Quando il teatro è trasformazione sociale
NATO ALL’INTERNO DEL TEATRO DELL’OPPRESSO PER METTERE IN SCENA PROBLEMI CONCRETI
DELLE COMUNITÀ LOCALI E LASCIARE CHE IL PUBBLICO PROPONGA SOLUZIONI, IL
TEATRO-LEGISLATIVO HA IMPARATO AD ANDARE OLTRE ALLE PROPOSTE DI LEGGE. NEL TEMPO
SI È ADATTATO A CONTESTI DIVERSI, SPESSO SENZA LA PRESENZA DELLE ISTITUZIONI,
DIMOSTRANDO DI ESSERE UN POTENTE STRUMENTO DI TRASFORMAZIONE SOCIALE. IL
COLLETTIVO GIOLLI HA RACCOLTO ESPERIENZE E INTERVISTE TRA EUROPA E STATI UNITI
CHE MOSTRANO COME IL TEATRO-LEGISLATIVO SI POSSA APPLICARE NELLE SCUOLE, NEI
QUARTIERI, NEI COMUNI, CON ASSOCIAZIONI O MOVIMENTI MA ANCHE CON PERSONE
INIZIALMENTE DISGREGATE, DA UNIRE ATTORNO A UN TEMA COMUNE. ALFABETI PER UNA
NUOVA CULTURA POLITICA
Foto tratte dalla pag. fb Giolli Cooperativa Sociale
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A prima vista, l’accoppiata teatro e legge può sembrare improbabile. Del resto,
il mondo del teatro raramente si intreccia con quello, più rigido e formale,
delle istituzioni. Eppure, tra il 1993 e il 1996, a Rio de Janeiro, accadde
qualcosa di sorprendente: Augusto Boal, uomo di teatro, ideatore del Teatro
dell’Oppresso, venne inaspettatamente eletto Vereador (consigliere comunale). Di
fronte a questa nuova responsabilità, Boal avrebbe potuto scegliere: lasciare da
parte la politica per continuare con il suo metodo teatrale, oppure accantonare
la scena per dedicarsi alla carriera istituzionale. Ma fece qualcosa di diverso:
provò a fondere i due mondi. Nacque così il Teatro- Legislativo, un esperimento
unico che portava il teatro dentro le istituzioni e le istituzioni dentro la
vita reale.
In estrema sintesi, si trattava di un percorso bidirezionale: dalla società alle
istituzioni e ritorno. Con il teatro come mediatore, la voce degli oppressi —
abitanti delle favelas, persone con disabilità, studenti neri, persone LGBTQIA+
— trovava ascolto e potere. I gruppi creavano spettacoli a partire da bisogni
reali, cercavano possibili soluzioni attraverso il Teatro-Forum, poi Boal
raccoglieva queste idee, le elaborava con una piccola equipe chiamata
“cellulametabolica” e le trasformava in proposte di legge da presentare al
Consiglio Comunale. Il risultato? Oltre 40 proposte presentate, di cui 13
approvate, nonostante Boal fosse all’opposizione. Ma il processo non si fermava
lì: ogni proposta discussa o votata tornava alle comunità attraverso un evento
chiamato “Camera in Piazza”, in cui veniva raccontato e condiviso ciò che
accadeva in aula. Un vero e proprio circuito democratico che andava dal basso
verso l’alto e viceversa.
Da allora, il Teatro-Legislativo è diventato un riferimento per chi vuole
coniugare arte, cittadinanza attiva e politica dal basso. L’idea si è diffusa
nel movimento mondiale del Teatro dell’Oppresso, anche al di fuori di contesti
istituzionali. Con il progetto europeo COFA – Community Organising for All, il
collettivo Giolli ha raccolto esperienze e interviste a dieci attivisti e
teatranti tra Europa e Stati Uniti che hanno sperimentato, in vari modi, questa
forma di teatro trasformativo.
Come si concretizza un percorso di Teatro-Legislativo?
Uno dei percorsi più ricorrenti, raccontato in molte esperienze raccolte dal
progetto COFA – Community Organising for All, segue una struttura ben precisa.
Ecco le tappe.
1. Dalle storie alla scena. Tutto comincia da un gruppo di comunità: un
collettivo omogeneo, spesso composto da persone che condividono una
condizione di marginalizzazione o oppressione (ad esempio giovani
disoccupati, migranti, persone con disabilità, studenti neri). Si
raccolgono storie reali, esperienze vissute, e da queste si costruisce un
Teatro-Forum — una forma teatrale interattiva dove il pubblico può
intervenire per cercare soluzioni ai problemi messi in scena.
