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Israele è una democrazia? No, per almeno 8 motivi
Come ricordiamo sempre, lo spazio “interventi” ospita contributi non redazionali che però ci sembrano utili per il lettore.Questo intervento in particolare è condotto secondo una logia rigorosamente liberale, quasi “da manuale”, e contiene dunque giudizi che in diversi casi non ci sembrano affatto condivisibili. Proprio per questo, però, l’articolo demolisce […] L'articolo Israele è una democrazia? No, per almeno 8 motivi su Contropiano.
Bologna. No alla partita della vergogna Maccabi-Virtus! Il governo vuole lo scontro
Sulla questione il governo Meloni ha deciso di giocare la carta della provocazione doppia: contro il manifestanti e contro la giunta Lepore.  Nell’approssimarsi dell’appuntamento, infatti, il sindaco piddino aveva fiutato l’aria, in conseguenza delle dimensioni di massa assunte dalla protesta antisionista, e cambiato atteggiamento. “Come Sindaco della città voglio ribadire […] L'articolo Bologna. No alla partita della vergogna Maccabi-Virtus! Il governo vuole lo scontro su Contropiano.
La “democrazia in Israele”. Pena di morte su base razziale e chiusura di testate giornalistiche straniere
La Knesset ha approvato in prima lettura la proposta di legge sulla pena di morte per i “terroristi” che uccidono cittadini israeliani. Si tratta del primo di tre voti necessari all’approvazione definitiva.  Il disegno di legge stabilisce che i tribunali israeliani debbano imporre la pena di morte a coloro che […] L'articolo La “democrazia in Israele”. Pena di morte su base razziale e chiusura di testate giornalistiche straniere su Contropiano.
FAO: “a Gaza non c’è più terreno coltivabile”
La Food and Agricolture Organization (FAO), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di questioni alimentari, ha tratteggiato, nel suo rapporto annuale, una situazione di criticità senza precedenti per Gaza: meno del 5% dei terreni rimane coltivabile, con il sistema locale di produzione sostanzialmente collassato. La responsabilità ricade nelle operazioni […] L'articolo FAO: “a Gaza non c’è più terreno coltivabile” su Contropiano.
La fine di Israele? Chris Hedges intervista Ilan Pappè
 Nonostante il dominio militare di Israele sui suoi nemici regionali, l’entità sionista si trova davvero nel momento più vulnerabile della sua storia? E, cosa ancora più importante, può sostenere il progetto dello Stato ebraico? Lo storico israeliano Ilan Pappè sostiene che Israele stia implodendo. Egli definisce l’attuale governo di estrema […] L'articolo La fine di Israele? Chris Hedges intervista Ilan Pappè su Contropiano.
La vergogna di Carlo Ginzburg e la risposta di Giorgio Mariani
Sulle pagine de Il Manifesto è comparso un dialogo di alto livello, se si parla della sfera culturale italiana. Il 23 ottobre Carlo Ginzburg, a Milano, ha letto un discorso per il centesimo anniversario della Hebrew University di Gerusalemme. Il testo lo ha poi proposto al giornale che lo ha dunque […] L'articolo La vergogna di Carlo Ginzburg e la risposta di Giorgio Mariani su Contropiano.
