Cronache dalla Cisgiordania: persecuzioni, arresti e torture contro il popolo palestineseRiportiamo una testimonianza e descrizione di quello che sta/stava succedendo in
Cisgiordania, all’8 ottobre 2025 (oggi la situazione potrebbe essere
peggiorata). Questo contributo è l’esperienza diretta di un palestinese, che ha
chiesto di rimanere anonimo, che vive quei territori e l’occupazione sionista
sulla sua pelle da tutta la vita, vedendone l’evoluzione e i cambiamenti. In
Cisgiordania l’occupazione israeliana avanza inesorabile, con la presa di sempre
più terre da parte dei coloni israeliani e con la riduzione sempre maggiore
degli spazi di agibilità e mobilità palestinesi.
LA PERSECUZIONE DELLE E DEI PALESTINESI IN CISGIORDANIA DURANTE LA GUERRA DI
GENOCIDIO E LA PULIZIA ETNICA
Dalle colline di Ramallah, la sera potevamo vedere le luci di Yafa, se il tempo
era sereno potevamo vedere il mare. Abbiamo sempre detto che un giorno saremmo
riusciti a raggiungere il mare. Ma oggi, dopo due anni di guerra genocida, non
possiamo più stare sulle colline.
I coloni e i gruppi estremisti come i “giovani delle colline” e “la terra
promessa”, a volte indossando magliette con la scritta «la mia terra è ovunque
posso occupare» impediscono a chiunque di raggiungere le colline, usando le armi
che sono state loro distribuite dal Ministro della Sicurezza Nazionale,
Ben-Gvir. La possibilità di vedere il mare ci è stata negata. Negli ultimi due
anni, Ben-Gvir ha distribuito 40mila armi ai coloni che vivono sulle colline
della Cisgiordania. Ha distribuito centinaia di veicoli a quattro ruote motrici
per facilitare il loro accesso ai terreni montuosi, che sono stati confiscati
dello Stato sionista, e ha finanziato l’installazione di pannelli solari per
ogni loro nuovo insediamento.
> I coloni occupano la terra, le fonti d’acqua e i pozzi artesiani. Hanno rubato
> il bestiame e i trattori agricoli delle comunità beduine, distruggendo le loro
> case, espellendoli dalle loro terre e fondando insediamenti al loro posto.
I villaggi palestinesi sono stati attaccati da coloni sotto la protezione
dell’esercito dell’occupazione israeliano. Case, auto e campi sono stati
bruciati e alberi sono stati sradicati, come è successo a Turmus Ayya,
al-Mughayyir, Khirbo Abu Falah, Huwara e Qaryut e a Kafar Malik, a 15 km da
Ramallah, dove si trova il pozzo principale che fornisce il 40% dell’acqua
necessaria alla città di Ramallah e al-Bireh. Lì, i coloni hanno sequestrato la
fonte d’acqua e l’hanno trasformata in una piscina e in un luogo dove lavare il
loro bestiame. Questi avvenimenti sono stati ripetuti in altri villaggi e
province, in contemporanea alla pulizia etnica e alle scene di genocidio e
uccisioni trasmesse in diretta al mondo intero.
Il campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale, sta venendo
silenziosamente sgomberato: oltre 100 famiglie hanno perso le loro case; le
infrastrutture fognarie, elettriche e idriche sono state distrutte così che
tante persone hanno perso i loro mezzi di sussistenza di base. La situazione non
è diversa nei campi profughi di Nur Shams e di Tulkarem, nella provincia di
Tulkarem. I campi profughi sono stati divisi, le strade sono state distrutte e,
nel nord, stiamo assistendo a un’ondata di sfollamenti dai tre campi verso i
centri delle due città.
Con il sostegno legale e politico del governo dell’occupazione sionista, le
norme che regolano l’uso di armi da fuoco sono state modificate e ulteriore
protezione è garantita ai coloni che commettono omicidi contro i palestinesi.
Ciò consente l’uso letale di proiettili contro i palestinesi, anche senza
“giustificazione”. Ciò fornisce una chiara immagine nella profondità del
disprezzo dello Stato Occupante per le vite dei palestinesi e costituisce un
elemento fondamentale della struttura che consente a Israele di continuare a
esercitare il suo controllo violento su milioni di Palestinesi.
di Paolo Cuttitta (Flickr)
Oltre 14 milioni di persone vivono nelle terre tra il fiume Giordano e il Mar
Mediterraneo, circa la metà delle quali sono israeliane e l’altra metà
palestinesi. La percezione prevalente – nella sfera pubblica e giudiziaria,
politica, mediatica e dei giornali – è che queste terre siano divise dalla
Linea Verde: la prima metà si trova all’interno dei confini sovrani di Israele,
è democratica e stabile e ospita circa nove milioni di persone tutti cittadini
israeliani; la seconda metà si trova nei territori occupati da Israele nel 1967,
il cui status definitivo dovrebbe essere determinato in futuri negoziati tra le
due parti. Circa cinque milioni di palestinesi vivono in queste aree sotto
occupazione militare temporanea.
