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Energia: Italia Francia 1-1. palla al centro!
Da pochi giorni l’autorità di regolazione delle tariffe elettriche italiana e il governo francese hanno posto in essere due atti estremamente importanti. L’autorità di regolazione italiana ha individuato una serie di supposte operazioni che potrebbero essere definite “speculative”, ma attendiamo naturalmente gli sviluppi e gli approfondimenti del caso… I francesi invece hanno posto in essere un’operazione decisamente storica: un deciso cambio di sistema di tariffazione per quanto riguarda l’energia nucleare… Alcune riflessioni: * i soldi sono soldi, cioè i produttori di energia da fonti rinnovabili non sono automaticamente dei santi e viceversa I produttori di energia da fonte fossile non sono automaticamente dei diavoli (anche se le fonti fossili rimangono intrinsecamente più inquinanti). * l’energia dimostra ogni giorno di essere il bene più prezioso e richiesto in quantità sempre maggiori perché al di là di tutti i processi di efficientamento in corso, abbiamo alcuni miliardi di persone,  nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, che nei prossimi anni vorranno far salire la loro qualità di vita utilizzando tutti quegli strumenti a cui ancora non hanno accesso, e naturalmente i paesi già sviluppati vogliono continuare a svilupparsi… * per quanto sopra é necessario che i vari governi nazionali e ancora più a livello internazionale pensino ad maggior intervento di regolazione ex ante e controllo ex post da parte delle pubbliche autorità. * Il governo in carica mi pare ben poco abbia fatto per migliorare la situazione. Ribadisco il pessimo comportamento sulle comunità energetiche rinnovabili, dal momento che anziché semplificarne la realizzazione, l’ha complicata. Troppo poco anche sul fronte della riqualificazione degli edifici con il rafforzamento di un circuito vizioso degli edifici vecchi che richiedono enormi quantità di energia per essere rinfrescati d’estate e riscaldati d’inverno. * non é per nulla semplice trovare la quadratura del cerchio del famoso trilemma energetico. Se il privato non può guadagnare la spinta all’evoluzione tecnologica rallenta. Ma se il mercato non viene controllato, la legge della giungla porta a oligopoli sempre più concentrati come dimostrato in diversi altri settori tra cui in primis quello finanziario. Ecco perché è necessario avere meccanismi di autoregolazione che siano agganciati all’evoluzione tecnologica, e rapidi nel dispiegare gli opportuni interventi di volta in volta. * la soluzione migliore rimane quella di autoprodursi energia da fonti rinnovabili e questo dovrebbe essere messo in atto soprattutto dal comparto industriale, che ha i maggiori fabbisogni e quindi potrebbe avere i maggiori benefici. In alternativa naturalmente c’è l’acquisto di energia rinnovabile con contratti a lungo termine a prezzi predefiniti. Per i privati cittadini oltre alle comunità energetiche rinnovabili c’è anche l’immediata alternativa di acquistare elettricità esclusivamente da fonti rinnovabili visto che ci sono fornitori specializzati in ciò. * e se la politica sta dimostrando di non essere all’altezza del compito purtroppo eguale giudizio negativo lo devo indicare anche sui cosiddetti “corpi intermedi”, siano essi rappresentanti di normali cittadini, siano di prestatori di lavoro, siano di datori di lavoro. Questo perché l’energia è una materia estremamente complessa e la sua discussione deve essere affidata a persone competenti, oneste cioé  incorruttibili, e che sopratutto vi si dedichino costantemente ed esclusivamente. * discuterne sul web e nei social è certamente utile ma deve essere considerato solo come una piccola parte di ciò che va fatto, per cui il mio appello è che tutti coloro che ne hanno le capacità e le possibilità, facciano un passo avanti e si spendano anche a livello pubblico. Viceversa il futuro sarà molto peggiore di come potrebbe essere, é matematico. A corollario di tutto quanto sopra rimane il fatto che la cultura media tecnica e scientifica dei cittadini deve migliorare, e per questo vi ricordo di aver messo a disposizione un ciclo di video didattici gratuiti proprio sulla materia energia. Dateci un’occhiata e magari condividetelo.   Gianni Girotto Gianni Girotto
Meta e il mega data center in Louisiana: così la “fame d’energia” dell’IA rischia di gonfiare le bollette dei cittadini Usa
I costi energetici di migliaia di server che effettuano miliardi di calcoli al secondo e i rischi per i cittadini Bollette più alte e nuove centrali a gas per soddisfare la fame d’energia di Meta, il colosso tech di Mark Zuckerberg. La multinazionale sta costruendo un gigantesco data center in Louisiana, nelle campagne di Holly Ridge (una vasta area rurale nel nord-est dello stato). Sono infrastrutture strategiche per Big Tech: i data center contengono migliaia di server che, a loro volta, effettuano miliardi di calcoli al secondo, lavorando senza sosta. È il “cervello” dell’intelligenza artificiale, che se ne serve per eseguire i compiti che gli vengono commissionati o, più banalmente, per fornirci le risposte richieste. Ma proprio perché i computer lavorano ininterrottamente in condizioni normali si surriscalderebbero; dunque, per evitare guasti tecnici, vanno raffreddati artificialmente (ad esempio, tramite aria condizionata industriale ad alta potenza). Bisogna poi alimentare la potenza di calcolo e sostenere i costi energetici relativi ai sistemi d’illuminazione o di sicurezza dell’infrastruttura. In definitiva, il fabbisogno complessivo di energia dei data center è già di per sé molto elevato. Ma Zuckerberg vuole costruire un arcipelago informatico che si estenderà su 370.000 metri quadrati (a grandi linee, un’area coperta da cinquantadue campi di calcio regolamentari). E secondo le stime di una Ong locale, Alliance for Affordable Energy, avrà bisogno del doppio dell’energia di cui vive New Orleans, una città che conta quasi quattrocentomila abitanti. Leggi l'articolo completo
