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Zohran Mamdani, quali posizioni su Palestina, Israele e sionismo?
“Rispondiamo all’oligarchia e all’autoritarismo con la forza che temono. Se c’è un modo per terrorizzare un despota è smantellare le condizioni che gli hanno consentito di accumulare potere” –  con queste parole Zohran Mamdani ha festeggiato nella notte italiana la sua elezione a sindaco di New York. Il secondo più giovane della storia, il primo musulmano, e secondo alcuni persino “socialista”, ma è meglio stare cauti prima di dare etichette non veritiere. Vi era molto entusiasmo a sinistra, in Italia, anche su Obama (il “Premio Nobel per la Pace preventivo” che iniziò una serie di guerre imperialiste senza fine), per Joe Biden (che non ha fatto altro che proseguire le politiche neoliberiste e atlantiste di sempre) e per la sua vice-presidente Kamala Harris (che fu una grande operazione di marketing, volto a riqualificare la sua immagine di ex-procuratrice Iron Lady, e di comunicazione politica fine a se stessa che svanì subito dopo l’elezione). Tutti esempi pessimi che possono avere a che fare con la “sinistra neoliberale”, ma non con la sinistra di sempre: quella socialista e anti-sistema che parla di disuguaglianze sociale, giustizia sociale, diritto alla casa, ridistribuzione delle ricchezze e un’altra politica internazionale che “elevi ad interlocutore”, eviti i conflitti e parli il linguaggio del multipolarismo. Detto questo non si possono negare dei fattori importanti. La vittoria di Mamdani è stata netta con il 50% dei voti con un’affluenza record: hanno votato oltre 2 milioni di newyorkesi come non succedeva dal 1969. Scrive OttolinaTV: “Assiste invece incredula la coalizione di gruppi e interessi – dai repubblicani ai democratici più moderati, ai ricchi e potenti di New York – che hanno fatto di tutto per appoggiare il principale rivale, Andrew Cuomo, il politico della potentissima vecchia guardia democratica, che si è fermato al 41,6 per cento dei voti. Al palo sono rimaste anche diverse diverse lobby ebraiche che hanno fatto di tutto per ostacolare Mamdani date le sue posizioni pro-Palestina.” Ha creato molte divisioni, all’interno della popolazione ebraica di New York, la candidatura alla carica di sindaco di Zohran Mamdani, vincitore delle primarie democratiche e noto per le sue “posizioni filo-palestinesi” e “vicine alla sinistra radicale” (almeno così i media mainstream hanno detto). Verso la fine di giugno 2025, un gruppo di circa sei rabbini ortodossi statunitensi ha contattato il membro dell’Assemblea di New York City Micah Lasher per parlare dell’allora presunto candidato democratico alla carica di sindaco della città, Zohran Mamdani. L’appello del 27 giugno era incentrato sulle preoccupazioni che i rabbini e le loro comunità nutrivano nei confronti di un candidato che si era rifiutato di condannare lo slogan filo-palestinese “globalizzare l’intifada” e aveva anche sostenuto il movimento di boicottaggio di Israele. https://www.timesofisrael.com/new-york-reps-endorsement-of-zohran-mamdani-roils-orthodox-rabbis-on-upper-west-side/ “Se il candidato comunista Zohran Mamdani vincesse le elezioni a sindaco di New York è altamente improbabile che io contribuisca con fondi federali, se non per il minimo indispensabile, alla mia amata prima casa, perché, come comunista, questa città un tempo grande ha zero possibilità di successo, o addirittura di sopravvivenza!” – si legge in un vecchio post di Donald Trump, che addirittura definisce Mamdani “comunista” – “Qualsiasi ebreo che vota per Zohran Mamdani, un comprovato e autoproclamato odiatore di ebrei, è una persona stupida!” – ha ri-scritto sempre Trump su X a urne aperte. Un appello rivolto esplicitamente alla comunità ebraica newyorkese, preceduto da quello del console generale di