Le lacrime di coccodrillo di Emanuele Fiano. Una risposta ragionata
Arrivare a questi livelli di ipocrisia era davvero un’impresa ardua. Ma ci sono riusciti. Un’azione di contestazione che i ragazzi del FGC hanno aperto con le parole “non siamo antisemiti, respingiamo l’antisemitismo”, scandite a gran voce in un microfono e udite da tutti, è stata raccontata a reti unificate sui giornali italiani come un “attacco antisemita” contro Emanuele Fiano, ex parlamentare del PD ed esponente di “Sinistra per Israele”. Fiano, che prima di essere contestato ha parlato per almeno 40 minuti, sarebbe stato messo a tacere perché ebreo. “Come mio padre nel ‘38”, ha aggiunto incredibilmente, con una dose notevole di sfacciataggine. Non c’è una parola più appropriata, quando persino la tragicità della sua vicenda familiare, che lui per primo dovrebbe trattare con rispetto, viene svilita pur di avere un argomento politico spendibile a breve termine contro chi critica Israele, facendo fronte comune con il governo di destra. Scomodando la memoria di suo padre perseguitato dall’OVRA sotto le leggi razziali, Emanuele Fiano insulta la nostra intelligenza, perché è chiarissimo che è stato contestato per le sue posizioni politiche. Per dirla in una battuta, Moni Ovadia non avrebbe ricevuto la stessa contestazione. Fiano lo sa benissimo, anche se finge di non saperlo. Ci sembra piuttosto che Fiano, che è un politico di lungo corso e tutt’altro che un agnellino, si sia prestato ad un’operazione politica (e mediatica) che ingigantisce una contestazione per finalità ben diverse dall’affermazione di alcuni principi. È difficile non notare la convergenza di settori del Partito Democratico assieme alle forze del governo di destra nel tentativo di ricompattare un consenso parlamentare attorno alla politica del governo Meloni di difesa di Israele a tutti i costi. In soldoni vediamo questo scenario: la destra cerca di spaccare il PD e il “campo largo” agitando l’accusa di connivenza con settori “antisemiti” contro la segreteria di Elly Schlein; i settori “centristi” e “moderati” del PD fanno lo stesso dall’interno, puntando alla convergenza con chi – come Renzi e Calenda – già è disponibile alla pacificazione con il governo rispetto alla condotta nei confronti di Israele. Il nodo che verrà al pettine sarà, ed è ampiamente prevedibile, il voto coordinato di tutti questi settori in favore del DDL Gasparri contro l’“antisemitismo”. Una legge bavaglio che punta a punire come odio antisemita la critica politica a Israele. Con i fatti di questi giorni, Fiano è, consapevolmente o meno, uno strumento di questa operazione politica, senza nessun imbarazzo nell’incassare immediatamente il sostegno degli eredi politici di coloro che – per davvero – furono complici delle leggi razziali, delle deportazioni e dello sterminio degli ebrei italiani. Intanto, Emanuele Fiano ha affidato alle colonne del Foglio (qui l’articolo) un suo sermone ai “ragazzi fascisti che gli hanno impedito di parlare”. L’articolo è un ottimo spunto per rispondere nel merito a molti degli argomenti che da due giorni imperversano su tutti gli organi di stampa. Prima di entrare nel merito, però, una precisazione doverosa. Mentre da due giorni si parla a sproposito di Fiano “silenziato”, la verità è che sulla stampa Fiano e i “suoi” parlano a reti unificate. La gioventù comunista viene definita un’organizzazione “antisemita” senza possibilità di contraddittorio e, per ora, di smentita.  