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EX-ILVA: PROSEGUE LA MOBILITAZIONE OPERAIA. AGGIORNAMENTI DA TARANTO E GENOVA
Mentre il ministro Urso dovrà rispondere in Parlamento a diverse interrogazioni, sia su Iveco che Ilva, nelle strade prosegue la lotta degli operai dell’ex-Ilva contro la dismissione ipotizzata dal Governo per marzo. Ieri, 2 dicembre 2025, a Genova i lavoratori di Ilva, – insieme a delegazioni solidali di Ansaldo, Fincantieri e Leonardo – hanno occupato aeroporto e autostrada. Oggi prosegue il presidio permanente, con assemblee e blocchi. Domani, 4 dicembre, sciopero di tutto il comparto metalmeccanico del territorio in solidarietà agli operai dell’ex-Ilva. Su Radio Onda d’Urto il collegamento telefonico con Stefano Bonazzi della Fiom-Cgil di Genova. Ascolta o scarica. A Taranto, da ieri, è sciopero a oltranza. Lavoratori e delegati sindacali – confederali e di Usb – hanno continuato con i presidi dentro e fuori lo stabilimento, oltre che lungo l’attigua statale 100, la Taranto-Bari, con traffico interrotto e deviato. Stamattina, 3 dicembre, bloccata pure la statale 106 e nell’area imprese del siderurgico, dopo che l’azienda dell’appalto Semat Sud ha annunciato la chiusura e 220 licenziamenti. Il Consiglio di fabbrica, insieme ai lavoratori, ha annunciato l’intensificazione delle iniziative di lotta fino alla convocazione di un tavolo unico a Palazzo Chigi per nord e sud e al ritiro del piano Urso. Dai blocchi attorno all’ex Ilva di Taranto, su Radio Onda d’Urto è intervenuto Francesco Rizzo, coordinatore dell’Usb locale. Ascolta o scarica.
“No Meloni day” a Torino, blocchi, cariche e un arresto
Contro l’escalation bellica e i tagli alle scuole e alle università, e in solidarietà con la Palestina, venerdì, è stata una giornata di lotta e sciopero studentesco in decine di città italiane, organizzato da collettivi studenteschi e dal movimento Fridays For Future, per denunciare anche “una situazione drammatica per la scuola, con investimenti a pioggia nell’economia bellica e poco o nulla per formazione, istruzione, cultura”. La giornata di mobilitazione di venerdì è stata anche definita come “No Meloni Day”, con il blocco non solo di scuole, ma anche di Università, con scioperi, presidi e manifestazioni. Ieri, domenica, all’alba gli agenti della Digos di Torino hanno fatto irruzione a casa di uno studente diciottenne, attivista dei collettivi studenteschi torinesi, che è stato arrestato e posto agli arresti domiciliari. Stamattina comparirà davanti al giudice per il processo per direttissima. L’operazione è stata eseguita in flagranza differita, una procedura che permette l’arresto anche a distanza di ore dal fatto. La reazione del mondo studentesco non si è fatta attendere, con un comunicato di diffuso ieri e che riportiamo per intero e diversi appuntamenti: oggi alle ore 16 davanti alla Prefettura in Piazza castello, domani alle ore 18, appuntamento a Palazzo Nuovo per l’assembea pubblica di Torino per Gaza e il 28 novembre, giornata di sciopero generale. Abbiamo chiesto a uno studente del collettivo del liceo Einstein di raccontarci la giornata di venerdì e di darci più informazioni rispetto all’arresto di ieri e ai prossimi appuntamenti. Di seguito, il comunicato uscito ieri dal Collettivo Gioberti di Torino, Assemblea studentesca e KSA Torino a seguito dell’arresto in flagranza differita nei confronti di Omar, uno studente del liceo Gioberti