Israele a New York ed ex Ministro del Likud, Ofir Akunis. https://www.today.it/mondo/mamdani-new-york-elezioni-sindaco-trump-ebreo-stupido.html   Il post di Trump su Truth Poche ore prima, infatti, anche il diplomatico israeliano aveva attaccato Mamdani, affermando che rappresenta un “chiaro e immediato pericolo per la comunità ebraica” di New York a causa del suo sostegno alle manifestazioni pro-palestinesi in città. Per Akunis, riporta il quotidiano israeliano Haaretz, l’elezione di Mamdani rappresenterebbe una “minaccia chiara e immediata per le istituzioni ebraiche” e le sinagoghe, la maggior parte delle quali sono sorvegliate dal Dipartimento di polizia di New York. Circa una settimana fa, circa 650 rabbini di tutti gli USA si sono opposti pubblicamente al candidato democratico Zohran Mamdani, esprimendo le loro preoccupazioni in una lettera, in cui hanno condiviso i loro punti di vista sul perché ritengono che il 34enne socialista non sia adatto a diventare il leader di New York City, che ospita la più grande popolazione ebraica al di fuori di Israele. La lettera afferma che la sua elezioni potrebbe portare alla “normalizzazione politica dell’antisionismo”, cosa impossibile in un Paese come gli USA. Firmata da oltre 1.100 rabbini, la lettera cita i rabbini di New York Ammiel Hirsch ed Elliot Cosgrove , che avevano ciascuno pubblicato i propri sermoni e video anti-Zohran, insistendo sul fatto che Mamdani rappresenta “un pericolo per la sicurezza degli ebrei della città” e che “il sionismo è parte integrante dell’identità ebraica”.  https://jewishcurrents.org/the-rabbinic-freak-out-about-zohran-mamdani Secondo un sondaggio di settembre della Quinnipiac University, il 75% degli elettori ebrei aveva un’opinione negativa di Mamdani, e solo il 19% ne aveva un’opinione positiva. Si tratta di una minoranza rumorosa, principalmente di giovani che lo sostengono o perché antisionisti, o perché essendo lui giovane si identificano con lui, o perché non sono particolarmente legati alla comunità. Tuttavia, durante tutta la campagna elettorale, Mamdani si è sempre fatto fotografare con importanti personalità del mondo ebraico americano nel tentativo di scoraggiare gli ebrei che gli si oppongono e indurli a rassegnarsi al fatto che verrà eletto: “Sono onorato di ricevere oggi l’appoggio del rabbino Moshe Indig e dei leader Ahronim a Williamsburg, dove si è unito a noi anche il mio amico Lincoln Restler. Insieme combatteremo la piaga dell’antisemitismo e costruiremo una città che sia adatta a ogni newyorkese” – scrisse Mamdani su Instagram. Non è un caso che durante Sukkot, Mamdani è andato a festeggiare con la comunità dei Satmar (ortodossi antisionisti, ndr). Le polemiche sembrano appartenere solamente all’ala ultraconservatrice del sionismo, dal momento che Jews for Racial and Economic Justice (Jfrej), gruppo progressista della comunità ebraica americana, ha da sempre sostenuto la candidatura di Mamdani: «Zohran è un amico. E’ venuto alla mia sinagoga l’anno scorso, è stato lì per tre o quattro ore, solo ad ascoltare le persone e a parlare con loro ho avuto conversazioni personali con lui. Ed è tutto fuorché un antisemita. Ha promesso di aumentare dell’800% il budget per combattere i crimini d’odio. E ha detto di voler lasciare al suo posto la commissaria di polizia di New York Jessica Tisch (che è ebrea, ndr) nonostante la sua famiglia abbia investito 1.2 milioni di dollari contro di lui». – ha dichiarato, in un breve discorso ai volontari di Jfrej, Abby Stein (1), rabbina figlia di immigrati ebrei da Israele, sottolineando come lei stessa abbia respirato l’antisionismo dei suoi genitori che affonda nelle convinzioni religiose hassidiche. Eppure, è errato definire l’elettorato ebraico di Mamdani come interamente “antisionista”. Secondo la stessa rabbina «Zohran sostiene