la forza della sua vittoria. Tuttavia, la campagna delle primarie ha mostrato chiaramente – come già si era visto nel suo lavoro di governo – che è una persona capace di connettere con la gente e che ha delle qualità come candidata. Non sarà la candidata ideale, ma è senza dubbio di gran lunga, colei che meglio può rappresentare la sinistra tra coloro che possono (e vogliono) farlo. Articolo pubblicato originariamente in castigliano su El Salto Diario. Traduzione in italiano di Alessia Arecco per DINAMOpress Immagine di copertina di Voceria de Gobierno de Chile, 2022, da commons.wikimedia L'articolo Jeannette Jara: la prima comunista che guiderà la sinistra cilena proviene da DINAMOpress.