che ha partecipato alla manifestazione studentesca di venerdì 14 novembre. Stamattina, domenica 16 novembre, la polizia è piombata in casa di uno studente appena diciottenne, portandolo in questura per poi metterlo ai domiciliari, impedendogli categoricamente di andare a scuola nei prossimi giorni, il suo processo è fissato per domani in direttissima e non gli sono neanche stati consegnati gli atti per preparare la difesa, che invece che in mesi dovrà essere preparata in ore. Omar non è che uno studente, un compagno di scuola e di lotta, un coetaneo che la polizia ha deciso di individuare come soggetto su cui accanirsi violentemente per colpire ed intimidire tutti coloro che hanno preso parte allo sciopero di venerdì 14 novembre. È evidente infatti, che quest’azione miri a rompere l’unità e la coesione studentesca andatasi a creare dopo mesi di mobilitazioni e occupazioni che hanno visto protagoniste più di quaranta scuole Torinesi, nel tentativo di spaventare lə innumerevoli studentə che si sono viste protagoniste delle piazza di venerdì e provando a sminuire le azioni che sono state fatte a seguito di decisioni COLLETTIVE, riducendole ad un atto dislocato e facendone gravare le conseguenze su una singola persona. In una giornata che ha visto un grande coinvolgimento da parte delle scuole, la risposta da parte delle forze dell’ordine non è stata che violenta, prima a Porta Nuova e in un secondo tempo a Città Metropolitana, luogo in cui ci siamo diretti per portare ancora un volta alla luce le gravi mancanze a livello strutturale e finanziario nell’istituzione scolastica, situazioni di disagio per cui lə studentə hanno bloccato le scuole dimostrando, come al liceo Lagrange, che nel momento in cui si fa pressione i fondi per ristrutturare le scuole magicamente compaiono. Alla città metropolitana c’eravamo tutte e rivendichiamo collettivamente ciò che invece la questura di Torino affilia ad una sola persona, e ricordiamo che i famosi scontri per i quali viene accusato Omar sono partiti dopo che la polizia ha chiuso uno studente in uno stanzino e gli ha spaccato la testa, prendendolo in ostaggio. Del resto, questo modus operandi non ci è nuovo. è un copione già scritto infatti, quello in cui le dimensioni di scontro di piazza collettive vengano depoliticizzate e ridotte a meri atti di violenza imputabili a singole soggettività, unico modo per legittimare la repressione su chi lotta contro gli sporchi interessi governativi, contro una scuola asservita alla conversione bellica, contro al taglio sempre crescente di fondi al welfare pubblico in favore del suprematismo occidentale a suon di bombe. Siamo indignati, incazzati, ma non così sorpresi da queste dinamiche repressive, infantili e quasi di ripicca da parte del governo, che si vede messo all’angolo dai giovani ormai esasperati che non si tirano indietro nel mostrare il loro dissenso ad un governo complice che giorno dopo giorno mette sempre più da parte la scuola, preparandosi a tagliare 600 milioni di euro dall’istruzione per investirli nell’industria bellica. Ma non basteranno i manganelli a farci abbassare la testa. Siamo tenaci, furiosi e non abbiamo paura di alzare la voce continuando a bloccare tutto per un futuro diverso,per un mondo nuovo. In piazza con Omar c’eravamo tutti. Non era da solo, e per quanto possano provare a confinarlo in casa e ad isolarlo non lo sarà nemmeno ora. Non gliela daremo vinta, la lotta è appena iniziata, torniamo nelle nostre scuole, alziamo la voce,disertiamo le lezioni, blocchiamo tutto, prendiamoci gli spazi scolastici che in quanto studenti ci appartengono e dimostriamo che gli studenti sono una collettività unita a cui i loro sporchi giochi di potere di divisione e repressione delle lotte Omar ha il diritto di andare a scuola esattamente come tutti noi. Se non lo potrà fare lui, non lo farà nessuno. Omar libero subito