la Palestina, ma naturalmente questo non fa parte della sua piattaforma politica, il motivo per cui se ne parla è che si continua a interrogarlo senza sosta su questo, come se il suo programma girasse intorno alla Palestina». La comunità ebraica non avrebbe motivo di avere paura in quanto Mamdani ha contato anche sul sostegno dei sionisti liberal-progressisti: «Dalle mie conversazioni con tante persone, direi che almeno metà degli ebrei che lo sostengono si definiscono sionisti progressisti o liberali. Per esempio Brad Lander (2). Molti di loro condividono la sua posizione su Israele: non ha mai detto che non ha diritto a esistere, ma che non può esistere in quanto stato suprematista ebraico». Oggi sappiamo che Israele esiste proprio in quanto “entità sionista”, ovvero un non-Stato senza Costituzione fondato sul teocon che nasce da un’ideologia politica nazionalista, etnocentrica e suprematista che è il sionismo. Israele non sarebbe mai nato senza il movimento sionista, quindi come può diventare oggi uno Stato non-suprematista se Israele, oltre a non essere uno Stato e a non avere confini, è nato su un’ideologia suprematista? Questa è l’ambiguità che si cela dietro tutta la questione del conflitto israelo-palestinese, che non è un semplice tifo calcistico, ma un questione complessa che richiede studio, conoscenza e soprattutto consapevolezza. Ci si chiede: Zohran Mamdani saprà chiarirsi, prendendo serie posizioni, lontane dal cerchiobottismo, o dovrà cedere – come molti prima di lui – alla realpolitik? E’ inutile farsi troppe illusioni. Come ha scritto molto bene OttolinaTV: “Non può essere certo un Mamdani qualunque a cambiare le strutture del capitalismo e dell’imperialismo americano. Da abitanti della periferia dell’Impero la domanda che dovrebbe veramente interessarci è quanto il successo di figure del genere rallentino o accelerino il declino dell’Impero stesso. Oppure, nel breve periodo, è giusto chiedersi se Mamdani diventerà come già successo in passato il volto friendly e Woke dell’ultraimperialista e capitalista Partito Democratico o potrà magari convincere il partito a virare su posizioni un po’ meno antipopolari e militariste di quelle passate (Clinton, Obama, Biden, Harris etc)”.   (1) A Williamsburg (Brooklyn), dove vive la più grande comunità hassidica al mondo, Abby Stein era stata ordinata rabbino, ma nel 2015 ha intrapreso la transizione di genere e ora è una rabbina. (2) Il revisore dei conti del municipio di New York arrestato dall’Ice per aver difeso dei concittadini immigrati.   Fonti ulteriori: https://ottolinatv.it/2025/11/05/mamdani-il-socialista-antisemita-che-ha-conquistato-new-york-cambiera-anche-imperialismo-usa/ https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-mamdani_e_listerismo_liberal/39602_ 63470/? https://www.today.it/mondo/mamdani-new-york-elezioni-sindaco-trump-ebreo-stupido.html https://www.nytimes.com/2025/09/22/nyregion/mamdani-rosh-hashana-jewish-holidays.html   Lorenzo Poli
Paura, potere e disperazione: così la vecchia guardia cerca di fermare Zohran Mamdani
A poche settimane dalle elezioni per la carica di sindaco di New York, il tono della campagna è passato dalla competizione alla disperazione. La prevedibile campagna di paura dell’estrema destra ha trovato un alleato inaspettato nell’arrogante macchina democratica che un tempo serviva Andrew Cuomo e che ancora oggi protegge il suo marchio politico. Insieme, stanno mettendo in atto una strategia su due fronti per danneggiare la credibilità di Zohran Mamdani: demonizzarlo come “troppo radicale” e contemporaneamente sabotarlo dall’interno dell’establishment che lui rappresenta meglio di loro. Il copione dell’estrema destra è familiare. I tabloid urlano “comunista”, “a favore dei terroristi”, “anti-Israele” e “anti-polizia”, riciclando il panico della Guerra