Il collassoPARE IN QUESTE ORE, IN SPAGNA LE VENDITE DEL LIBRO COLAPSO DI CARLOS TAIBO –
SCRITTORE E DOCENTE A MADRID, UNO DEI PIÙ NOTI TEORICI E SOSTENITORI DEL
MOVIMENTO DELLA DECRESCITA – SIANO ALLE STELLE. EPPURE LA PRIMA EDIZIONE È
USCITA GIÀ DA ALCUNI ANNI. IL LIBRO, DI CUI PUBBLICHIAMO L’INTRODUZIONE
DELL’ULTIMA EDIZIONE, APPROFONDISCE SENZA UTILIZZARE UN LINGUAGGIO ACCADEMICO,
IL CONCETTO DI COLLASSO, LA CAUSE E LE CONSEGUENZE, MA ANCHE LE DUE PRINCIPALI
RISPOSTE: QUELLA DELL’ECOFASCISMO E QUELLA DEI MOVIMENTI DI TRANSIZIONE
ECO-SOCIALE. TRE COSE SONO CERTE. LA PRIMA: QUELLI CHE SONO IN ALTO NON SONO
DISPOSTI A RICONOSCERE IL RISCHIO DEL COLLASSO. LA SECONDA: LA CIVILTÀ
INDUSTRIALE NON CONOSCE ALTERNATIVE, È COSTRETTA AD ACCELERARE: OGNI ANNO
CONSUMIAMO COMBUSTIBILI FOSSILI EQUIVALENTI A QUELLI CHE LA NATURA HA IMPIEGATO
UN MILIONE DI ANNI PER CREARE. LA TERZA: UNA STRADA DIVERSA PUÒ PRENDERE FORMA
SOLTANTO IN BASSO, ALCUNI HANNO COMINCIATO
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In molte occasioni, in occasione di eventi pubblici, ho parlato del rischio di
un collasso generale del sistema che stiamo vivendo. Poiché l’argomento era
destinato a suscitare polemiche, col tempo ho accumulato esperienze di ogni
genere legate alla discussione in questione. E a volte mi è sembrato che fosse
urgente approfondire il concetto di collasso e i concetti ad esso correlati,
perché poteva benissimo essere che, nonostante molte persone usassero la stessa
parola, in ultima analisi stessero pensando a realtà diverse. Se vogliamo,
questo libro è un esercizio per chiarire, per me stesso, la disputa sulle
molteplici sfaccettature che presenta il concetto in questione. A questo
proposito è organizzato in sette capitoli. Il primo è interessato al concetto di
collasso sopra menzionato, studia i problemi che comporta e considera alcune
delle lezioni apprese dai crolli passati. Il secondo prende in considerazione le
presunte cause di un collasso sistemico globale, con particolare attenzione al
cambiamento climatico e all’esaurimento delle risorse energetiche. Il terzo, di
natura decisamente speculativa, analizza le possibili conseguenze del crollo. Il
quarto e il quinto capitolo individuano due possibili risposte a questo
fenomeno: quella dei movimenti di transizione eco-sociale e quella legata a ciò
che è noto come ecofascismo. Mentre il sesto capitolo si concentra sulla
percezione popolare del crollo, il settimo e ultimo tenta di trarre alcune
conclusioni generali.
Vorrei chiarire fin da subito che non sono nella posizione di affermare che
prima o poi si verificherà un crollo generale del sistema sotto i nostri occhi.
La tesi che sostengo spassionatamente in questo lavoro è più cauta e si limita a
suggerire che un simile crollo, con dati già ampi in nostro possesso, è
probabile. Da questa prospettiva, il libro che il lettore tiene tra le mani, pur
non racchiudendo in sé alcuna certezza assoluta, contiene un modesto invito alla
riflessione e alla prudenza, ben sintetizzato nella figura del pater familias
diligens (padre diligente di famiglia) a cui Castoriadis fa riferimento. Mi
limiterò a ricordare, a questo proposito, che di fronte a uno scenario così
delicato come quello posto dalla crisi ecologica, la nostra risposta non può
essere quella che il filosofo attribuiva a un padre – o a una madre – che, dopo
essersi sentito dire che era molto probabile che il loro bambino avesse una
malattia grave, anziché affidare la prole ai migliori medici, non ha pensato ad
altro che a ragionare dicendo: “Beh, se è possibile che mio figlio abbia una
malattia molto grave, è anche possibile che non ne abbia una, quindi mi sembra
moderatamente giustificato restare con le braccia conserte”. Di fronte a ciò, il
padre cosciente dice a se stesso: “Dato che i problemi sono enormi, e anche se
la probabilità che si manifestino è bassa, procedo con la massima prudenza, e
non come se nulla stesse accadendo”.