Le Dita Nella Presa, È ora di proteggersi
Chat sicure? Non per la Casa Bianca... e forse nemmeno in Europa. Parliamo di Trump, della nuova edizione di Chat Control, di cavi elettrici e, naturalmente, di treni. Iniziamo con l'ultimo episodio della saga TeleMessage: l'ennesimo bug permette la raccolta di un database di messaggi inviati sul finto-Signal utilizzato dalla casa bianca. L'Europa rinomina Chat Control in Protect EU (finalmente non abbiamo più bisogno dei bambini per giustificarlo!) ma la musica rimane la stessa, in particolare la pretesa di avere un sistema contemporaneamente con una cifratura forte ma accessibile alle forze dell'ordine. I grandi progetti sottomarini nel mondo dell'elettricità nei prossimi 15 anni dovrebbero raddoppiare i collegamenti tra le reti elettriche mondiali, inclusa quella italiana. Vediamo quali sono i progetti in corso, quali gli impedimenti tecnici, e soprattutto il perché. Il nuovo contratto di servizio di ATAC prevede fulgidi miglioramenti nell'operatività del servizio pubblico, in particolare nella Metro C. Sarà vero? Già che ci siamo, facciamo una retrospettiva su 15 anni di bigliettazione: l'aumento del biglietto, che avrebbe dovuto portare maggiori ricavi, è stato inefficace, e ha invece portato ad un calo nell'utilizzo del trasporto pubblico. Ascolta sul sito di Radio Onda Rossa
Usa, così gli alti costi dell’energia necessaria per datacenter e IA gonfiano le bollette delle famiglie
Un’inchiesta del New York Times parte da un rapporto Wood MacKenzie e dagli aumenti dei prezzi degli ultimi anni: privati e piccole imprese potrebbero caricarsi ulteriormente sulle spalle gli oneri degli aggiornamenti della rete necessari a Big tech. Famiglie e piccole imprese statunitensi stanno pagando l’energia a prezzi maggiorati, negli ultimi anni, ma le tariffe elettriche a loro carico potrebbero aumentare ulteriormente, a breve. E la ragione non è in quel che consumano loro, ma in quel che consuma il settore Big tech per mandare avanti datacenter e servizi di Intelligenza artificiale (Artificial intelligence, AI). Secondo i dati citati dal NYT si prevede che la domanda di elettricità in alcune parti degli Stati Uniti aumenterà fino al 15% solo nei prossimi quattro anni. «Il rapido aumento dei datacenter, che utilizzano l'elettricità per alimentare i server di computer e mantenerli freschi, ha messo a dura prova molte utility», scrive il quotidiano statunitense. Oltre a investire per soddisfare la domanda, i servizi pubblici stanno spendendo miliardi di dollari per rendere i loro sistemi più sicuri contro incendi, uragani, ondate di calore, tempeste invernali e altre condizioni meteorologiche estreme: «I disastri naturali, molti dei quali sono legati al cambiamento climatico, hanno reso le reti elettriche più inaffidabili degli Stati Uniti. Questa spesa è uno dei motivi principali per cui le tariffe dell'elettricità sono aumentate negli ultimi anni». Negli Stati Uniti e in Europa tali costi vengono al momento “socializzati” e redistribuiti sulle bollette di tutti gli utenti. Un approccio comprensibile se l’obiettivo è un bene comune (per esempio la decarbonizzazione grazie al passaggio alle rinnovabili). Ma se invece gli investimenti in infrastrutture energetiche servono a facilitare i già colossi guadagni dei giganti digitali, è giusto che a pagare siano le famiglie e le piccole imprese?
Le Dita Nella Presa, Dopo lo Spagna, altri blackout: i bus privati a Roma
La prima metà della trasmissione è dedicata al trasporto "pubblico" a Roma, al tema della sua privatizzazione e degli effetti concreti che questo causa: dai "normali" autobus che non passano, alla più sofisticata mancanza di interoperabilità con i sistemi informativi dell'Atac. Facciamo qualche considerazione sui meccanismi di privatizzazione e sulla tattica degli "spezzettamenti". La seconda metà è invece dedicata alla notizia del recente blackout in Spagna, e all'accusa che le rinnovabili siano la causa. Cerchiamo di distillare la parte di verità contenuta in questa informazione, contestualizzandola però con delle spiegazioni su come funziona, a grandi linee, la rete elettrica e con uno sguardo anche all'importante precedente del blackout del 2003 in Italia. Ascolta la puntata sul sito di Radio Onda Rossa
Blackout e comunità
IL POMERIGGIO SENZA ELETTRICITÀ PER MILIONI DI SPAGNOLI E PORTOGHESI HA RICORDATO A QUANTO SIAMO OVUNQUE DIPENDENTI DALL’ELETTRICITÀ. ESISTONO IN REALTÀ DIVERSE DIPENDENZE INTRECCIATE, QUELLA DAI COMBUSTIBILI FOSSILI, QUELLA DELLA TECNOLOGIE, QUELLA DAI SATELLITI. IN QUESTO ARTICOLO, ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER, REGISTA TEATRALE E SCRITTORE, RAGIONA SU QUELLE DIPENDENZE PRENDENDO SPUNTO DAGLI ANNI IN CUI HA LAVORATO IN UNA COMUNITÀ PER PERSONE CON PROBLEMI DI DIPENDENZA. “A PRESCINDERE DA CIÒ DA CUI SEI STATO DIPENDENTE E IN PARTE LO SEI ANCORA DENTRO, LA RISORSA PER RITROVARE UN EQUILIBRIO SANO E SOSTENIBILE SIAMO ANCORA NOI STESSI, LE NOSTRE CAPACITÀ INNATE, MA SOPRATTUTTO I NOSTRI SIMILI… – SCRIVE ALESSANDRO – L’UMANITÀ È L’ENERGIA RINNOVABILE CHE STIAMO TRASCURANDO DA SEMPRE, OVVERO SFRUTTANDO IN MODO CRUDELE, CORROMPENDOLA, TORTURANDOLA E FINENDO PER DISTRUGGERLA NEI MODI PIÙ DISPARATI… IL PARADOSSO È CHE PROPRIO NEI MOMENTI PEGGIORI DELLA VITA DI CHIUNQUE… LA RELAZIONE CON IL PROSSIMO RAPPRESENTA LA VERA ANCORA DI SALVEZZA…” Una piccola comunità aperta al mondo – Liberi Sogni – ha inaugurato in aprile Cascina Rapello, tra i Monti della Brianza. Dal 31 maggio al 2 giugno sarà il teatro naturale di Transizioni