Tag - kurdi

“Voci senza confini, oltre il silenzio”: una serata di canto e solidarietà per le donne afghane
Oltre sessanta donne, affiancate da alcuni uomini, hanno dato vita alla serata “Voci senza confini, oltre il silenzio”, un evento dedicato alle donne afghane private dei loro diritti fondamentali e della possibilità stessa di far sentire la propria voce. Un’iniziativa corale che ha voluto trasformare il canto in testimonianza, denuncia e vicinanza. Negli ultimi anni, l’Afghanistan è tornato sotto il controllo dei talebani, riportando le donne a un regime di privazioni estreme: niente scuola, niente lavoro, libertà di movimento ridotta al minimo. Sono stati bruciati libri scritti da donne e perfino il semplice atto di sussurrare è stato proibito. Diritti conquistati con fatica durante la presenza internazionale sono stati cancellati nel giro di pochi mesi. Dopo un breve periodo di attenzione mediatica, il mondo ha voltato lo sguardo altrove. Ma non tutti hanno dimenticato. A Padova, i cori Cantimigranti, Cantamilmondo e Voci Ribelli hanno scelto di non restare in silenzio e hanno organizzato una serata corale per mantenere viva l’attenzione sulla condizione delle donne afghane. All’iniziativa è stata invitata anche UDIK, che ha aderito con convinzione, pur non avendo esperienza nel canto, riconoscendo nella solidarietà e nella sorellanza i valori fondanti della propria attività. Il 28 novembre a Padova Il coro di UDIK ha presentato due brani in lingua kurda, accompagnati dalla chitarra di Rachele, e una versione di “Bella Ciao” cantata prima in kurdo e poi in italiano con altri tre cori. L’atmosfera, intensa e partecipata, ha trasformato la sala in uno spazio di condivisione e resistenza simbolica. Durante la serata sono stati raccolti fondi per CISDA, l’associazione che da anni sostiene i progetti delle donne afghane. Era presente anche la rappresentante Beatrice Biliato. Importanti le testimonianze di Firoza Wahedy e Khadija Balooch, due attiviste arrivate in Italia tramite corridoi umanitari dopo l’ultima offensiva talebana. Khadija, appartenente alla popolazione baluci, comunità divisa tra Iran, Pakistan e Afghanistan e vittima storica di discriminazioni e repressioni, ha ricordato come la lotta per i diritti delle donne sia un fronte aperto in tutta la regione. Il messaggio della serata è stato chiaro: far sentire la propria voce per chi non può farlo più e ribadire che la comunità internazionale, le associazioni e le cittadine e i cittadini non devono distaccarsi dalla realtà afghana. Un modo per dire: “Siamo voi. Siamo con voi.” Gulala salih, presidente Udik Unione Donne Italiane e Kurde (UDIK)
[2025-11-08] Voce Arcaica #2 - Festival di Arte e Cultura in memoria di Nagihan Akarsel @ Teatro Biblioteca Quarticciolo
VOCE ARCAICA #2 - FESTIVAL DI ARTE E CULTURA IN MEMORIA DI NAGIHAN AKARSEL Teatro Biblioteca Quarticciolo - Via Ostuni 8, Roma (sabato, 8 novembre 10:00) Perché un evento in ricordo di Nagihan Akarsel... Il 4 ottobre del 2022 tutto il mondo curdo, in particolare il Movimento di Liberazione delle donne, è stato colto da un gravissimo lutto. La compagna Nagihan Akarsel, ad appena 40 anni, è stata uccisa davanti alla sua casa a Suleimaniyah, nella Regione Autonoma del Kurdistan Iracheno, in un agguato ordito dall'intelligence turca. La notizia di questo femminicidio ha impiegato poco tempo a diffondersi, destando nel popolo curdo, e non solo, profonda tristezza e forte rabbia. La sua storia e la sua vita, infatti, sono tra le più emblematiche del processo di trasformazione radicale che la società curda sta perseguendo attraverso il progetto del Confederalismo Democratico, teorizzato dal leader curdo Abdullah Öcalan. Nel corso degli ultimi dieci anni, tutto il Mondo è entrato in contatto con questo progetto politico, a partire dalla rivoluzione del Rojava, regione collocata a nord est di quella parte di mondo che è chiamata Siria, che si trova ancora oggi a organizzare la difesa e combattere contro il fondamentalismo islamico e la repressione dei vari Stati che il popolo curdo, ma non solo, subisce da secoli. Per ricordare l’esempio di Nagihan Akarsel, fatto di insegnamenti che portiamo nel cuore, di forte capacità empatica, di grande immaginazione e responsabilità, il Comitato di Jineolojî Italia ha deciso di coinvolgere la città transfemminista per dedicarle un omaggio, una giornata di dibattito, approfondimento e arte performativa. Nel novembre del 2024 si è tenuta la prima edizione. A novembre del 2025 vogliamo ripetere queste esperienze per un appuntamento di memoria e di lotta, verso e oltre la giornata globale contro la violenza di genere.
