Il crimine del silenzio e la lezione del RojavaCI SARÀ UN GIORNO NEL QUALE SI RACCONTERÀ COME IN QUESTO TEMPO DI ORRORI,
SVUOTAMENTO DELLA DEMOCRAZIA, SFASCIO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, SI È APERTA
UNA CREPA CON LA STRAORDINARIA SCELTA DI DISARMO E SCIOGLIMENTO DEL PKK. INSIEME
ALL’ESPERIENZA CONFEDERALISTA E DI AUTOGOVERNO PROMOSSA DALLE COMUNITÀ KURDE, A
COMINCIARE DAL ROJAVA, IL RIFIUTO DELLA LOGICA DELLE ARMI È UN GRIDO
POTENTISSIMO CHE DOVREMMO IMPARARE A RICONOSCERE. UN APPUNTAMENTO PREZIOSO A
ROMA
Foto di Ferdinando Kaiser
--------------------------------------------------------------------------------
«L’esempio di Rojava per il futuro della democrazia in Siria» è il titolo
dell’iniziativa che si terrà mercoledì 18 giugno dalle 11,30 a Roma, presso la
Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro, piazza Capranica 72. Con la
moderazione di Marina Forti, i saluti del senatore Tino Magni e l’introduzione
di Gianni Tognoni, Giacinto Bisogni, Domenico Gallo, Khaled Issa, Ezio Menzione,
Yilmaz Orkan, Barbara Spinelli discuteranno attorno alla sentenza emessa dal
Tribunale Permanente dei Popoli riunitosi in febbraio a Bruxelles nella sua 54ª
sessione su Rojava vs. Turchia.
Le accuse rivolte al presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan, a suoi
attuali e passati ministri e a responsabili militari e dell’intelligence,
esaminate nel corso della sessione, riguardavano un lungo elenco di crimini
commessi dal 2018 e in particolare il crimine di aggressione con gli interventi
militari illegali turchi in Siria tra il 2018 e il 2024, contro la volontà delle
autorità siriane e dell’amministrazione autonoma del Rojava; crimini contro
l’umanità, con pratiche di pulizia etnica, di sfollamento forzato e di
deportazione, detenzioni illegali e tortura; crimini di guerra, con l’uccisione
mirata di civili e il bombardamento indiscriminato della popolazione; la
cancellazione culturale e religiosa; il saccheggio e la distruzione ambientale.
Il Tribunale, di cui è segretario generale Gianni Tognoni, ha concluso
riconoscendo la responsabilità degli imputati per le accuse e i fatti
contestati.
Naturalmente tale sentenza, su cui riferiranno mercoledì i relatori – alcuni dei
quali sono stati membri della giuria che ha ricostruito e valutato i crimini
perpetrati nel corso del tempo dalle autorità politiche e militari turche –, è
particolarmente importante non tanto per impossibili effetti giuridici capaci di
incrinare la «cultura istituzionalizzata dell’impunità e gli ostacoli
strutturali e giuridici alla giustizia e all’accertamento delle responsabilità
per i crimini internazionali» quanto per le autorevoli e argomentate
sollecitazioni politiche che contiene, tanto più in un momento in cui
l’impunità, l’aggressione a stati sovrani, il terrorismo di Stato, i massacri di
civili inermi, i crimini di guerra e contro l’umanità, le pratiche di pulizia
etnica sino al genocidio si sono imposte come quotidianità a Gaza e in tutto il
Medio Oriente grazie anche alle complicità, attive e passive, con il governo di
Israele da parte dell’intero occidente, Stati Uniti e Unione Europea per primi.
Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP), erede del Tribunale Internazionale
Contro i Crimini di Guerra, noto come Tribunale Russell e attivo negli anni
Sessanta del secolo scorso, è stato fondato da Lelio Basso e ha come missione
l’ascolto dei popoli e la promozione del rispetto dei diritti umani,
accertandone le violazioni ed esaminandone le cause, documentando i crimini e
denunciandone gli autori presso l’opinione pubblica mondiale. Suo obiettivo
dichiarato è anche, seguendo Jean-Paul Sartre, di contrastare il “crimine del
silenzio”. Un crimine che accompagna sempre, essendone talvolta l’indispensabile
premessa, tutti quelli su cui il Tribunale, ai sensi del proprio statuto,
dichiara la propria competenza: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di
guerra, crimini ecologici, crimini economici, crimini di sistema, rivolgendo
dunque la propria attenzione anche ai crimini di stati e di imprese, a rimarcare
un’idea di un altro diritto e di una giustizia priva di soggezioni e reticenze,
alternativi a quel diritto del più forte che, da ultimo, sta mostrando il suo
sanguinoso e orrendo volto non più celato da ipocrisie. La caccia ai migranti e
le deportazioni in corso negli Stati Uniti di Trump, ad esempio, sono
tristemente eloquenti, e lo stesso avviene in Europa; se prima la violazione dei
diritti umani era occultata, ora è sbandierata come fonte del consenso.