Fest. Sentire Conosce Agire: qui il programma completo e le informazioni per partecipare -------------------------------------------------------------------------------- Lo scorso lunedì in Spagna è accaduto un fatto di una gravità estrema: poco dopo mezzogiorno e in pochi secondi qualcosa ha improvvisamente causato un calo della frequenza al di sotto dei soliti 50 hertz. Risultato: un intero pomeriggio senza elettricità per milioni di persone nella quarta economia europea e nel vicino Portogallo. I tecnici di Red Eléctrica de España (REE), il gestore della rete, stanno lavorando contro il tempo per capire cosa abbia provocato tale incidente. La teoria iniziale avanzata martedì aveva individuato la causa in un incidente in due impianti fotovoltaici nel sud-ovest della penisola, ma meno di 24 ore dopo, il REE e l’Associazione del Settore Energetico di Valencia hanno escluso tale ipotesi, nonostante gli avvoltoi del petrolio nel mondo avessero già iniziato a lucrare sull’accaduto, per esempio con tempestive, quanto mai interessate dichiarazioni. Nondimeno, tale inquietante precedente mi ha spinto a domandarmi: quanto siamo dipendenti nel mondo dall’elettricità? Ed estendendo la ricerca, quali sono le altre maggiori fonti di sostentamento in senso lato senza le quali, da un istante all’altro, potremmo trovarci in simili drammatiche emergenze? -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI CARLOS TAIBO: > Il collasso -------------------------------------------------------------------------------- Per quanto riguarda l’energia elettrica, ben 7,2 miliardi di persone in tutto il mondo vivono connesse alla rete elettrica (dati 2022), mentre un rapporto del 2024 segnala che 1,18 miliardi ne sono prive, di norma nei Paesi più poveri. Per quanto concerne invece i combustibili fossili, ovvero carbone, petrolio e gas naturale, sempre dati del 2022 ci dicono che essi rappresentano l’82% del consumo energetico mondiale. In particolare, il petrolio corrisponde a un terzo del totale, mentre il carbone un quarto. E cosa dire dell’energia nucleare? Ebbene, essa fornisce attualmente circa il 9% dell’elettricità mondiale, grazie a circa 440 reattori nucleari. Garantisce circa un quarto dell’elettricità a basse emissioni di carbonio e ben oltre 50 Paesi la utilizzano tramite circa 220 reattori. Altra forma di dipendenza ampiamente diffusa è quella dalla tecnologia. In particolare, un totale di 5,64 miliardi di persone in tutto il mondo utilizzavano Internet all’inizio di aprile 2025, pari al 68,7% della popolazione mondiale. Il che vuol dire che i navigatori sono attualmente la maggioranza dell’umanità. Nel dettaglio, la maggior parte di costoro – il 95,9% – utilizza il telefono cellulare per essere online e i telefoni cellulari ora rappresentano il 62% del traffico web mondiale. Da cui, si evince l’enorme dipendenza che abbiamo dagli smartphone stessi. Infine, un’ulteriore cruciale dipendenza è quella che abbiamo dai satelliti. Essi hanno un impatto sulla nostra vita quotidiana in innumerevoli modi che spesso passano inosservati: con le previsioni del tempo, la navigazione in GPS, la comunicazione e la connettività di Internet e dei telefoni cellulari, la televisione e la radiodiffusione, le operazioni bancarie e finanziarie, la sorveglianza militare, il monitoraggio ambientale e la gestione dei disastri, l’agricoltura, la ricerca scientifica e molto altro. A invitarci a riflettere con estrema attenzione sull’evidente vulnerabilità di tale situazione a livello mondiale dovrebbe essere anche il fatto che il tratto comune di questi differenti tipi di dipendenza è che presentano tutti dei valori in crescente aumento. Sapete, ho avuto la fortuna e il privilegio nei primi anni di lavoro nei luoghi di cura di farmi le ossa in una comunità di recupero per ex tossicodipendenti. Una delle cose più interessanti e illuminanti, a mio modesto parere, è stato scoprire che il percorso di recupero di una persona che per un periodo significativo ha avuto una grave dipendenza da sostanze stupefacenti non si basa effettivamente su queste ultime. In parole povere, in comunità non si parla di droga, bensì di esseri umani. Al punto che potrebbe risultare assai utile a chiunque e anche nel mio caso direi che è stato vitale. Sono quasi certo che non sarei qui, oggi, senza quella preziosa, iniziale formazione. Ciò che voglio dire è che, a prescindere da ciò da cui sei stato dipendente e in parte lo sei ancora dentro, la risorsa per ritrovare un equilibrio sano e sostenibile siamo ancora noi stessi, le nostre capacità innate, ma soprattutto i nostri simili. Difatti, la parola chiave in questi contesti è sempre “il gruppo”. L’umanità è l’energia rinnovabile che stiamo trascurando da sempre, ovvero sfruttando in modo crudele, corrompendola, torturandola e finendo per distruggerla nei modi più disparati. Il paradosso è che proprio nei momenti peggiori della vita di chiunque, compresi gli attimi in cui le suddette fonti di sostegno vengono a mancare, la relazione con il prossimo rappresenta la vera ancora di salvezza. Come disse uno dei ragazzi che ho conosciuto in quegli anni, dovrebbe esserci una comunità per tutti anche fuori di qui… -------------------------------------------------------------------------------- Attore, regista e scrittore, Alessandro Ghebreigziabiher ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura. Il suo ultimo libro è Specchi delle nostre brame (Ed. Bette). -------------------------------------------------------------------------------- Per ricevere la Newsletter di Alessandro Ghebreigziabiher -------------------------------------------------------------------------------- APPUNTAMENTI: > Transizioni fest -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Blackout e comunità proviene da Comune-info.