Un numero veramente risibile di organi di informazione ha tenuto in conto il comunicato che esprimeva la nostra posizione, pubblicato peraltro in stralci microscopici, evidentemente per timori legali. Nessuna trasmissione televisiva ha invitato esponenti del FGC a parlare per esporre le proprie tesi. Ai cittadini viene proposta un’informazione a senso unico. Se c’è un pericolo di censura è questo! Questo, e non la contestazione di un gruppo di studenti a un ex deputato che esprime delle posizioni quantomeno definibili controverse, come la negazione del genocidio nella striscia di Gaza. Questo articolo, parafrasando il titolo dell’articolo di Fiano, avrebbe potuto intitolarsi “Il FGC spiega cosa avrebbe voluto dire all’Italia se i giornali gli avessero dato la parola”. Fatta questa premessa, entriamo nel merito di alcune cose. Lo facciamo riportando le parole di Fiano, più di quanto lui e i suoi giornali siano disposti a riportare le nostre. Fiano dice: “ho provato a spiegare che l’antisionismo, quando nega il diritto all’autodeterminazione di un popolo […] diventa antisemitismo. Se neghi al popolo ebraico ciò che rivendichi per gli altri – il diritto di autodeterminarsi – stai compiendo una discriminazione.” Partiamo da qui. Definire “autodeterminazione del popolo ebraico” ciò che fa Israele equivale a dire che l’invasione hitleriana della Polonia era “autodeterminazione del popolo tedesco”. È autodeterminazione del popolo ebraico il fatto che lo Stato di Israele dichiari apertamente che non esisterà mai uno Stato di Palestina? È autodeterminazione sterminare 70mila persone a Gaza? È autodeterminazione degli ebrei aver costretto la popolazione di Gaza a vivere in un assedio perenne, aver imposto un regime di apartheid nei territori occupati della Cisgiordania? Rivendicare una terra abitata da un altro popolo sulla base di un messianesimo religioso? Il principio di autodeterminazione dei popoli nasce per riconoscere legittimità alle lotte delle popolazioni sottoposte ad occupazioni coloniali. Nel momento in cui si usa per legittimare l’operato di Israele, che da decenni occupa territori al di fuori di qualsiasi forma di legalità sancita dal diritto internazionale si compie un grottesco e inaccettabile ribaltamento della realtà. La questione diventa più chiara seguendo lo sviluppo del ragionamento di Fiano: “Si può contestare, si deve discutere. Si può criticare il governo di Israele, come qualsiasi governo. Ma negare agli ebrei il diritto all’autodeterminazione, cancellare lo stato di Israele dalla carta, impedire la parola a chi non si allinea: questo non è dibattito, è totalitarismo.” Apriti cielo. Si costruiscono castelli in aria, ma fino a prova contraria qui sulla terra è lo Stato di Israele a essere sulle carte geografiche, mentre lo Stato di Palestina non c’è. E non c’è precisamente perché Israele ha deciso di impedire che possa esistere. A questa obiezione basilare solitamente si sente la stessa risposta “Sì, ma è perché Hamas ha come obiettivo la cancellazione dello Stato di Israele”. Ecco, questo è un esempio da manuale di informazione manipolata e parziale. Nel programma originale del partito oggi al governo in Israele, il Likud, si leggeva “Il diritto del popolo ebraico alla terra di Israele è eterno e indiscutibile […] tra il Mare e il fiume Giordano ci sarà solo la sovranità israeliana”[1]. In Italia si scrivono fiumi di parole sullo slogan “dal fiume al mare”, che spesso viene urlato nelle manifestazioni per la Palestina, ma si dimentica che questo slogan nasce proprio in Israele e nel piano di cancellare i palestinesi dalla Palestina. I palestinesi lo hanno fatto proprio di riflesso. Si dimentica anche che le cose sono più complesse della dicotomia tra i “pacifici” e gli “intolleranti” che si vorrebbe raccontare. Anche dal lato palestinese. Ad esempio, quanti sanno che Hamas nel 2017 aveva accettato la prospettiva di uno Stato palestinese nei confini del 1967 e quindi, implicitamente, una soluzione a due Stati?