Migliaia in corteo a Messina: il Sud unito contro il Ponte sullo Stretto
Ancora una volta in migliaia abbiamo percorso le strade di Messina. Lo abbiamo
fatto insieme a tante realtà del Sud con le quali condividiamo la decisione di
difendere i nostri territori dalla furia devastatrice delle politiche coloniali
ed estrattiviste. In questi giorni la governance del ponte ha subito un duro
colpo, ma noi non ci facciamo illusioni. È possibile che tornino ancora, perché
il dispositivo del ponte è uno strumento troppo succulento per il blocco sociale
che lo sostiene. Noi ci saremo ancora, ma, soprattutto, continueremo la nostra
lotta per rivendicare le risorse destinate al ponte affinché vengano soddisfatti
I bisogni che i nostri territori esprimono.
Abbiamo fatto un altro passo. Tantissime volte ci siamo ritrovati in questa
piazza alla fine di un corteo no ponte. E siamo sempre stati in tanti. Sì,
perché questo è sempre stato il movimento no ponte, un movimento di popolo, un
movimento dal basso, un movimento di abitanti che vogliono decidere del proprio
futuro. Questo è sempre stato il movimento no ponte, un luogo d’incontro per
tutte le lotte territoriali. Oggi, collegati con la manifestazione che intanto
si svolge a Roma, questo luogo è anche la Palestina.
> Perché Gaza è oggi il nome comune di ogni ingiustizia e perché il progetto di
> ricostruzione di Gaza è la manifestazione più feroce delle politiche
> estrattiviste e coloniali di cui anche il ponte è espressione. Quelle stesse
> politiche estrattiviste e coloniali che portano con sé morte e repressione,
> repressione che colpisce i movimenti con arresti, multe, misure sempre più
> restrittive della libertà di manifestare,
Saremmo potuti venire in piazza convinti di dovere dare l’ultima spallata,
convinti che, alla fine, un giudice metterà fine a questa follia e che ci
preserverà dalla devastazione. Saremmo potuti venire in piazza convinti che
fosse riconosciuta la ragionevolezza delle nostre argomentazioni, che, alla
fine, le bugie hanno le gambe corte e la giustizia prevale sempre. Noi, però,
abbiamo imparato che non è così. In tutti questi anni abbiamo imparato che la
storia del ponte è fatta di un’alternanza di fasi e che a uno stop segue sempre
una ripresa. Non è, d’altronde, solo la storia del ponte. È la storia delle
grandi opere e avviene perché intorno alle grandi opere si forma un blocco
sociale che si nutre delle risorse pubbliche.
Per questo ci fidiamo così poco delle forze politiche, perché gli abbiamo visto
cambiare opinione troppe volte. E anche quando si sono schierate per
il no al ponte gli abbiamo visto usare troppo spesso un no condizionato. «Il
nostro non è un no ideologico», dicono. E quale sarebbe il no ideologico?
«Questo progetto non sta in piedi», dicono. E, se stesse in piedi, diventeremmo
per quello a favore del ponte? Noi pensiamo, invece, che dalla storia
del ponte bisogna uscire definitivamente.
Il ponte non è emendabile, non esiste il ponte ecologico, non esiste il progetto
che non impatta sul territorio, soprattutto non esiste un ponte che non sperpera
enormi quantità di risorse pubbliche che andrebbero usate per la messa in
sicurezza del territorio, per scuole, ospedali, reddito. Così come abbiamo
scritto nell’appello “Il Sud unito contro il ponte”.
*
*
di Flashmood
…MA CHE COS’È QUESTO SUD?