A questi riguardi, sono esemplari dell’impostazione del TPP la sentenza sulle
Imprese transnazionali nei paesi dell’Africa subsahariana (2016-2018), quella
sul Salario dignitoso per le donne lavoratrici dell’industria dell’abbigliamento
in Asia (2009-2015), quella sulle Imprese minerarie canadesi in America Latina
(2014), quella su La UE e le imprese transnazionali in America Latina:
politiche, strumenti e attori complici delle violazioni dei diritti dei popoli
(2006-2010) o quella su Le Politiche del Fondo Monetario Internazionale e della
Banca Mondiale I (1988) e le tante altre, per arrivare alla fondamentale
sessione su La conquista dell’America e il diritto internazionale (1992).
Un diritto internazionale di cui l’aggressione e occupazione della Striscia di
Gaza e lo sterminio dei palestinesi in corso da parte di Israele hanno finito di
rendere manifesta l’impotenza, i limiti e l’ipocrisia.
Il TPP conclude il proprio pronunciamento sul Rojava e sulle responsabilità
impunite della Turchia affermando che «l’imperativo per coloro che ascoltano è
agire, portare i messaggi trasmessi nelle nostre raccomandazioni a coloro che
hanno il potere di metterli in pratica. In questo modo, le prove prodotte dal
TPP in questa sessione potrebbero diventare uno strumento di informazione e di
coscienza per tutte le società civili amanti della pace».
Interlocutrici sono, dunque e appunto, quelle società civili che anche in questi
mesi si stanno mobilitando dal basso, in modo spontaneo e molecolare, mentre
governi e decisori nazionali e sovranazionali occidentali collaborano ai crimini
dello Stato e del governo d’Israele. Esattamente come in precedenza avevano
fatto per quelli dello Stato e del governo turco nei confronti del Rojava e
delle popolazioni kurde.
La difesa dei diritti umani e la salvaguardia della Comunità Autonoma del
Rojava, così come la più complessiva questione kurda, dovranno ora
inevitabilmente confrontarsi con il nuovo disordine mondiale. Uno scenario
conflittuale e distruttivo che va configurandosi negli ultimi anni a seguito
dell’affermarsi in diversi paesi di governi improntati a un populismo
aggressivo, sino al neoimperialismo tecnofeudale della nuova amministrazione
statunitense, a quello reclinante e reattivo della Federazione Russa, a quello
virulento ed espansivo della Turchia di Erdoğan, resi maggiormente pericolosi da
un’Unione Europea preda di tecnocrazie, sovranismi e lobby belliciste, incapace
di identità, autonomia e visione.
Successivamente alla sessione del TPP di Bruxelles si sono determinati nuovi e
significativi avvenimenti: la caduta del regime di Assad in Siria e la
riapertura del processo di pace tra il popolo kurdo e il regime turco,
propiziata e resa possibile dall’interno del carcere nel quale è detenuto da
oltre un quarto di secolo in condizioni di duro isolamento il leader del PKK
Abdullah Öcalan, il Mandela del nostro tempo, per dirla con il filosofo Slavoj
Žižek.
Dopo la distruzione di Gaza, l’espansionismo e l’interventismo bellico
israeliano in Cisgiordania, in Libano, nella stessa Siria, nello Yemen e ora in
Iran – accompagnato e reso possibile dall’impunità assicurata dalle complicità e
cointeressenze statunitensi, europee (e italiane) e dal crimine del silenzio –
hanno determinato un quadro in rapidissima evoluzione e di grandissima
preoccupazione. Rispetto al quale la proposta e posizione kurda, il disarmo e lo
scioglimento del PKK costituiscono uno dei pochi segnali in controtendenza, così
come il modello confederalista e di autogoverno – e la sua implementazione in
Rojava – rappresentano non un’astrazione o una posizione ideologica ma una
proposta, concreta e credibile, fondamentale di fronte allo sfascio e allo
svuotamento della democrazia e del diritto internazionale in corso nell’intero
occidente e al moto inerziale verso la guerra mondiale che stanno producendo.
Parafrasando il titolo dell’evento che si terrà mercoledì a Roma (è possibile
partecipare scrivendo entro martedì a: segreteriapresidenzamisto@senato.it),
l’esperienza e la realtà del Rojava costituiscono dunque un prezioso esempio per
il futuro della democrazia non solo in Siria ma in tutto il mondo. Rompere il
silenzio sul Rojava è allora una necessità vitale e un motivo di speranza per
tutti. Mai come ora ce n’è impellente bisogno.
--------------------------------------------------------------------------------
LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI JOHN HOLLOWAY.
> La critica è un canto di lodi alla rivoluzione
--------------------------------------------------------------------------------
L'articolo Il crimine del silenzio e la lezione del Rojava proviene da
Comune-info.