[2] È proprio sulla questione dei “due popoli, due Stati” che si svela l’enorme ipocrisia di fondo di Fiano e compagnia. Formalmente, proclamano di essere per “due popoli, due Stati”, al punto da aver inserito queste parole anche nel loro nome. Lo dicono, come lo dicono gli USA e l’UE. Ma nei fatti sostengono Israele, e promuovono la sinistra “per Israele”, proprio mentre l’obiettivo di Israele è cancellare per sempre dalla storia la possibilità di uno Stato palestinese e di una soluzione a due Stati. E la cosa peggiore non è neanche questa. La cosa peggiore è che Israele vuole sì uno Stato unico, ma non è disposto a far sì che sia uno Stato anche per i palestinesi. Non vuole uno stato binazionale, ma uno Stato ebraico chiuso in cui gli “arabi”, come vengono chiamati da quelle parti (negando che esista una nazionalità “palestinese”) saranno al massimo “ospiti”, minoranza, cittadini di serie B. Israele non vuole dare diritti di cittadinanza a milioni di palestinesi, perché teme che diventino la maggioranza. Non vuole una “soluzione” a uno Stato, ma piuttosto una “situazione” a uno Stato, imponendo con la forza, de facto, la sua esistenza esclusiva tra il fiume e il mare. Oggi non si può essere contemporaneamente per “due popoli due Stati” e “per Israele”. Se si è per due Stati, bisogna prendere parola contro Israele. Ma questo la “Sinistra per Israele” non lo fa. E no, non basta dirsi contro il governo di Netanyahu. Si tratta di una posizione di comodo, per provare a rendersi più presentabili nel dibattito pubblico e, probabilmente, per lavarsi un po’ la coscienza. Talmente di comodo che negli ultimi mesi persino esponenti del governo di destra, dinnanzi a uno scenario sempre più indifendibile nella Striscia di Gaza, non hanno lesinato critiche al primo ministro israeliano. Dirsi contro il governo di Israele, a favore dell’opposizione di Lapid, che in questi anni ha dato pieno sostegno all’operato dell’esecutivo a Gaza, non rende le proprie posizioni sulla questione palestinese più accettabili, al massimo più ipocrite. Quello che avviene ai palestinesi non è imputabile al fatto che in Israele c’è un governo di destra, ma piuttosto a una strategia condivisa sia dal governo israeliano che dalla sua “opposizione”, espressione delle élite di quel paese. Dove sono le parole di Fiano contro il genocidio dei palestinesi – riconosciuto come tale dalle corti internazionali, dall’ONU, da tutte le ONG umanitarie – compiuto da Israele? Non esistono. Silenzio. Dove sono le parole contro il piano di trasformare Gaza in un protettorato degli USA? Non ci sono, silenzio. È legittimo o no contestarli pubblicamente per le posizioni politiche che esprimono e per quelle che non esprimono? A nostro avviso, lo era eccome. Era anzi doveroso. Per sviare l’attenzione da questo silenzio imbarazzante, accusano noi di essere intolleranti e di volere “la cancellazione dello Stato di Israele”. Il FGC, in continuità con la posizione assunta dal movimento comunista internazionale, sostiene la nascita e il riconoscimento di uno stato palestinese indipendente e sovrano nei confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale e la garanzia del diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Se certi giornali avessero fatto un minimo di inchiesta avrebbero trovato questa posizione nelle nostre dichiarazioni recenti (l’ultima risale a pochissimi giorni fa)[3]. Sappiamo bene che non è una prospettiva priva di criticità, anzi. Ma allo stato attuale delle cose, il minimo che si possa fare è ristabilire il diritto internazionale ed esigere che Israele si ritiri all’interno dei confini riconosciuti come legittimi dalle Nazioni Unite. Israele deve smantellare le colonie, rompere l’assedio e permettere la nascita di uno Stato di Palestina. Proprio perché non siamo ipocriti, dinanzi alla realtà dell’occupazione e del regime di apartheid, riconosciamo il diritto dei palestinesi a lottare con tutti mezzi contro l’occupazione illegittima e l’oppressione. Per qualche assurda ragione, nell’Italia che ha conosciuto bene l’occupazione tedesca e la lotta partigiana di liberazione, si fa fatica a riconoscere una prerogativa riconosciuta dal diritto