Due sabati per la Palestina a Vibo Valentia
Il movimento informale Coordinamento Pro Palestina Vibo Valentia sta cercando di far sentire a più riprese la sua voce per sensibilizzare il maggior numero di persone sulla causa palestinese, sulla causa di uno dei popoli più sfortunati della terra e della storia. Sabato 20 settembre davanti alla Prefettura cittadina si è svolto un “colorato” e sentito sit-in a sostegno del popolo palestinese, vittima da poco meno di un secolo di una pulizia etnica (per lo meno così la chiama lo storico israeliano Ilan Pappé in uno dei suoi più famosi volumi sul tema La pulizia etnica della Palestina); i volontari organizzatori si sono impegnati per rendere l’evento partecipato e soprattutto perché avesse un forte significato simbolico. E’ stata organizzata una solenne e sentita performance: alcuni attivisti rigorosamente vestiti di nero si sono stesi su dei lenzuoli bianchi macchiati di sangue (a testimoniare la violenza di cui il popolo palestinese è vittima da troppo tempo) e circondati da rami di ulivo (simbolo per eccellenza della pace che da più parti si chiede a gran voce). Prima dell’inizio vero e proprio, sono stati osservati due minuti di silenzio interrotti dal grido accorato che ormai risuona in tutte le piazze d’Italia (e non solo) di “Palestina libera”; a questo momento sono seguiti un certo numero di interventi molto interessanti i cui contenuti riportiamo in sintesi. Il primo è stato affidato al ricercatore e storico Domenico Cortese, che ha spiegato come la causa palestinese sia la causa di tutti i popoli oppressi dal colonialismo, dal capitalismo e dalle ideologie neoliberiste. Poi è stata la volta di Luciano Gagliardi, presidente dell’Associazione Compresi gli Ultimi, che ha condannato il progetto genocidario degli israeliani, i quali occupano illegalmente terre non loro e si giustificano appoggiandosi ad alcuni testi della Bibbia che indicano quei luoghi come la terra promessa da Dio ad Abramo e, di conseguenza, a tutto il popolo ebraico. Subito dopo sono intervenuta come Referente del Comitato Diritti Umani del Liceo Capialbi di Vibo Valentia, che si è limitata a leggere un brano tratto dall’omelia del Cardinale di Napoli Mons. Battaglia pronunciata in occasione dei festeggiamenti in onore di San Gennaro ed in cui si parla del sangue che in questi giorni scorre a Gaza. Ha poi parlato Tonino Alessandria, un libero e attento pensatore, che si è soffermato sul concetto di guerra e ha ribadito come quella in corso a Gaza non possa essere definita una guerra, ma un crimine efferato contro una popolazione inerme compiuto dal governo israeliano con macchine belliche di ultima generazione. In ultimo, ma non meno importante, un appello accorato di Daniela Primerano, Referente di Città Attiva, in cui si è ribadita l’impossibilità di assistere ad un genocidio in diretta TV restando indifferenti e la necessità di essere dalla parte giusta della storia. La sera di sabato 27 settembre un altro momento