2. Teatro-Forum aperto alla comunità. Lo spettacolo viene rappresentato
davanti alla comunità locale. Se dal dibattito emerge che il problema ha
una dimensione politica o normativa, si decide di avviare una sessione di
Teatro-Legislativo. A volte, invece, si parte direttamente da un tema già
in discussione a livello istituzionale, così da inserirsi in un dibattito
esistente.
3. Arrivano i “Policy Rangers”. Tra gli invitati ci sono i cosiddetti “policy
rangers” (come li definisce l’attivista americana Katy Rubin): non solo
politici e funzionari pubblici, ma anche attivisti, operatori sociali,
educatori, tecnici — chiunque abbia potere o influenza sul tema trattato.
4. Analisi collettiva e immaginazione politica. Dopo un riscaldamento
partecipativo, si rivede lo spettacolo con l’intento di andare oltre i
personaggi: il pubblico è guidato ad analizzare il contesto strutturale
della storia. Il facilitatore (chiamato Jolly) pone domande come: Quali
problemi riconoscete nella scena? Sono reali nella vostra esperienza? Quali
leggi, norme, regolamenti o strutture contribuiscono a crearli? Che nuove
regole o pratiche vorreste vedere? Il pubblico interviene, gli attori
reagiscono e il Jolly facilita il dialogo, mentre un secondo facilitatore
annota in tempo reale su uno schermo tutto ciò che emerge..
5. Scrittura delle proposte. I partecipanti, divisi in piccoli gruppi,
scrivono proposte di legge o di policy. Non è necessario che siano
tecnicamente perfette: l’importante è esprimere bisogni e visioni concrete.
6. Selezione partecipata. I “policy rangers” leggono le proposte davanti a
tutti, le raggruppano per temi e ne selezionano 2 o 3 che appaiono più
generali, efficaci e applicabili.
7. Emendamenti dal vivo. Le proposte vengono mostrate su un grande schermo. Il
pubblico può suggerire modifiche o emendamenti, che vengono discussi e
integrati in tempo reale.
8. Voto e priorità. Si passa poi a un voto pubblico, per stabilire quali idee
sono considerate più urgenti o trasformative. È il momento in cui la
collettività si esprime su ciò che ha più potenziale per generare
cambiamento.
9. L’impegno dei decisori. I “policy rangers” si assumono un impegno concreto,
davanti a tutti: dichiarano pubblicamente quali azioni porteranno avanti
nelle successive otto settimane.
10. Il follow-up. Due mesi dopo, il gruppo promotore verifica cosa è stato
fatto. Si redige un rapporto pubblico, che viene condiviso con la comunità
per dare trasparenza al processo e stimolare ulteriori azioni.
Questo tipo di percorso non è solo uno strumento teatrale, ma un vero esercizio
di democrazia partecipata, dove la creatività collettiva si traduce in azione
politica concreta. E se Boal diceva che “tutti possono fare teatro, anche i
legislatori”, oggi sappiamo che tutti possono anche contribuire a scrivere le
regole del gioco. A partire da una scena.
Perché il Teatro-Legislativo favorisce la partecipazione
Il Teatro-Legislativo stimola la ricerca di soluzioni concrete a partire
dall’esperienza diretta di chi vive il problema. Il punto di partenza non è
l’astrazione tecnica, ma la voce di chi subisce l’ingiustizia. Questo rende il
processo fortemente partecipativo: chi normalmente resta ai margini prende la
parola, elabora collettivamente il proprio punto di vista e contribuisce
attivamente a progettare un cambiamento reale e attuabile.
In questo modo, il Teatro-Legislativo non solo abbatte le barriere tra cittadini
e istituzioni, ma si configura come uno strumento concreto di democrazia dal
basso, capace di unire riflessione critica, creatività e azione politica.
Un nuovo modo di fare politica dal basso?
Il Teatro-Legislativo nasce da una convinzione forte: le proposte che emergono
dalla base, se discusse e approfondite in modo collettivo, possono trasformarsi
in strumenti reali di cambiamento e contribuire alla soluzione concreta dei
problemi di una comunità. Il Teatro-Legislativo si fonda su sei pilastri
ideologici e metodologici:
1. Schieramento politico dalla parte degli oppressi. Il Teatro-Legislativo
parte da un posizionamento chiaro: si mette al fianco delle persone
socialmente e politicamente più deboli, riconoscendo le disuguaglianze
strutturali e cercando di combatterle attraverso l’azione collettiva.