internazionale, cioè il diritto alla resistenza contro un’occupazione. È una cosa tanto semplice che fino a qualche decennio fa era pacifico che venisse ricordata davanti al parlamento dal Presidente del Consiglio italiano e persino dagli esponenti della DC. Negli ultimi anni, invece, proprio le posizioni che si vorrebbero presentare come “silenziate” hanno messo una pressione tale da rendere il riconoscimento di questo diritto qualcosa di difficile anche solo da pronunciare. Praticamente nessuno tra i “politici” lo fa, mentre tra gli intellettuali va riconosciuto il coraggio di averlo fatto a Piergiorgio Odifreddi. Ma verrebbe da porgere la seguente domanda: secondo la “Sinistra per Israele”, esattamente, i palestinesi cosa dovrebbero fare? Attendere per grazia divina che Israele smetta di fare quello che sta facendo da decenni? O attendere che uno Stato palestinese venga loro offerto dalla stessa “comunità internazionale” composta dagli alleati storici di Israele? A questo interrogativo non daranno risposta. Ribadiranno banalità come “la violenza è sempre sbagliata” e che quando i palestinesi sparano “passano dalla parte del torto”. Il fatto che tutti i principali partiti politici palestinesi – compresa Fatah, che pure è al governo dell’ANP – abbiano le loro milizie armate, e che la lotta armata palestinese abbia una storia pluridecennale che risale a molto prima della nascita di Hamas, non scalfirà le coscienze della nostra “Sinistra per Israele”. A proposito di democrazia, poi. Fiano dice: “La libertà di espressione non è un favore concesso agli amici: è la regola che protegge tutti, soprattutto le minoranze e i dissenzienti. Vale per me oggi, varrà per loro domani.” In Israele i dissidenti vengono perseguitati, sanzionati, espulsi fisicamente dal parlamento appena esprimono dissenso, come accade da tempo al deputato comunista Ofer Cassif, membro del Partito Comunista di Israele (Maki) e di Hadash. Verrebbe da chiedere a Fiano se la sua idea di libertà è quella israeliana. A giudicare dalle richieste di mettere a tacere Francesca Albanese e dall’utilizzo arbitrario dell’accusa di antisemitismo come clava contro il dissenso politico, forse sì. Fiano invoca la “libertà di parola” e inventa una censura inesistente, mentre non sembra farsi problemi nell’essere uno strumento della destra nazionalista per introdurre una censura vera e pesante. Il DDL contro l’antisemitismo depositato in Parlamento da Gasparri è uno strumento che verrà utilizzato per mettere a tacere a colpi di denunce per crimini di odio le mobilitazioni in sostegno del popolo palestinese, le agitazioni degli studenti nelle scuole e nelle università, tutti accusati di “antisemitismo”. Infine, un’ultima precisazione che ci sta a cuore. Diversi organi di stampa, nel tentativo di attaccare il FGC e di suggerire un accostamento tra i comunisti e l’estrema destra, ha utilizzato il nome della nostra organizzazione giovanile, il Fronte della Gioventù Comunista, come “prova” di connivenza con l’antisemitismo, richiamando alla memoria la giovanile del Movimento Sociale Italiano. Curiosamente, chi suggerisce questo accostamento incassa la solidarietà proprio di quelli che nel MSI ci stavano davvero. In ogni caso, vale la pena ricordare in chiusura che il Fronte della Gioventù è stato il nome dell’organizzazione giovanile unitaria della resistenza partigiana in Italia. Fu fondato nel gennaio 1944 proprio da un partigiano ebreo, il comunista Eugenio Curiel, e al suo interno c’erano la FGCI e delle altre giovanili antifasciste. Come avvenne anche con il nome “Ordine Nuovo”, i neofascisti si appropriarono di quella sigla con chiarissimo intento provocatorio. È a quella storia che il FGC si richiamò quando fu fondato nel 2012. Il richiamo all’esperienza del Fronte della Gioventù fondato da Curiel è utile anche ad evidenziare un fatto più eloquente di tante parole: in quei