importante sulla Palestina si è svolto nel centro storico  della movida vibonese; si è trattato di un corteo molto partecipato da giovani, semplici cittadini e attivisti del mondo sindacale, ma in cui molto evidente è stata la “eloquente e sconcertante” assenza del mondo politico. Dopo un breve sit-in davanti al monumento ai caduti (simbolo delle guerre che hanno insanguinato il mondo causando morti innocenti) e al tribunale (luogo per eccellenza della giustizia, quella stessa giustizia che risulta violata ormai da molto tempo nei territori della Palestina), i presenti hanno dato vita ad un corteo che si è snodato lungo Corso Umberto I e Viale Regina Margherita. I manifestanti hanno sfilato portando con sé bandiere palestinesi e manifesti e intonando il grido (che ormai da tempo risuona in tutte le piazza del mondo) di “Palestina libera”. Inoltre, l’orario e il luogo hanno favorito il coinvolgimento di molti giovani presenti nell’area durante il fine settimana; alcuni manifestanti hanno approcciato i giovani per sensibilizzarli alla causa palestinese e invitarli a farsi parte attiva del cambio di rotta. Con la speranza e la preghiera anche laica che la Palestina possa essere presto veramente libera e che gli autori del genocidio paghino le conseguenze dei loro efferati crimini che, come è noto a tutti quelli che non sono digiuni di storia, sono in atto almeno dal 1948, anno della nascita dello Stato di Israele e dell’inizio della Nakba per i palestinesi. Anche in risposta alle critiche “pretestuose” di molti leoni da tastiera e giornalai vestiti da giornalisti desidero concludere con un appello alla pace per i palestinesi, ma anche per gli altri popoli in guerra – ucraini, sudanesi, yemeniti e congolesi… Foto di Daniela Primerano Redazione Italia
FRANCIA: OLTRE UN MILIONE IN PIAZZA PER LA “GIORNATA DI AZIONE INTERSINDACALE” CONTRO L’AUSTERITÀ E PER LA GIUSTIZIA SOCIALE
Oltre un milione di lavoratori e lavoratrici, giovani, studenti e studentesse, precari e precarie sono scesi in piazza giovedì 18 settembre 2025 in tutta la Francia – dando vita a oltre 250 manifestazioni – per la “giornata d’azione intersindacale”. A Parigi e in altre grandi città francesi come Bordeaux, Marsiglia e Lione ci sono stati scontri con la polizia, che già dall’alba si è presentata in forze ai blocchi operai e studenteschi organizzati davanti ai depositi dei mezzi di trasporto pubblico, alle scuole e alle grandi piattaforme logistiche. Centinaia i manifestanti fermati durante le cariche. La mobilitazione nazionale è arrivata soltanto una settimana dopo la giornata del 10 settembre. Anche in quell’occasione, centinaia di migliaia di persone erano scese nelle strade di tutto il Paese dietro la parola d’ordine “Bloquons tout” (“Blocchiamo tutto”). Le mobilitazioni si oppongono alla legge finanziaria, alla riforma delle pensioni e, in generale, all’intera politica economica fatta di austerity, tagli per decine di miliardi ai servizi pubblici come la sanità e la scuola, voluta dal presidente Emmanuel Macron e portata avanti prima dall’ex premier Bayrou (sfiduciato l0 scorso 8 settembre) e ora dal suo successore Lecornu. Sulle frequenze di Radio Onda d’Urto, le considerazioni sulla giornata di lotta del 18 settembre 2025 in Francia con: * Gianni Mainardi, compagno italiano che vive da molti anni a Parigi. Ascolta o scarica. * Matteo Polleri, ricercatore italiano tra Parigi e Lione. Ascolta o scarica.