2. Pedagogia della coscientizzazione. I facilitatori, chiamati Jolly, non
impongono soluzioni né trasmettono verità preconfezionate, non usano la
propaganda o la manipolazione. Seguendo il pensiero di Paulo Freire, il loro
compito è aiutare i gruppi a interrogarsi sul presente, a problematizzare le
proprie condizioni e a immaginare alternative.
3. Visione olistica dell’essere umano. Il Teatro-Legislativo coinvolge mente,
corpo ed emozione. La parola non è l’unico strumento di conoscenza: anche il
gesto, il suono, l’immaginazione sensoriale e l’azione scenica diventano
strumenti per comprendere e trasformare la realtà.
4. Orientamento al futuro e al cambiamento. Il presente viene analizzato
attraverso la scena, ma con uno sguardo rivolto alla trasformazione: ciò che
accade sul palco serve a progettare un futuro più giusto e condiviso.
5. Fiducia nei soggetti oppressi. Il Teatro-Legislativo rifiuta la delega agli
esperti. Crede nella capacità delle persone direttamente coinvolte nei
problemi, di elaborare le proprie soluzioni e di essere protagoniste della
trasformazione.
6. Sperimentazione continua. Non esiste un unico “format” di
Teatro-Legislativo. Ogni percorso si adatta al contesto, si costruisce
insieme ai partecipanti, evolve nel tempo. È un processo vivo, che cresce
insieme ai gruppi con cui si lavora.
Tutto questo basta a definirlo una nuova forma di politica dal basso? Forse sì.
O almeno, una pratica radicalmente diversa da quella tradizionale, in cui la
cittadinanza attiva si esprime attraverso l’arte e la co-decisione.
Esperienze: dal Brasile all’Europa
Il Teatro-Legislativo non è rimasto confinato alla sua esperienza originaria,
quella in cui Boal fu eletto consigliere comunale a Rio de Janeiro e condusse
per quattro anni un progetto ufficialmente sostenuto dal Comune. Al contrario,
si è adattato a contesti diversi, spesso anche senza la presenza diretta delle
istituzioni o in collaborazione con esse in forme nuove.
Alcuni esempi? A Graz, in Austria, persone senza dimora hanno preso parte a un
percorso di Teatro-Legislativo per elaborare un regolamento più umano dei centri
di accoglienza: le proposte sono arrivate fino al consiglio comunale. In
Portogallo, il Teatro-Legislativo è stato utilizzato per creare proposte di
riforma del sistema di borsedistudiouniversitarie, e anche per contribuire alla
riscrittura della legge sulla gioventù, coinvolgendo direttamente studenti e
giovani attivisti. Nel Tirolo austriaco, una ministra regionale ha promosso un
percorso di Teatro- Legislativo per riformare la legge sulla disabilità: Il
processo ha coinvolto centinaia di persone con disabilità e le loro
associazioni. Negli Usa, a New York, il collettivo TONYC ha lavorato con il
Comune per introdurre una carta d’identità valida con nome elettivo per persone
transgender, emersa da un percorso di Teatro-Legislativo. E ancora: nel Regno
Unito, l’organizzazione Active Inquiry ha co-condotto un processo di TL sul tema
dell’assistenza sanitaria, coinvolgendo gruppi di cittadini e riuscendo a far
dialogare i risultati con parlamentari locali.
Dove e come applicare il Teatro-Legislativo?
I contesti in cui il Teatro-Legislativo può essere sperimentato sono molteplici.
Ogni volta che si tratta di proporre, cambiare o far rispettare una norma o un
regolamento, il Teatro-Legislativo può entrare in gioco. Si può applicare: a
livello locale, ad esempio in una scuola, un quartiere o un Comune; su scala più
ampia, fino a raggiungere province, regioni o parlamenti; con gruppi già
organizzati (associazioni, movimenti), ma anche con persone inizialmente
disgregate, da unire attorno a un tema comune.
Il Teatro-Legislativo può servire per proporre nuove leggi o regolamenti;
rendere effettive norme già esistenti; rafforzare e unificare movimenti
frammentati; creare consapevolezza e senso di appartenenza intorno a una causa
comune. Come ricorda José Soeiro, sociologo e attivista portoghese: “Non
fissiamoci solo sulla produzione di nuove leggi: il Teatro-Legislativo può agire
in diverse aree di trasformazione sociale”. L’importante è che sia un processo
vivo, condiviso e concreto, capace di rendere visibile l’invisibile e
trasformare l’indignazione in azione collettiva.
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Roberto Mazzini, GiolliCoop
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