drammatici anni, nel pieno della lotta contro il mostro nazista che si macchiava delle deportazioni e dell’Olocausto, nessuno propagandava l’idea che per gli ebrei dovesse essere una sorta di obbligo morale ed esistenziale l’adesione al sionismo, come invece avviene oggi. Anzi, tantissimi ebrei come Curiel hanno dato il loro contributo alla lotta partigiana riconoscendosi proprio nell’adesione su base politica ad una lotta che veniva condotta su queste basi contro la discriminazione razziale, anche nel rifiuto della separazione su base etnica e religiosa. A riprova ulteriore della profonda differenza tra l’essere ebrei e aderire politicamente al sionismo. A chi ci consiglia di “studiare” con i soliti toni paternalistici, consigliamo la “Storia del Fronte della Gioventù nella Resistenza” scritta dal partigiano Primo De Lazzari. Emanuele Fiano e “Sinistra Per Israele”, tanto vi dovevamo. Avete scatenato tutta la forza mediatica di cui disponete. Ora, se avete il coraggio, visto che vi presentate come “amanti del dialogo”, accettate davvero un confronto politico.   -------------------------------------------------------------------------------- [1] https://www.jewishvirtuallibrary.org/original-party-platform-of-the-likud-party [2] https://www.aljazeera.com/news/2017/5/2/hamas-accepts-palestinian-state-with-1967-borders [3] https://www.gioventucomunista.it/wp-content/uploads/2025/10/comunicato-ottobre-palestina.pdf Redazione Italia
“No Other Land” proibito dalla Rai perché rischia “strumentalizzazioni”
Comincia a diventare un sintomo della grande difficoltà del governo la vicenda della messa in onda del film No Other Land. Il famoso documentario, vincitore del premio Oscar, è infatti stato rimandato per la seconda volta ed è stato riprogrammato per il 15 novemebre. Ma non è ancora dato sapere […] L'articolo “No Other Land” proibito dalla Rai perché rischia “strumentalizzazioni” su Contropiano.
Marwan Barghuti e Nelson Mandela, il paragone che non piace agli “scemi di guerra”
Proponiamo di seguito una riflessione-analisi dello scrittore Soumaila Diawara sui parallelismi tra la figura del leader palestinese Marwan Barghouti e del leader sudafricano Nelson Mandela. Il 9 ottobre, durante una trasmissione su La7, si è svolto un acceso confronto tra Marco Grimaldi e Davide Parenzo. Come spesso accade, Parenzo ha finito per commentarsi da solo. Nel momento in cui si discuteva della possibile liberazione di Marwan Barghuti, Parenzo lo ha definito un “terrorista”. Eppure, tutti sanno che Marwan Barghuti è un parlamentare palestinese, incarcerato dal 2002 senza prove concrete a sostegno delle accuse che gli sono state mosse. È stato membro dell’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, e dirigente di Fatah. Le imputazioni nei suoi confronti non sono mai state suffragate da fatti, ma questo non ha impedito che restasse in carcere per oltre vent’anni. Il paragone tra Barghuti e Nelson Mandela nasce in modo naturale. Quando Mandela era membro dell’ANC, l’African National Congress, movimento che lottava contro l’apartheid, possedeva un carisma straordinario. Durante la sua lunga detenzione, l’ANC attraversò momenti di divisione, ma una volta libero Mandela riuscì a riunire il popolo sudafricano. Allo stesso modo, Marwan Barghuti rappresenta una figura capace di unire il popolo palestinese, ed è proprio per questo che non viene liberato. Persino Benjamin Netanyahu lo ha ammesso apertamente: la sua liberazione potrebbe “unire tutti i palestinesi”, un rischio che il potere israeliano non vuole correre. A un certo punto, Parenzo ha sostenuto che Mandela “non ha mai fatto la lotta armata”. Forse sarebbe il caso che studiasse meglio la storia. Mandela non fu arrestato perché faceva volare le colombe o portava fiori ai colonialisti bianchi, ma perché faceva parte del braccio armato dell’ANC, l’Umkhonto we Sizwe, “La Lancia della