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Il fatto che questo testo sia cauto non significa in alcun modo che voglia
nascondere la portata delle sfide. La prima di queste è, naturalmente, la
combinazione del cambiamento climatico, dell’esaurimento delle risorse
energetiche, dei problemi demografici e di una profonda crisi sociale e
finanziaria difficile da superare. La seconda è fornita da dati che riflettono
un progressivo e rapido deterioramento della situazione. Aggiungerò, in breve,
che ci sono ragioni sufficienti per concludere che è probabile che, sotto la
copertura di quella che sembra una vera e propria corsa in avanti, arriveremo in
ritardo se il nostro scopo logico è quello di evitare il collasso. Il panorama
mentale e politico che abbiamo ereditato è molto delicato e richiede sacrifici
sotto forma di risposte urgenti e decise in un momento in cui le restrizioni
sono intrinsecamente numerose. Se William Ophuls ricorda a questo proposito che
Gibbon attribuì il declino di Roma a quella che definì una “grandezza smodata”,
cioè un eccesso di orgoglio e presunzione, Elizabeth Kolbert è stata così
gentile da sottolineare che la storia dimostra che la vita mostra una
formidabile capacità di adattamento, è vero, ma che questa capacità non è
infinita. Le estinzioni di massa, aggiunge Kolbert, puniscono prima di tutto i
più deboli, ma non lasciano indenni i più forti. Sembra, in ogni caso, che
stiamo entrando in una terra incognita segnata da inevitabili riduzioni della
popolazione e della produzione industriale.
In alcuni dei miei lavori precedenti mi sono già interessato a categorizzare
quello che è stato chiamato Antropocene. Per Paul Crutzen, una volta concluso
l’Olocene, iniziato 11.500 anni fa, negli anni Ottanta del Settecento, quando
Watt perfezionò la macchina a vapore, ebbe inizio una nuova fase nella storia
del pianeta. Sotto la protezione di questa nuova fase, l’Antropocene, l’uomo è
diventato una vera e propria forza geologica che ha modificato il clima e ci ha
permesso di essere non solo grandi predatori, ma anche grandi dissipatori di
risorse. Poiché gli esseri umani sono immersi in una vera tirannia sulla natura
– quante volte si è parlato di conquistare quest’ultima – non ha più senso
concepirli come una mera parte integrante del mondo naturale.
L’Homo colossus, predatore e consumatore di risorse scarse e non rinnovabili,
dall’appetito illimitato e dal progetto insostenibile, sembra intenzionato a
distruggere un pianeta la cui condizione spiega l’esistenza degli esseri umani
in quanto tali. E in questo macabro sforzo, nessuno spazio – regioni, montagne,
oceani, poli – è destinato a sfuggire ai nostri attacchi. Sebbene ci sia chi
pensa che l’Antropocene sia una fase che dimostra fortunatamente la supremazia e
la capacità di controllo e di invenzione della specie umana, come se nessuna
delle due comportasse alcun rischio, in questo testo sono costretto a seguire un
percorso interpretativo molto diverso che invoca soprattutto le conseguenze
molto delicate della nostra condotta.
Uno di questi è l’attuazione di cambiamenti estremamente rapidi, per i quali
siamo chiaramente impreparati, tanto più se si considera la nostra dimostrabile
incapacità di andare oltre il breve termine. In questo contesto corriamo rischi
che non accetteremmo nella vita di tutti i giorni. Lynas cita la testimonianza
di un esperto che, nel 2007, basandosi su una previsione che oggi appare molto
ottimistica, giunse alla conclusione che vi era una probabilità del 7 percento
che ci saremmo lasciati alle spalle l’aumento di due gradi della temperatura
media globale. La conclusione è però chiara: nessuno salirebbe a bordo di una
nave che ha il 7 percento di probabilità di affondare. Hamilton, da parte sua,
sottolinea che, secondo una stima, se le emissioni di CO2 dei paesi poveri
raggiungono il picco nel 2030 e poi diminuiscono del 3% all’anno, mentre quelle
dei paesi ricchi raggiungono il picco nel 2015 e poi diminuiscono anch’esse del
3% all’anno, avremo solo il 50% di possibilità di evitare un preoccupante
aumento della temperatura media globale oltre i quattro gradi Celsius.
Per dirla in altri termini, siamo immersi in una spirale infernale. «La nostra
civiltà industriale è costretta ad accelerare, a diventare sempre più complessa
e a consumare sempre più energia», dicono Servigne e Stevens. Non dimentichiamo
che ogni anno consumiamo combustibili fossili equivalenti a quelli che la natura
ha impiegato un milione di anni per creare. In virtù di un supremo paradosso,
ciò che comunemente viene inteso come progresso comporta un tremendo esercizio
di distruzione dell’ambiente naturale. A questo proposito, l’argomento secondo
cui oggi, fortunatamente, abbiamo sufficienti conoscenze di quanto accaduto in
passato da consentirci di trarre conclusioni definitive non sembra essere di
grande consolazione. Temo che questa conoscenza influenzi poco le decisioni di
chi detiene il potere e, in realtà, non modifichi in modo significativo nemmeno
la nostra percezione quotidiana. Il risultato non è altro che un formidabile
esercizio di eventi imprevisti.
Ho già incluso altrove una riflessione suggestiva di Stephen Emmott.