Tuttavia, questa definizione è diventata sempre più irrilevante nel corso degli
anni. Ignora il fatto che questa situazione persiste da oltre settant’anni,
ossia praticamente dalla fondazione dello Stato di Israele, ma non tiene conto
delle centinaia di migliaia di coloni ebrei residenti in Cisgiordania, il cui
numero è aumentato drasticamente in questi due anni trascorsi dall’inizio della
guerra di sterminio.
Ma, cosa ancora più importante, questa distinzione ignora la realtà di un unico
principio del governo applicato in tutto il territorio che si estende tra il
fiume Giordano e il Mediterraneo: il rafforzamento e la perpetuazione della
supremazia di un gruppo di persone – gli ebrei israeliani – su un altro – i
Palestinesi. Tutto ciò porta alla conclusione che non si tratta di due sistemi
paralleli che operano casualmente secondo lo stesso principio, ma un sistema
unico che governa l’intero territorio, controllando tutte le persone che vi
risiedono e operando secondo il principio del governo israeliano. Dall’inizio di
questa guerra sono state registrate 1.048 uccisioni in Cisgiordania, di cui 260
bambini.
CANTONIZZAZIONE E CANCELLI DI FERRO
Il sionismo non si è accontentato di questo. Il controllo coloniale basato
sull’isolamento e la sottomissione, ha trasformato il territorio palestinese in
un arcipelago di isole separate, come se fossero “cantoni” chiusi, separati da
cancelli di ferro, soggetti all’autorità assoluta dell’occupante. Migliaia di
palestinesi sono stati e sono costretti ogni giorno a percorrere strade
alternative, spesso sterrate, casuali e rischiose che a volte non esistono
neanche. Queste chiusure delle strade ostacolano l’attività economica e
l’accesso ai servizi sanitari e educativi, aumentano l’isolamento delle aree
rurali e trasformano il semplice spostamento in un viaggio di sofferenza
sistematica.
> Alla luce di questa realtà, le porte di ferro installate dallo stato
> Israeliano lungo le strade palestinesi, sono un chiaro simbolo di punizione
> collettiva e parte di una politica più ampia, il cui obiettivo è: frammentare
> il tessuto sociale palestinese, spezzarne l’autodeterminazione e radicare la
> realtà dell’apartheid sul territorio.
Secondo un rapporto pubblicato dalla Commissione per la Resistenza contro il
muro dell’apartheid, nel settembre 2025, il numero totale di posti di blocco
militari e cancelli di ferro installati dall’esercito di occupazione in
Cisgiordania ha raggiunto quota 910, di cui installati 83 dall’inizio del 2025.
Mentre 247 cancelli di ferro sono stati installati dopo il 7 ottobre 2023.
D’altra parte, in un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il
Coordinamento degli Affari Umanitari nei Territori Palestinesi Occupati del 20
marzo 2025, intitolato “Ultimo Aggiornamento Umanitario n. 274” | riguardo alla
Cisgiordania dichiara: «Attualmente, ci sono 849 ostacoli che controllano,
limitano e monitorano il movimento dei palestinesi in modo permanente e
intermittente in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est e l’area di Al Khalil
(Hebron) controllata da Israele».
Un’indagine rapida condotta dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il
Coordinamento degli Affari Umanitari a gennaio e febbraio 2025 ha rilevato che
nei tre mesi precedenti erano sono stati messi 36 nuovi ostacoli al movimento,
la maggior parte dei quali installati in seguito all’annuncio di un cessate il
fuoco a Gaza a metà gennaio 2025, ostacolando ulteriormente l’accesso dei
palestinesi ai servizi essenziali e ai luoghi di lavoro. Sono state documentate
ulteriori chiusure, che si ritiene siano state messe nel 2024.
Vale la pena notare che fino a oggi sono stati installati in totale 29 nuovi
varchi stradali in tutta la Cisgiordania. Sono stati costruiti sia nuovi varchi
di chiusura a sé stanti che varchi aggiuntivi nei posti di blocco già esistenti,
portando il numero totale di varchi stradali aperti o chiusi in Cisgiordania a
288, costituendo un terzo degli ostacoli al movimento. Di questi, circa il 60%
(172 su 288) viene chiuso frequentemente.