Trasformare la crisi climatica in opportunità
-------------------------------------------------------------------------------- Foto di Extinction Rebellion Italia -------------------------------------------------------------------------------- In un libro uscito nel 2025 – Come il cambiamento climatico potrebbe cambiare il mondo (frutto di un articolo pubblicato nel 2014 su Development and Society, essendo l’autore morto a gennaio del 2015) – Ulrich Beck, introduce il termine di metamorfosi, ovvero «un cambiamento strutturale che fa saltare obiettivamente i capisaldi antropologici su cui si fondano le nostre società, rendendo possibile e necessario ciò che prima non lo era». Secondo Beck, la comunità ecologica (la cooperazione tra Stati precedentemente avversari tra loro) si forma, o si formerà, non per spinta positiva ma per spinta negativa, non per valori che uniscono ma per timori che uniscono. Se è dunque impossibile, allo stato attuale, la cooperazione tra paesi diversi è però possibile che si raggiunga un consenso negativo su ciò che, a tutti i costi, deve essere evitato: la catastrofe globale. Beck usa, in tal senso, l’espressione: “catastrofismo emancipatorio”, poiché se il rischio giunge come una minaccia, esso porta con sé anche la speranza e il desiderio di scongiurarla. Cercherò, in questo scritto – relativamente al solo aspetto dell’energia – di attenermi a questo pensiero: rendere pensabile e credibile (cioè possibile ancorché necessario) ciò che per i governi, i politici, i mass media e l’opinione pubblica manipolata, non sarebbe possibile per motivi economici, sociali e politici. Il cambiamento, qualora fosse realizzato, rappresenta la più straordinaria occasione di evoluzione della civiltà umana che si sia mai presentata nella storia: costruire un sistema basato su regole universali in grado di organizzare la cooperazione tra i popoli di fronte al rischio climatico e, quindi, avvicinarci all’orizzonte della “pace perpetua” di Kant. È una tesi che si riallaccia a quella sostenuta da Ferrajoli nella sua Costituzione della terra (Per una costituzione della terra. L’umanità al bivio”, Feltrinelli, 2022 e, in ultimo, Progettare il futuro. Per un costituzionalismo globale, idem, 2025): «Se l’umanità vuole sopravvivere, poteri globali e aggressioni globali impongono un salto di civiltà, cioè un’espansione del costituzionalismo oltre lo Stato, all’altezza dei poteri da cui provengono le minacce al nostro futuro. È chiaro che questa espansione è possibile solo sulla base di un nuovo contratto sociale di carattere globale tra tutti gli Stati e i popoli del pianeta che istituisca, in forma vincolante, le garanzie universali della pace, dei diritti fondamentali di tutti e dei beni vitali della natura» (Come vincolare il potere politico, il manifesto, 11 aprile 2025). Se pure l’ipotesi di Beck può apparire utopistica, essa è nondimeno l’unica possibile, pena la stessa sopravvivenza delle specie umana e non. Egli sostiene infatti che l’alternativa è la barbarie, la guerra, il disastro dell’umanità nel suo complesso, ovvero il ritorno del nazionalismo e del sovranismo che cercano di opporsi, in modo reazionario e velleitario, al cambiamento del mondo che intanto si è oggettivamente affermato. Il quadro internazionale appare assolutamente in controtendenza a questa tesi. Tuttavia è solo la convenienza anche economica della cooperazione tra i popoli rispetto alla tradizionale competizione nazionale, con conseguenti compromessi politici e ideologici – accettare che i regimi democratici cooperino con quelli autoritari in nome di una comune minaccia – che può consentire di uscire dalla catastrofe. Ciò che rende pensabile questa metamorfosi è il fatto che gli strumenti per affrontare la crisi climatica ci sono (mi limito ad elencarli dal solo punto di vista energetico), già potenzialmente disponibili e pronti per essere usati. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI CARMELA CIOFFI: > Se dentro di te hai un mondo di angoscia e di rabbia -------------------------------------------------------------------------------- Si rende innanzi tutto necessaria una premessa. Il consumo attuale di energia non è un fatto naturale; esso potrebbe essere facilmente ridotto senza drastici cambiamenti dello stile di vita, ma solo cambiamenti di abitudini. Al tempo stesso una riduzione del consumo di energia migliorerebbe la stessa qualità della vita. Nel campo dei trasporti ad esempio (settore che consuma gradi quantità di energia soprattutto nelle città) si tratterebbe di passare dai trasporti individuali a quelli collettivi facendo risparmiare oltre all’energia una grande quantità di tempo e abbassare lo stress legato alla guida in città. Stesso discorso vale per l’isolamento termico degli edifici, la quantità di cibo sprecato e così via. Ma il mondo è organizzato in modo diverso: la TV, ad esempio, ci bombarda di pubblicità sull’ultimo modello di auto appena uscito, inducendoci a credere come esso sia assolutamente necessario alla nostra esistenza, così come per i cellulari o i PC e, da ultima, l’IA, la cui potenza, in rapida crescita, continua ad aumentare il consumo di energia. Nulla si dice, poi, per quel riguarda la progettazione urbanistica delle nostre città che potrebbe essere realizzata diminuendo gli spostamenti (con la riapertura di negozi e botteghe contro il proliferare dei centri commerciali) e aumentando il parco di auto per un trasporto collettivo. Qualunque discorso sui consumi di energia dovrebbe partire da una considerazione banale: le uniche fonti sostenibili (e per ciò rinnovabili) sono: il sole, il vento e l’acqua e quelle geotermiche. Altre diaboliche sostenibilità non esistono, tanto meno l’uranio sostenibile o l’idrogeno prodotto da energia elettrica. «Più che uno sforzo tecnologico, dunque, è necessario un cambiamento del paradigma economico e culturale, capace anche di garantire ricadute positive oltre che sulla qualità della vita, sull’occupazione» (Federico Butera, Sole, vento acqua. L’italia a emissioni zero nel 2050”, manifestolibri, 2023). I detrattori di questa tesi sostengono che queste fonti non basterebbero a soddisfare la domanda crescente di energia. Vedremo successivamente come questo non sia vero, ma in ogni caso, a prescindere da questa falsa affermazione, resta il fatto che diminuire l’energia consumata resta comunque un obiettivo necessario. Sempre i detrattori di questa metamorfosi rispondono che la soluzione più breve per raggiungere l’obiettivo di produzione di energia sia il nucleare. E qui il discorso diventa ingannevole e in malafede. Questa soluzione viene in realtà preferita poiché semplifica grossolanamente il problema e corrisponde a quella piaga del pensiero determinista e macchinista, esito della rivoluzione scientifica del Seicento (di Cartesio in particolare). Qualche riflessione sui tipi di energia (con considerazioni che derivano, in molta parte, da un seminario svolto da Giorgio Parisi nel marzo del 2025). Tornando al nucleare dobbiamo fare confronti tra questo tipo di energia e quella eolica o solare. Il solare, soprattutto per l’Italia costituisce la fonte di energia più efficiente ed economica per ovvii motivi di conformazione geografica. Il costo del fotovoltaico è inoltre almeno tre volte inferiore a quello del nucleare. Poi c’è da mettere in conto il rischio di incidenti come: Chernobyl e Fukushima. A Chernobyl, dopo l’incidente, si sono creati duemila kmq inabitabili attorno alla centrale (una superficie pari alla pianura padana), mentre a Fukushima si è stati costretti a ricorrere a una evacuazione forzata. Infine per l’Italia il nucleare è sconsigliabile perché è un paese ad alta densità abitativa (ancora non si è deciso dove collocare le scorie delle ex centrali in dismissione). Perché allora dovremmo fare il nucleare? Le risposte, ci dicono, sono due: la prima, è che il fotovoltaico e l’eolico consumerebbero grandi quantità di suolo, attualmente destinato all’agricoltura. Il secondo è che l’energia solare è intermittente, ovvero la sua produzione varia nell’arco del tempo (giorno/notte, inverno/estate). A queste obiezioni si risponde facilmente. In Italia sono pochissimi i tetti degli edifici con pannelli solari, le fabbriche poi hanno solo il 7% di impianti solari sui tetti. Poi ci sarebbero i parcheggi, gli edifici pubblici come scuole ecc. e, infine l’agrivoltaico, ovvero l’uso del fotovoltaico nel quale possono convivere agricoltura tradizionale e solare, diminuendo al tempo stesso la quantità di acqua necessaria. L’altro motivo è che un pannello solare in Italia produce il 40% in più rispetto a quello installato in Germania. Nonostante questo la Germania ha 70 installazioni di solare per 70 Gw. In Cina, nel 2024, si sono installati due terzi degli impianti fotovoltaici di tutto il resto del mondo e in dieci anni i costi si sono ridotti del 90% e la ricerca applicata sui materiali e la loro efficienza continua. L’unico vantaggio (apparente) del nucleare di IV generazione è che usa il plutonio sotto forma di scorie delle centrali nucleari vere e proprie. In realtà non ci sono reattori di IV generazione funzionanti ma solo prototipi, ovvero progetti. Ricordiamo la storia del Superfenix costruito nel 1976, terminato 10 anni dopo, costato 20 miliardi, ha lavorato solo per qualche mese e poi dopo è stato chiuso perché era necessaria una grande quantità di acqua per il raffreddamento. L’acqua, però, rallentava il reattore tanto che il Superfenix veniva raffreddato con sodio fuso. Poi ci sono i mini reattori che avrebbero il vantaggio di essere costruiti in serie oltre ad essere meno pericolosi; anche questi hanno bisogno di una verifica lunga di tempi. Riassumendo il nucleare di IV generazione non è diverso da quello bocciato dai due referendum nazionali, il Superfenix ha fallito e i mini reattori sono di là da venire. Infine c’è da fare il confronto tra solare e nucleare rispetto al problema dell’intermittenza del solare. La variazione del solare può essere recuperata in due modi: con le batterie al litio o con l’idroelettrico pompato (sollevare l’acqua nelle ore di poca o scarsa esposizione del sole e sfruttare il salto nelle ore di punta), o, ancora, attraverso l’immagazzinamento dell’energia elettrica domestica che può essere usata per le pompe di calore in inverno. Infine il surplus di energia elettrica da fotovoltaico può essere usata per produrre carburanti sintetici come l’idrogeno (per navi o aerei per i quali non si possono usare le batterie). L’ultima energia sostenibile è quella geotermica, rinnovabile e non intermittente. L’Italia ha luoghi di produzione eccellenti, come Lardarello, dove si produce energia elettrica direttamente oppure indirettamente per scaldare le case, inoltre la geotermia è rinnovabile e non intermittente. In Cina sono enormi i processi di sfruttamento della geotermia per riscaldare le case con impianti che sono quattro volte quelli del resto del mondo in modo da ridurre i costi e i consumi di energia, con l’obiettivo di arrivare in 20 anni a eliminare le importazioni di petrolio. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Trasformare la crisi climatica in opportunità proviene da Comune-info.