Şingal, undici anni dopo il genocidio yazida: il silenzio che pesa sull’umanità
Il 3 agosto è un’altra macchia nera nella storia dell’umanità. In quel giorno del 2014, si consumò ancora una volta una brutale operazione di pulizia etnica contro un popolo dimenticato: gli yazidi di Şingal. Questo popolo non è solo una minoranza religiosa, ma il simbolo vivente dell’identità storica del Kurdistan e il custode di una tradizione culturale millenaria che ha resistito nei secoli a ogni tentativo di cancellazione. Il 3 agosto non è solo una data di lutto, ma il ricordo doloroso di un genocidio pianificato e sistematico. Sciovinismo e fondamentalismo islamico, uniti da un’ideologia profondamente ostile ai Kurdi e alla loro esistenza, colpirono duramente. Sotto la bandiera dell’ISIS, lanciarono un attacco violento al Kurdistan passando per Şingal, una delle porte simboliche della resistenza curda. Il popolo yazida fu preso di mira con un piano preciso: annientarlo. L’obiettivo dell’ISIS e dei poteri che lo hanno sostenuto – tra cui la Turchia, l’Iran e il regime siriano – era chiaro: cancellare tutte le conquiste del popolo Kurdo, sia nel Kurdistan del Sud (Başûr) che nel Rojava. Riaffermare il proprio dominio politico e ideologico e, nel farlo, sradicare le radici spirituali e culturali degli yazidi. Eppure, l’ISIS non rappresentava solo una minaccia per il Medio Oriente. Mentre compiva massacri nel Kurdistan, colpiva anche l’Europa con attacchi sanguinosi. Il terrorismo non conosce confini, ma l’indifferenza sì. Durante l’assalto a Şingal, le forze dell’ISIS occuparono città e villaggi, massacrando uomini e deportando donne e bambini. Migliaia di donne yazide furono ridotte in schiavitù, vendute nei mercati come oggetti, sottoposte a torture, stupri e umiliazioni inimmaginabili. Chi riuscì a fuggire, spesso a piedi e senza nulla, cercò rifugio tra le montagne o in altre regioni del Kurdistan. Le montagne di Şingal, come sempre, si ergono fiere: divennero scudo e rifugio per gli yazidi in fuga. Ma questa tragedia non ha colpito solo una comunità. Ha colpito l’intera umanità. Il popolo curdo non rimase a guardare. Da ogni angolo del Kurdistan arrivarono aiuti, rifugi, braccia aperte. In particolare, le forze di difesa del Rojava mostrarono un coraggio straordinario, intervenendo rapidamente e fermando l’avanzata dell’ISIS con determinazione e sacrificio. Oggi Şingal è stata liberata. Molti yazidi sono tornati, lentamente, sulle terre dei propri avi. Ma le ferite di quel genocidio sono tutt’altro che guarite. Migliaia di persone risultano ancora disperse. Centinaia di donne yazide sono tuttora prigioniere o non identificate. Le loro famiglie aspettano, nell’angoscia, notizie che non arrivano. In questo contesto di dolore e speranza, la figura della donna yazida si è trasformata nel simbolo di una lotta silenziosa ma potente: quella contro l’oscurantismo, la schiavitù e il fanatismo religioso. Şingal oggi ha ancora bisogno. Ha bisogno di protezione, giustizia, ricostruzione. Ha bisogno di verità e memoria. E, soprattutto, ha bisogno del sostegno della comunità internazionale: non a parole, ma con impegni concreti. Serve giustizia per i sopravvissuti, sicurezza per chi vive ancora nella paura, e la piena libertà per chi vuole ricominciare. Eppure, in questa undicesima commemorazione del genocidio yazida, a parlare è il silenzio. I difensori dei diritti umani, la politica, i media occidentali… tacciono. Addormentati nell’indifferenza e nell’oblio. Pensano che l’ISIS sia stato sconfitto. Ma l’ISIS c’è ancora, sotto forma di cellule dormienti, e continua a colpire i Kurdi e il Kurdistan. L’Occidente non soffre solo di memoria corta: si comporta come un cavallo con i paraocchi. Guarda e commenta solo ciò che vuole vedere, e tutto il resto – compresa Şingal – viene lasciato ai margini della coscienza collettiva. La storia, però, non dimentica. La storia ha scritto il genocidio. E ha scritto, con la stessa forza, anche la resistenza delle donne di Şingal. Gulala Salih Presidente UDIK Unione donne Italiane e Kurde Unione Donne Italiane e Kurde (UDIK)
Il crimine del silenzio e la lezione del Rojava