Potremmo partire dal dire che c’è sempre qualcuno più a Sud… nel piccolo e nel
grande: a Messina, città del Sud, c’è una zona sud: quella che non ha la
spiaggia più bella secondo il National Geographic, quella che nei decenni è
stata sacrificata prima all’industria e poi al consumo, quella che non fa
notizia, non esiste, non importa… e quella che, in qualche modo, è colpa di chi
ci abita se ogni giorno è ancora là…
Il Sud: il Sud dove manca il progresso (quella nozione circondata dalla nebbia
che, come ricordavamo questa estate, anche nella teoria di chi ci governa
dovrebbe essere tutt’altro da una grande opera inutile e impattante); il Sud
dove manca la civiltà; il Sud dove manca la voglia di lavorare; il Sud dove
manca la coscienza; il Sud dove manca la legalità. Ma non si sa perché a nessuno
interessa che manchino (queste davvero) la sanità, la cultura, la cura per i
territori, le basi per avere la libertà di decidere come vivere…
E in questo contesto un po’ di spaesamento con qualche deriva razzista, noi, che
siamo il Sud dell’Italia, guardiamo al Sud del Mediterraneo, al Nord Africa, per
cercare alleati, amici, compagni; e loro, quelli del Nord dell’Africa, a loro
volta guardano al Sud del Sahara, e forse si continua così fino al polo, chissà…
Se fossimo (per dirne una) nei Balcani, o anche egiziani (strano ma vero), le
nostre percezioni cambierebbero: non ci sentiremmo “a Sud” ma “a Est”; e allora
potremmo dire che c’è sempre qualcuno più a Est (palestinesi, siriani, curdi,
iracheni, iraniani, afgani e via dicendo…). E questo è già un primo paradosso.
Il secondo paradosso è che negli ultimi anni è diventata palese una strana
emigrazione di “progresso”: i meccanismi più beceri di estrazione di profitto
sono arrivati, palesemente, al Nord: cantieri senza una fine, incompiute, opere
pubbliche fatte coi piedi, ricatto occupazionale… Insomma: quelle cose che sono
cose del Sud…
E intanto, dall’altro versante, la “democrazia illiberale” (come la chiamano in
tv per non allarmarci troppo), quella cosa dell’Est, si è palesata, senza più
veli, a Ovest: repressione sempre più violenta, pene sempre più severe,
giustizialismo sempre più cieco, un’emergenza eterna e l’idea che dietro ogni
parola non conforme c’è un nemico. Repressione che in questi mesi ha colpito con
arresti, multe e denunce le lotte contro il ponte e il ddl sicurezza, il
movimento contro la guerra e solidale col popolo palestinese.
> Sud, Nord, Est, Ovest… sono convenzioni per capire dove siamo su una cartina
> geografica (che è a sua volta una convenzione) e vengono, da chi ha più
> potere, usate come convenzioni anche per stabilire chi sta sopra e chi sta
> sotto. Perché il sistema ha bisogno di qualcuno che sia sempre più in basso;
> di qualcuno a cui manchi sempre qualcosa; di qualcuno a cui continuare a
> togliere per poi dargli l’illusione di ricevere una grazia.
Ma non sono le convenzioni stabilite da altri che possono definire chi siamo,
che è indissolubilmente legato a dove scegliamo di essere, ai territori che
decidiamo di vivere. E quindi, tornando alla domanda: che cos’è questo Sud?
Quello che vogliamo che sia. Tutto quello che ha di potenziale nei nostri
desideri. Il Sud può diventare, se lo vogliamo, un concetto intersezionale: non
un modo per tracciare nuovi confini identitari, ma una parola collettiva che
riunisce e rimanda a tutte le comunità e singolarità che ogni giorno, in ogni
parte del mondo vengono ingannate, sfruttate, impoverite, tarpate, ignorate,
bombardate, asfaltate e continuano a resistere. Il Sud, può essere la parola con
cui immaginiamo, in un mondo che ci vorrebbe tutti uguali sotto i più uguali
degli altri, una collettività delle differenze.
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*
di Flashmood
CONVERGENZE
E forse è per questo che siamo qua: se è vero (e, in fondo, è vero) che nessuno
si salva da solo, vogliamo desiderare, insieme, un nuovo modo di resistere e di
esistere; e andare in quella direzione.