Il collasso
PARE IN QUESTE ORE, IN SPAGNA LE VENDITE DEL LIBRO COLAPSO DI CARLOS TAIBO – SCRITTORE E DOCENTE A MADRID, UNO DEI PIÙ NOTI TEORICI E SOSTENITORI DEL MOVIMENTO DELLA DECRESCITA – SIANO ALLE STELLE. EPPURE LA PRIMA EDIZIONE È USCITA GIÀ DA ALCUNI ANNI. IL LIBRO, DI CUI PUBBLICHIAMO L’INTRODUZIONE DELL’ULTIMA EDIZIONE, APPROFONDISCE SENZA UTILIZZARE UN LINGUAGGIO ACCADEMICO, IL CONCETTO DI COLLASSO, LA CAUSE E LE CONSEGUENZE, MA ANCHE LE DUE PRINCIPALI RISPOSTE: QUELLA DELL’ECOFASCISMO E QUELLA DEI MOVIMENTI DI TRANSIZIONE ECO-SOCIALE. TRE COSE SONO CERTE. LA PRIMA: QUELLI CHE SONO IN ALTO NON SONO DISPOSTI A RICONOSCERE IL RISCHIO DEL COLLASSO. LA SECONDA: LA CIVILTÀ INDUSTRIALE NON CONOSCE ALTERNATIVE, È COSTRETTA AD ACCELERARE: OGNI ANNO CONSUMIAMO COMBUSTIBILI FOSSILI EQUIVALENTI A QUELLI CHE LA NATURA HA IMPIEGATO UN MILIONE DI ANNI PER CREARE. LA TERZA: UNA STRADA DIVERSA PUÒ PRENDERE FORMA SOLTANTO IN BASSO, ALCUNI HANNO COMINCIATO unsplash.com -------------------------------------------------------------------------------- In molte occasioni, in occasione di eventi pubblici, ho parlato del rischio di un collasso generale del sistema che stiamo vivendo. Poiché l’argomento era destinato a suscitare polemiche, col tempo ho accumulato esperienze di ogni genere legate alla discussione in questione. E a volte mi è sembrato che fosse urgente approfondire il concetto di collasso e i concetti ad esso correlati, perché poteva benissimo essere che, nonostante molte persone usassero la stessa parola, in ultima analisi stessero pensando a realtà diverse. Se vogliamo, questo libro è un esercizio per chiarire, per me stesso, la disputa sulle molteplici sfaccettature che presenta il concetto in questione. A questo proposito è organizzato in sette capitoli. Il primo è interessato al concetto di collasso sopra menzionato, studia i problemi che comporta e considera alcune delle lezioni apprese dai crolli passati. Il secondo prende in considerazione le presunte cause di un collasso sistemico globale, con particolare attenzione al cambiamento climatico e all’esaurimento delle risorse energetiche. Il terzo, di natura decisamente speculativa, analizza le possibili conseguenze del crollo. Il quarto e il quinto capitolo individuano due possibili risposte a questo fenomeno: quella dei movimenti di transizione eco-sociale e quella legata a ciò che è noto come ecofascismo. Mentre il sesto capitolo si concentra sulla percezione popolare del crollo, il settimo e ultimo tenta di trarre alcune conclusioni generali. Vorrei chiarire fin da subito che non sono nella posizione di affermare che prima o poi si verificherà un crollo generale del sistema sotto i nostri occhi. La tesi che sostengo spassionatamente in questo lavoro è più cauta e si limita a suggerire che un simile crollo, con dati già ampi in nostro possesso, è probabile. Da questa prospettiva, il libro che il lettore tiene tra le mani, pur non racchiudendo in sé alcuna certezza assoluta, contiene un modesto invito alla riflessione e alla prudenza, ben sintetizzato nella figura del pater familias diligens (padre diligente di famiglia) a cui Castoriadis fa riferimento. Mi limiterò a ricordare, a questo proposito, che di fronte a uno scenario così delicato come quello posto dalla crisi ecologica, la nostra risposta non può essere quella che il filosofo attribuiva a un padre – o a una madre – che, dopo essersi sentito dire che era molto probabile che il loro bambino avesse una malattia grave, anziché affidare la prole ai migliori medici, non ha pensato ad altro che a ragionare dicendo: “Beh, se è possibile che mio figlio abbia una malattia molto grave, è anche possibile che non ne abbia una, quindi mi sembra moderatamente giustificato restare con le braccia conserte”. Di fronte a ciò, il padre cosciente dice a se stesso: “Dato che i problemi sono enormi, e anche se la probabilità che si manifestino è bassa, procedo con la massima prudenza, e non come se nulla stesse accadendo”. -------------------------------------------------------------------------------- APPUNTAMENTI: > Transizioni fest -------------------------------------------------------------------------------- Il fatto che questo testo sia cauto non significa in alcun modo che voglia nascondere la portata delle sfide. La prima di queste è, naturalmente, la combinazione del cambiamento climatico, dell’esaurimento delle risorse energetiche, dei problemi demografici e di una profonda crisi sociale e finanziaria difficile da superare. La seconda è fornita da dati che riflettono un progressivo e rapido deterioramento della situazione. Aggiungerò, in breve, che ci sono ragioni sufficienti per concludere che è probabile che, sotto la copertura di quella che sembra una vera e propria corsa in avanti, arriveremo in ritardo se il nostro scopo logico è quello di evitare il collasso. Il panorama mentale e politico che abbiamo ereditato è molto delicato e richiede sacrifici sotto forma di risposte urgenti e decise in un momento in cui le restrizioni sono intrinsecamente numerose. Se William Ophuls ricorda a questo proposito che Gibbon attribuì il declino di Roma a quella che definì una “grandezza smodata”, cioè un eccesso di orgoglio e presunzione, Elizabeth Kolbert è stata così gentile da sottolineare che la storia dimostra che la vita mostra una formidabile capacità di adattamento, è vero, ma che questa capacità non è infinita. Le estinzioni di massa, aggiunge Kolbert, puniscono prima di tutto i più deboli, ma non lasciano indenni i più forti. Sembra, in ogni caso, che stiamo entrando in una terra incognita segnata da inevitabili riduzioni della popolazione e della produzione industriale. In alcuni dei miei lavori precedenti mi sono già interessato a categorizzare quello che è stato chiamato Antropocene. Per Paul Crutzen, una volta concluso l’Olocene, iniziato 11.500 anni fa, negli anni Ottanta del Settecento, quando Watt perfezionò la macchina a vapore, ebbe inizio una nuova fase nella storia del pianeta. Sotto la protezione di questa nuova fase, l’Antropocene, l’uomo è diventato una vera e propria forza geologica che ha modificato il clima e ci ha permesso di essere non solo grandi predatori, ma anche grandi dissipatori di risorse. Poiché gli esseri umani sono immersi in una vera tirannia sulla natura – quante volte si è parlato di conquistare quest’ultima – non ha più senso concepirli come una mera parte integrante del mondo naturale. L’Homo colossus, predatore e consumatore di risorse scarse e non rinnovabili, dall’appetito illimitato e dal progetto insostenibile, sembra intenzionato a distruggere un pianeta la cui condizione spiega l’esistenza degli esseri umani in quanto tali. E in questo macabro sforzo, nessuno spazio – regioni, montagne, oceani, poli – è destinato a sfuggire ai nostri attacchi. Sebbene ci sia chi pensa che l’Antropocene sia una fase che dimostra fortunatamente la supremazia e la capacità di controllo e di invenzione della specie umana, come se nessuna delle due comportasse alcun rischio, in questo testo sono costretto a seguire un percorso interpretativo molto diverso che invoca soprattutto le