Nazione”. Mandela partecipò ad azioni di sabotaggio, a scontri armati con il braccio militare del regime dell’apartheid, a dirottamenti di linee ferroviarie, a boicottaggi e ad attacchi simbolici contro le strutture del potere coloniale interno. Accanto a lui si distinsero figure come Chris Hani, Winnie Madikizela Mandela, Solomon Mahlangu, Joe Gqabi, Ashley Kriel e Steve Biko, intellettuale e leader del Movimento della Coscienza Nera, brutalmente assassinato dalla polizia sudafricana nel 1977. Tutti furono protagonisti di una resistenza che combinava la forza delle idee con la determinazione della lotta concreta contro un sistema disumano. Mandela ebbe “la fortuna” di essere arrestato e condannato a 27 anni di carcere, invece di essere ucciso come molti dei suoi compagni. Durante la detenzione, si trasformò progressivamente nella coscienza morale del Sudafrica, simbolo di un popolo oppresso ma non piegato. Dopo la sua liberazione, Mandela divenne il volto della riconciliazione nazionale. Ma questo non cancella le sue origini nella lotta armata e nella resistenza politica. Al contrario, testimonia la sua evoluzione da combattente a statista, da rivoluzionario a mediatore. Spesso viene romanticamente descritto solo come “l’uomo del perdono”, come se la sua grandezza derivasse da una mitezza innata. In realtà, Mandela aveva conosciuto il male, la tortura, l’umiliazione e la perdita, ma scelse consapevolmente la via della riconciliazione come atto politico e morale, non come resa. Perdonò senza dimenticare, perché sapeva che il futuro del Sudafrica non poteva fondarsi sulla vendetta, ma sulla giustizia. La sua missione fu quella di ricostruire un Paese devastato, mantenendo aperta la mano anche verso i sudafricani bianchi, per ricucire ciò che la violenza aveva spezzato. Romanzare la sua storia, ignorando la parte più dura e radicale della sua lotta, significa falsificare la verità storica. Il caso di Marwan Barghuti è diverso solo in apparenza. È accusato di terrorismo per fatti mai provati, ma la sua colpa è politica: rappresenta l’unità e la resistenza del popolo palestinese. Ed è questa la vera ragione per cui rimane in prigione. Vorrei dire a Davide Parenzo: se non conosci la storia di Mandela, è meglio studiarla o tacere. Dopo il carcere, Mandela divenne un uomo di pace e di dialogo, ma non rinnegò mai la lotta da cui era partito. E quando il Sudafrica si liberò dall’apartheid, cercò di reinserire il Paese nel contesto internazionale, mantenendo però sempre un profondo sostegno alla causa palestinese, fino agli ultimi giorni della sua vita. Non va dimenticato che Nelson Mandela figurava ancora nelle liste dei “terroristi” del Mossad, della CIA e di diversi servizi segreti europei fino a due anni prima della sua morte, avvenuta nel 2013. Questo la dice lunga su come il sistema colonialista continui a etichettare come “terroristi” coloro che si oppongono alla violenza e all’ingiustizia. Questa, piaccia o no, è la verità della storia.   Soumaila Diawara – scrittore, poeta e intellettuale maliano. Nasce a Bamako, in Mali, dove consegue la laurea in Scienze Giuridiche. Durante il periodo universitario inizia la sua esperienza politica prendendo parte attiva ai movimenti studenteschi a fianco della società civile. Terminati gli studi entra nel partito di opposizione “Solidarité Africaine pour la Démocratie et l’Indépendance” (SADI) in cui ben presto ricopre la figura di guida del movimento giovanile. Diviene responsabile della comunicazione del suo partito. Nel 2012 è costretto ad abbandonare il Mali in quanto accusato ingiustamente, insieme ad altri, di un’aggressione ai danni del Presidente dell’Assemblea Legislativa. Attraverso la rotta migratoria del Mediterraneo centrale giunge in Italia dove presenta domanda di asilo. È autore di Sogni di un uomo, La nostra civiltà e Le cicatrici del porto sicuro. Redazione Italia