CI SARÀ UN GIORNO NEL QUALE SI RACCONTERÀ COME IN QUESTO TEMPO DI ORRORI, SVUOTAMENTO DELLA DEMOCRAZIA, SFASCIO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, SI È APERTA UNA CREPA CON LA STRAORDINARIA SCELTA DI DISARMO E SCIOGLIMENTO DEL PKK. INSIEME ALL’ESPERIENZA CONFEDERALISTA E DI AUTOGOVERNO PROMOSSA DALLE COMUNITÀ KURDE, A COMINCIARE DAL ROJAVA, IL RIFIUTO DELLA LOGICA DELLE ARMI È UN GRIDO POTENTISSIMO CHE DOVREMMO IMPARARE A RICONOSCERE. UN APPUNTAMENTO PREZIOSO A ROMA Foto di Ferdinando Kaiser -------------------------------------------------------------------------------- «L’esempio di Rojava per il futuro della democrazia in Siria» è il titolo dell’iniziativa che si terrà mercoledì 18 giugno dalle 11,30 a Roma, presso la Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro, piazza Capranica 72. Con la moderazione di Marina Forti, i saluti del senatore Tino Magni e l’introduzione di Gianni Tognoni, Giacinto Bisogni, Domenico Gallo, Khaled Issa, Ezio Menzione, Yilmaz Orkan, Barbara Spinelli discuteranno attorno alla sentenza emessa dal Tribunale Permanente dei Popoli riunitosi in febbraio a Bruxelles nella sua 54ª sessione su Rojava vs. Turchia. Le accuse rivolte al presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan, a suoi attuali e passati ministri e a responsabili militari e dell’intelligence, esaminate nel corso della sessione, riguardavano un lungo elenco di crimini commessi dal 2018 e in particolare il crimine di aggressione con gli interventi militari illegali turchi in Siria tra il 2018 e il 2024, contro la volontà delle autorità siriane e dell’amministrazione autonoma del Rojava; crimini contro l’umanità, con pratiche di pulizia etnica, di sfollamento forzato e di deportazione, detenzioni illegali e tortura; crimini di guerra, con l’uccisione mirata di civili e il bombardamento indiscriminato della popolazione; la cancellazione culturale e religiosa; il saccheggio e la distruzione ambientale. Il Tribunale, di cui è segretario generale Gianni Tognoni, ha concluso riconoscendo la responsabilità degli imputati per le accuse e i fatti contestati. Naturalmente tale sentenza, su cui riferiranno mercoledì i relatori – alcuni dei quali sono stati membri della giuria che ha ricostruito e valutato i crimini perpetrati nel corso del tempo dalle autorità politiche e militari turche –, è particolarmente importante non tanto per impossibili effetti giuridici capaci di incrinare la «cultura istituzionalizzata dell’impunità e gli ostacoli strutturali e giuridici alla giustizia e all’accertamento delle responsabilità per i crimini internazionali» quanto per le autorevoli e argomentate sollecitazioni politiche che contiene, tanto più in un momento in cui l’impunità, l’aggressione a stati sovrani, il terrorismo di Stato, i massacri di civili inermi, i crimini di guerra e contro l’umanità, le pratiche di pulizia etnica sino al genocidio si sono imposte come quotidianità a Gaza e in tutto il Medio Oriente grazie anche alle complicità, attive e passive, con il governo di Israele da parte dell’intero occidente, Stati Uniti e Unione Europea per primi. Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP), erede del Tribunale Internazionale Contro i Crimini di Guerra, noto come Tribunale Russell e attivo negli anni Sessanta del secolo scorso, è stato fondato da Lelio Basso e ha come missione l’ascolto dei popoli e la promozione del rispetto dei diritti umani, accertandone le violazioni ed esaminandone le cause, documentando i crimini e denunciandone gli autori presso l’opinione pubblica mondiale. Suo obiettivo dichiarato è anche, seguendo Jean-Paul Sartre, di contrastare il “crimine del silenzio”. Un crimine che accompagna sempre, essendone talvolta l’indispensabile premessa, tutti quelli su cui il Tribunale, ai sensi del proprio statuto, dichiara la propria competenza: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, crimini ecologici, crimini economici, crimini di sistema, rivolgendo dunque la propria attenzione anche ai crimini di stati e di imprese, a rimarcare un’idea di un altro diritto e di una giustizia priva di soggezioni e reticenze, alternativi a quel diritto del più forte che, da ultimo, sta mostrando il suo sanguinoso e orrendo volto non più celato da ipocrisie. La caccia ai migranti e le deportazioni in corso negli Stati Uniti di Trump, ad esempio, sono tristemente eloquenti, e lo stesso avviene in Europa; se prima la violazione dei diritti umani era occultata, ora è sbandierata come fonte del consenso. A questi riguardi, sono esemplari dell’impostazione del TPP la sentenza sulle Imprese transnazionali nei paesi dell’Africa subsahariana (2016-2018), quella sul Salario dignitoso per le donne lavoratrici dell’industria dell’abbigliamento in Asia (2009-2015), quella sulle Imprese minerarie canadesi in America Latina (2014), quella su La UE e le imprese transnazionali in America Latina: politiche, strumenti e attori complici delle violazioni dei diritti dei popoli (2006-2010) o quella su Le Politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale I (1988) e le tante altre, per arrivare alla fondamentale sessione su La conquista dell’America e il diritto internazionale (1992). Un diritto internazionale di cui l’aggressione e occupazione della Striscia di Gaza e lo sterminio dei palestinesi in corso da parte di Israele hanno finito di rendere manifesta l’impotenza, i limiti e l’ipocrisia. Il TPP conclude il proprio pronunciamento sul Rojava e sulle responsabilità impunite della Turchia affermando che «l’imperativo per coloro che ascoltano è agire, portare i messaggi trasmessi nelle nostre raccomandazioni a coloro che hanno il potere di metterli in pratica. In questo modo, le prove prodotte dal TPP in questa sessione potrebbero diventare uno strumento di informazione e di coscienza per tutte le società civili amanti della pace». Interlocutrici sono, dunque e appunto, quelle società civili che anche in questi mesi si stanno mobilitando dal basso, in modo spontaneo e molecolare, mentre governi e decisori nazionali e sovranazionali occidentali collaborano ai crimini dello Stato e del governo d’Israele. Esattamente come in precedenza avevano fatto per quelli dello Stato e del governo turco nei confronti del Rojava e delle popolazioni kurde. La difesa dei diritti umani e la salvaguardia della Comunità Autonoma del Rojava, così come la più complessiva questione kurda, dovranno ora inevitabilmente confrontarsi con il nuovo disordine mondiale. Uno scenario conflittuale e distruttivo che va configurandosi negli ultimi anni a seguito dell’affermarsi in diversi paesi di governi improntati a un populismo aggressivo, sino al neoimperialismo tecnofeudale della nuova amministrazione statunitense, a quello reclinante e reattivo della Federazione Russa, a quello virulento ed espansivo della Turchia di Erdoğan, resi maggiormente pericolosi da un’Unione Europea preda di tecnocrazie, sovranismi e lobby belliciste, incapace di identità, autonomia e visione. Successivamente alla sessione del TPP di Bruxelles si sono determinati nuovi e significativi avvenimenti: la caduta del regime di Assad in Siria e la riapertura del processo di pace tra il popolo kurdo e il regime turco, propiziata e resa possibile dall’interno del carcere nel quale è detenuto da oltre un quarto di secolo in condizioni di duro isolamento il leader del PKK Abdullah Öcalan, il Mandela del nostro tempo, per dirla con il filosofo Slavoj Žižek. Dopo la distruzione di Gaza, l’espansionismo e l’interventismo bellico israeliano in Cisgiordania, in Libano, nella stessa Siria, nello Yemen e ora in Iran – accompagnato e reso possibile dall’impunità assicurata dalle complicità e cointeressenze statunitensi, europee (e italiane) e dal crimine del silenzio – hanno determinato un quadro in rapidissima evoluzione e di grandissima preoccupazione. Rispetto al quale la proposta e posizione kurda, il disarmo e lo scioglimento del PKK costituiscono uno dei pochi segnali in controtendenza, così come il modello confederalista e di autogoverno – e la sua implementazione in Rojava – rappresentano non un’astrazione o una posizione ideologica ma una proposta, concreta e credibile, fondamentale di fronte allo sfascio e allo svuotamento della democrazia e del diritto internazionale in corso nell’intero occidente e al moto inerziale verso la guerra mondiale che stanno producendo. Parafrasando il titolo dell’evento che si terrà mercoledì a Roma (è possibile partecipare scrivendo entro martedì a: segreteriapresidenzamisto@senato.it), l’esperienza e la realtà del Rojava costituiscono dunque un prezioso esempio per il futuro della democrazia non solo in Siria ma in tutto il mondo. Rompere il silenzio sul Rojava è allora una necessità vitale e un motivo di speranza per tutti. Mai come ora ce n’è impellente bisogno. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI JOHN HOLLOWAY. > La critica è un canto di lodi alla rivoluzione -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Il crimine del silenzio e la lezione del Rojava proviene da Comune-info.