conseguenze molto delicate della nostra condotta. Uno di questi è l’attuazione di cambiamenti estremamente rapidi, per i quali siamo chiaramente impreparati, tanto più se si considera la nostra dimostrabile incapacità di andare oltre il breve termine. In questo contesto corriamo rischi che non accetteremmo nella vita di tutti i giorni. Lynas cita la testimonianza di un esperto che, nel 2007, basandosi su una previsione che oggi appare molto ottimistica, giunse alla conclusione che vi era una probabilità del 7 percento che ci saremmo lasciati alle spalle l’aumento di due gradi della temperatura media globale. La conclusione è però chiara: nessuno salirebbe a bordo di una nave che ha il 7 percento di probabilità di affondare. Hamilton, da parte sua, sottolinea che, secondo una stima, se le emissioni di CO2 dei paesi poveri raggiungono il picco nel 2030 e poi diminuiscono del 3% all’anno, mentre quelle dei paesi ricchi raggiungono il picco nel 2015 e poi diminuiscono anch’esse del 3% all’anno, avremo solo il 50% di possibilità di evitare un preoccupante aumento della temperatura media globale oltre i quattro gradi Celsius. Per dirla in altri termini, siamo immersi in una spirale infernale. «La nostra civiltà industriale è costretta ad accelerare, a diventare sempre più complessa e a consumare sempre più energia», dicono Servigne e Stevens. Non dimentichiamo che ogni anno consumiamo combustibili fossili equivalenti a quelli che la natura ha impiegato un milione di anni per creare. In virtù di un supremo paradosso, ciò che comunemente viene inteso come progresso comporta un tremendo esercizio di distruzione dell’ambiente naturale. A questo proposito, l’argomento secondo cui oggi, fortunatamente, abbiamo sufficienti conoscenze di quanto accaduto in passato da consentirci di trarre conclusioni definitive non sembra essere di grande consolazione. Temo che questa conoscenza influenzi poco le decisioni di chi detiene il potere e, in realtà, non modifichi in modo significativo nemmeno la nostra percezione quotidiana. Il risultato non è altro che un formidabile esercizio di eventi imprevisti. Ho già incluso altrove una riflessione suggestiva di Stephen Emmott. Immaginiamo, ci dice Emmott, che la comunità scientifica giunga alla conclusione inconfutabile che in un giorno preciso dell’anno 2072 un asteroide entrerà in collisione con la Terra e causerà la scomparsa del 70 percento delle forme di vita presenti su di essa. Sembrerebbe inevitabile che, di fronte a un rischio come questo, governi, scienziati, università, forze armate e aziende si mettessero al lavoro con la massima urgenza per trovare una formula che consentisse di evitare la collisione o, quantomeno, di attenuarne gli effetti. Bene, ciò che abbiamo davanti agli occhi ora ricorda molto l’esempio dell’asteroide, con due interessanti differenze. Se da un lato non possiamo stabilire una data precisa della catastrofe, dall’altro essa è, sorprendentemente, il prodotto dell’azione umana. Vorrei ripetere che ci sono molte ragioni per affermare che, in una società traumatizzata e traumatizzante, ci stiamo preparando ad arrivare in ritardo. I nostri leader, salvo rare eccezioni, non sono disposti a riconoscere il rischio di crollo o, in altre parole, non prendono sul serio la delicata combinazione di elementi che ho già menzionato. La loro posizione principale è simbolicamente riassunta da un paio di frasi adottate da molte delle persone che guidano gli Stati Uniti. Se il primo afferma che lo stile di vita statunitense è indispensabile, il secondo sottolinea che ciò che è bene per la General Motors è bene per il Paese. È logico, in queste condizioni, valutare con scetticismo la frivolezza delle risposte provenienti dagli ambienti ufficiali, dove un astruso miscuglio di interessi acquisiti e di visione a breve termine si traduce in un continuo rinvio della discussione o, peggio ancora, nell’adozione di misure puramente cosmetiche. Purtroppo, però, come sottolinea Homer-Dixon, l’economia globale non ha un piano B. Sembra che stiamo ripetutamente evitando ciò che Herman Daly ha avuto la gentilezza di ricordarci: l’economia è un sottosistema della biosfera, non un sistema indipendente. Per giunta, come ho già accennato, è molto probabile che dovremo intraprendere cambiamenti radicali in condizioni molto delicate, come quelle caratterizzate dall’esaurimento – la nostra consapevolezza dei limiti è zero – di tutte le materie prime energetiche che ci hanno consentito di arrivare fin qui. In due opere precedenti – In difesa della decrescita. Sul capitalismo, la crisi e la barbarie (2009) e Perché la decrescita? Un saggio sul preludio al collasso (2014) – ho già cominciato a interessarmi ad alcuni degli argomenti che mi attraggono in questo libro. Vi torno ora con una vocazione francamente pedagogica, e nella convinzione che tra noi non esista – o almeno non ne conosco uno – un testo che affronti, con questo profilo e queste dimensioni, il discorso sul collasso. A differenza di quanto accade in questo lavoro, è normale che il collasso venga affrontato, inoltre, dal prisma di specifiche discipline accademiche, come l’archeologia, l’economia o l’ecologia. Spesso l’interesse suscitato si esprime, d’altro canto, attraverso testi pratici volti a spiegare – non è affatto mia intenzione intraprendere un simile compito – che cosa dovremmo fare per prepararci o sopravvivere al crollo. È vero che disponiamo di uno splendido volume, il secondo dei due intitolato Nella spirale dell’energia, scritto dai defunti Ramón Fernández Durán e Luis González Reyes. Quel lavoro raccoglie in modo brillante informazioni schiaccianti e ben curate sul crollo. Tuttavia, a mio parere, si tratta di un’opera eccessivamente complessa che, nel suo profilo attuale, difficilmente potrà raggiungere le numerose persone che dovrebbero essere interessate a questa discussione e alle sue implicazioni. Nel nostro panorama editoriale e su Internet stesso, dove abbiamo naturalmente accesso alla ricchezza di informazioni postate su un gruppo Facebook chiamato “Colapso” e su siti web molto interessanti come quello curato da Antonio Turiel, non sono mancate nemmeno traduzioni di testi stranieri che potessero soddisfare la nostra sete di conoscenza. Tra l’altro, come vedremo, la maggior parte della letteratura sul crollo ha origine negli Stati Uniti, fatto che di per sé merita di essere approfondito. Sembra che questa astrusa combinazione di problemi sociali, sprechi (lo statunitense medio consuma tre volte più energia dell’europeo medio) e subordinazione della politica al business costituisca lo scenario più appropriato per pensare a un futuro molto delicato. Coloro che conoscono meglio il crollo sono, in ogni caso, coloro che lo hanno vissuto in prima persona. E spiegare cosa sia il collasso a un bambino nato nella Striscia di Gaza sembra molto difficile… -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione di Comune -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI GUIDO VIALE: > Crisi climatica e adattamento dal basso -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Il collasso proviene da Comune-info.