Ed è in risposta a tutto questo che oggi abbiamo dato vita a questo bellissimo
spezzone, ampio e plurale, che ha riempito le strade di Messina e che si ritrova
qui, con le tantissime di persone di questa piazza. Una piazza che mette al
centro la lotta contro l’estrattivismo delle grandi opere, contro la
devastazione di tutti i territori di tutti i Sud e che parte dalla necessaria
urgenza della solidarietà tra tutte le comunità in lotta, ecco una piazza così,
questa piazza non può che essere invasa dalla consapevolezza che tocca a noi
adesso chiudere definitivamente la partita del ponte. Solo la nostra
mobilitazione può far sì che i nostri territori smettano di essere ostaggio di
un’opera già crollata su se stessa e che i 13 miliardi e mezzo di euro destinati
al ponte vengano impiegati per realizzare scuole, ospedali, infrastrutture di
mobilità sostenibile, messa in sicurezza idrogeologica e sismica,
riammodernamento della rete idrica e tanto altro.
Siamo chiare, siamo chiari: tocca a noi farlo. È una lotta che non possiamo, né
vogliamo delegare. È una lotta delle persone, dei comitati, dei collettivi, dei
movimenti, delle comunità – e nessuno se ne può appropriare. E il primo
obiettivo per archiviare la questione ponte per noi è evidente: chiudere la
Stretto di Messina SpA. Lo gridiamo forte a chi è al governo – a Meloni,
Salvini, Tajani –, ma lo ricordiamo anche a chi ha avuto responsabilità di
governo in passato e non lo ha fatto. Oggi alcuni di questi soggetti hanno
manifestato per le strade di Messina, ma vogliamo essere chiare, e altrettanta
chiarezza pretendiamo, con chi magari un giorno tornerà al governo del Paese:
chiudere la Stretto di Messina SpA. Il problema non è solo il ponte di Salvini,
il problema è il ponte in sé.
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*
di Flashmood
Questa piazza chiama anche i governi regionali e locali a un’assunzione
collettiva di responsabilità, perché non siamo disposte, e mai lo siamo state, a
tollerare complicità più o meno aperte con questi progetti di saccheggio da
parte di chi dovrebbe tutelare gli interessi dei territori in cui viviamo. E non
possiamo che cominciare dal sindaco di Messina, Federico Basile, che chiamiamo,
per l’ennesima volta, a prendere una posizione chiara e netta, a dirci se vuole
assumere una iniziativa politica in difesa di Messina o contribuire a regalare
la città a Webuild, in cambio di quattro spicci per le opere compensative.
Questo spezzone, questa piazza, ci consegnano ancora una volta la piena
consapevolezza che la lotta No ponte è molto più di una battaglia ambientale o
locale. È il punto cruciale in cui i territori del Sud tornano a essere voce
collettiva, tornano a mettere al centro se stessi, i propri bisogni, la propria
dignità. No al ponte, ma, ancora di più, no a una classe politica che per anni
ci ha trattato come territori di conquista, come luoghi da sfruttare e svuotare.
> E allora lo ripetiamo, limpide e determinate, quello che vogliamo. Vogliamo
> che i miliardi oggi destinati alla devastazione dei territori e alle armi
> vengano invece investiti nei servizi essenziali e per la tutela dei diritti
> fondamentali, dalla Palestina allo Stretto, passando per tutti gli altri Sud.
> Vogliamo una sanità pubblica efficiente, capillare, di qualità. Vogliamo
> infrastrutture davvero sostenibili, che uniscano persone e comunità, non che
> le dividano.
Vogliamo l’acqua nelle case, vogliamo scuole e ospedali che funzionino, vogliamo
poter nascere, crescere e invecchiare con dignità, con servizi pubblici che non
lascino indietro nessuno. Vogliamo poter scegliere: scegliere di restare o di
partire, senza essere costrette a scappare. Vogliamo questo e molto di più.
Dalla piazza di Messina, da questa piazza, nasce un’onda che non potrete
fermare.
Copertina e galleria di fotografie dal corteo a cura del collettivo Flashmood,
che ringraziamo per la collaborazione. Il comunicato No Ponte è stato pubblicato
sulla pagina facebook No Ponte.
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