Contro la guerra e il riarmo, domani due grandi cortei a Roma
È confermato che a Roma, domani (sabato 21/6), a partire dalle ore 14, si terranno ben due cortei contro guerre e riarmo: uno partirà da Porta San Paolo e l’altro da Piazza Vittorio, con punti di arrivo ravvicinatissimi – Piazza del Colosseo e Fori Imperiali. Questa settimana sono infatti fallite le trattative per arrivare a una piattaforma condivisa e a un corteo unico, nonostante l’impegno dei due gruppi promotori a raggiungere un’intesa sulle rivendicazioni principali, in particolare su quanto queste dovessero essere “essenziali” o “particolareggiate”. Così, da San Paolo si marcerà «contro il riarmo» – quello voluto dalla Commissione Europea, punto e basta. Anche chi parte da Piazza Vittorio dirà «NO» alla spesa di 800 miliardi per gli strumenti di morte voluta dalla baronessa von der Leyen, ma con l’aggiunta di altri due altolà: «NO» alla richiesta della NATO di spendere il 5% del PIL in armamenti e «NO» alla permanenza dell’Italia nella NATO – punto che i promotori del primo corteo, invece, considerano divisivo. Da San Paolo si marcerà «contro il genocidio», senza ulteriori specificazioni, mentre da Piazza Vittorio i manifestanti chiederanno – oltre alla condanna del genocidio perpetrato da Israele a Gaza e in Cisgiordania – di rompere le relazioni diplomatiche e militari tra l’Italia e Israele, di sostenere la Resistenza palestinese e di promuovere la campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) per penalizzare Israele economicamente. Da San Paolo si marcerà contro l’autoritarismo, con un ovvio riferimento al cosiddetto «decreto sicurezza», recentemente trasformato in legge. Idem da Piazza Vittorio, ma con l’aggiunta della richiesta di abrogare non solo quella legge, ma anche tutte le altre norme anti-protesta e antisindacali, volute dall’attuale governo e da quelli precedenti: norme definite «guerra sporca contro i movimenti sociali». In pratica, i promotori del corteo da San Paolo hanno ricercato soprattutto una piattaforma inclusiva e quindi meno particolareggiata. Chi sono costoro? Dietro la sigla Stop Rearm Italia ci sono più di quattrocento associazioni e organizzazioni della società civile, come ARCI, Rete dei Numeri Pari e Rete No Bavaglio, con l’adesione esterna del M5S, di AVS e di una parte del PD. Invece, tra i promotori del corteo che parte da Piazza Vittorio, riuniti dietro la sigla Disarmiamoli!, figurano diverse formazioni della “sinistra sinistra”, come Potere al Popolo, Unione Sindacale di Base, Patria Socialista, Rete dei Comunisti, Generazioni Future e ben tre associazioni di Palestinesi in Italia. Hanno preferito una piattaforma più specifica e politicamente più impegnativa. «Infatti, essere generici fa perdere di vista le rivendicazioni che invece dobbiamo proclamare ad alta voce», dice Giorgio Cremaschi di Disarmiamoli!; «niente riarmo ma anche niente NATO, niente genocidio ma anche niente rapporti con Israele, basta con l’autoritarismo della legge sulla ‘‘Sicurezza’’ ma basta anche con le altre norme bavaglio!» «Invece solo se ci muoviamo in modo convergente, in Italia e in Europa, possiamo farcela», ribatte Raffaela Bolini di Stop Rearm Italia. «Solo insieme possiamo avere la forza che serve». E per far capire quanto il riarmo sia inevitabilmente il preludio alla guerra, Bolini lancia la proposta di inscenare un die-in (la simulazione di una ecatombe) intorno al Colosseo: chiede ai manifestanti di portare un lenzuolo da stendere per terra e, a un segnale sonoro, di sdraiarvisi sopra, per rievocare i morti e la devastazione che le guerre causano tra tutti i contendenti. Si prevede un’adesione massiccia ai due cortei, che approderanno entrambi nel cuore della Roma antica. Infatti, Stop Rearm Italia e Disarmiamoli! hanno già annunciato decine di pullman in arrivo da tutta Italia – anzi, entrambe le formazioni hanno difficoltà a reperire abbastanza pullman, tante sono le richieste. «In fondo, l’esistenza di un doppio corteo può anche essere vista in positivo, come una bella incentivazione a partecipare, perché dà una possibilità di scelta alla gente,» dice Gianni Magini di Allerta Media, che seguirà in diretta l’evento. «Chi preferisce le rivendicazioni concrete di Disarmiamoli! può optare per Piazza Vittorio alle ore 14. Chi invece preferisce la piattaforma ‘‘inclusiva’’ di Stop Rearm Italia, può scegliere di partire da Porta San Paolo alla stessa ora. Intanto, tutti quanti confluiranno, all’arrivo, nel medesimo cuore della Roma antica, un ravvicinamento che – ci auguriamo – possa proseguire nelle future iniziative dei due gruppi promotori.   Patrick Boylan