Immaginiamo, ci dice Emmott, che la comunità scientifica giunga alla conclusione
inconfutabile che in un giorno preciso dell’anno 2072 un asteroide entrerà in
collisione con la Terra e causerà la scomparsa del 70 percento delle forme di
vita presenti su di essa. Sembrerebbe inevitabile che, di fronte a un rischio
come questo, governi, scienziati, università, forze armate e aziende si
mettessero al lavoro con la massima urgenza per trovare una formula che
consentisse di evitare la collisione o, quantomeno, di attenuarne gli effetti.
Bene, ciò che abbiamo davanti agli occhi ora ricorda molto l’esempio
dell’asteroide, con due interessanti differenze. Se da un lato non possiamo
stabilire una data precisa della catastrofe, dall’altro essa è,
sorprendentemente, il prodotto dell’azione umana.
Vorrei ripetere che ci sono molte ragioni per affermare che, in una società
traumatizzata e traumatizzante, ci stiamo preparando ad arrivare in ritardo. I
nostri leader, salvo rare eccezioni, non sono disposti a riconoscere il rischio
di crollo o, in altre parole, non prendono sul serio la delicata combinazione di
elementi che ho già menzionato. La loro posizione principale è simbolicamente
riassunta da un paio di frasi adottate da molte delle persone che guidano gli
Stati Uniti. Se il primo afferma che lo stile di vita statunitense è
indispensabile, il secondo sottolinea che ciò che è bene per la General Motors è
bene per il Paese. È logico, in queste condizioni, valutare con scetticismo la
frivolezza delle risposte provenienti dagli ambienti ufficiali, dove un astruso
miscuglio di interessi acquisiti e di visione a breve termine si traduce in un
continuo rinvio della discussione o, peggio ancora, nell’adozione di misure
puramente cosmetiche. Purtroppo, però, come sottolinea Homer-Dixon, l’economia
globale non ha un piano B. Sembra che stiamo ripetutamente evitando ciò che
Herman Daly ha avuto la gentilezza di ricordarci: l’economia è un sottosistema
della biosfera, non un sistema indipendente. Per giunta, come ho già accennato,
è molto probabile che dovremo intraprendere cambiamenti radicali in condizioni
molto delicate, come quelle caratterizzate dall’esaurimento – la nostra
consapevolezza dei limiti è zero – di tutte le materie prime energetiche che ci
hanno consentito di arrivare fin qui.
In due opere precedenti – In difesa della decrescita. Sul capitalismo, la crisi
e la barbarie (2009) e Perché la decrescita? Un saggio sul preludio al collasso
(2014) – ho già cominciato a interessarmi ad alcuni degli argomenti che mi
attraggono in questo libro. Vi torno ora con una vocazione francamente
pedagogica, e nella convinzione che tra noi non esista – o almeno non ne conosco
uno – un testo che affronti, con questo profilo e queste dimensioni, il discorso
sul collasso. A differenza di quanto accade in questo lavoro, è normale che il
collasso venga affrontato, inoltre, dal prisma di specifiche discipline
accademiche, come l’archeologia, l’economia o l’ecologia. Spesso l’interesse
suscitato si esprime, d’altro canto, attraverso testi pratici volti a spiegare –
non è affatto mia intenzione intraprendere un simile compito – che cosa dovremmo
fare per prepararci o sopravvivere al crollo.
È vero che disponiamo di uno splendido volume, il secondo dei due intitolato
Nella spirale dell’energia, scritto dai defunti Ramón Fernández Durán e Luis
González Reyes. Quel lavoro raccoglie in modo brillante informazioni
schiaccianti e ben curate sul crollo. Tuttavia, a mio parere, si tratta di
un’opera eccessivamente complessa che, nel suo profilo attuale, difficilmente
potrà raggiungere le numerose persone che dovrebbero essere interessate a questa
discussione e alle sue implicazioni. Nel nostro panorama editoriale e su
Internet stesso, dove abbiamo naturalmente accesso alla ricchezza di
informazioni postate su un gruppo Facebook chiamato “Colapso” e su siti web
molto interessanti come quello curato da Antonio Turiel, non sono mancate
nemmeno traduzioni di testi stranieri che potessero soddisfare la nostra sete di
conoscenza. Tra l’altro, come vedremo, la maggior parte della letteratura sul
crollo ha origine negli Stati Uniti, fatto che di per sé merita di essere
approfondito. Sembra che questa astrusa combinazione di problemi sociali,
sprechi (lo statunitense medio consuma tre volte più energia dell’europeo medio)
e subordinazione della politica al business costituisca lo scenario più
appropriato per pensare a un futuro molto delicato. Coloro che conoscono meglio
il crollo sono, in ogni caso, coloro che lo hanno vissuto in prima persona. E
spiegare cosa sia il collasso a un bambino nato nella Striscia di Gaza sembra
molto difficile…
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Traduzione di Comune
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LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI GUIDO VIALE:
> Crisi climatica e adattamento dal basso
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