Oltre all’aumento del numero di ostacoli installati, l’aumento del controllo
sulla circolazione ha portato interruzioni della circolazione per lunghi
periodi, chiusure delle strade principali che collegano i centri abitati in
Cisgiordania e un aumento del numero di varchi chiusi frequentemente. In totale,
gli ostacoli includono 94 checkpoint con militari 24 ore su 24, 7 giorni su 7;
153 posti di blocco (con militari non sempre presenti) di cui 45 sono spesso
chiusi, 205 cancelli stradali di cui 127 spesso chiusi, 101 posti di blocco
costruiti con muri di terra e fossati, 180 fatti con cumuli di sacchi terra e
116 ostacoli di altro tipo posti lungo la strada. Questi dati non includono i
check-point lungo la Linea Verde e altre modalità di restrizione, come la
chiusura del campo profughi di Jenin agli abitanti che vi facevano ritorno dopo
lavoro e le segnalazioni di alcune aree come zone militari chiuse – che non sono
sempre caratterizzate da barriere fisiche.
di nEmo Gruppo (Flickr)
ARRESTI, TORTURE E ALTRE VESSAZIONI
Settantasette prigionieri palestinesi sono martiri a causa delle torture nelle
carceri israeliane in Cisgiordania, mentre sono stati registrati circa 20.000
arresti dall’inizio della guerra di sterminio due anni fa. I prigionieri sono
stati privati del sonno e torturati nelle loro celle. Sono state negate loro le
visite. I pasti sono stati limitati a un singolo pasto al giorno a malapena
sufficiente per sopravvivere. Sono stati privati delle loro coperte e dei loro
vestiti in inverno. Malattie della pelle si sono diffuse tra i prigionieri a
causa del divieto di lavarsi e di pulire la loro cella. È stato inoltre negato
loro qualsiasi tipo di assistenza medica durante la prigionia.
Lo Stato sionista però non si è fermato a queste vessazioni. Considerando che la
maggior parte dei terreni agricoli si trova nell’Area C, ai palestinesi è stato
vietato raccogliere i frutti dei loro alberi e qualsiasi tipo di prodotto delle
loro terre. È stato negato l’accesso all’acqua. I campi coltivati sono stati
bruciati e, in alcuni casi, i coloni hanno liberato le loro pecore e mucche per
distruggere i raccolti. Le serre che un tempo si estendevano nelle pianure di
Tubas, Salfit e nella valle settentrionale del Giordano sono state demolite. Gli
agricoltori sono stati fucilati, arrestati e maltrattati.
E nonostante ciò Israele non si è accontentato, difatti ha anche sequestrato i
proventi della cassa del Tesoro dell’Autorità Nazionale Palestinese impedendole
così di pagare i dipendenti pubblici, che non ricevono i loro stipendi da almeno
nove mesi. Alla luce di tutto ciò, i palestinesi non hanno smesso di riunirsi in
gran numero per andare nei loro campi per proteggersi a vicenda. I giovani dei
villaggi vicini spesso partecipano alla difesa del villaggio preso di mira dai
coloni dopo aver sentito la chiamata dagli altoparlanti della moschea. I
palestinesi si spostano tra villaggi, campi e città in gruppi per proteggersi a
vicenda dagli attacchi dei coloni. Hanno inventato vari meccanismi di
comunicazione, inclusi i gruppi Telegram che fornivano notizie di strada in
tempo reale.
> La partecipazione ai gruppi Telegram è diventata, tuttavia, motivo di percosse
> e accuse se viene scoperto dell’esercito. Tutta la comunità si mobilita per
> trovare cibo, alloggio e vestiti. Nessuno proveniente dai campi occupati nella
> Cisgiordania settentrionale rimane senza un pezzo di pane o senza un riparo.
Nonostante le ripetute incursioni dell’esercito, i e le Palestinesi non hanno
smesso di mandare i figli a scuola ogni giorno, né hanno rinunciato a svolgere
le loro attività quotidiane. Un esempio: il villaggio beduino di Al-Araqib è
stato demolito 200 volte e 200 volte ricostruito.
Dei Palestinesi rapiti dall’esercito che vengono rilasciati lontano dai loro
villaggi, nessuno si trova a dormire senza un riparo, per il senso di comunità e
solidarietà tra la gente palestinese.
I giovani nei villaggi, nelle città e nei campi profughi non hanno altro che
pietre per affrontare la repressione dell’occupazione in Cisgiordania, che viene
perpetrata con una forza letale. Nessun scontro con l’occupazione avviene senza
caduti e feriti. Il nostro obiettivo ora è rimanere nella nostra terra,
nonostante la corruzione politica delle autorità al potere in Cisgiordania, che
a volte partecipa alla repressione delle proteste, perchè nonostante il loro
controllo sulle risorse governative, la loro preoccupazione principale è
diventata la salvaguardia dei loro interessi materiali, che sono legati
all’esistenza dell’occupazione sionista stessa.
La copertina è di fabcom (Flickr)
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