Fredda e l’islamofobia post 11 settembre. Trasformano ogni proposta politica progressista in un’arma culturale. Il congelamento degli affitti diventa “lotta di classe”. Il trasporto pubblico gratuito diventa “suicidio fiscale”. Anche l’empatia è sospetta. L’obiettivo non è la persuasione, ma la paura. La loro narrativa si basa su una nostalgia spasmodica per una New York che non è mai esistita, dove il privilegio mascherava la stabilità. In quella città fantastica, la diversità era decorativa, i sindacati erano obbedienti e i miliardari erano generosi. Ma l’opposizione più rivelatrice e pericolosa ora proviene dall’ala Cuomo-Adams dell’establishment democratico. Gli stessi addetti ai lavori che per anni hanno difeso la corruzione, il clientelismo e gli accordi segreti sono improvvisamente preoccupati per l’“inesperienza” di Mamdani. Sono gli stessi democratici che applaudivano la teatralità da uomo forte di Cuomo mentre maltrattava i suoi collaboratori, ignorava la crisi abitativa della classe operaia e premiava gli imprenditori edili. Gli stessi potenti che non sono riusciti a ispirare una generazione di nuovi elettori ora sussurrano che Mamdani non è in grado di “costruire un consenso”. Ciò che intendono realmente è che non accetterà ordini. L’élite democratica sta ora sostenendo apertamente la candidatura indipendente di Cuomo, un atto di sabotaggio politico che rasenta l’autodistruzione. La loro giustificazione? “L’eleggibilità”. La vera paura? Dover rendere conto delle loro azioni. La vittoria di Mamdani alle primarie democratiche non è stata solo una sorpresa, ma anche un atto di accusa contro un partito ormai sordo alle esigenze della propria base. Il messaggio degli elettori era chiaro: vogliono un sindaco che parli a nome degli inquilini, dei lavoratori e dei quartieri dimenticati, non della classe dei donatori. Eppure la vecchia guardia del partito preferisce perdere contro un reazionario piuttosto che vincere con un socialista democratico. Questa ipocrisia è profonda. Gli stessi consulenti politici che predicano “l’unità contro la destra” stanno ora spendendo milioni in pubblicità aggressive che riprendono le posizioni della destra. Denunciano la “divisività” mentre cospirano con miliardari e magnati dei media per dividere l’elettorato sulla base della paura e della classe sociale. Affermano di difendere la democrazia, mentre minano il risultato delle loro stesse primarie. Così facendo, rivelano la loro vera fedeltà: non al partito, all’ideologia o persino al governo, ma al potere stesso. I media mainstream amplificano questa farsa. I principali organi di informazione, alcuni liberali di nome ma conservatori nella struttura, descrivono la campagna di Mamdani come una “prova di estremismo” piuttosto che come un movimento democratico. Questo è ciò che da tempo chiamo giornalismo dell’esclusione: quando le notizie che mettono in discussione la ricchezza e la guerra vengono etichettate come ‘marginali’ e quelle che servono il potere vengono trattate come “obiettive”. In questo modello, il compito dei media non è quello di informare il pubblico, ma di rassicurare l’élite che nulla di fondamentale cambierà. Eppure qualcosa sta cambiando. Ogni attacco, ogni diffamazione, ogni titolo citato in modo errato non fa che chiarire la posta in gioco. L’ascesa di Mamdani non rappresenta solo una campagna, ma un riallineamento politico: un nuovo Secondo Cerchio di lavoratori, sindacati, immigrati e progressisti che vedono oltre il teatro della paura. Sanno che le accuse più veementi di “radicalismo” provengono spesso da coloro che temono di perdere i propri privilegi. La disperazione del vecchio ordine è un segno del suo declino. L’élite al potere e i media che la sostengono possono rallentare la marea, ma non possono invertirla. Quando l’establishment definisce un movimento “pericoloso”, di solito significa che sta finalmente diventando efficace. Se il Partito Democratico continua a sostenere di difendere la democrazia, dovrebbe smetterla di combattere i suoi elettori e iniziare ad ascoltarli. Traduzione dall’inglese di Anna Polo     Partha Banerjee