La nostra vita sugli smartphone non è al sicuro
Il blackout di Madrid manda un messaggio molto chiaro: attenzione a concentrare così tante funzionalità e servizi, sia pubblici, sia privati, sullo smartphone. O più precisamente: attenzione a farlo senza lasciare alternative reali funzionanti. Perché lo smartphone funzioni, infatti, devono essere soddisfatte due condizioni: Internet deve funzionare (sia l’accesso wireless, sia l’infrastruttura complessiva, fatta di cavi, data centers, apparecchiature di rete e molto altro) e deve esserci elettricità per caricare la batteria (oltre che per far funzionare Internet). Invece di riporre una fiducia incondizionata nella nostra capacità di far funzionare le infrastrutture cruciali con affidabilità totale, quindi, identifichiamo piuttosto, con pragmatismo, e anche un po’ di umiltà, alcuni strumenti e servizi di cui è opportuno preservare la versione “analogica”, a prescindere dalla diffusione delle equivalenti versioni digitali. Senza pretese di esaustività, vediamo tre esempi: il denaro contante, la radio FM e i documenti d’identità fisici. Leggi l'articolo su Il Manifesto
STORICO BLACK-OUT IN SPAGNA: IL GIORNO DOPO LE SPECULAZIONI POLITICHE SULL’ENERGIA. LA TESTIMONIANZA DA MADRID
Black-out in Spagna. Alle 12.33 di lunedì 28 aprile 2025 nella penisola iberica, in una parte del Portogallo e nel sud della Francia la fornitura di rete elettrica si è interrotta. Si è bloccato tutto: ospedali, trasporti, ogni sistema di comunicazione. Non si poteva accedere a Internet, scoprire cosa accadeva in TV. La radio a batteria è divenuta per ore l’unico mezzo con cui le persone si sono potute informare. Quattro le vittime indirette: 3 persone decedute per intossicazione da monossido di carbonio, in Galizia, a causa dell’accensione difettosa di un generatore elettrico di emergenza e una quarta, una donna, a Madrid, bruciata nel rogo della propria abitazione dovuto all’accensione di alcune candele. Cosa è accaduto? Il premier spagnolo Pedro Sánchez, nella conferenza stampa di martedì 29 aprile, ha dichiarato di “non escludere nessuna ipotesi” sulle cause del blackout che ha coinvolto la Spagna, aprendo nel contempo una commissione d’inchiesta. A 24 ore dal black-out della rete sono state ripristinate la maggior parte delle infrastrutture elettriche. Sulle cause del black-out l’operatore della rete elettrica spagnola esclude l’attacco informatico, accodandosi all’Agenzia europea per la sicurezza informatica e parlando, senza fornire dettagli in più, di un “problema nella produzione di energia solare”. Si torna a parlare di ruolo strategico dell’energia, aprendo lo scontro politico sulle fonti rinnovabili. Il premier spagnolo Pedro Sanchez, che insieme al governo sta progressivamente portando avanti la dismissione delle centrali nucleari entro il 2035 e sostenendo la transizione attraverso fonti rinnovabili, ha risposto ai suoi detrattori e all’ultra-destra di Vox, che hanno puntato subito il dito sulle rinnovabili e sulla carenza di energia nucleare. “Chi difende il nucleare durante il blackout o è in malafede o è ignorante“. Durante una conferenza stampa, Sanchez ha affermato che le centrali nucleari al momento del black-out, oltre a essere spente, sono state un’ulteriore problema perchè “è stato necessario deviare grandi quantità di energia per mantenerei i loro nuclei stabili”. Il premier spagnolo ha inoltre sottolineato come siano state fondamentali le reti idroelettriche per il recupero dell’energia. Sul fronte dell’energia elettrica in Spagna il 20% delle azioni è in mano al governo iberico, ma l’80% è sotto il controllo del settore privato, in particolare di fondi di investimento, multinazionali finanziarie e miliardari globali, tra questi l’imprenditore galiziano Amancio Ortega, l’uomo più ricco di Spagna e il nono uomo più ricco del mondo, niente di meno che il patron di Zara. Cosa sta accadendo in Spagna? Ai microfoni di Radio Onda d’Urto un testimone diretto dell’interruzione su tutti i livelli dell’elettricità: da Madrid Simone Guglielmelli, ricercatore in Scienze Politiche presso l’Università della Calabria e dell’Università Autonoma di Madrid che si occupa di questioni in campo energetico. Ascolta o scarica.