Storica vittoria di Zohran Kwame Mamdani alle primarie per il sindaco di New York: i progressisti sconfiggono l’establishment
Di solito le elezioni dei sindaci di New York sono prevedibili e, francamente, un po’ noiose. Ma questa volta, un’ondata di possibilità, sfide e incertezze ha fatto sentire di nuovo viva la democrazia. Oggi quell’ondata ha portato a un risultato storico. Zohran Kwame Mamdani, un socialista democratico musulmano di 33 anni e membro dell’Assemblea dello Stato di New York, ha ottenuto una vittoria rivoluzionaria nelle primarie del Partito Democratico, superando Andrew Cuomo, l’ex governatore dello Stato di New York. La gara si preannunciava come una classica prova di forza tra Davide e Golia. Cuomo, che rappresenta l’ala conservatrice del Partito Democratico, era sostenuto dalla vecchia guardia e dall’élite finanziaria del partito. Al contrario, Mamdani è emerso come il volto di un movimento progressista in ascesa, alimentato dall’organizzazione di base e da una visione di profondo cambiamento. I risultati, confermati dal sistema di voto a classifica della città di New York, hanno inferto un colpo decisivo all’establishment democratico. Con questo sistema, gli elettori hanno definito un ordine decrescente di preferenza per i candidati. Se nessun candidato ottiene più del 50% dei voti, i candidati con i voti più bassi vengono eliminati a turno, con una ridistribuzione dei voti fino a quando non emerge una maggioranza. Questo sistema elettorale ha giocato un ruolo fondamentale nella vittoria di Mamdani, consentendo alle coalizioni progressiste di consolidarsi in più turni. La campagna elettorale di Cuomo aveva giocato tutte le sue carte. Temendo un’ondata politica ispirata da Bernie Sanders, l’establishment del Partito Democratico si è radunato dietro a Cuomo, allineandosi con potenti donatori, pesi massimi della politica come Bill Clinton, l’ex sindaco Michael Bloomberg, e vari media mainstream. Un Super PAC chiamato Fix the City ha versato oltre 16 milioni di dollari in pubblicità, mentre colossi aziendali come DoorDash hanno contribuito con altri milioni. Nonostante Cuomo si sia presentato come un candidato che rappresentava  i lavoratori di New York, la sua campagna è stata innegabilmente sostenuta da miliardari e interessi aziendali. Ma la macchina dell’establishment non è riuscita a competere con lo slancio di Mamdani, che ha lavorato a stretto contatto con Bernie Sanders e la deputata Alexandria Ocasio-Cortez. Il loro movimento politico progressista, profondamente radicato nel socialismo democratico, ha guadagnato costantemente terreno – elezione dopo elezione, quartiere dopo quartiere – attraverso un’instancabile organizzazione di base, campagne porta a porta e piccole donazioni. “Questa è una vittoria di tutti i newyorkesi a cui è stato detto che non hanno voce”, ha dichiarato Mamdani nel suo discorso di vittoria. “È la prova che le persone organizzate possono battere il denaro organizzato”. La vittoria di Mamdani segna un cambiamento sismico nell’equilibrio di potere tra le istituzioni politiche radicate e una nuova generazione che chiede un cambiamento. L’entità delle risorse mobilitate dall’establishment – che comunque non sono state sufficienti – rivela la profondità della paura di perdere il controllo sull’apparato finanziario e politico della città. New York, e forse anche la nazione, si trova a un punto di svolta. Il mondo sta cambiando, a livello locale e globale, a tutti i livelli. Traduzione dall’inglese di Anna Polo   David Andersson